Energia
(XIII, p. 967; App. III, i, p. 553)
Gli aspetti tecnici e scientifici riguardanti la produzione e la distribuzione dell'e. elettrica sono stati trattati nell'ampia voce elettrica, energia del XIII volume dell'Enciclopedia Italiana (p. 637) ripresa poi, con aggiornamenti di carattere tecnologico, nelle Appendici II (i, p. 825), III (i, p. 518), IV (i, p. 656), nonché nell'App. V (ii, p. 52), dove si evidenziano i danni ambientali attinenti alla produzione di e. elettrica. Per quanto riguarda invece il problema della disponibilità e del consumo di risorse energetiche si può fare rinvio alle voci energia: Le fonti di energia, presente nell'App. III (i, p. 553), e energia, fonti di nell'App. IV (i, p. 692) e nell'App. V (ii, p. 113), dove l'evoluzione dei consumi mondiali è analizzata in relazione alle conseguenze delle crisi energetiche verificatesi negli anni Settanta. Il problema della scarsità delle risorse non può comunque essere disgiunto dallo sviluppo di nuove tecnologie che hanno permesso lo sfruttamento di risorse rinnovabili e a basso impatto ambientale. Al riguardo si rinvia alle voci eolica, energia nell'App. V (ii, p. 124) e solare, energia (nell'App. IV, iii, p. 366, ripresa nell'App. V, v, p. 48) e agli approfondimenti tecnici e scientifici contenuti nella voce fotovoltaica, cella dell'App. V (ii, p. 308). Un discorso a parte spetta infine al tema dell'e. nucleare trattato nell'App. II (ii, p. 418) e sviluppato dal punto di vista tecnico sotto le voci reattore nucleare (App. III, ii, p. 583, IV, iii, p. 156 e V, iv, p. 418) e nucleari, tecnologie, quest'ultima riportata nell'App. IV (ii, p. 616) e ripresa poi nell'App. V (iii, p. 694) con un'attenzione particolare rivolta ai problemi della sicurezza e del trattamento dei rifiuti radioattivi. *
Risorse energetiche
di Vittorio D'Ermo
I fattori di cambiamento
Il nuovo assetto dell'industria energetica. - Il crollo dei prezzi internazionali del petrolio registratosi nel 1986, a circa 13 anni dallo scoppio della prima grande crisi energetica, viene considerato come uno dei fattori che hanno determinato un nuovo assetto dei mercati energetici mondiali nel corso degli anni Novanta. Il periodo delle crisi (1973-85) tende invece a essere trascurato in quanto contraddistinto da eventi e da interventi di politica energetica che oggi appaiono superati. In realtà, se da un lato è incontrovertibile che quegli anni hanno segnato il punto di massimo coinvolgimento dei governi nei problemi energetici, con una politica tendente a indirizzare gli investimenti allo sviluppo di nuove fonti energetiche attraverso incentivi e assunzioni di quote di rischio, è anche vero che alcune decisioni fondamentali per il successivo processo di liberalizzazione dei mercati sono state prese prima della svolta del 1986: basti pensare alla decisione degli Stati Uniti di liberalizzare i prezzi del greggio domestico proprio nel momento in cui il prezzo internazionale stava raggiungendo i massimi storici.
La cessazione del complicato sistema di compensazioni e di vincoli ha aperto un nuovo ciclo d'interesse per l'area nordamericana, provocando mutamenti importanti nell'assetto dell'industria. Le dimensioni di quel mercato e le rinnovate certezze sull'assetto istituzionale del settore agiscono da potente fattore d'attrazione sia per le multinazionali, che tornano in un certo senso sui loro passi, sia per le imprese indipendenti, sia, infine, per altri operatori europei e non, che scoprono il mercato USA. La liberalizzazione dei mercati energetici diviene il principale motivo ispiratore della politica energetica statunitense e un punto di riferimento essenziale anche per gli altri paesi industrializzati, oltre che per i paesi in via di sviluppo (PVS) che stanno progressivamente aprendosi alle regole del mercato globale.
Anche lo sviluppo delle tecnologie di estrazione e l'abbassamento dei costi di produzione a partire dal Mare del Nord hanno contribuito a determinare una nuova geografia degli investimenti minerari; a questi ultimi si affianca, peraltro, il fenomeno dell'acquisizione di riserve tramite l'acquisto in borsa di azioni di altre aziende petrolifere. Attraverso gigantesche operazioni finanziarie, molte compagnie - che avevano visto ridursi il proprio patrimonio di riserve di greggio e di gas per effetto delle nazionalizzazioni e dei risultati (non sempre incoraggianti) nel campo dell'attività di ricerca in zone di frontiera o in quello dello sviluppo di nuove fonti o di nuovi prodotti - riescono a riportarsi a livelli di sicurezza (Grant, Gao, Perner 1993). Sul finire degli anni Ottanta questo processo ha assunto una fisionomia più chiara con il delinearsi di una strategia che torna a fare del petrolio il core business dell'industria. L'integrazione verticale viene sempre più perseguita anche in un contesto di grande attenzione alle opportunità offerte dal mercato: il trading di greggio e di prodotti petroliferi diviene un elemento essenziale per garantire la massima flessibilità operativa.
Un altro fattore di cambiamento è costituito dal crollo dei sistemi a economia pianificata. Anche se questo evento, di enorme rilievo politico, non si è tradotto immediatamente in un'apertura delle economie centralizzate alle regole di mercato, le compagnie petrolifere si sono trovate di fronte alla possibilità di definire le loro strategie in modo radicalmente diverso da quello del pur recente passato. L'istituzione della Comunità degli Stati indipendenti (CSI), da parte di paesi dell'ex URSS, ha offerto la possibilità alle repubbliche dell'area del Caspio di avviare una politica autonoma per lo sviluppo delle loro consistenti risorse di petrolio e di gas naturale, in concorrenza con la Federazione Russa che aveva privilegiato lo sviluppo delle risorse siberiane. L'opportunità è stata colta da molte imprese petrolifere statunitensi ed europee, che hanno avviato progetti per lo sviluppo di consistenti giacimenti di idrocarburi in Azerbaigian e nel Kazakistan e per il loro trasporto verso occidente. Nonostante le numerose difficoltà, questi progetti, anche se in una prospettiva di medio-lungo termine, hanno un'elevata probabilità di successo e certamente contribuiranno alla nascita di una nuova fisionomia dell'industria del petrolio.
La Commissione Europea ha prestato particolare attenzione al problema dell'integrazione dell'intera area europea, sostenendo l'iniziativa del primo ministro olandese R. Lubbers per arrivare alla firma di una 'Carta europea dell'energia'. Il primo documento di intenti, firmato a L'Aia nel dicembre 1991, ha affermato l'esigenza di estendere il concetto e il processo d'integrazione del sistema energetico non solo all'interno della Comunità, ma anche all'intero continente europeo, compresi i paesi dell'ex Unione Sovietica. L'obiettivo è la creazione di una 'Comunità dell'energia', all'interno della quale, mediante lo sviluppo della complementarità tra i paesi possessori di risorse energetiche e i paesi detentori delle tecnologie, promuovere maggiore sicurezza di fornitura per i paesi importatori; aumentare al massimo l'efficienza della produzione, del trasporto, della trasformazione, della distribuzione e dell'uso dell'e.; assicurare maggiore protezione dell'ambiente e sicurezza in campo nucleare; creare un mercato libero dell'e. per garantire l'accesso alle risorse energetiche e ai mercati internazionali; eliminare le barriere allo scambio di prodotti, tecnologie e servizi energetici; promuovere lo sviluppo e la tutela a livello internazionale degli investimenti energetici e la preparazione a livello dei singoli paesi di un quadro normativo stabile e trasparente per gli investimenti stranieri.
Per l'Unione Europea l'attuazione pratica dei principi della Carta può rafforzare la stabilità dell'intero sistema energetico. Per l'Europa orientale la Carta assume un significato economico e politico ancor più rilevante: in quest'area, infatti, l'e. svolge un ruolo altamente strategico e, in una fase di transizione, può essere uno degli elementi chiave del rilancio. I paesi dell'ex Unione Sovietica, mediante l'espansione del commercio e della cooperazione con l'Europa occidentale, dovrebbero rendere redditizie le loro enormi risorse energetiche. La Federazione Russa, in particolare, svolge un ruolo di primo piano nel mercato energetico mondiale con circa il 20% del petrolio e il 40% del gas prodotti nel mondo.
La Carta europea dell'e., con l'adozione di norme e principi comuni relativi alla tutela e alla salvaguardia degli investimenti, che nel settore energetico sono soggetti a un elevato livello di rischio a causa della dimensione degli investimenti stessi e del differimento del rendimento, dovrebbe facilitare il flusso di capitali occidentali necessari a rivitalizzare il settore energetico dell'Europa orientale e della CSI. I negoziati avviati dopo la firma della Carta per tradurne gli obiettivi politici in documenti vincolanti sono stati molto complessi; il primo documento che definisce le norme principali in tema di cooperazione e di mercato ha richiesto lunghe e complesse trattative ed è stato firmato a Lisbona il 17 dicembre 1994. Questa firma rappresenta una tappa di un cammino complesso, con la ratifica formale al trattato che, alla fine del 1997, è stata conferita da 49 paesi.
Nonostante gli ostacoli, l'integrazione delle economie dell'Est e dell'Ovest europeo appare, comunque, un processo ineluttabile, anche se più complesso e difficile del previsto: si tratta, infatti, di una delle sfide più importanti e più promettenti per lo sviluppo del settore energetico in Europa e nel mondo. Modifiche importanti sono in atto anche nel comportamento dei paesi produttori dell'OPEC (Organization of Petroleum Exporting Countries) e, soprattutto, delle compagnie petrolifere di questi paesi che vanno progressivamente allontanandosi da una logica di tipo politico. Dopo i primi apparenti successi e l'eccezionale sviluppo delle entrate, connesso alle decisioni unilaterali in materia di prezzi, i paesi produttori hanno avvertito i limiti di questa politica. Attraverso un processo non sempre facile, le compagnie petrolifere dei medesimi paesi stanno maturando un atteggiamento nuovo con la scelta di entrare nelle fasi a valle del ciclo petrolifero (raffinazione e distribuzione), in una logica d'integrazione con le economie dei paesi consumatori, e non già di mera contrapposizione. L'allargamento della presenza di operatori dei paesi produttori sui mercati dei paesi consumatori, tra cui quelli europei, diventa un'occasione per procedere alla modernizzazione e al riassetto dell'industria petrolifera, con la prospettiva di offrire ai paesi più dipendenti dalle importazioni di petrolio la garanzia di un rapporto stabile e maggiore sicurezza nell'approvvigionamento petrolifero. Si tratta, d'altra parte, di una strada obbligata per non trasformare in permanente l'andamento di tipo stop and go, che costituisce l'assetto certamente meno vantaggioso per i consumatori e per un'industria che ha bisogno di programmare su lunghi archi temporali e di assicurare un ritorno adeguato agli ingenti investimenti che contraddistinguono il settore degli idrocarburi. I rapporti in atto tra compagnie, paesi consumatori e paesi produttori segnano un salto di qualità rispetto alle posizioni di contrapposizione che avevano caratterizzato i decenni precedenti. I temi di maggior rilievo diventano quelli dell'ampliamento della capacità produttiva per far fronte alla crescente domanda, evitando l'insorgere di forti tensioni sul mercato, e quelli della maggiore integrazione tra i vari operatori.
Anche gli sviluppi della crisi del Golfo hanno dimostrato che la scelta verso lo spostamento a valle delle fasi di produzione di molti paesi dell'OPEC, come l'Arabia Saudita, il Kuwait, il Venezuela, il Messico, ma anche di paesi come la Libia, è ormai fondata su solide basi, e che i loro comportamenti non sono più ispirati semplicemente al controllo delle risorse minerarie, ma a una strategia più complessa. L'invasione del Kuwait del 1990 sarà ricordata non come l'evento che ha dato inizio alla terza crisi energetica, ma solo come il tentativo dell'Iraq di conquistare con la forza una posizione di leadership nei confronti del mondo arabo e dei paesi arabi del Golfo dopo l'insuccesso della guerra contro l'Iran. Il mutato clima dei rapporti tra i più influenti paesi dell'OPEC, a partire dall'Arabia Saudita, e i paesi consumatori - impegnati questa volta in un embargo verso un paese produttore - è dimostrato dal successo con cui è stata affrontata una situazione piena di incognite per la sicurezza degli approvvigionamenti petroliferi e per la stabilità del sistema politico ed economico mondiale.
Il processo di liberalizzazione dei mercati energetici coincide anche con l'affacciarsi sempre più prepotente sulla scena mondiale dei paesi dell'Asia. In quest'area, dove il processo di industrializzazione si va facendo sempre più rapido, la crescita della domanda di e. rappresenta una grande opportunità per gli operatori chiamati a intervenire in un ambiente caratterizzato da sfide di tipo nuovo relativamente a qualità e quantità dei prodotti da fornire all'utenza finale. Il tipo di insediamento delle popolazioni, che tende a concentrarsi in grandi metropoli, lo sviluppo dei trasporti e la rapida industrializzazione impongono soluzioni innovative sul piano della scelta delle fonti primarie e degli impianti di trasformazione, in primo luogo raffinerie e centrali termoelettriche, per contenere l'impatto ambientale e aumentare l'efficienza.
La tendenza alla liberalizzazione dei mercati trova puntuale riscontro anche in Europa, dove non solo vengono, opportunamente, contestate tutte le forme di intervento dello Stato che si traducono in limitazioni della concorrenza e in sussidi, ma si rimette in discussione anche la figura dell'impresa a partecipazione pubblica, a prescindere dalla sua efficienza, dalla sua capacità di operare su mercati concorrenziali e dal suo contributo al raggiungimento di obiettivi d'interesse generale. Tra l'altro, nel nuovo contesto di offerta abbondante e di condizioni favorevoli al compratore, il business energetico torna a essere aperto alle iniziative di privati che acquisiscono quote delle società pubbliche privatizzate o aprono nuove attività.
Con particolare riferimento alla privatizzazione, il Regno Unito svolge un ruolo di avanguardia nella privatizzazione delle imprese pubbliche e nella liberalizzazione dei mercati. Il settore petrolifero è il primo a essere interessato da questo processo, a iniziare dalla British Petroleum. Nel 1985 anche la Britoil, responsabile operativo per l'esplorazione e lo sviluppo della British National Oil Corp (BNOC, la compagnia pubblica creata in relazione allo sviluppo delle riserve petrolifere del Mare del Nord), è stata venduta a investitori privati. Il controllo pubblico nel settore è stato sostanzialmente eliminato con l'eccezione delle golden shares che assicurano poteri di controllo, ben circoscritti, su alcune delle società privatizzate.
Nel 1986 anche il settore del gas naturale ha subito un profondo cambiamento, da un lato con la privatizzazione della British Gas, dall'altro con la liberalizzazione del mercato, che è stato assoggettato al controllo di un regolatore indipendente (The Office of Gas Supply, OfGas). A seguito di questa riforma, la British Gas continua a svolgere la sua funzione di impresa integrata impegnata nella valorizzazione di riserve di idrocarburi e nella collocazione delle stesse sul mercato, non più in condizione di monopolio ma in regime di concorrenza con gli altri operatori del settore che possono stipulare liberamente contratti di fornitura con le industrie e con i produttori di elettricità e anche utilizzare le infrastrutture di trasporto esistenti.
Nel 1989 sono state anche avviate la liberalizzazione del mercato elettrico e la privatizzazione dell'industria. Il processo implica pure la rimozione dell'integrazione verticale tra produttori e distributori, mentre il rispetto delle regole della concorrenza è affidato a un regolatore indipendente, l'Office of Electricity Regulation (OFFER). È stata inoltre avviata la privatizzazione dell'industria del carbone e messa allo studio quella dell'industria nucleare.
Negli altri paesi dell'Europa occidentale la privatizzazione si è sviluppata in maniera graduale: la prima tappa è stata spesso rappresentata dall'apertura al capitale privato di società controllate dal settore pubblico o dalla trasformazione di enti pubblici in strutture di tipo privatistico, di cui è stata successivamente avviata la privatizzazione. Il processo di liberalizzazione dei mercati energetici europei non è stato peraltro affidato all'iniziativa esclusiva dei governi nazionali; anche la Commissione gioca un ruolo molto importante attraverso una serie di iniziative a vari livelli.
La firma del Trattato sull'Unione Europea (Maastricht, 7 febbraio 1992) rende molto più difficile che in passato l'ipotesi di un settore energetico che per la sua specificità possa sottrarsi ai principi e alle regole del mercato unico europeo. Le linee d'intervento attraverso le quali si sta realizzando il riavvicinamento delle diverse realtà sono molto numerose e vanno dalla fiscalità agli standard, alle iniziative per la trasparenza dei prezzi, all'adozione di direttive relative a specifici mercati dove risultino non rispettate le regole comuni.
L'impatto ambientale. -Un altro fattore di cambiamento che sta interessando l'industria energetica e le sue prospettive di sviluppo è costituito dalla nascita della questione ambientale, strettamente legata allo sviluppo economico ma soprattutto all'instaurarsi di sistemi di produzione di massa caratterizzati dal rilascio nell'ecosistema di sostanze potenzialmente nocive per l'ambiente e per la salute dell'uomo e degli altri esseri viventi, ovvero dalla creazione di rifiuti non degradabili o riciclabili in tempi brevi. Il succedersi di alcuni gravi incidenti e il manifestarsi di situazioni di emergenza portano inoltre a una sempre maggiore sensibilizzazione dell'opinione pubblica di fronte ai problemi ambientali. L'impatto ambientale è diventato uno dei punti critici di qualsiasi scenario.
Se da un lato le emissioni di inquinanti quali polveri, ossidi di zolfo, di azoto e di carbonio potranno essere contrastate con l'adozione di correttivi tecnologici atti a limitarne la produzione nel punto di emissione (abbattitori elettrostatici, desolforatori, denitrificatori, dispositivi catalitici ecc.) e di interventi sui combustibili, più difficile appare il problema del contenimento delle emissioni di CO₂ che rappresentano il prodotto della combustione. Per ottenere una stabilizzazione delle emissioni, certamente non facile in mancanza di correttivi tecnologici, dovranno intervenire profondi cambiamenti nella scelta delle fonti e delle tecnologie di trasformazione e di utilizzo. D'altra parte, risulta evidente che in materia ambientale le soluzioni nazionali sono del tutto inadeguate data l'intrinseca globalità dei problemi. La natura degli squilibri ambientali che si intravedono all'orizzonte è tale da limitare l'efficacia di passi unilaterali da parte di singoli Stati, poiché gli squilibri stessi stanno assumendo sempre più un'importanza planetaria, che impone una limitazione delle sovranità nazionali e il superamento di soluzioni geografiche troppo restrittive. La Conferenza di Rio del 1992, con la firma della Convenzione sul clima e con la costituzione del Fondo per l'ambiente globale (Global Environment Facility), è andata in questa direzione. L'obiettivo di stabilizzare le emissioni di CO₂ può essere raggiunto solo con una politica capace di orientare, con il consenso degli operatori e degli individui, le scelte collettive e individuali al controllo delle emissioni di gas serra. Questa impostazione ha trovato ulteriore conferma nella Conferenza di Kyoto del dicembre 1997.
I segnali che provengono da questa conferenza indicano che si è avviato, anche se attraverso un cammino certamente non facile, un processo di riconsiderazione profonda dei legami tra sviluppo economico e disponibilità di fonti di energia. In particolare, in Italia gli scenari energetici post-Kyoto sono stati riesaminati nella 2ª Conferenza nazionale energia e ambiente (Roma, novembre 1998). In base all'accordo di Kyoto i paesi più industrializzati si sono impegnati a ridurre entro il 2010 le emissioni di gas responsabili dell'effetto serra rispetto ai livelli del 1990; l'impegno di questi paesi si deve accompagnare però a interventi anche nei PVS: un compito peraltro difficile, in quanto si tratta di evitare le strade che possono portare a una diminuzione delle emissioni, accompagnata, però, da una riduzione del tasso di sviluppo. La realizzazione di uno scenario alternativo richiede così il superamento di una serie di barriere e la presa di coscienza delle difficoltà da superare, a partire dalle diffidenze politiche o economiche tra Stati e aree geografiche, che possono ostacolare i flussi di conoscenze tecnologiche richiesti dall'esigenza di un approccio globale e, quindi, di politiche sovranazionali.
La domanda e l'offerta di energia
Con la caduta dei prezzi del greggio del 1986 e il crollo dei paesi a economia pianificata, la dinamica della domanda e dell'offerta di e. nel mondo assume profili diversi da quelli emersi a seguito delle due grandi crisi energetiche del 1973 e del 1979. Nell'ambito dei paesi OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), che nel 1998 hanno consumato 4,9 miliardi di tep (tonnellata equivalente di petrolio con un potere calorico di 10.000 Cal/kg), pari a oltre la metà del fabbisogno energetico mondiale, si cominciano a notare evidenti sintomi di rallentamento del processo di diversificazione verso i combustibili solidi e l'e. nucleare, che aveva caratterizzato il decennio precedente. Nello stesso periodo il processo di riduzione della quota del petrolio tende a esaurirsi e la quota del gas naturale inizia a rafforzarsi.
Nei paesi dell'Europa orientale e dell'ex URSS è in atto dai primi anni Novanta una difficile transizione all'economia di mercato che comporta una netta flessione dei consumi di energia. Questi ultimi, dopo aver toccato il massimo storico nel 1990, con 1,7 miliardi di tep, si sono ridotti progressivamente sino a 0,9 miliardi di tep nel 1998. Il processo di modifica strutturale della domanda di fonti primarie viene accelerato anche in relazione all'emergere di una nuova sensibilità per i problemi ambientali. Il peso dei combustibili solidi e del nucleare tende così a ridursi ulteriormente a favore di una sempre maggiore presenza del gas naturale. La domanda energetica dei PVS è in netta espansione: tra il 1990 e il 1998 l'incremento è stato di 0,7 miliardi di tep a fronte di un incremento nell'area OCSE di 0,5 miliardi di tep. Il fenomeno, senza precedenti, è sostenuto dal processo di rapida industrializzazione di molti paesi aderenti all'OPEC, che investono in attività ad alto assorbimento energetico a partire dai settori della raffinazione e della petrolchimica, e dalla rapida crescita degli Stati dell'area asiatica del Pacifico (Cina, paesi del Sud-Est asiatico, Taiwan, Corea) che si affacciano sempre di più sulla scena economica internazionale. Alla fine del 1998, con 2,6 miliardi di tep, la quota dei PVS sul totale dei consumi energetici mondiali è pari al 31% contro il 15% del 1973, un traguardo particolarmente significativo, specie in prospettiva.
Nel corso degli anni Novanta continua l'impegno per lo sviluppo delle fonti rinnovabili, un valido strumento per contrastare gli effetti negativi sull'ambiente, determinati dall'uso comunque crescente delle fonti tradizionali. Le statistiche internazionali non riescono ancora a quantificare esattamente il contributo di queste fonti. Uno studio dello IEA (International Energy Agency) stima all'anno 1995 un apporto delle biomasse di circa un miliardo di tep.
In termini di sviluppo delle tecnologie, i traguardi conseguiti appaiono invece significativi in quanto per molte delle fonti rinnovabili si sta passando dalla fase dei prototipi ad applicazioni di taglia industriale, con costi che vanno avvicinandosi, in alcuni casi, a quelli delle fonti tradizionali. Tra queste, un posto di primo piano spetta all'e. fotovoltaica, con circa 27 MW raggiunti nel 1995 nella sola Europa; anche l'espansione dell'e. eolica è sensibile, con oltre 3000 MW installati nel 1997 in Europa. Notevoli anche i progressi nel campo delle biomasse utilizzabili sia per la produzione di e. termica ed e. elettrica, sia per la produzione di biocombustibili con tecnologie innovative.
Nel settore dei prodotti petroliferi, alla fine degli anni Novanta, a seguito del favorevole andamento dell'economia mondiale e del netto ridimensionamento delle quotazioni del greggio, i consumi sono in espansione sino a oltre 3,4 miliardi di t nel 1998. Eccezionale è lo sviluppo della domanda petrolifera sui mercati dell'Asia. Prodotti come la benzina, il gasolio da autotrazione, il cherosene da aviazione sono quelli caratterizzati da una più vivace dinamica; in aumento anche le materie prime per la petrolchimica e i prodotti speciali, come i lubrificanti. Tutto ciò significa, a livello mondiale, un progressivo alleggerimento del barile e la marginalizzazione delle frazioni pesanti (oli combustibili), utilizzate in ambiti di mercato limitati. In questo nuovo scenario l'industria petrolifera deve affrontare una sfida basata non solo sulla quantità ma anche sulla qualità dei prodotti, che diviene, in molte aree, una precondizione per competere.
L'andamento della produzione di petrolio nelle principali aree presenta sviluppi che riflettono da vicino i mutamenti in corso nell'assetto dell'industria. Nell'area OCSE la produzione petrolifera, in forte declino negli anni precedenti la prima crisi energetica, subisce un netto cambiamento di tendenza, dapprima nell'arco del decennio 1973-83, caratterizzato dall'ascesa delle quotazioni del greggio; ma anche dopo il tracollo del 1986 il progresso nelle tecniche di ricerca ed estrazione consente lo sfruttamento di nuovi giacimenti a partire dal Mare del Nord inglese e norvegese. La produzione di greggio dei paesi OPEC, dopo il forte ridimensionamento nel periodo 1981-85, motivato dal sostegno a livelli di prezzo fissati a prescindere da valutazioni di mercato, è di nuovo in aumento, con l'Arabia Saudita che punta non più al mantenimento dei livelli di prezzo, ma all'aumento della produzione e della propria quota di mercato. L'andamento produttivo dei paesi ex sovietici subisce nettamente l'impatto della crisi e poi del crollo del sistema comunista, ma l'entità delle risorse da valorizzare, sia nella Federazione Russa che nelle repubbliche del Caspio, è tale da lasciare intravedere un futuro recupero.
Anche l'industria della raffinazione sta assumendo un nuovo profilo sotto la spinta della crescente attenzione alle tematiche ambientali. Nell'area OCSE sono state infatti messe a punto norme che hanno fissato nuove caratteristiche per quasi tutti i prodotti petroliferi. In particolare, per le benzine, il contenuto massimo di benzene, il peso minimo di ossigeno e di MTBE (metilterbutiletere) o di altri ossigenati ecc.; per il gasolio e l'olio combustibile, il contenuto massimo di zolfo in risposta al problema delle piogge acide. L'adeguamento della capacità a standard di qualità sempre più stringenti comporta e comporterà la necessità di ingenti investimenti, con particolare riferimento agli impianti di conversione in grado di aumentare le rese di distillati leggeri e medi, alla desolforazione dei prodotti e all'eliminazione dei residui pesanti. A metà degli anni Novanta, nonostante sia in corso un profondo processo di riorganizzazione nel sistema di raffinazione mondiale, permangono forti squilibri esaltati dalla specificità delle realtà regionali e dalla frammentazione dei mercati in relazione alle diverse specifiche dei prodotti.
Negli Stati Uniti la prospettiva della costruzione di nuovi impianti è poco probabile per motivi ambientali ed economici, con un possibile aumento del deficit di benzine; di conseguenza, il mercato dell'America Settentrionale tenderà a integrarsi ancor più strettamente con i centri di esportazione dell'America latina. In Europa la sovrabbondanza di capacità orientata alla produzione di benzina potrebbe accentuare il fenomeno della chiusura di intere raffinerie, aumentando, in questo caso, il deficit di prodotti medi che provengono, sia pure con difficoltà, dalle raffinerie dell'Europa orientale. Per far fronte alla crescita della domanda dei prossimi anni, l'Asia dovrà sviluppare una relazione privilegiata con il Vicino e Medio Oriente (Arabia Saudita, Kuwait, Iran e altri produttori del Golfo) che è destinato a divenire lo swing-producer di greggio e di prodotti raffinati, nei confronti dell'Asia più che verso i tradizionali mercati dell'Europa occidentale e dell'America Settentrionale.
Le riserve di energia
Il petrolio. - Nonostante i molti messaggi allarmistici che si sono susseguiti nel tempo, le riserve mondiali di petrolio, a metà degli anni Novanta, appaiono più consistenti di quelle censite all'inizio della prima crisi energetica; con particolare riferimento al 1998, le riserve provate, sfruttabili con le attuali tecnologie, ammontano, secondo le valutazioni della British Petroleum, a 143,4 miliardi di t contro 90,5 miliardi di t nel 1975. Questo significa che nell'arco di circa un ventennio, sia attraverso nuove scoperte, sia attraverso la rivalutazione del potenziale produttivo di giacimenti noti con metodi più avanzati, il patrimonio petrolifero mondiale è stato non solo reintegrato, ma addirittura accresciuto. Gli aumenti del prezzo del greggio, registrati agli inizi degli anni Ottanta, e poi i progressi tecnologici sono stati gli elementi propulsori dell'attività di ricerca e sviluppo, che si è estesa dalle aree tradizionali in terraferma alle zone più difficili: aree on-shore e off-shore a grande profondità, e mari artici, con risultati promettenti per il futuro.
Dal punto di vista geografico, le nuove scoperte e le rivalutazioni hanno comportato alcuni mutamenti della situazione esistente all'inizio degli anni Settanta, ma non hanno modificato il ruolo di assoluta preminenza del Vicino e Medio Oriente dove si concentrano oltre i due terzi delle riserve mondiali.
Quest'area detiene, infatti, le maggiori riserve di petrolio con circa 92 miliardi di tonnellate, seguita dall'America Latina con 20 miliardi, dall'Africa con 9 miliardi, dai paesi dell'Europa orientale e dall'ex URSS con 10,1 miliardi, dall'Asia e Australasia con 5,8 miliardi, dall'America Settentrionale con 4,6 miliardi, dall'Europa con 2,7 miliardi.
Il paese dotato delle maggiori riserve è l'Arabia Saudita con 35,8 miliardi di tonnellate, pari al 25% del totale mondiale, seguita dall'Iraq con 15,1 miliardi, dagli Emirati Arabi Uniti con 12,6 miliardi, dall'Iran con 12,7 miliardi, dal Kuwait con 13,3 miliardi, dal Venezuela con 9,3 miliardi, dalla Federazione Russa con 6,7 miliardi.
Le riserve dei paesi in cui si concentrano i maggiori consumi petroliferi sono relativamente meno consistenti: nell'America Settentrionale, che pure detiene le maggiori riserve dei paesi industrializzati (4,6 miliardi di t), il rapporto riserve/produzione è, infatti, pari a circa 10 anni; analogamente, in Europa, dove le riserve sono pari a 2,7 miliardi di t, il rapporto è di poco superiore a 8 anni. Complessivamente, alla fine del 1998 il rapporto riserve/produzione è pari a 41 anni.
Uno studio dell'Institut français du pétrole sul potenziale petrolifero dei bacini sedimentari di tutte le aree del mondo, indica che con le tecnologie di esplorazione e produzione attualmente disponibili è possibile recuperare ulteriori 500÷600 miliardi di barili di greggio (70÷80 miliardi di t). Di questi, 350÷400 miliardi di barili sono costituiti da nuove riserve e 150÷200 miliardi di barili da miglioramenti del recupero e da progetti di EOR (Enhanced Oil Recovery) su giacimenti già in produzione. Inoltre, secondo lo stesso studio, con l'introduzione e la diffusione di nuove tecnologie, in parte già sperimentate e utilizzate in alcuni settori dell'attività petrolifera, le quantità di riserve scopribili possono subire un notevole incremento. I livelli totali addizionali recuperabili sono stimati in 1350÷1650 miliardi di barili; di questi, 600÷750 sono costituiti da nuove riserve e 750÷900 da miglioramenti del recupero e da progetti di EOR. La maggior parte di queste riserve scopribili (55÷65%) è localizzata in aree fuori dal Vicino e Medio Oriente ed è costituita, in misura preponderante, da riserve addizionali in giacimenti già in produzione.
Il gas naturale. - Con il controshock petrolifero del 1986, l'avvio di un ciclo economico espansivo e la sempre maggiore sensibilità per i problemi ambientali, si determinano le condizioni per un rilancio del gas naturale che è in grado di offrire valide risposte sul piano della diversificazione e della qualità. Relativamente agli interventi sul mix delle fonti, un accentuato ricorso al gas naturale risulta utile non solo per la minore produzione di anidride carbonica rispetto a petrolio e carbone, ma anche per i più contenuti rilasci di altri agenti inquinanti, in attesa dell'adozione su larga scala e a costi accettabili di tecnologie e attrezzature di abbattimento degli stessi.
Anche le impostazioni più estremistiche in materia di prezzi all'esportazione vengono abbandonate dai paesi produttori, con il progressivo affermarsi delle regole del mercato. Sul piano della contrattualistica si affermano inoltre regole e formule strutturate in modo da attenuare l'impatto, sui prezzi all'esportazione del gas, dell'estrema variabilità delle quotazioni dei prodotti petroliferi, a cui i prezzi del gas naturale sono collegati. Si consolida così lo sviluppo degli scambi internazionali che raggiungono, alla fine del 1998, il considerevole volume di oltre 446 miliardi di m³, di cui 332 esportati a mezzo gasdotto e circa 113 a mezzo navi metaniere.
Gli usi civili sono diventati il principale mercato di assorbimento, mentre gli usi industriali, specie nelle economie più mature, continuano a risentire del ridimensionamento di alcune attività e della riduzione dei consumi specifici di combustibili per unità di prodotto; sviluppi consistenti si registrano comunque nei paesi più in ritardo nel processo di industrializzazione.
Gli usi termoelettrici sono in ascesa in numerosi paesi, sotto la spinta di interventi di politica energetica, che riconoscono l'importanza di questo combustibile per motivi ecologici e di efficienza di utilizzo. Nel settore termoelettrico, le qualità del gas naturale sono state fortemente valorizzate dallo sviluppo della tecnologia delle centrali con ciclo combinato (v. oltre: Fonti energetiche non rinnovabili), che risulta ottimale sia per motivi economici (minori costi di impianto, minori tempi di realizzazione) sia per motivi energetici ed ecologici.
In Europa, i consumi di gas sono giunti nel 1998 a circa 427 miliardi di m³/anno, di cui 50 importati dai paesi ex sovietici e dall'Africa settentrionale. La Germania e il Regno Unito sono i principali paesi consumatori dell'area, con un volume di oltre 80 miliardi di m³/anno. Seguono con oltre 50 miliardi di m³ l'Italia, i Paesi Bassi con oltre 40 miliardi, la Francia con oltre 30 miliardi. Il ruolo del gas naturale, sul totale fabbisogno di e. dell'Europa occidentale, è in aumento sino a oltre il 20%. La consistenza delle riserve, grazie ai ritrovamenti nella zona norvegese del Mare del Nord, è valutata alla fine del 1998 in circa 6490 miliardi di m³, di cui 2400 appartenenti alla Norvegia; la loro consistenza è tale da aprire nuove prospettive all'approvvigionamento di gas europeo.
Nell'America Settentrionale, il livello di domanda raggiunto nel 1998, pari a oltre 700 miliardi di m³, fornisce un contributo di quasi un quarto al soddisfacimento del fabbisogno di e. dell'area. Le riserve, che ammontano a circa 7990 miliardi di m³, di cui circa 5300 negli Stati Uniti, rappresentano solo il 3,2% del totale mondiale, con un rapporto riserve/produzione di 8,8 anni. Peraltro la stabilità di questo rapporto da molto tempo dimostra che annualmente vengono scoperte riserve che reintegrano la produzione dell'anno.
Le decisioni del governo statunitense hanno avuto un impatto notevole sullo sviluppo di questo mercato: dopo la fine del controllo dei prezzi praticati agli utenti a opera del Final Use Act del 1987 e la fine dei controlli sui prezzi alla produzione (well-head), con un provvedimento legislativo del 1989 il gas naturale è stato messo in condizioni di competitività piena con le altre fonti. Anche la possibilità di accesso degli utenti alle reti di trasporto (open access) ha consentito maggiore libertà di azione sul mercato a distributori locali e utilizzatori industriali, sino alla nascita di un mercato a pronti e di un mercato a termine del gas naturale. L'esperienza statunitense ha suscitato grande interesse anche in paesi come il Regno Unito, dove la scoperta di numerosi giacimenti di gas nelle aree off-shore del Mare del Nord ha consentito la nascita di un mercato con una pluralità di produttori e di utilizzatori.
La difficile fase di transizione all'economia di mercato e la grave crisi economica che hanno investito la Federazione Russa e gli altri paesi ex sovietici si sono riflesse anche sul settore del gas naturale, che comunque reagisce meglio degli altri settori energetici, anche in relazione al peso economico, politico e finanziario della società Gazprom, che gestisce questo comparto; la riduzione dei livelli produttivi dei paesi ex sovietici, di circa 100 miliardi di m³, che si registra tra il 1990 e il 1998, si ricollega, più che a un collasso delle strutture produttive, alla crisi della domanda interna e a quella dei paesi dell'Europa orientale. Questi ultimi non possono più importare gas naturale secondo il sistema di prezzi politici che vigevano all'interno dell'area COMECON e, allo stesso tempo, devono affrontare una grave crisi economica. La solidità del sistema produttivo trova anche conferma dal mantenimento e dall'ulteriore sviluppo della capacità di esportazione verso i paesi dell'Europa occidentale.
Nell'Asia-Oceania, quarta area consumatrice nella graduatoria mondiale, la domanda di gas arriva nel 1998 a quasi 246 miliardi di m³/anno rispetto ai 70 miliardi del 1980; negli ultimi anni si registra una netta accelerazione del ritmo di crescita, anche perché il ruolo del gas naturale nella regione è il più basso del mondo, con un modesto 7%, e i fabbisogni energetici dell'area si vanno espandendo rapidamente. Le riserve di quest'area assommano a oltre 10.000 miliardi di m³: i principali paesi detentori sono Indonesia (2000 miliardi di m³) e Malaysia (2300 miliardi di m³); il peso percentuale di queste riserve sul totale mondiale è peraltro inferiore a quello dei consumi, segnalando, specie in prospettiva, uno spazio di mercato per importazioni da altre aree. Il più importante paese produttore è, con oltre 68 miliardi di m³/anno, l'Indonesia, che esporta più del 50% della propria produzione in Giappone.
Il Giappone si conferma come il più grande paese importatore e consumatore dell'area, con quasi 70 miliardi di m³/anno, quasi totalmente importati sotto forma di GNL (gas naturale liquefatto). In questo paese gli impieghi termoelettrici, anche sotto la spinta delle preoccupazioni di ordine ambientale, superano i 35 miliardi di m³, seguiti dagli usi civili e industriali. Anche negli altri paesi asiatici interessati da una forte espansione economica si verifica un'eccezionale crescita degli usi termoelettrici, seguiti da quelli civili e, infine, da quelli industriali.
In notevole sviluppo anche la domanda del Vicino e Medio Oriente, con circa 170 miliardi di m³ nel 1998, contro i 94 del 1990 e i 35 del 1980. Le riserve, ancora scarsamente sfruttate, pongono la regione al secondo posto nel mondo: quasi 49.000 miliardi di m³. Principale detentore è l'Iran con 23.000 miliardi di m³, seguito da Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Qaṭar, con oltre 5000 miliardi di m³ ciascuno. Il principale paese consumatore è l'Iran con oltre 52 miliardi di m³, seguito dall'Arabia Saudita con 46. Il ruolo del gas naturale nel soddisfacimento del fabbisogno totale di e. dell'area è il più alto al mondo: 37%. Il patrimonio di riserve del Vicino e Medio Oriente è tale da farne nel lungo termine un interlocutore privilegiato dell'Europa oltre che dei mercati asiatici.
In America Latina, con riserve di 7800 m³, la domanda raggiunge, alla fine degli anni Novanta, oltre 100 miliardi di m³, con un ruolo del gas naturale sul fabbisogno totale di e. inferiore al 20%; i maggiori consumatori, che sono anche i maggiori produttori, sono Messico, Venezuela e Argentina.
In Africa l'utilizzo del gas, circa 40 miliardi di m³, rimane limitato a pochi paesi produttori, come Algeria, Egitto, Libia e Nigeria. Le riserve, pari a 10.200 miliardi di m³, consentono di alimentare un flusso di esportazioni verso l'Europa, la cui consistenza raggiunge a metà degli anni Novanta circa 40 miliardi di m³. La stima delle riserve è in continuo aumento. Negli ultimi dieci anni queste sono state rivalutate di oltre il 50%. Il forte aumento è da attribuirsi principalmente alle nuove tecnologie che riducono il rischio economico nell'esplorazione e diminuiscono i costi di produzione. I progressi sono stati tali che giacimenti, considerati a suo tempo non economici, sono rientrati nel novero di quelli economicamente sfruttabili. Inoltre, l'esplorazione è diventata sempre più efficace nell'individuare nuove risorse.
I combustibili solidi. - Nel corso degli anni Ottanta e Novanta la struttura del mercato internazionale del carbone ha subito importanti cambiamenti con un forte aumento del commercio internazionale, modificando, sia pure in maniera limitata, la caratteristica di risorsa sfruttata quasi esclusivamente su base locale; in altri termini, i criteri di economicità si sono affermati rispetto alle impostazioni protezionistiche e/o di sostegno dell'occupazione, che avevano contraddistinto l'industria carbonifera dei paesi europei nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta. Ciò ha portato a un allargamento del mercato internazionale su cui fanno affidamento crescente i paesi importatori dell'Europa e dell'Asia, a cominciare dal Giappone.
La realizzazione di nuovi centri di produzione, a partire dal Sudafrica e dall'Australia, e di nuove infrastrutture di trasporto (ferrovie, porti, naviglio specializzato) rappresenta la base portante del nuovo sistema. Nuove iniziative si sono anche sviluppate in paesi dotati di risorse sfruttabili con bassi costi di produzione: è il caso di alcuni paesi dell'America latina come la Colombia e il Venezuela. Nel 1998 la Cina è diventata il principale produttore mondiale con oltre 620 milioni di tep a fronte di oltre 590 milioni di tep degli USA e di circa 180 milioni di tep dell'ex Unione Sovietica. Tra i grandi produttori figurano inoltre l'India con circa 147 milioni di tep, l'Australia con oltre 147 milioni di tep e il Sudafrica con oltre 118 milioni di tep. Con il passaggio all'economia di mercato la produzione dei paesi dell'Est europeo, e in particolare quella dei paesi ex sovietici, ha registrato una forte flessione, sia per il ridimensionamento della domanda sia per la scarsa competitività. Continua, anche, il declino produttivo delle aree carbonifere dell'Europa occidentale (Regno Unito, Germania) e del Giappone, dove i costi di estrazione non sono competitivi e dove i governi riducono drasticamente i sussidi ancora esistenti.
Sul piano della domanda il processo di espansione degli impieghi di carbone, specie nell'area OCSE, ha subito una battuta di arresto agli inizi degli anni Novanta sotto la spinta di fattori economici (la minore competitività rispetto alle fonti concorrenti, in particolare olio combustibile e gas naturale) e di fattori ecologici che ne restringono l'uso. L'impiego di questa fonte appare sempre più subordinato all'utilizzo di tecnologie per l'abbattimento delle emissioni di sostanze inquinanti. Anche l'emergere del problema dell'effetto serra gioca in senso sfavorevole al carbone che, per la sua composizione chimica, produce, rispetto agli idrocarburi, maggiori emissioni di anidride carbonica. La situazione delle risorse e delle riserve rimane comunque molto favorevole per il potenziale consumatore industriale e termoelettrico, sia dal punto di vista della consistenza delle riserve sia da quello della distribuzione geografica delle stesse, che risulta notevolmente diversa da quella del greggio e degli idrocarburi in genere.
Le stime della British Petroleum, che poco si discostano da quelle pubblicate dal World Energy Council in occasione degli ultimi congressi mondiali dell'e., tenutisi a Madrid nel 1992, a Tokyo nel 1995 e a Houston nel 1998, valutano in circa 1000 miliardi di t (circa 600 miliardi di tep) le riserve mondiali provate e recuperabili di combustibili solidi, una frazione limitata delle risorse complessive esistenti. Tali riserve comprendono circa 510 miliardi di t di carbone bituminoso, inclusa l'antracite, e 474 miliardi di t di carbone sub-bituminoso e di lignite. Le maggiori riserve di carbone bituminoso sono detenute dagli Stati Uniti (111 miliardi di t), seguiti dai paesi dell'ex Unione Sovietica (circa 100 miliardi di t), dalla Cina e dall'India (oltre 60 miliardi di t per ciascun paese), dal Sudafrica (55 miliardi di t) e dall'Australia (45 miliardi di t). Il rapporto tra le riserve mondiali di combustibili solidi e la produzione è pari a circa 218 anni, un valore notevolmente superiore agli analoghi rapporti calcolati per il petrolio e il gas naturale. Ciò conferma che ricondurre i problemi energetici alla scarsità delle risorse appare una forzatura di una situazione ben più complessa e articolata.
Le prospettive
I possibili scenari evolutivi della domanda e dell'offerta di e. si inseriscono in un contesto in cui i cambiamenti degli scenari geopolitici, economico-finanziari, tecnologici e demografici hanno assunto un'accelerazione senza precedenti. Tra le novità più significative che stanno ridisegnando l'economia mondiale, vi è la rapida crescita delle economie in via di sviluppo, che non appare limitata al gruppo dei cosiddetti paesi di nuova industrializzazione (NIC, Newly Industrialized Country), ma coinvolge anche grandi paesi come la Cina, l'India, il Brasile e l'Indonesia. La crescente offerta proveniente da aree a bassi salari avrà l'effetto di calmierare i prezzi dei manufatti e stimolare un uso più efficiente delle risorse nelle economie più ricche, aumentando la produttività; si intensificherà il fenomeno della globalizzazione dei mercati, con un aumento della concorrenza a livello mondiale e con la creazione di un mercato potenzialmente unico per beni, servizi, capitali e altri fattori della produzione. Le economie di molti paesi emergenti stanno guadagnando posizione e potrebbero entro il 2020 entrare nel gruppo delle economie più ricche e avanzate in termini di ricchezza pro capite, così come il Regno Unito sopravanzò i Paesi Bassi alla fine del 18° sec. e gli Stati Uniti divennero più ricchi del Regno Unito alla fine del 19° secolo.
Fino agli anni Settanta, la crescita della produttività totale dei fattori di produzione, per l'Europa e il Giappone, è stata un elemento importante del processo di catching up nella tecnologia e nel reddito pro capite. La teoria economica neoclassica implica una convergenza tra paesi nei tassi di sviluppo e nei livelli di reddito, facilitata dai trasferimenti di tecnologie attraverso il commercio internazionale, gli investimenti esteri diretti, i brevetti e così via. I nuovi produttori possono appropriarsi delle nuove tecnologie a costi relativamente bassi, avendo così accesso, almeno da un punto di vista teorico, a una funzione di produzione identica a livello internazionale. Attualmente si va delineando un legame inedito, per ampiezza e significato, tra il processo di innovazione tecnologica e l'organizzazione economica e sociale, compresi i metodi e i rapporti di lavoro e gli obiettivi della formazione e dell'istruzione. Al tradizionale modello lineare dell'innovazione, in cui l'atto innovatore era isolato, vanno sempre più sostituendosi meccanismi complessi in cui i processi di innovazione sono altamente interattivi e tali da generare un traboccamento delle informazioni (information spillover) e un circolo virtuoso in grado di ridisegnare la geografia economica del mondo.
L'aspetto fondamentale che caratterizza l'economia basata sulla conoscenza è la capacità di codificare le informazioni, rendendole, attraverso le tecnologie informatiche e della telecomunicazione, trasferibili e disponibili a livello mondiale. La codificazione della conoscenza e delle informazioni ridurrà quindi enormemente i costi della diffusione e dell'assorbimento delle tecnologie. Con combinazioni appropriate di dati, informazione e conoscenza, sarà possibile creare maggiore reddito, riducendo tutti gli altri input di fattori produttivi, cioè lavoro, scorte, e., materie prime, capitale.
D'altra parte, i paesi che si sviluppano non acquisiscono le tecniche adoperate nei paesi sviluppati quando questi ultimi si trovavano al loro stesso stadio di sviluppo, ma quelle più avanzate oggi in uso. Inoltre, alcuni bisogni fondamentali legati al consumo di e. (riscaldamento e condizionamento degli ambienti, mobilità personale ecc.) tendono a saturarsi con l'aumentare del benessere. Nel modello di economia globale che si va delineando, la knowledge revolution offre anche ai paesi meno sviluppati la possibilità di passare direttamente alle fasi di sviluppo successive a quelle che hanno richiesto massicci investimenti in infrastrutture e nella creazione di capacità tecniche di tipo tradizionale. Si pensi alle reti di comunicazione cellulari al posto delle reti cablate con supporto di rame. È un processo di aggiornamento continuo che coinvolge sia i paesi sviluppati sia quelli meno sviluppati: i paesi che seguono nel cammino dello sviluppo percorrono una strada diversa da quella percorsa nel passato dai paesi oggi più avanzati.
In coerenza con questo quadro, i futuri fabbisogni di e. finale per settore e per fonti prospettano notevoli cambiamenti nella qualità e nelle quantità domandate. All'orizzonte del 2010, il settore dei servizi, inclusi gli usi residenziali, diventerà il principale mercato di assorbimento, seguito da quello dei trasporti e, infine, da quello industriale che, nel 1990, aveva ancora un ruolo dominante. Da questa modifica strutturale scaturiscono, a livello di domanda finale, un notevole ridimensionamento del ruolo dei combustibili solidi, il riposizionamento dei prodotti petroliferi in determinati segmenti di mercato, in particolare quello dei trasporti, un consolidamento del ruolo del gas naturale e una notevole espansione dell'e. elettrica.
Il fabbisogno per uso termoelettrico dovrebbe evolvere verso un assetto in cui i combustibili solidi e il gas naturale dovrebbero compensare la progressiva perdita di peso dell'e. nucleare, non più sostenuta dai massicci programmi di investimento degli anni Settanta e Ottanta. I rapporti di competitività tra fonti indicano, infatti, ampi spazi per l'utilizzo, soprattutto con tecnologie innovative, del gas naturale e dei combustibili solidi in molte aree sviluppate e in via di sviluppo.
In merito all'e. nucleare, che ha fornito un contributo al soddisfacimento della domanda mondiale di 0,6 miliardi di tep nel 1998, occorre dire che il suo ruolo futuro appare incerto, nonostante che questa fonte non produca CO₂. Programmi importanti, ma spesso ridimensionati rispetto alle intenzioni originarie, proseguono in Francia, in Giappone e in altri paesi asiatici tra cui l'India, la Repubblica di Corea e la Cina. Tuttavia i problemi oggi sul tappeto potrebbero nel medio-lungo termine rilanciare l'opzione nucleare a livello mondiale. In particolare, l'approfondimento e la migliore definizione delle relazioni che legano le emissioni antropiche di CO₂ all'effetto serra, e al conseguente riscaldamento del pianeta, potranno giocare un ruolo fondamentale quali parametri di valutazione e giudizio per un futuro rilancio, a livello mondiale, dell'utilizzo di una fonte energetica CO₂-free quale il nucleare, che può contare su riserve di minerali uraniferi molto ampie e ampiamente distribuite tra le varie aree (v. oltre: Energia nucleare).
Considerando anche i fabbisogni energetici degli altri settori trasformatori, in particolare la raffinazione, si può ipotizzare per il 2010 un fabbisogno energetico mondiale in fonti primarie pari ai 10,5 miliardi di tep, soddisfatto dal petrolio con 4 miliardi di tep, dai combustibili solidi con 2,7 miliardi di tep, dal gas naturale con 2,6 miliardi di tep, dal nucleare con 0,7 miliardi di tep e infine dall'idroelettricità e dalle fonti rinnovabili con 0,5 miliardi di tep. Il contributo di queste ultime potrà anche essere maggiore in funzione della velocità di attuazione degli impegni dei vari paesi per la riduzione delle emissioni di CO₂. Gli idrocarburi avrebbero un peso dominante nel soddisfacimento della domanda dell'area OCSE, mentre nell'area asiatica i combustibili solidi avrebbero ancora un ruolo di primo piano.
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Produzione e utilizzazione di energia elettrica
di Franco Velonà
La crescita dei consumi energetici mondiali in questi ultimi decenni non ha modificato sostanzialmente la struttura delle fonti cui si è fatto ricorso. In particolare, nell'ambito delle centrali termoelettriche e nucleari, i combustibili solidi hanno pressoché conservato il loro peso percentuale (tra il 25% e il 30%); nell'utilizzazione degli idrocarburi si è registrato un aumento dell'aliquota di gas naturale, che si è avvicinata al 25%, con una diminuzione del consumo mondiale di petrolio (oggi inferiore al 40%) anche per il contributo dell'e. nucleare (∼7%). Naturalmente la situazione è molto diversa nelle varie aree geografiche: i consumi negli Stati Uniti rappresentano un quarto della domanda globale di e., cioè all'incirca quanto consumano tutti i paesi in via di sviluppo. Comunque il grado di controllo che i paesi industrializzati hanno storicamente avuto sul mercato energetico tende a diminuire, e l'equilibrio tra domanda e offerta di e. sarà sempre più dettato da aspetti ambientali e finanziari in un ambito globale, quali inquinamento, effetto serra, adeguatezza e tempi di approntamento delle infrastrutture necessarie, capacità di finanziare e remunerare nuovi investimenti. In un tale contesto il contributo delle fonti rinnovabili alla produzione di e. elettrica non sembra potersi rapidamente avvicinare alla soglia del 10%, cui si tende da diversi anni.
Fonti energetiche non rinnovabili
Negli ultimi anni il fatto più innovativo, rispetto alle previsioni dei passati decenni, è costituito dalla notevole espansione delle riserve accertate di gas naturale. Grazie alle nuove tecnologie di esplorazione e di estrazione, queste riserve si possono valutare pari a centinaia di terametricubi (200÷300 Tm³; 1 Tm³=10¹² m³) ed è, quindi, possibile per il futuro un ricorso al gas naturale superiore a quello che potrebbe consentire il petrolio (v. sopra: Le riserve).
In relazione ai processi di liberalizzazione e di privatizzazione, in atto in tutto il mondo, e alle preoccupazioni di carattere ambientale, si potrà giungere a una diffusione rapida del ciclo combinato turbina a gas-turbina a vapore nelle centrali termoelettriche dei paesi già industrializzati e di nuova industrializzazione. Lo sviluppo delle turbine a gas (si parla già di una terza generazione), legato all'aumento delle temperature di esercizio e all'aumento delle potenze unitarie, ha portato su scala mondiale a impianti in grado di effettuare un servizio di base, e cioè non più di sola copertura delle punte del carico.
Centrali equipaggiate con turbine a vapore, prodotto dalla combustione di gas in caldaie di tipo convenzionale (combustibile oggi preferito per una maggiore protezione dell'ambiente), sono superate da centrali con ciclo combinato, che possono avere rendimenti più alti di conversione del potenziale energetico fino a una ventina di punti percentuali (circa 60% contro circa 40%). La concomitante riduzione dei costi per MW installato e dei tempi di costruzione, per centrali equipaggiate con turbine a gas, ha portato tali impianti, nel triennio 1994-96, a superare il 40% della nuova potenza installata nel mondo (le centrali a vapore rappresentano ancora un'aliquota notevole soprattutto per i paesi in cui è disponibile il carbone a bassi costi, come la Cina).
I vantaggi tecnici, economici e ambientali presentati dai cicli combinati rendono attraente anche la trasformazione di vecchie unità a vapore, attraverso la sostituzione della caldaia esistente con un blocco turbina a gas-caldaia di recupero. Si ottiene, così, il passaggio dal carbone o dal petrolio al gas con produzione del vapore (per le esistenti turbine) a spese del calore dei gas di scarico dei nuovi turbogas. In fig. 1 è schematizzata la trasformazione di una unità termoelettrica a vapore in ciclo combinato.
Fonti rinnovabili tradizionali
Energia idroelettrica. - Nei paesi più industrializzati la potenzialità idroelettrica è già utilizzata per il 65÷70%, e un possibile incremento di tale capacità incontra ostacoli territoriali e ambientali, connessi soprattutto con la realizzazione dei bacini di accumulo delle centrali. Pertanto, sembra più agevole l'utilizzazione di corsi d'acqua nel campo delle piccole risorse idrauliche, che erano state abbandonate o trascurate a partire dagli anni Sessanta, di fronte allo sviluppo di unità di grande potenza. Il contributo atteso va spesso sotto la denominazione mini-hydro (miniidraulica), che si basa sullo sviluppo di piccole turbine in grado di funzionare con elevati rendimenti entro variazioni relativamente ampie della disponibilità di acqua (portata); le potenze possono variare in un intervallo che va da pochi kW a qualche MW (5÷3000 kW). Rientrano nella mini-hydro anche le stazioni mareomotrici azionate da onde marine, non necessariamente oceaniche.
Ben diversa è la situazione di aree geografiche in America Latina, in Africa e in Asia, dove esistono notevoli potenzialità, ma il livello della domanda locale di e. elettrica non è tale da giustificare gli ingenti investimenti richiesti per la realizzazione di grandi centrali idroelettriche. Soltanto l'affermarsi di tecnologie innovative (quali cavi superconduttori, fasci di microonde) potrebbe permettere la trasmissione a grandi distanze (per es. dall'Africa all'Europa) dell'e. elettrica prodotta; ma la superconduttività e la trasmissione via etere di notevoli potenze (non di segnali) sono tuttora in fase di studio e sperimentazione iniziali; un loro sviluppo industriale non appare prossimo.
Energia geotermoelettrica. - È una fonte ampiamente sperimentata, come quella idroelettrica, anche se nel mondo il suo sviluppo è relativamente recente. In una ventina di paesi (Italia, Giappone, USA, Nuova Zelanda, Filippine, Indonesia, Islanda, paesi dell'America Centrale) sono installati complessivamente circa 7000 MW, che potrebbero raddoppiarsi entro il prossimo decennio. La potenza geotermoelettrica italiana rappresenta circa un decimo di quella mondiale; essa risulta inferiore a quanto previsto soprattutto a causa delle difficoltà incontrate nell'insediamento di nuove centrali, nonostante i provvedimenti adottati per la tutela ambientale.
Consistenti sviluppi sono prevedibili, nel campo dello sfruttamento di sorgenti di calore a bassa entalpia, per il riscaldamento di ambienti o di acque. Gli usi diretti dell'e. geotermica disponibile a temperature attorno ai 120÷130 °C sono tuttora limitati a poche decine di impianti (naturalmente esclusi quelli per cure termali).
Fonti rinnovabili non tradizionali
Le nuove fonti rinnovabili danno un contributo trascurabile al soddisfacimento della richiesta di e. elettrica. Anche se le considerazioni tecnico-economiche variano molto da caso a caso (eolico, fotovoltaico, biomassa), si può in generale affermare che, nonostante l'accresciuta richiesta di salvaguardia ambientale, non si riesce a superare il condizionamento dello sviluppo di fonti 'pulite' dovuto al favorevole andamento dei prezzi dei combustibili fossili. Infatti, le caratteristiche delle fonti rinnovabili rispetto ai combustibili fossili (ovvero la bassa densità di potenza, la discontinuità nella produzione di e. e l'aleatorietà) possono, ancora per lungo tempo, circoscrivere solo a particolari situazioni locali e a specifiche nicchie di mercato il ricorso alle nuove fonti rinnovabili.
Energia eolica. - La conversione di e. del vento in e. meccanica e, più recentemente, in e. elettrica può essere considerata oggi alle soglie della competitività e in qualche caso già concorrenziale, specialmente quando il collegamento degli aerogeneratori a reti elettriche locali ne stabilisce un ruolo di integrazione e di modulazione dei carichi in media tensione. In Italia sono installati aerogeneratori per circa 70 MW elettrici (la prima centrale multimegawatt, circa 10 MW, è entrata in servizio nel 1997 a Collarmele, in Abruzzo); la potenza complessiva potrebbe risultare aumentata di circa 10 volte nel prossimo decennio. In Europa sono installati, al 1995, circa 2500 MW (soprattutto nei Paesi Bassi, in Danimarca e in Germania) e si prevede di poter coprire nel 2010 fino all'1% della domanda elettrica complessiva.
Energia fotovoltaica. - Quella fotovoltaica è forse la fonte energetica che presenta oggi i più alti costi del kWh prodotto, anche se negli ultimi vent'anni il costo dei moduli per la conversione fotoni-elettroni si è ridotto di circa tre volte (da 15 $/Wp nel 1977 a circa 5 $/Wp, con Wp potenza di picco). Il mercato consiste attualmente in applicazioni per piccole utenze isolate, per segnalazioni e telecomunicazioni. Si intravede, però, la diffusione dei cosiddetti tetti fotovoltaici, che potrebbero provvedere a fabbisogni energetici di limitata potenza (1÷10 MW), soprattutto in edifici di nuova costruzione. Complessivamente la potenza fotovoltaica attualmente installata nel mondo è attorno a 50 MW; l'Italia vanta l'impianto più grande, di circa 3 MW, entrato in servizio nel 1994 a Serre, in Campania.
Per quanto riguarda l'utilizzazione termica dell'e. solare, esistono alcuni prototipi di centrali di produzione di e. elettrica (quelli della Luz in California e Israele; quello di Adrano, in Sicilia, già da tempo dismesso), ma la tecnologia che si va diffondendo è quella basata sulla più semplice conversione dell'e. solare in calore (senza passare alla produzione di vapore per l'azionamento di appositi turboalternatori). Pannelli solari per il riscaldamento di acqua e di ambienti sono piuttosto diffusi in Europa (Grecia, Austria, Germania) e, soprattutto in Israele.
Energia da biomasse. - L'utilizzazione di biomasse a fini energetici non può essere considerata una fonte nuova, essendo noti da tempo biocombustibili e biocarburanti, ma nuovi possono essere i metodi per ricavarle. Tra le fonti rinnovabili, le biomasse richiedono l'impiego di tecnologie di più facile acquisizione (meno sofisticate, per es., del solare fotovoltaico) e meno legate a investimenti ingenti (come richiedono l'idroelettrico o la geotermia). Le biomasse sono distribuite su tutto il globo, fanno parte di tradizioni e culture locali e la loro 'conversione' in combustibile per produzione di e. termoelettrica o in carburanti per la trazione, da usare eventualmente in miscela con quelli derivanti dal petrolio, presenta i seguenti vantaggi: utilizzazione di terreni incolti o da abbandonare (set-aside); occupazione di mano d'opera locale; riduzione dell'effetto serra.
Una competizione più agevole con i combustibili tradizionali si può intravedere nella produzione di biocombustibili (metanolo, etanolo, idrogeno) attraverso una diversa utilizzazione dei terreni agricoli come quelli set-aside in ambito europeo, con particolari incentivazioni (agli inizi degli anni Novanta la capacità produttiva di etanolo da biomasse ha superato i 12 milioni di m³/anno nel solo Brasile). In Italia la disponibilità di biomasse residuali è stata valutata pari a circa 20 Mtep, mentre attualmente ne viene utilizzato a fini energetici soltanto meno di un quinto.
Energia dai rifiuti. - Anche l'e. dai rifiuti (inclusi spesso tra le fonti energetiche rinnovabili) rappresenta una risorsa non trascurabile, in relazione alle enormi quantità che se ne producono giornalmente, specialmente nei paesi più industrializzati. In Italia si producono circa 26 milioni di t/anno di rifiuti solidi urbani (RSU); in termini di e. elettrica producibile, detta quantità permetterebbe di risparmiare 2,5 Mt di petrolio. Nel mondo (v. tab. 1) l'utilizzazione di combustibile derivato da rifiuti è già rilevante in Giappone (dove funzionano più di 400 impianti che bruciano circa il 75% dei 45 milioni di t/anno di rifiuti), negli Stati Uniti (dove oltre 200 impianti bruciano 24 Mt/anno di rifiuti) e anche in alcuni paesi europei (Danimarca, Francia, Germania, Paesi Bassi, Svezia).
Perché dai rifiuti solidi urbani si possa alimentare vantaggiosamente un impianto termoelettrico, occorre effettuare una preventiva selezione (raccolta differenziata). Il d. lgs. 5 febbr. 1997 nr. 22 (cosiddetto decreto Ronchi sulla protezione dell'ambiente), successivamente modificato e integrato con d. lgs. 8 nov. 1997 nr. 389, pone le condizioni, in Italia, per produrre combustibile da rifiuti (CDR; Refuse Derived Fuel, RDF) da bruciare in appositi impianti. Dati i costi dell'intero ciclo, la produzione di e. elettrica dai rifiuti va inquadrata nel contesto più ampio della riduzione dell'impatto ambientale, tenuto conto delle limitate capacità e degli inconvenienti delle discariche.
Energia nucleare
Dalla metà degli anni Ottanta, e in particolare dopo il grave incidente nella centrale nucleare sovietica di Černobyl´ nell'aprile 1986, si è verificato un rallentamento nello sviluppo di impianti tesi allo sfruttamento dell'e. nucleare per produzione di e. elettrica. Tuttavia sono in funzione nel mondo oltre 400 centrali (di cui più di tre quarti nei paesi aderenti all'OCSE; gli impianti in costruzione sono una cinquantina (di cui un quarto nei paesi OCSE).
Nel 1996 l'e. nucleare ha fornito circa il 17% dell'e. elettrica richiesta nel mondo. Nella tab. 2 sono riportate le unità nucleari in funzione e in costruzione aggiornate a marzo 1998, con la quota di e. elettrica prodotta da fonte nucleare.
Nel medio-lungo termine, all'argomentazione 'storica' di sopperire con e. nucleare alla prevista riduzione delle riserve accertate di combustibili fossili, si aggiungono soprattutto valutazioni di carattere ambientale relative al contenimento del temuto effetto serra con la riduzione delle emissioni di anidride carbonica.
A parte gli attuali programmi di costruzione, soprattutto nei paesi dell'Est asiatico, un rinnovato e consistente ricorso all'e. nucleare in Europa e negli USA è comunque legato allo sviluppo di impianti con sicurezza ancor più elevata rispetto a quelli oggi in esercizio, a più soddisfacenti modalità di gestione del combustibile irradiato e dei rifiuti radioattivi, nonché a una decisa competitività economica con le altre fonti.
I più recenti criteri di sicurezza per reattori di potenza riguardano: la riduzione della probabilità di incidenti attraverso una semplificazione degli impianti e un aumento dei margini di progetto; l'introduzione di sistemi adatti a evitare il danneggiamento degli elementi di combustibile anche in condizioni di incidente; l'adozione di sistemi di contenimento di tutti i prodotti radioattivi anche in caso di seri danni al reattore (rilascio zero).
Per quanto riguarda i rifiuti radioattivi, la maggior parte di essi consiste in materiali a livelli di radioattività paragonabili a quelli della radioattività naturale. I rifiuti ad alta radioattività sono concentrabili in pochi m³ all'anno per ogni centrale e possono essere sistemati in depositi temporanei, prima di essere collocati in depositi definitivi all'interno di formazioni geologiche stabili, già allestiti in alcuni paesi.
Tra gli sviluppi che erano stati previsti per un più lungo termine, il reattore a neutroni veloci raffreddato con sodio liquido (che avrebbe consentito di utilizzare circa 60÷70 volte di più il contenuto energetico dell'uranio naturale rispetto ai reattori raffreddati ad acqua) ha subito una forte battuta d'arresto con la chiusura definitiva della centrale di Creys-Malville (Superphenix) da 1200 MW, decisa dal governo francese agli inizi del 1998. Tale centrale, nata negli anni Settanta per un'iniziativa congiunta franco-italo-tedesca, era entrata in funzione nel 1986.
La trasmissione dell'energia elettrica
La trasmissione dell'e. elettrica è affidata a linee, aeree e in cavo, che alla fine del 1996 assommavano in Italia a circa 8800 km a 380 kV e a circa 10.800 km a 220 kV. Lo sviluppo delle linee a tensioni più basse, a 150 kV e 120 kV, ammonta a circa 33.000 km; considerando anche le linee a media e bassa tensione, per la distribuzione agli utenti, si giunge al milione di chilometri di percorsi. I suddetti collegamenti sono effettuati in corrente alternata a 50 Hz; sulla rete italiana sono anche in servizio circa 850 km di linee in corrente continua a 220 kV, particolarmente per il collegamento tra il continente e la Sardegna, attraverso la Corsica. Opportune stazioni di trasformazione o di smistamento consentono di completare la rete elettrica, su cui riversano l'e. prodotta tutte le centrali in produzione di vario tipo e da cui tutti gli utenti prelevano i loro consumi.
L'adozione nella trasmissione a distanza di livelli di tensione maggiori di 420 kV rimane limitata a pochi paesi, come Brasile, Canada, ex Unione Sovietica, dove le distanze sono molto grandi e quindi è più conveniente, a parità di potenza trasmessa, ridurre l'intensità della corrente e quindi le perdite (proporzionali al quadrato dell'intensità). In Europa non si prevede, per i prossimi anni, un aumento della massima tensione di rete, anche se vi sono importanti trasferimenti di e. da un paese all'altro (in particolare dalla Francia verso i paesi vicini), sia per la diffusione di centrali più distribuite sul territorio rispetto ai poli energetici ipotizzati nei decenni passati, sia per l'opposizione di gruppi ambientalisti. La sperimentazione di una linea a 1000 kV, messa a punto dall'ENEL nei decenni scorsi presso Suvereto, in Toscana, è limitata a qualche decina di chilometri.
Una crescente importanza hanno assunto in questi ultimi anni i centri di controllo delle reti elettriche che, grazie allo sviluppo dell'automazione, consentono una gestione ottimale degli impianti e una migliore qualità del servizio.
La distribuzione e l'utilizzazione dell'energia elettrica
Consumi. - Il basso tasso di crescita dell'economia in Europa, e in particolare in Italia con il grave problema della disoccupazione, condiziona in questi anni l'aumento della domanda di e. elettrica. Nel 1996 la richiesta complessiva di e. elettrica in Italia è stata di 263 miliardi di kWh, con un incremento minore dell'1% rispetto all'anno precedente. Sono i consumi industriali, diminuiti rispetto al 1995, a determinare questi risultati, mentre la richiesta da parte del settore terziario e domestico è stata superiore a quella del biennio precedente, anche se i relativi tassi di sviluppo rimangono contenuti rispetto a quelli degli anni Ottanta. A livello territoriale, è da rilevare che le regioni della costa adriatica hanno presentato il maggiore tasso di sviluppo che ha raggiunto circa il 2,5%.
I consumi finali di e. in Italia dal 1975 al 1998, con l'indicazione del consumo e della penetrazione di e. elettrica in %, sono riportati in tab. 3 per le diverse categorie di utilizzatori. Naturalmente una ripresa economica può modificare rapidamente, già nei prossimi anni, il tasso di crescita sopra evidenziato.
Uso razionale dell'energia. - L'uso razionale dell'e., oltre a essere imperativo in paesi con un'elevata dipendenza energetica dall'estero come l'Italia, è un contributo essenziale per il mantenimento dei delicati equilibri che regolano l'ecosistema. Non basta, al riguardo, aumentare la produzione da fonti rinnovabili, ma occorre procedere a modifiche rilevanti in settori di utilizzazione come i trasporti e l'edilizia. Un cenno particolare merita lo sviluppo dei veicoli a trazione elettrica, per uso sia pubblico sia privato, e quello della climatizzazione degli ambienti, in particolare mediante pompe di calore. Un'affermazione su vasta scala di tali tecnologie potrebbe comportare sì un incremento dei consumi di e. elettrica, ma anche un risparmio energetico globale (dati i miglioramenti nei rendimenti di conversione) e i conseguenti benefici ambientali, specialmente nei centri urbani, oggi sede dei massimi valori di inquinamento.
Anche nel settore dell'illuminazione la tecnologia ha fatto grandi progressi per ridurre i consumi; l'elettronica rende disponibili sia nuove sorgenti luminose, sia nuovi dispositivi di regolazione e di controllo, anche a distanza, dello stato di funzionalità degli apparati.
L'automazione e l'informatica consentiranno anche nuovi tipi di rapporto tra esercenti e consumatori. L'utilizzazione delle stesse linee di distribuzione dell'e. elettrica per l'invio di comunicazioni permette già oggi tariffe multiorarie più convenienti e una maggiore assistenza agli utenti.
L'energia elettrica e l'ambiente
Emissioni inquinanti. - In tutto il mondo e in Italia vanno assumendo crescente importanza, anche nel settore elettrico, la protezione dell'ambiente e la tutela dei consumatori. Per quanto riguarda l'ambiente, va ricordato che l'e. elettrica è assolutamente 'pulita' in fase di utilizzazione, nel senso che non produce alcun rifiuto; la sua produzione negli impianti più moderni può avere peraltro un impatto contenuto sull'ambiente.
I miglioramenti nel settore della produzione termoelettrica, in particolare con l'affermarsi dell'impiego dei cicli combinati e degli impianti per l'abbattimento delle emissioni inquinanti, nonché lo sviluppo di industrie a bassa 'intensità energetica' e di tecnologie energy-saving nei vari campi di utilizzazione, fanno dell'e. elettrica una componente importante per la conservazione ambientale.
La consapevolezza di svolgere un servizio pubblico da parte di tutti gli operatori del settore impone, infatti, di soddisfare non solo le richieste dei consumatori ma anche la tutela dell'ambiente. A tale riguardo vanno tenuti presenti alcuni punti caratteristici degli attuali indirizzi, quali il ricorso a processi che riducano l'impatto sull'ambiente (desolforatori, denitrificatori, precipitatori elettrostatici ecc.); l'impiego efficiente delle fonti energetiche più pulite (gas, fonti rinnovabili); il riutilizzo dei rifiuti, eventualmente come sottoprodotti; la diffusione di una cultura ambientale.
Con riferimento al primo punto sono riportati in fig. 2 gli andamenti delle emissioni di SO₂ (anidride solforosa), di NOx (ossidi di azoto) e di polveri dal 1980, relativamente a impianti ENEL.
Effetto serra. - Un problema a sé è quello del temuto 'effetto serra', connesso con l'eventuale aumento della temperatura media della Terra nei prossimi decenni, a seguito dell'accumulo di gas di origine antropica (CO₂, CFC, metano ecc.). Il contributo dell'e. elettrica all'effetto serra è valutato attorno al 20÷25% ed è dovuto essenzialmente alla produzione di CO₂ nei processi di ossidazione dei combustibili nelle centrali termoelettriche.
Si possono considerare diverse alternative per un opportuno contenimento dell'anidride carbonica: lo sviluppo di impianti con rendimenti più elevati e, quindi, con minore consumo di combustibili; il maggior ricorso a combustibili fossili con più bassa produzione specifica di CO₂/kWh (il gas naturale produce, a parità di produzione elettrica, solo il 60% della CO₂ prodotta dal carbone); lo sviluppo dell'e. nucleare, che non comporta alcun inquinamento dell'aria in condizioni di normale funzionamento delle centrali; il ricorso alle fonti rinnovabili e, in particolare, a biomasse a rapida crescita.
In realtà, sia l'e. nucleare sia quelle rinnovabili hanno scarse possibilità di affermazione su vasta scala nel breve-medio termine, anche per ragioni economiche: le incertezze nel ritorno dei relativi investimenti non sembrano compatibili con i processi di privatizzazione delle aziende elettriche avviati in tutto il mondo. Si vanno, perciò, approfondendo anche soluzioni tecnologiche per l'assorbimento dell'anidride carbonica prodotta. Tra queste tecnologie si possono citare: il frazionamento criogenico; l'assorbimento chimico o fisico; la separazione mediante membrane porose; la combustione in ossigeno puro con ricircolazione dei gas combusti. In ogni caso si tratta di processi molto costosi, cui andrebbero aggiunti gli oneri connessi con lo smaltimento, in terra o negli oceani, degli ingenti quantitativi di anidride carbonica sottratti dai fumi prima dello scarico al camino delle centrali.
Effetti dei campi elettromagnetici
Possibili effetti nocivi, per la salute, dei campi elettromagnetici sono da alcuni anni oggetto di notevole attenzione e di studi (v. anche compatibilità elettromagnetica, in questa Appendice). Alcuni studiosi ritengono che vi possano essere relazioni tra esposizione dell'uomo ai campi elettromagnetici irradiati dalle linee di trasporto dell'e. elettrica in corrente alternata e patologie tumorali; ma lo stato attuale delle conoscenze scientifiche porterebbe a escludere che i valori dei campi riscontrabili al suolo, anche in prossimità di elettrodotti in esercizio alle tensioni più alte, possano risultare nocivi.
Comunque il problema è tuttora aperto, soprattutto per i campi magnetici generati dalle correnti trasmesse, data l'incertezza delle correlazioni cause-effetti e la notevole influenza di fattori confondenti negli studi epidemiologici effettuati. Al riguardo, va sottolineato che studi sperimentali condotti su animali selezionati non danno risultati agevolmente riferibili all'uomo; così, esposizioni intense (di durata relativamente breve) per accelerare il raggiungimento di risultati, portano a effetti maggiori di quelli dovuti a esposizioni di intensità minore ma prolungate nel tempo, quali sono quelle di più frequente riscontro in pratica.
Aspetti giuridici e organizzativi
Nel 1992 è stato fatto, dopo quasi trent'anni dall'istituzione dell'ENEL, il primo passo verso la privatizzazione dell'Ente nazionale, con la creazione di una Società per azioni e un certificato nominativo provvisorio (un'azione) intestato al Ministero del Tesoro. Dopo un iter laborioso, è stata approvata la l. 14 nov. 1995, nr. 481 recante le norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità con l'istituzione dell'Autorità indipendente per la regolazione dell'e. elettrica e del gas. Si tratta di un provvedimento importante, propedeutico alla privatizzazione vera e propria dell'ENEL con la collocazione di azioni sul mercato, per un'effettiva promozione della concorrenza e dell'efficienza, in un sistema tariffario più certo e trasparente.
Le funzioni prima esercitate da diverse amministrazioni dello Stato sono state trasferite all'Autorità nell'aprile 1997. In particolare, l'Autorità indipendente subentra al Ministero dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato per quanto riguarda la determinazione delle tariffe, la sorveglianza sui diversi soggetti e la garanzia della qualità del servizio.
Nuove regole e forme di mercato, in un mutato contesto rispetto ai decenni precedenti, dovranno assicurare l'utilizzazione ottimale delle risorse disponibili, la tutela ambientale e benefici per la collettività e i consumatori. Naturalmente, essendo la fornitura di e. elettrica un servizio cosiddetto a rete, la concorrenza tra i vari operatori, sia in fase di produzione sia, soprattutto, in fase di distribuzione, non sarà esente da limitazioni, derivanti anche dal fatto che l'e. elettrica (eccettuate scarse possibilità di accumulo) va prodotta e resa ai clienti nel momento stesso in cui viene richiesta.
Alle soglie del 2000 si sta anche avviando la creazione di un mercato unico europeo dell'e., che dovrà gradualmente sostituire gli esistenti regimi di offerta monopolistica, di diritto o di fatto. Il recepimento delle direttive europee sul mercato interno dell'e. elettrica, le azioni dell'Autorità e gli orientamenti politici in generale determineranno le effettive caratteristiche degli assetti organizzativi, cui si tende con l'obiettivo di salvaguardare gli interessi della maggioranza dei consumatori (che dovranno servirsi di un mercato 'vincolato') e del mercato 'libero' (cui avranno accesso, almeno inizialmente, solo i consumatori di e. al disopra di soglie prestabilite).
Al fine di promuovere la liberalizzazione del settore energetico il governo è stato delegato (art. 36 della l. 24 apr. 1998 nr. 128) a emanare un decreto legislativo per dare attuazione alla direttiva 96/92/CE, recante norme comuni per il mercato interno dell'e. elettrica, e conseguentemente per ridefinire tutti gli aspetti rilevanti del sistema elettrico nazionale. Il d. legisl. 16 marzo 1999 nr. 79, dando attuazione alla direttiva CE sulla base dei principi e criteri dettati dalla legge, stabilisce che le attività di produzione, importazione, esportazione, acquisto e vendita di e. elettrica sono libere nel rispetto degli obblighi di servizio pubblico previsti, quelle di trasmissione e dispacciamento (attività dirette a impartire disposizioni per l'utilizzazione e l'esercizio coordinati degli impianti di produzione, della rete di trasmissione e dei servizi ausiliari) sono riservate allo Stato e attribuite in concessione al gestore della rete di trasmissione nazionale, quella di distribuzione è svolta in regime di concessione rilasciata dal Ministro dell'Industria.
Al fine di dare attuazione alla nuova disciplina del mercato elettrico l'ENEL assume le funzioni di indirizzo strategico e di coordinamento dell'assetto industriale e delle diverse attività esercitate dalle società dallo stesso costituite e controllate. Il gestore della rete di trasmissione nazionale (società per azioni costituita dall'ENEL) deve a sua volta costituire una società denominata 'acquirente unico', a cui è devoluta la stipula e la gestione di contratti di fornitura di e. al fine di garantire ai clienti vincolati (clienti finali legittimati a stipulare contratti esclusivamente con il distributore che esercita il servizio nell'area territoriale in cui è localizzata l'utenza) condizioni di continuità, sicurezza ed efficienza del servizio e di parità di trattamento anche tariffario; deve inoltre costituire una diversa società per azioni a cui è affidata la gestione economica del mercato elettrico. L'Autorità per l'e. elettrica e il gas deve invece fissare le condizioni atte a garantire a tutti gli utenti della rete la libertà di accesso a parità di condizioni, l'imparzialità e la neutralità del servizio di trasmissione e dispacciamento. A decorrere dal 1° gennaio 2003 a nessun soggetto è consentito produrre o importare più del 50% del totale dell'e. elettrica prodotta e importata in Italia e, a tale scopo, l'ENEL è tenuto a cedere entro la stessa data non meno di 15.000 MW della propria capacità produttiva.
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