Abstract
La disciplina delle eccezionali situazioni giuridiche che vengano a configurarsi in seguito ad eventi calamitosi, ovvero ad altri accadimenti che comunque necessitino dell’uso di strumenti giuridici diversi da quelli ordinari è alla base della presente “voce”. Qui si dà conto non solamente degli strumenti di primo impatto che vengono utilizzati in presenza di quegli eventi, ma anche dei metodi di governo che ivi fondano la loro giustificazione e legittimazione, allargando e riallineando i tradizionali confini del rapporto fra autorità e libertà. Viene anche spiegato perché – in presenza di simili accadimenti – gli apparati amministrativi possano mostrare la loro vera natura di “macchine dell’obbedienza” a fronte delle quali non sia però possibile attivare i tradizionali rimedi previsti dalla l. 7.8.1990, n. 241. Si chiude analizzando le procedure negoziali attivabili in casi di somma urgenza e di protezione civile, alla luce del nuovo Codice dei contratti pubblici.
Con questo vocabolo – non sempre utilizzato al plurale, come invece sembra più corretto, vista la diversità dei fenomeni che vi si conchiudono – si vuole indicare l’insieme delle situazioni a fronte delle quali la normale scansione delle fasi in cui si articola ogni procedimento amministrativo non è né idonea, né sufficiente alla cura dell’interesse pubblico per il quale il relativo potere è stato attribuito a determinate amministrazioni pubbliche da una particolare fonte di produzione normativa.
Fin dalla nascita del diritto pubblico modernamente inteso, dottrina e giurisprudenza si sono spese per giustificare e legittimare queste situazioni, innanzitutto perché la loro ineliminabilità dall’esperienza costituzionale e amministrativa dell’ordinamento ha più volte messo a rischio la stabilità dello stesso pilastro fondamentale su cui quel ramo del diritto si fonda: il principio di legalità.
Per evitare che l’eccezionalità delle situazioni-limite di fronte alle quali si ricorre a strumenti possano minare tale pilastro, la dottrina è venuta elaborando un altro principio che potremmo dire eguale e contrario al primo: quello di precauzione, la cui derivazione sovranazionale è innanzitutto riconducibile al testo dell’art. 191, co. 2, TFUE («la politica dell’Unione… (omissis)… è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva…»).
Purtroppo però - mentre il primo dei due principi può considerarsi ormai assolutamente consolidato e definito in ogni suo aspetto – non altrettanto può dirsi per il secondo, che appare ancora piuttosto incerto e in attesa di ulteriori implementazioni: il suo punto di partenza può comunque essere individuato attraverso il metodo di prendere in considerazione tutte le possibili implicazioni che ciascuna decisione assunta per fronteggiare l’eccezionalità di determinate situazioni comporta.
Il dibattito sull’argomento ha dunque trovato i primi elementi di effettiva stabilizzazione nel livello sovranazionale che sempre più domina il sistema delle fonti: ecco perché lo prescegliamo come momento di primo approccio ai nostri ragionamenti.
Una iniziale sintesi del rapporto fra legalità e precauzione ci è stata d’altronde fornita, poco meno di vent’anni addietro e quasi contemporaneamente, dalla Corte di Giustizia – secondo cui «si deve ammettere che quando sussistano incertezze riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, le istituzioni possono adottare misure protettive senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi» (C. giust, 2.5.1998, C-157/96) – e dalla Commissione Europea (Comunicazione del 2 febbraio 2000) – secondo la quale, in attuazione di tale ultimo principio, si rende necessaria la previa identificazione di ogni effetto potenzialmente negativo derivante da un fenomeno, da un prodotto ovvero da un procedimento prima di ricorrere a strumenti di amministrazione diversi da quelli utilizzati in via ordinaria per fronteggiare determinati rischi – entrambe le quali operano innanzitutto nell’ottica del ravvicinamento delle legislazioni nazionali.
Da un punto di vista meramente procedimentale, questo significa che il principio di precauzione implica – a fronte di situazioni emergenziali – istruttorie più accurate di quelle adottate in via ordinaria: in questi casi infatti, accanto alle ordinarie verifiche sui dati giudicati rilevanti, debbono essere più accuratamente valutate anche le possibili implicazioni rischiose del ricorso a strumenti di amministrazione di tipo eccezionale.
Una simile impostazione, ormai recepita a livello nazionale e locale, implica dunque il passaggio dalle tradizionali ordinanze – intese come manifestazioni di diritto singolare – a più complesse misure preventive e precauzionali che sono frutto di politiche nelle quali è la stessa pubblica amministrazione a forgiare – anziché subire – le fattispecie nelle quali intervenire con strumenti non convenzionali che – per loro stessa natura – rafforzano, anziché contrastare, il principio di legalità.
Le competenze e i poteri delle autorità che operano in regime di emergenza e la disciplina dei provvedimenti adottati da queste ultime sono, nel sistema delle fonti nazionali, regolati dalla normativa dettata in tema di protezione civile.
In proposito, la l. 24.2.1992, n. 225 – con le sue successive modificazioni ed in particolare quelle introdotte dalla l. 15.10.2013, n. 119 – rappresenta il principale atto normativo di riferimento in questa materia e le sue linee portanti si riassumono nel suo articolo 1, a termini del quale il Presidente del Consiglio dei Ministri, ovvero il Ministro dell’Interno, «per l’attuazione degli interventi di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo, può avvalersi di commissari delegati. Il relativo provvedimento di delega deve indicare il contenuto della delega, dell’incarico, i tempi e le modalità del suo esercizio».
Ancora in tale articolo si prevede che «le ordinanze emanate in deroga alle leggi vigenti devono contenere l’indicazione delle principali norme a cui si intende derogare e devono essere motivate» (co. 5) e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale (co. 6).
Queste ultime ordinanze possono perciò essere legittimamente adottate in deroga ad ogni altra disposizione vigente, ma soggiacciono a precisi limiti, quali – in via esemplificativa e non esaustiva – il rispetto dei principi generali dell’ordinamento, l’obbligo di motivazione, l’indicazione delle principali norme primarie e secondarie cui si intende derogare, il rispetto dei limiti temporali all’uopo stabiliti.
Quanto sopra al fine di impedire che le deroghe apportate al quadro normativo vigente finiscano nella sostanza per determinare uno stravolgimento di quest’ultimo: secondo la giurisprudenza, infatti, il potere di adottare ordinanze in deroga può dare solamente il luogo a «deroghe temporalmente limitate e non anche ad abrogazione o modifica di norme vigenti» (C. cost. 14.4.1995, n. 127; C. cost. 9.11.1992, n. 418; C. cost. 28.5.1987, n. 201; C. cost. 4.1.1977, n. 4; C. cost. 2.7.1956, n. 8; Cons. St., V, 13.2.2002, n. 6809; Cons. St., V, 13.2.2002, n. 6280; Cons. St., IV, n. 197/1998).
Fin dall’entrata in vigore della l. n. 225/1992, si è comunque posta una questione dirimente, rispetto alla quale – ancora oggi – si registrano divergenti posizioni nella giurisprudenza: mi riferisco alle ordinanze extra ordinem, attraverso le quali gli organi commissariali vanno ad incidere sulle competenze degli enti locali, determinandone una compressione dell’autonomia.
In proposito la Corte Costituzionale, immediatamente dopo l’entrata in vigore della l. n. 225/1992 ha chiarito come quell’atto normativo non avesse «inteso modificare la ripartizione delle materie delle competenze tra Stato e regioni. Essa ha voluto invece assicurare che i molteplici organismi, a vario titolo interessati alle attività di protezione civile, agiscano in modo armonico irrazionale, di modo che le risorse disponibili vengano impegnate opportunamente conducano alla maggiore efficacia degli interventi» al fine di ottenere che alle attività di protezione civile provvedano, sulla base dei rispettivi ordinamenti e delle rispettive competenze, le amministrazioni dello Stato, le regioni, le province, i comuni e le comunità montane (C. cost., 9.11.1992, n. 418).
Successivamente la Corte ha avuto cura di indicare nel principio di congruità e di proporzionalità, il criterio che dovrebbe ispirare il giudice nel verificare se dette ordinanze extra ordinem possano o meno determinare un’alterazione dei principi del decentramento dell’autonomia locale (C. cost., 14.4.1995, n. 127).
Successivamente il Governo – esercitando la delega conferita dalla l. 15.3.1997, n. 59 – ha proceduto, attraverso il d.lgs. 31.3.1998, n. 112 a riallocare i compiti in materia di protezione civile, mantenendo in capo allo Stato le sole funzioni di indirizzo e coordinamento e demandando alle regioni il compito di attuare tutti gli interventi finalizzati al superamento dell’emergenza.
Onde assicurare un miglior coordinamento delle competenze e degli interventi in questa materia è stato poi adottato il d.l. 7.9.2001, n. 343 che ha istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri un comitato paritetico fra Stato, Regioni ed enti locali che ha ribadito come al Presidente del Consiglio dei Ministri fossero riconosciute – in questa materia – esclusivamente funzioni di coordinamento. Sulla base di queste ulteriori disposizioni, la Corte Costituzionale si è nuovamente pronunziata sul rapporto tra ordinanze extra ordinem e salvaguardia dell’autonomia degli enti locali, affermando che la normativa in materia di protezione civile vada interpretata «non nel senso di aver determinato l’accentramento di competenze e poteri, ovvero aver organizzato degli stessi secondo schemi di dipendenza gerarchico-funzionale, ma piuttosto nel senso di essersi limitata a prevedere ed a disciplinare nelle loro specifiche esplicazioni funzioni dirette alla promozione al coordinamento di tutte le attività che possono convergere a finalità di tutela dei beni messi in pericolo» appunto perché «nella più recente legge n. 401 del 2001 è prevista l’istituzione di un apposito comitato paritetico Stato-regioni-enti locali ed è richiesta l’intesa con le regioni e gli enti locali per la definizione dei programmi e per la predisposizione degli interventi e delle strutture organizzative necessarie a fronteggiare gli eventi calamitosi», Infatti «il nuovo disegno costituzionale dell’autonomia degli enti locali circonda con una garanzia immediata le competenze amministrative dei comuni – nell’ordinamento precedente affidate invece ad una disciplina fissata con leggi ordinarie: in tal senso dispone l’attuale primo comma dell’articolo 118. Su tale presupposto è innegabile che anche il novero dei poteri di deroga consentiti per motivi di protezione civile deve tener conto della nuova realtà e di inserirsi in un sistema diverso e più avanzato di ripartizione di competenze tra Stato ed enti locali territoriali, che conserva al primo funzioni di promozione e coordinamento degli interventi, ma lascia i secondi la gestione degli interventi sul territorio alla stregua del principio di sussidiarietà verticale» (Cons. St., n. 6809/2002; Cons. St., n. 6280/2002).
Gli eventi sismici successivi hanno d’altronde dimostrato come il ricorso a forme di concertazione di leale collaborazione tra lo Stato delle autonomie locali risultassero tanto più necessari anche alla luce della l. cost. 18.10.2001, n. 3, che ha modificato il titolo quinto della Costituzione per attribuire nuova e diversa rilevanza ai poteri legislativi in materia di protezione civile, ormai sottratti alla legislazione esclusiva dello Stato ed attribuiti alla legislazione concorrente fra Stato e regioni.
Nell’ordinamento attuale, dunque, la materia della protezione civile è oggetto di disciplina legislativa regionale, restando riservata allo Stato la sola determinazione dei principi fondamentali e l’esercizio dell’attività di indirizzo e coordinamento ed «emerge anche da tale angolazione un disegno non invasivo delle competenze degli enti locali voluto dal legislatore costituzionale riguarda l’autonomia dei diversi livelli di governo delle comunità locali, sulla base del principio di sussidiarietà» (Cons. St., V, n. 6809/2002).
Senza poter ancora giungere a dare una valutazione dei più recenti strumenti normativi adottati in occasione del terremoto che ha colpito la zona di confine fra Marche e Abruzzo nell’agosto del 2016, possiamo però notare una ideale linea di continuità fra (alcuni di) tali strumenti e quelli adottati per affrontare le questioni emergenziali che derivarono dall’evento sismico che colpì L’Aquila nel 2009.
Quell’evento ha infatti consentito di testare sul campo la maggior parte degli strumenti apprestati dalla legge generale sulla protezione civile – le cui linee portanti non hanno ricevuto, almeno sino ad oggi, significative modificazioni – incrociando negli istituti con la specifica realtà degli assetti che si sono venuti delineando prima in quel cratere e successivamente nelle altre aree dell’Italia centrale.
In quell’occasione si vennero infatti ad adottare non solo strumenti di primo impatto, ma veri e propri metodi di governo che sul disastro fondano la loro legittimazione e giustificazione, allargando e ridelineando i confini del tradizionale rapporto fra poteri e legalità.
Piuttosto che sugli atti singolarmente adottati, l’attenzione della dottrina della giurisprudenza si è venuta via via soffermando sulla legittimità dei modelli organizzativi adottati o anche solo ipotizzati: modelli che vanno dalla possibilità di istituire zone franche nei crateri del terremoto (impossibili da adottare in una determinata area rispetto a quelle contigue, vuoi per la loro contrarietà con disposizioni comunitarie, vuoi per l’incompatibilità con interpretazioni costituzionalmente orientate della ordinaria disciplina dell’economia) fino alla previsione di contributi dello Stato per la ricostruzione integrale della prima casa come erogazione a fondo perduto.
Ma le questioni più rilevanti rispetto al rapporto fra poteri extra ordinem e legalità si pongono a proposito delle discipline accelerate per avviare e concludere nel più breve tempo possibile i procedimenti ambulatori reali che sempre si pongono come conseguenza necessaria della distruzione di interi insediamenti abitativi.
In proposito possiamo tuttora considerare il Decreto Abruzzo (d.l. 28.4.2009, n. 39 «interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009 e ulteriori interventi urgenti di protezione civile» convertito nella l. 24.6.2009, n. 77) come l’archetipo del modello entro il quale, di fronte ad un’emergenza vera, i poteri pubblici si atteggiano e si organizzano.
Più in particolare il decreto Abruzzo prevedeva – nel quadro di un corpus organico e complesso di disposizioni variamente intese ad organizzare le emergenze conseguenti al sisma – l’emanazione di ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri necessarie per l’attuazione del decreto medesimo, con effetti limitati ed esclusivi sui comuni interessati dagli eventi sismici abruzzesi, come identificati con decreto del commissario delegato n. 3, emanato in data 16.4.2009 nei confronti delle persone fisiche, dei residenti, delle imprese operanti e degli enti aventi sede nei territori medesimi alla data del 6.4.2009 (art. 1, co. 1 e 2).
Oltre alle funzioni specificamente attribuite al commissario delegato per l’emergenza, ai sensi della richiamata l. n. 225/1992, venivano attribuiti a quest’ultimo ulteriori compiti «in termini di somma urgenza», innanzitutto quelli di progettazione e realizzazione nei comuni interessati di «moduli abitativi destinati ad una durevole utilizzazione, nonché delle commesse opere di urbanizzazione servizi» al fine di consentire «la più sollecita sistemazione delle persone fisiche ivi residenti o stabilmente dimoranti in abitazioni che sono state distrutte o dichiarate inagibili dai componenti organi tecnici pubblici in attesa della ricostruzione e riparazione degli stessi» (art. 2, co.1).
La realizzazione di tali moduli abitativi è frutto di un peculiare procedimento – per più versi fortemente derogatorio rispetto al modello disegnato dal testo unico espropriazioni – e presuppone l’approvazione di un piano da parte del commissario delegato, preceduto dal parere di un’apposita conferenza di servizi che delibera a maggioranza dei presenti validamente intervenuti: fondamentale in tutto il disegno organizzativo è dunque la riconduzione di tutti i poteri di localizzazione d’espropriazione in capo al commissario dell’emergenza.
Il commissario procede infatti direttamente alla individuazione delle aree destinate alla realizzazione degli edifici, d’intesa con il presidente della regione e sentiti i sindaci dei comuni interessati: l’intesa si realizza dunque con chi non ha i poteri e si superano i soggetti costituzionalmente chiamati ad occuparsi di quelle materie.
La dichiarata natura di interventi di somma urgenza comporta anche la espressa disapplicazione degli artt. 7 e 8 della l. n. 241/1990 – che impongono la partecipazione dei soggetti privati ad ogni procedimento amministrativo che in qualunque modo li coinvolga – escludendone la partecipazione procedimentale.
L’intervento in via di urgenza si qualifica dunque come una modifica della competenza degli organi ordinariamente deputati alla localizzazione, di esclusione della partecipazione del privato e di contrazione procedimentale, realizzandosi così un sostanziale raddoppio di una delle fasi previste in via generale dal decreto espropriazioni e si conclude con l’emanazione di un unico atto avente plurima valenza.
La descritta contrazione procedimentale si realizza anche nella fase dell’occupazione di urgenza: secondo il co. 6 del menzionato art. 2, il commissario delegato provvede – anche a prescindere da ogni altro adempimento – alla redazione dello stato di consistenza e del verbale d’immissione in possesso dei suoli e l’indennità di provvisoria occupazione o di espropriazione è determinata dallo stesso commissario delegato entro sei mesi dalla data d’immissione in possesso.
Il successivo co. 7 esclude poi la possibilità di opposizioni amministrative di qualsiasi tipo avverso provvedimenti di localizzazione d’immissione in possesso, ammettendo esclusivamente ricorso giurisdizionale ovvero il ricorso straordinario al Capo dello Stato; è stata infine introdotta, per questo genere di impugnazioni, la competenza funzionale del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sede di Roma.
Questo disegno organizzativo, seppur apparentemente contrastante con le conclusioni cui siamo arrivati nel paragrafo precedente, è stato successivamente reiterato anche per gli interventi succedutisi successivamente al terremoto del 2009, così dimostrando come il diritto dell’emergenza amplifichi al suo interno alcune contraddizioni che sono ancora ben lungi dall’essere sciolte anche in presenza della ripetitività delle situazioni eccezionali che ne sono alla base.
Al di là dei procedimenti ambulatori, il legislatore si è di recente occupato anche delle procedure in caso di somma urgenza e di protezione civile, trasferendole dalle leggi speciali e novandole all’interno del nuovo Codice dei Contratti Pubblici in un combinato disposto fra l’art. 63, co. 2, lett. c) – che limita l’utilizzazione della procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara alla misura strettamente necessaria quando, per ragioni di estrema urgenza, i termini per le procedure ordinarie non possano essere rispettati – e l’art. 163 che individua specificatamente le procedure da adottare in occasione degli eventi di protezione civile.
Secondo quest’ultima disposizione è stabilito che – in circostanze di somma urgenza che non consentono alcun indugio – il soggetto che si reca prima sul luogo dell’evento – assunti, per questa sola ragione, i poteri di responsabile del procedimento – possa disporre la immediata esecuzione dei lavori immediatamente necessari entro il limite di 200.000 € o comunque di quanto è indispensabile per rimuovere lo stato di pregiudizio alla pubblica incolumità.
Nel verbale all’uopo redatto debbono essere indicati gli operatori economici incaricati dei lavori ed è prevista una procedura di approvazione per quanto eseguito in circostanze di emergenza.
Gli affidamenti diretti possono essere autorizzati anche al di sopra dei limiti di importo stabiliti per la somma urgenza, per lavori servizi e forniture in un arco temporale limitato – comunque non superiore a 30 giorni – per singole fattispecie e nei limiti di importo individuate nei provvedimenti di cui al co. 2, dell’art. 5 della più volte richiamata l. n. 225/1992.
Al fine di agevolare la scelta dei contraenti, le prefetture – d’intesa con le altre Autorità interessate e col Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo – predispongono elenchi di operatori economici per l’affidamento dei contratti, avendo riguardo a quelli più ricorrenti in previsione o in occasione di emergenze di protezione civile, verificando il possesso dei requisiti per contrattare con la pubblica amministrazione.
Il corrispettivo delle prestazioni ordinate è stabilito consensualmente con gli affidatari, ma – in difetto di preventivo accordo – il responsabile del procedimento può ingiungere all’affidatario l’esecuzione delle lavorazioni con la somministrazione dei materiali sulla base di prezzi definiti mediante l’utilizzo dei prezziari ufficiali di riferimento, ridotti del 20%.
Da notare che, in quest’ultima ipotesi, ove l’esecutore non iscriva espressa riserva negli atti contabili, i prezzi così stabiliti si intendono definitivamente accettati.
Contemporaneamente – e comunque in un termine congruo e compatibile con la gestione della situazione di emergenza – gli atti di affidamento vengono trasmessi anche all’ANAC per i controlli di competenza, fermi restando tutti gli altri controlli di legittimità previsti dalla normativa vigente.
È interessante notare come – nel caso in cui un’opera o un lavoro così affidati riportino l’approvazione del competente organo dell’Amministrazione – la sua realizzazione debba essere immediatamente sospesa e il cantiere debba esser messo in sicurezza.
Alla sospensione dei lavori consegue la liquidazione dei corrispettivi dovuti per la sola parte realizzata.
Il co. 6 dell’art. 163 del nuovo Codice dei Contratti Pubblici definisce come circostanza di somma urgenza non solo il verificarsi degli eventi di cui al già citato art. 2 della l. n. 225/1992, ma anche la ragionevole previsione dell’imminente verificarsi di detti eventi: vengono così in rilievo le calamità naturali o connessi all’attività dell’uomo che, in ragione della loro intensità o estensione, debbano essere fronteggiate in via immediata con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo.
Giova infine ricordare che, superata la prima fase dell’emergenza, la prassi considera l’affidamento degli ulteriori interventi di protezione civile ad un commissario dotato di poteri straordinari che può essere scelto fra le figure soggettive operanti sul territorio colpito dall’evento, oppure fra altri soggetti in possesso della necessaria esperienza per farvi fronte.
L’impianto della negoziazione ad evidenza pubblica per l’emergenza è stato altresì modificato ed alleggerito per fare fronte alle necessità manifestatesi a seguito dei recenti eventi sismici che hanno colpito l’Italia Centrale alla fine del mese di agosto 2016.
La materia è anche oggetto di particolare attenzione da parte dell’ANAC che sta elaborando apposite linee guida per meglio disciplinare i profili applicativi delle disposizioni appena esaminate.
Tuttora però, in presenza di eventi straordinari la base della disciplina è rinvenibile nell’articolo 163 del Codice dei Contratti Pubblici che ricalca – ma solo in parte – quanto previsto nell’art. 176 del d.p.r. 5.10.2010, n. 207.
Artt. 77 e 78 Cost.; l. 24.2.1992, n. 225; l. 15.10.2013, n. 119; art. 163, d.lgs 18.4.2016, n. 50; d. l. 11.11.2016, n. 205.
AA.VV, Il Diritto Amministrativo dell’emergenza, Annuario AIPDA 2005, Milano, 2006, 12; Abbruzzese, M., Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dal sisma abruzzese ed espropriazione d’emergenza., in www.diritto.it, 2009; Assini, N. et al., Il diritto pubblico dell’emergenza e della ricostruzione in Abruzzo, Padova, 2010, 143; Caringella, F.-Mantini, P.-Giustiniani, M., Il nuovo Diritto dei contratti pubblici, Roma, 2016, 675; Rolla, G., Profili costituzionali dell’emergenza, in Rivista dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, 2015, 2, 18; Tedeschini, F.-Ferrelli, N., Il governo dell’emergenza, Napoli, 2010, 91.