ENDROMIDE (gr. ἐνδρομις, da δρόμος "corsa")
Calzatura usata in Grecia, a forma di stivaletto allacciato sul dinanzi, simile all'embás (ἐμβάς), che era di provenienza asiatica e imprigionava il piede aderendo alla gamba, e terminando con un risvolto all'estremità superiore. Tale risvolto mancava nell'endromide. Le endromidi sono di forme varie: talora salgono poco più alto del malleolo, talora giungono fin oltre il ginocchio; le stringhe assicurano lo stivaletto alla gamba mediante molteplici giri, o fermano a zig-zag i due orli dell'apertura praticata sul davanti: una lingua di cuoio si alza dietro quegli orli (variamente ornati o tagliati) e sorpassa talora il sommo dello stivaletto, ricadendone in modo che talvolta nelle figure arcaiche - specie di Ermes - assume la forma di un ornamento arcuato. In taluni rari casi rimangono visibili le dita del piede. Le endromidi sono di cuoio o di feltro, l'uno e l'altro morbidi, così da adattarsi perfettamente alla forma della gamba.
La parola endromís, col passare nella lingua latina, muta significato. Il nome è dato dai Romani a un mantello analogo alla laena, di stoffa pesante, atta a proteggere efficacemente dal freddo e dalla pioggia. Di tale mantello facevano uso gli atleti, particolarmente dopo l'esercizio della corsa e il giuoco della palla, per evitar raffreddori; né i ricchi lo disdegnavano - data la sua praticità e utilità - nonostante il suo ruvido aspetto. Tirî e Galli si distinguevano nella fabbricazione di tal genere d'indumento.
Bibl.: P. Paris ed E. Pottier, s. v. Endromis, in Daremberg e Saglio, Dict. des antiq. gr. et rom., II, pp. 615-616; W. Amelung, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., V, coll. 2482-85, 2555-2557.