elisione
L’elisione (dal lat. elisio «atto di rompere») consiste nella cancellazione di una vocale atona in fine di parola, quando questa sia seguita da una parola iniziante per vocale. Il fenomeno ha luogo quindi solo al confine di parola (➔ sandhi) e, insieme all’➔assimilazione e al ➔ raddoppiamento sintattico, fa parte della cosiddetta fonologia di giuntura (➔ fonetica sintattica). La cancellazione della vocale atona finale si attua per fluidificare la produzione articolatoria e evitare il formarsi di iati (➔ iato) come accadrebbe in lo eroe → l’eroe, la amicizia → l’amicizia, ecc.
Nell’ortografia, la cancellazione di vocale per elisione è segnalata dall’apostrofo:
(1) la astrazione → l’astrazione [lastraˈʦjone]
(2) una ora → un’ora [uˈnora]
(3) di essere → d’essere [ˈdesːere]
(4) senza altro → senz’altro [senˈʦaltro]
In taluni casi l’apocope è obbligatoria, in altri facoltativa, in altri bloccata. In alcuni registri di italiano parlato informale o poco accurato, l’elisione si può produrre lungo tutta la catena fonica, come nei casi seguenti: [deʎːaˈmiʧi] per degli amici, [potranːenˈtrare] per potranno entrare, [vadeˈvːɛngo] per vado e vengo, ecc.
ll fenomeno è bloccato, sia nello scritto che nel parlato, se le parole sono separate da pausa o se la vocale finale della prima parola è accentata come in:
(5) la virtù è bella [lavirtuɛˈbːɛlːa]
(6) il caffè è buono [ilkaˈfːɛ||ɛˈbːwɔno].
L’elisione e l’apocope vocalica, pur essendo processi affini, presentano diverse differenze. L’elisione è un fenomeno di fonetica sintattica, in cui la stessa parola ha due forme diverse secondo il contesto: così una in una squadra e in un’ancora. In caso di apocope vocalica, invece, la caduta della vocale o della sillaba finale di parola avviene o per troncamento in diacronia (producendo forme ossitone come libertà, città e virtù derivate dalle forme parossitone libertade, cittade e virtude) o per esigenze eufoniche (come in fior fiore, bel bello, man mano, tal dei tali, ecc.).
Si può parlare di elisione solo quando la caduta della vocale ha luogo davanti a parola iniziante per vocale (come in l’uomo); negli altri casi bisogna parlare di apocope vocalica. Così buon amico è frutto di un’apocope, in quanto la caduta della vocale di buono può avvenire anche prima di consonante come in buon vicino, mentre buon’amica è il risultato di un’elisione perché buon vicina sarebbe impossibile. Inoltre, l’apocope si differenzia dall’elisione perché la parola tronca può essere prodotta in isolamento come in gran, quel, bel, castel, rispetto a un’, l’, d’, ecc. Quindi qual sarebbe una forma tronca, e non l’elisione di quale, visto che è possibile scrivere qual buon vento: risulta scorretta, dunque, la forma scritta *qual’è al posto di qual è, benché nella pratica scrittoria, anche di persone istruite, sia possibile incontrare entrambe le forme.
In taluni casi è difficile tracciare un confine tra elisione e apocope: ciò accade con parole grammaticalmente ambigeneri, come un autista ~ un’autista, un assistente ~ un’assistente (nel primo caso di ogni coppia si tratta di un uomo, nel secondo di una donna); oppure quando esistono sia la forma tronca che quella elisa: suor Anna, suor Giovanna, sant’Antonio e san Francesco, oppure bell’uomo e bel cappello, o grand’uomo e gran signore, quell’uomo e quel naso.
Diverso è il caso in cui, pur non essendoci cancellazione di vocale, si ha la fusione della vocale finale con quella iniziale della parola seguente. Tale fenomeno è denominato ➔ sinalefe, ed è usato di frequente nella metrica poetica (➔ metrica e lingua). Un verso come il dantesco mi ritrovai per una selva oscura (Inf. I, 2), che contiene dodici sillabe, può essere ridotto a un ➔ endecasillabo attraverso l’elisione o, meglio, la sinalefe (il numero sottoscritto indica la successione delle sillabe):
(7) mi1ri2tro3vai4pe5ru6na7sel8v(a)o9scu10ra11
Anche in questo caso, come per l’apocope, è possibile distinguere la sinalefe dall’elisione. ll primo è un fenomeno metrico-stilistico che consente la cancellazione di un nucleo sillabico, il secondo un processo fonetico di riduzione e semplificazione. Nella sinalefe è possibile cancellare anche vocali che normalmente non verrebbero elise:
(8) Quei sono spirti, maestro, ch’i’ odo? (Dante, Purg. XVI, 22).
Di seguito si analizza il fenomeno dell’elisione nelle diverse categorie grammaticali.
L’elisione, anche nella scrittura, è automatica sia con gli articoli determinativi al singolare sia con le preposizioni articolate corrispondenti: l’ombrello, l’astro, l’aquila, nell’epica. Il fenomeno ha luogo solo se la parola inizia per vocale, ma non per semivocale palatale anteriore [j], come in lo Ionio [loˈjɔnio] o uno iato [unoˈjato], uno yogurt [unoˈjɔgurt], lo yeti [loˈjɛti], gli yankee [gliˈjeˈnki], ecc. Con la semivocale labiovelare [w] invece, l’elisione è ammessa un uomo [unˈwɔmo], l’uovo [ˈlwɔvo].
L’elisione dell’articolo non è prevista quando la parola seguente è una sigla iniziante per vocale: abbiamo viaggiato sulla A14 («autostrada»), si è iscritto alle ACLI.
Uno si tronca sempre dinanzi a vocale: un amico, un ippopotamo. Una invece, che normalmente si elide (un’amica, un’improvvisa febbre), può essere lasciata integra per scelta individuale: una improvvisa febbre, una astrazione.
Mentre per l’articolo la l’elisione in alcuni casi è facoltativa, per lo davanti a vocale è obbligatoria. Al plurale il fenomeno è meno frequente ed è oggi sentito come desueto: l’amici, l’erbe; nel caso del plurale maschile può aver luogo solo quando la parola successiva inizia per [i] (ma la traduzione grafica di questa pronuncia è sentita come desueta): gl’italiani, gl’indigeni, degl’indigeni, ma gli animi, gli ebrei, gli alberi, gli ultimi o gli yogurt.
L’elisione si ha sempre con gli aggettivi dimostrativi singolari questo, questa, quello, quella: quest’uomo, quest’ancora, quell’epoca, ecc. L’aggettivo quello davanti a consonante (scempia e semplice) diventa quel come in quel cappello, quel treno, quel prete, quel salame; rimane inalterato invece con nessi consonantici /s/ + consonante o con /ʃ/: quello sciatore, quello strapiombo, quello spadaccino, quello steccato.
Quale e tale non si elidono mai e quindi non va mai segnalato l’apostrofo: le uniche forme non integre possibili sono quelle tronche: qual e tal.
Il comportamento degli aggettivi è variegato. Al singolare maschile si elidono solamente alcuni aggettivi: bello, buono, bravo, grande, onesto e pochi altri, ma soprattutto in formule fisse: bell’uomo, grand’ufficiale, onest’uomo, ecc.; ma non * grand’autore e simili.
Al femminile gli stessi aggettivi possono essere elisi o integri: bell’idea ma anche bella idea. Al plurale invece è raro che il femminile si elida, mentre per il maschile vale la regola precedente di gli.
I ➔ monosillabi, in italiano, si elidono spesso. Quanto a di, l’elisione avviene davanti a vocale come in d’accordo, d’epoca, d’oro ma è facoltativa (e piuttosto desueta) davanti a verbi: d’essere o di essere, d’udire o di udire. Da non si elide mai: da eroi, da amare, da Algeri, salvo che in alcune forme cristallizzate d’ora in poi, d’ora in avanti, d’altronde e d’altra parte.
Nei pronomi monosillabi è possibile avere elisione nei casi di mi, ti, lo, la, vi, si, soprattutto quando la vocale iniziale della parola seguente è atona e uguale:
(9) ti importa → t’importa
(10) si impunta → s’impunta
(11) vi illudono → v’illudono
Sono tuttavia frequenti anche casi come i seguenti:
(12) si avviò → s’avviò
(13) si udirono → s’udirono
(14) ti alzi → t’alzi
(15) mi ha parlato → m’ha parlato
(16) mi ascolti? → m’ascolti?
È possibile inoltre avere elisione anche quando si succedono due monosillabi con la stessa vocale:
(17) ce la ha messa tutta → ce l’ha messa tutta
(18) il libro lo ho già letto → il libro l’ho già letto
Fanno eccezione ai principi suddetti forme come si isola, mi irriti e, nel caso della successione di monosillabi, enunciati come le è piaciuto il film (e non *l’è piaciuto il film). Con ci e gli l’elisione è possibile solo quando la vocale seguente è i o e:
(19) ci insegna → c’insegna
(20) ci è → c’è
(21) ci era → c’era
Come già detto, nel parlato l’elisione può avvenire anche con forme differenti come ci amiamo → [ʧ]amiamo.
Coi pronomi lo e la invece, a differenza degli articoli omofoni, in cui è quanto meno raccomandata, è consigliato evitare l’elisione soprattutto nei casi in cui siano possibili equivoci: ad es. per evitare il contrasto tra l’odio (nome) e lo odio (verbo). Tale costruzione, oltre a far insorgere equivoci sulla natura grammaticale di odio, produce equivoci anche riguardo al suo numero: l’odio con tutto me stesso potrebbe essere interpretata come la odio o li odio con tutto me stesso.
Il pronome uno e i suoi composti alcuno, taluno, ciascuno e nessuno (e anche le forme antiche veruno, niuno, ecc.) non si elidono mai nell’italiano corrente. Gli aggettivi si comportano come l’articolo indeterminativo: alcun tempo, alcuno straniero; al femminile l’elisione è molto rara: si preferisce dire e scrivere allora alcuna obiezione, alcuna idea.
Nella forma scritta come si elide solo davanti al verbo essere: com’è andata?, com’era; nel parlato invece – come si è detto – le elisioni sono frequenti: [komiˈniʦjo] per come inizio, ecc.
L’elisione è possibile in alcune frasi ormai idiomatiche: a quattr’occhi, l’altr’anno, tutt’altro, senz’altro e nient’altro, mezz’ora e altre.
►
L’➔elisione è il fenomeno per il quale in italiano si cancella (si elide), all’incontro di due vocali (specie se identiche) appartenenti a parole diverse successive, quella con cui termina la prima delle due. Tale fenomeno, operante a livello fonetico (➔ fonetica sintattica), trova riscontro nella maggior parte dei casi anche a livello di ➔ ortografia.
Ecco una lista parziale degli elementi lessicali coi quali il fenomeno si manifesta con una certa regolarità: lo albero → l’albero, questo oggi → quest’oggi, una anatra → un’anatra, come eravamo → com’eravamo, quanto è → quant’è, venti anni → vent’anni, ci erano → c’erano, di accordo → d’accordo. Vanno aggiunte alla lista alcune locuzioni cristallizzate, che presentano cioè l’elisione solo in combinazione con gli specifici termini che le costituiscono: nient’altro, senz’altro tutt’altro (non tuttora), mezz’ora (non mezzanno) e a quattr’occhi.
Il segno grafico che testimonia l’elisione è l’➔apostrofo (► apostrofo), che prende il posto della vocale caduta. Da questo punto di vista, l’elisione va distinta dal ➔ troncamento, che produce sì identico risultato (cioè la caduta di una vocale o di un’intera sillaba), ma opera quando la parola seguente non comincia per vocale, e non colpisce solo una vocale: qual(e) buon vento!, fan(no) tutti così, San(to) Tommaso, ecc. Con l’elisione la vocale finale cade invece proprio in virtù della presenza della vocale seguente; per riprendere l’ultimo esempio, con vocale non si ha troncamento ma mantenimento della seconda sillaba ed elisione della sola vocale finale: Sant’Anselmo, Sant’Eusebio e così via.
L’elisione avviene anche all’interno di parola (e senza apostrofo, quando questa, com’è nel caso dei composti, è il risultato della fusione o ➔ univerbazione di due distinte parole: vent(i)uno, contr(o)altare, all(e)arme, ecc. Ad eccezione dei numeri (ventuno ← venti uno), l’elisione nei composti non è però sistematica e possono darsi con frequenza casi di conservazione della vocale: antiaccademico, controanalisi, anche quando ne risultino due identiche appaiate (► doppie lettere): autoorganizzarsi, antiipertensivo (ma c’è anche chi preferisce le grafie auto-organizzarsi, anti-ipertensivo) e, tra i ➔ numerali ordinali, i composti di tre: quarantatreesimo. In alcuni casi si hanno oscillazioni: indoeuropeo e indeuropeo.
Meglio, data l’oscillazione dell’uso, fare sempre riferimento al dizionario.
L’elisione ha frequenti eccezioni. In particolare:
(a) non si elide (per ragioni metriche, nella sola lingua lirica) la vocale nei plurali dell’articolo determinativo e, di conseguenza, delle ➔ preposizioni articolate: gli uomini e gli alberi, mai *gl’uomini e gl’alberi; le api, mai *l’api; nell’angolo, mai *negl’angoli (possibili, ma antiquate, grafie come l’erbe, gl’innamorati);
(b) non si elide la vocale finale nei plurali, maschili e femminili, dei dimostrativi: quest’anno, mai *quest’anni; quest’anatra, mai *quest’anatre. Vale poi, per quegli e quelle, quanto sopra per i determinativi; mai, quindi, *quell’anime o *quegl’occhi;
(c) non si elide (anche per evitare sovrapposizioni di senso con la preposizione di, spesso elisa: anello d’argento, brucio d’amore, ecc.) la preposizione da: mai, quindi, *bimbi d’adottare o *vengo d’Asti;
(d) è bene limitare l’elisione dei pronomi ➔ clitici davanti al verbo ai soli casi in cui le vocali che si incontrano siano diverse: t’acchiappo, s’annoia sono più accettabili di t’inseguo o s’innamora. È bene anche avere a mente il sentore aulico di talune combinazioni elise: t’amo, t’odio, ecc. Quanto a l innanzi ad h (l’ho visto), è prassi consolidata nell’uso e pienamente accettata anche nello standard.
Per quanto marcati dallo stesso apostrofo dell’elisione, non sono ad essa riconducibili i casi (tipici delle parlate dialettali e meno colte dell’italiano) in cui cada una vocale o un’intera sillaba a inizio di parola (➔ aferesi): ’more, mi senti?, ’sto coso non funziona, sono forme parlate inaccettabili allo scritto; sono ammesse però, anche dallo standard (e non necessitano di apostrofo) le forme (o)scuro e (que)stamattina, (que)stasera, (que)stanotte.
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