BROGLIO, Emilio
Nato a Milano il 13 febbr. 1814 da Angelo e da Giuditta Righetti, dovette seguire il padre, funzionario dell'amministrazione austriaca, trasferito più volte con la famiglia da una città all'altra del Regno lombardoveneto. Studiò giurisprudenza a Pavia, dove si laureò nel 1835; tuttavia, essendogli stato rifiutato per motivi politici l'accessit, dovette rinunciare all'esercizio della professione. Si dedicò allora agli studi dimostrando, anche con una copiosa produzione pubblicistica, una gamma notevole di interessi.
A Milano nel 1843 ripubblicava Della cittadinanza. Trattato pratico di diritto amministrativo aggiunti alcuni cenni sul diritto amministrativo: cenni che non figurano nella prima edizione, che era stata pubblicata sempre a Milano nel 1841.Lo scritto è di particolare importanza: il B. è uno dei primi a sostenere la necessità di approfondire i fondamenti teorici del diritto amministrativo, come scienza autonoma e non - come si usava allora - come semplice appendice del diritto pubblico; vi sostiene inoltre la necessità di dar vita a un codice di diritto amininistrativo e precisa il compito di questo ramo del diritto, che sarebbe quello di porre il cittadino in condizione di far valere i suoi diritti e le sue ragioni nei confronti dello Stato. L'anno seguente, nelle Biografie dei più celebri contemporanei (Milano 1844), pubblicava la vita del Guizot, breve ma efficace biografia del politico e scrittore francese, del quale delineò la formazione spirituale e culturale e delle cui opere più significative espose il contenuto.
Intanto aveva preso parte al dibattito, in quegli anni assai vivo, sul problema delle ferrovie, e nel 1842 aveva trovato impiego come segretario presso la direzione della Società ferdinandea per la ferrovia Milano-Venezia, ma ne fu allontanato, sempre per motivi politici, nel 1846, quando la ferrovia fu assunta in gestione diretta dallo Stato. Amico di molti esponenti della cultura italiana dell'epoca e di uomini di tendenze liberali, fu sottoposto - alla vigilia del moto milanese del 1848 - a un procedimento penale, essendosi scoperto chera in corrispondenza con il Tommaseo e il Manin. Prese parte attiva alle Cinque giornate, fu segretario del governo provvisorio e fece parte della commissione inviata a Torino dal governo milanese per concertare le modalità della fusione con il Piemonte. Il 21 nov. 1848 era eletto deputato al Parlamento subalpino per il collegio di Castel San Giovanni (Piacenza), e riconfermato nelle elezioni generali del 22 genn. 1849; decadde però una volta cessata la breve unione di quella provincia al Piemonte. Durante il periodo in cui fu deputato al Parlamento subalpino si mise in evidenza intervenendo su problemi politici e costituzionali, come quelli concernenti l'interpretazione dello statuto.
Con il ritorno degli Austriaci a Milano fu costretto a restare a Torino - ove ebbe per qualche tempo anche l'incarico dell'insegnamento di economia politica in quella università - dedicandosi soprattutto a studi e ricerche di diritto tributario. Frutto di questi studi furono i due volumi pubblicati con il titolo Dell'imposta sulla rendita in Inghilterra e sul capitale negli Stati Uniti. Lettere al Cavour (Torino 1856-57).
In questo lavoro, che nasceva nel clima delle riforme economiche promosse dal Cavour e del rinnovamento politico di cui era protagonista il Piemonte liberale alla vigilia del 1859, il B., partendo dall'esame della natura e del meccanismo della imposta sul reddito (l'income-tax)in Inghilterra e dell'imposta sulla rendita negli Stati Uniti, criticava l'ordinamento tributario piemontese e proponeva, sulla scorta del sistema fiscale inglese e americano, di sottoporre a tassazione anche i redditi mobiliari. Poiché l'incremento della spesa pubblica in Piemonte era strettamente connesso alla sua politica di rinnovamento e di prestigio, non si poteva evitare lo squilibrio del bilancio, secondo il B., che con l'accrescere le entrate, sottoponendo a tassazione redditi sino ad allora esclusi da imposta, come i redditi mobiliari, e perfezionando il sistema di esazione delle imposte stesse, adottando infine una imposta globale sul reddito da applicarsi, come avveniva in Inghilterra, in base alla dichiarazione del contribuente: un sistema fiscale basato sulla spontanea dichiarazione dei redditi secondo il B. sarebbe riuscito "alla lunga uno strumento, o - come il Romagnosi avrebbe detto - un fattore di moralità e d'incivilimento" (Dell'imposta sulla rendita ..., p. 66).
Gli studi del B. furono molto apprezzati dal Cavour, che lo nominò membro di una commissione parlamentare per lo studio del problema tributario. Intanto nel maggio del 1859 veniva chiamato a far parte della commissione Giulini per la preparazione del progetto di ordinamento temporaneo della Lombardia, e in seno ad essa fu relatore di vari disegni di legge. Dopo la liberazione fu chiamato alla direzione del giornale ufficiale La Lombardia, pubblicato in Milano in sostituzione del foglio ufficiale austriaco La Gazzetta di Milano;legato però piuttosto strettamente agli ambienti della "consorteria" milanese, lasciò La Lombardia per collaborare alla pubblicazione del nuovo giornale La Perseveranza, organo del moderatismo lombardo.
Presidente dell'Associazione costituzionale milanese, partecipò alle elezioni del 1860, ma, pur essendo candidato in due collegi, Rivergano e Cassano d'Adda, non riuscì a entrare alla Camera; fu eletto deputato per il collegio di Lonato nelle elezioni generali del 27 genn. 1861. Fu rieletto per lo stesso collegio nel 1865, ma non nelle elezioni del marzo 1867: rientrò alla Camera per il collegio di Bassano in quelle del 6 maggio 1867.
In Parlamento fu sempre fra i deputati più in vista e più attivi della Destra, e prese parte alla discussione di tutti i più importanti problemi politici e finanziari del paese; nel 1861 discutendosi il problema del debito pubblico del Regno fu con V. Pasini, L. Galeotti, S. F. Vegezzi e altri deputati membro della commissione incaricata di esaminare il disegno di legge per un prestito pubblico di 500 milioni di lire. In quello stesso anno fu presentatore di un ordine del giorno che impegnava il governo ad affrontare i problemi economici e sociali della Sardegna; nel giugno del 1863, in occasione della discussione del progetto di legge sull'imposta di ricchezza mobile, si pronunciò contro il sistema, proposto da taluni, di ripartire l'imposta per contingenti regionali. Nel 1865 fu ancora relatore del progetto di legge per un nuovo prestito, di 425 milioni, proposto dal Sella nel quadro della sua politica finanziaria; il B. si dimostrò favorevole al prestito pubblico nella convinzione che esso sarebbe servito a rafforzare l'esercito e ad arricchire la flotta, e a promuovere la trasformazione e il rinnovamento civile del paese: non possono essere "causa di ruina finanziaria", affermava il B., "quelle spese che debbono schiudere al paese le fonti della sua economica prosperità", mostrandosi così coerente con l'atteggiamento che aveva assunto dieci anni prima nei confronti della politica economica perseguita audacemente dal Cavour. Nel 1867 intervenne sul progetto di legge sull'asse ecclesiastico.
L'attività parlamentare gli aveva offerto l'occasione per approfondire alcuni aspetti del diritto costituzionale, e ne espose i risultati in un saggio dal titolo Delle forme parlamentari (Brescia, 1865), dedicato al deputato toscano Ubaldino Peruzzi.
Lo studio, che rivela una conoscenza profondissima della vita politica e parlamentare, nonché di tutto il sistema costituzionale dell'Inghilterra, era dedicato al sistema rappresentativo inglese. Dopo aver definito, sulla scorta delle dottrine del Constant, del Dumont e del Balbo, la natura del sistema rappresentativo, il B. nella prima parte del lavoro tracciava una lucida sintesi delle vicende parlamentari inglesi, soffermandosi sui poteri della corona e delle Camere e sulle garanzie di indipendenza assicurate al Parlamento. Nella seconda parte, dedicata alla procedura parlamentare, si sottolineava la perfezione delle istituzioni inglesi e la maturità di quella classe politica, dal momento che pur non essendovi una costituzione scritta, né un regolamento interno delle due Camere, né codici, non soltanto il Parlamento funzionava perfettamente, ma a tutti - istituzioni pubbliche e privati - erano assicurate la libertà e l'autonomia che erano a fondamento della vita politica del paese.
Con la formazione del gabinetto Menabrea nel 1867 il B. entrò a far parte del governo come ministro dei Lavori Pubblici, ma già dal 18 nov. 1867 subentrava al Cantelli come ministro della Pubblica Istruzione. Tenne il portafogli dell'Istruzione sino al 13 maggio del 1869 e nel secondo ministero Menabrea tenne pure per quasi un anno - dal 29 nov. 1867 al 23 ott. 1868 - la reggenza del ministero dell'Agricoltura e Commercio. Come ministro della Pubblica Istruzione fece approvare la legge per il riordinamento delle scuole normali femminili e quella che estendeva alle altre province dello Stato la legge piemontese del 1859 sull'istruzione industriale e professionale. Ma il suo nome è legato anche a una iniziativa culturale di grande rilievo, la realizzazione del Nuovo vocabolario della lingua italiana.
Il B. era sostenitore, fino al fanatismo, del purismo linguistico, e il contatto con gli ambienti letterari della capitale (allora Firenze) lo confortò nella sua idea. Con un decreto in data 14 gennaio 1868 egli nominò una commissione incaricandola e di ricercare e di proporre tutti i provvedimenti ed i modi coi quali si possa aiutare e rendere più universale in tutti gli ordini del popolo la notizia della buona lingua e della buona pronunzia". La commissione fu divisa in due sezioni, una con Ruggero Bonghi e Giulio Carcano a Milano sotto la presidenza del Manzoni e una a Firenze con Capponi, Tommaseo, Bertoldi e Mauri sotto la vicepresidenza di Lambruschini. L'incarico diede occasione allo scritto del Manzoni Dell'unità della lingua e dei mezzi di diffonderla. Relazione al ministro della Pubblica Istruzione Proposta da Alessandro Manzoni agli amici colleghi Bonghi e Carcano ed accettata da loro. La relazione del Manzoni discordava però da quella del Lambruschini, sicché il B. sciolse la commissione e ordinò che si iniziasse la redazione del Vocabolario secondo i suggerimenti del Manzoni; alla redazione di esso chiamò, con il Giorgini che ne fu il principale collaboratore, Pietro Fanfani, Stanislao Bianciardi e Agenore Gelli, e poi Pietro Dazzi, Mauro Ricci e Giuseppe Meini. Il B. seguiva personalmente il lavoro, dando talora suggerimenti e rivedendo perfino le prove di stampa. La relazione del'Manzoni e l'iniziativa del ministro suscitarono numerosi scritti, con repliche e interventi del B. stesso (Nuovo vocabolario della lingua italiana. Lettera, Firenze 1871; Nuovo vocabolario della lingua italiana. Lettera. Edizione rivista e commentata da Zeffirino Silleri ad uso dei poveri di spirito, Firenze 1871).
Come ministro della Pubblica Istruzione il nome del B. è legato pure a un episodio increscioso: durante il secondo ministero Menabrea egli firmò il provvedimento di sospensione, deciso dal Consiglio superiore della Pubblica Istruzione il 19 marzo 1868, a carico di Giosue Carducci e di altri due professori dell'università di Bologna, Giuseppe Ceneri e Pietro Piazza, colpevole il Ceneri di aver tenuto un discorso antimonarchico a un congresso in Ginevra, il Carducci e il Piazza di aver collaborato all'Unione democratica di Bologna, "associazioni politiche di intento notoriamente demagogico", e tutt'e tre rei di aver sottoscritto un indirizzo a Mazzini e a Garibaldi in occasione della celebrazione dell'anniversario della Repubblica romana del '49.
Uscito dal governo con la formazione dell'ultimo ministero Menabrea nel maggio del 1869, il 25 di quello stesso mese il B. fu eletto vicepresidente della Camera in luogo dell'on., Mordini entrato a far parte del governo. Non rieletto nelle elezioni generali del novembre 1870, rientrò alla Camera per il collegio di Thiene in quelle suppletive del 12 marzo 1871 e fu rieletto per lo stesso collegio nel 1874. Fra i suoi interventi più significativi di questo periodo in Parlamento va ricordata la relazione sul disegno di legge Correnti per la soppressione delle facoltà di teologia nelle università statali italiane (1872). Nelle elezioni del novembre 1876, tenute dopo la caduta della Destra, non venne confermato e iniziò così il suo rapido declino politico. Avversario tenacissimo della Sinistra, non trovò neppure un posto al Senato; visse a Roma, non disdegnando di frequentare salotti e circoli letterari, ma sempre più appartato dalla politica. Fu per qualche tempo anche presidente dell'Accademia di S. Cecilia.
Morì a Roma il 21 febbr. 1892.
Del B. si può ricordare la Vita di Federico il Grande, 2 voll., Milano-Napoli 1874. Condotto con grandi pretese letterarie e stilistiche (il B. vi voleva applicare le norme introdotte dal Nuovo vocabolario della lingua italiana da lui ispirato), questo lavoro volle essere in sostanza un omaggio alla casa Savoia - "non dissimile da quella degli Hohenzollern" - e al popolo piemontese, che aveva realizzato l'unità d'Italia e che al B. sembrava ritrarre "alcun che delle fattezze prussiane".
Fonti e Bibl.: Oltre agli Atti parlamentari ad annos, si veda: L. Ferrario, La quistione sulla lingua e sulla pronunzia mossa dal ministro B. e la Proposta di Manzoni con lettere relative, Milano 1868; E. B. Cenni biografici, Firenze 1871; T. Zanardelli, Il cimitero dei consorti, Milano 1872; Epistolario di A. Manzoni raccolto e annotato da G. Sforza, II, Milano 1883, pp. 330, 354, 356, 367 ss.; V. Bersezio, Il regno di Vittorio Emanuele II, VI, Torino 1892, pp. 103-105; R. Barbiera, Il salotto della contessa Maffei, Milano 1895, passim; G. Gelli, E. B., in Patrioti ital. dell'Ottocento, Firenze 1941, pp. 25 s.; N. Fiorentino, G. Carducci e F. Fiorentino, in Nuova antologia, 1º sett. 1935, pp. 91 ss.; A. Moscati, I ministri del Regno d'Italia, III, Napoli 1960, pp. 53-61; L. Marchetti, La Destra lombarda, in Rassegna storica toscana, VII (1961), pp. 129-143; Atti della Commissione Giulini per l'ordinamento temporaneo della Lombardia (1859), a cura di N. Raponi, Milano 1962, ad Indicem; Le Assemblee elettive del '48, a cura di G. Sardo, in Storia del Parlamento ital., I, Palermo 1963, p. 319; Dal ministero Gioberti all'ingresso di Cavour nel governo, a cura di G. Sardo, ibid., II, Palermo 1964, pp. 66, 68, 77, 79, 105; K. R.Greenfield, Economia e liberalismo nel Risorgimento, Bari 1964, pp. 315, 320; A. Berselli, La Destra storica dopo l'unità. Italia legale e Italia reale, Bologna 1965, pp. 27, 122, 139, 165, 2753 375; N. Raponi, Politica e amministrazione in Lombardia agli esordi dell'unità. Il programma dei moderati, Milano 1966, ad Indicem; B. Ferrari, La soppressione delle facoltà di teologia nelle università di stato in Italia, Brescia 1968, pp. 72, 74, 107 ss., 122, 143, 169 s., 205; Dalla proclamazione del Regno alla convenzione di settembre, a cura di G. Sardo, in Storia del Parlamento italiano, V, Palermo 1968, ad Ind.; Dalla convenzione di settembre alla breccia di porta Pia, a cura di G. Sardo, ibid., VI, Palermo 1969, ad Ind.; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Terni 1890, pp. 177 s.; Diz. del Risorg. naz., II, pp. 420 s.