Energia
Fonti primarie di energia, di Arnaldo M. Angelini
Economia e conservazione dell'energia, di Arnaldo M. Angelini
Trasmissione dell'energia, di Enrico Comellini e Luigi Paris
Utilizzazione dell'energia, di Pierre Ailleret
Fonti primarie di energia
SOMMARIO: 1. Nozione di energia e sua definizione. □ 2. L'energia quale bene economico essenziale. □ 3. Concetto generalizzato di potenza. □ 4. Fonti primarie di energia. □ 5. Conversione delle fonti di energia ai fini dell'utilizzazione. □ 6. Regolazione del flusso di energia: il problema dell'accumulazione. □ 7. Distribuzione territoriale delle fonti primarie d'energia. □ 8. Distribuzione territoriale dei fabbisogni di energia. Il problema dell'accesso e del trasporto delle fonti primarie e secondarie. □ 9. La ‛crisi' dell'energia e le prospettive a medio e lungo termine per le fonti tradizionali e non tradizionali. □ 10. Prospettive a medio e lungo termine per la conversione dell'energia. □ 11. Prospettive del futuro: la produzione di energia mediante ‛fusione' dei nuclei leggeri. □ 12. Aspetti economici dell'evoluzione tecnologica nel campo della produzione di energia. □ 13. La conservazione delle risorse energetiche. □ Bibliografia.
1. Nozione di energia e sua definizione.
Il concetto di energia risale a Galileo (1564-1642), il quale osservò che il prodotto della forza richiesta per sollevare un peso per il suo spostamento è invariante in un sistema di pulegge.
La denominazione e l'approfondimento concettuale di questa grandezza fisica fondamentale seguirono molto più tardi, anche per il fatto che la meccanica classica ha potuto per un lungo periodo svilupparsi senza far ricorso alla nozione di energia, nozione che peraltro si è rivelata estremamente feconda da quando C. Huyghens introdusse e de- finì il concetto di forza viva (vis viva).
Fu G. Bernoulli (1667-1748) a stabilire per primo, sia pure in forma limitata, il principio della conservazione dell'energia, affermando che alla scomparsa della ‛forza viva' corrisponde l'apparizione di altra forma di capacità di lavoro (facultas agendi).
Successivamente (alla fine del Settecento), con riguardo alla meccanica e in particolare ai sistemi conservativi, l'invarianza della somma dell'energia cinetica e dell'energia potenziale fu rigorosamente stabilita da G. L. Lagrange.
È dunque dalla meccanica che hanno preso origine la nozione e la definizione di energia espressa dal prodotto di due grandezze, una delle quali di natura fisica e l'altra geometrica. Ad esempio l'energia meccanica è espressa dal prodotto di una forza per una lunghezza o di una pressione per un volume oppure di una tensione superficiale per un'area e così via.
Il concetto di energia ha però subito nel tempo continue estensioni, assumendo un ruolo centrale per la comprensione dei fenomeni della termodinamica e progressivamente di tutte le parti della fisica, inclusa quella delle particelle elementari. Oggi poi si può affermare che la nozione di energia ha importanza fondamentale in tutte le scienze applicate.
Non v'è fenomeno naturale o artificialmente provocato che non implichi infatti una conversione di energia da una forma in un'altra ovvero un mutamento nei parametri che determinano questa grandezza o ancora una variazione della sua distribuzione nello spazio e nel tempo.
Non è possibile dare dell'energia un'espressione generale legata alla sua natura intrinseca e valida per tutte le forme sotto cui si presenta.
Se ci si riferisce al concetto, nella sua accezione più generale, l'energia viene definita solitamente, per esempio nel Larousse encyclopédique e nell'Encyclopaedic dictionary of physics, quale capacità o attitudine a produrre ‛effetti' della natura più svariata quali: aumento di temperatura di un corpo, deformazione di un corpo, spostamento di un corpo, ecc. e, in particolare, lavoro.
Una definizione meno generica può essere la seguente: l'energia è un agente o elemento immutabile nella quantità - quindi soggetto alla legge di conservazione - e suscettibile di trasformazione in varie forme fisicamente omogenee fra loro, ad esempio lavoro e calore. (La trasformazione nelle varie forme può richiedere l'uso di coefficienti di conversione - costanti - o parametri di equivalenza che esprimono il rapporto tra i valori numerici di uguali quantità di energia nelle unità di misura relative alle forme in questione, cioè elettricità, energia interna, energia cinetica, gravitazione, lavoro, calore, ecc.).
Sotto certe condizioni, materia ed energia sono tramuta- bili l'una nell'altra in base alla relazione di equivalenza di Einstein
E = m c2,
ove E è l'energia, m la massa oggetto di trasmutazione e c è la velocità della luce nel vuoto.
La relazione di equivalenza di Einstein fonde in un unico principio le due leggi di conservazione della massa e dell'energia su cui era basata la fisica tradizionale. Pertanto questa relazione, che rientra nella definizione generale, è profondamente innovativa per l'estensione del concetto di energia.
Altrettanto rilevante al riguardo è la relazione di Planck, secondo cui l'energia associata alla radiazione elettromagnetica può assumere solo valori discreti; è questo un fatto che, in altri termini, corrisponde ad associare all'energia elettromagnetica due aspetti complementari: quello ondulatorio, già identificato dalla fisica tradizionale e che presiede, per esempio, ai classici fenomeni di interferenza e di diffrazione, e quello corpuscolare, che sta alla base dell'interpretazione di molti altri fenomeni, come l'effetto fotoelettrico. Come è noto, gli sviluppi della fisica quantistica associano un'analoga dualità di comportamento alle particelle materiali.
L'energia è ‛potenziale' quando, ‛nella forma in cui è disponibile', la quantità è immutabile. L'energia potenziale è espressa quantitativamente da una riserva di energia costante in un dato intervallo di tempo (per esempio, è potenziale l'energia ottenibile da combustibili posti in riserva prima dell'impiego, l'energia corrispondente all'acqua accumulata in un bacino montano in attesa di utilizzazione idroelettrica, l'energia contenuta negli elementi fissili componenti i ‛combustibili' destinati alle centrali nucleari, ecc.).
La conversione è il processo mediante il quale l'energia passa da una forma all'altra. La combustione dei combustibili fossili e la fissione dei combustibili nucleari sono esempi di processi di conversione, in quanto consentono di ottenere energia termica dall'energia potenziale contenuta negli uni e negli altri. La conversione dell'energia può avere un decorso costante o variabile nel tempo ed è caratterizzata dalla ‛potenza', espressa in ogni istante dalla quantità di energia convertita per unità di tempo.
Della formulazione generale del concetto di energia si sono occupati vari autori di testi di fisica e in particolare di termodinamica (v. Bridgman, 1961), ma non è il caso di indugiare qui sull'argomento.
Un breve cenno merita invece, per le sue speciali caratteristiche e per la sua importanza pratica, una speciale classe di trasformazioni dell'energia: le conversioni del calore (energia termica). È questa una forma di energia particolare in quanto, mentre ogni altra forma di energia è teoricamente convertibile in modo completo in tutte le forme rimanenti (incluso il calore), il processo di conversione del calore avviene solo a determinate condizioni: per esempio, nel caso di una delle trasformazioni più importanti, la conversione del calore in lavoro, una classica legge fisica (il secondo principio della termodinamica) impone che questo processo avvenga solo parzialmente e che la parte di calore non convertita degradi dalla temperatura iniziale a una temperatura inferiore.
La portata di questa legge di natura è di grandissima rilevanza, sia perché il calore rappresenta una delle forme intermedie di moltissimi processi di conversione dell'energia, sia perché ogni conversione tra forme diverse di energia nella sua realizzazione pratica produce calore.
Questa breve introduzione sul concetto di energia non ha ovviamente la benché minima pretesa di trattare gli aspetti delicati e complessi che questo tema presenta quando lo si voglia approfondire.
2. L'energia quale bene economico essenziale.
L'evoluzione e il sempre più rapido avanzamento della tecnica e di ogni attività volta al miglioramento delle condizioni di vita dell'umanità poggiano su tre elementi essenziali e determinanti di carattere primordiale: a) ‛materia' e sue trasformazioni; b) ‛energia' e sue trasformazioni; c) ‛informazione' e sua elaborazione e trasmissione.
In senso generale ci si riferisce qui alle indispensabili risorse materiali, energetiche e informative alle quali l'umanità attinge con ritmo sempre più intenso nel suo progredire. Nel seguito si tratterà dell'energia con riguardo alle fonti che la rendono disponibile oggi e potranno renderla disponibile nel futuro a medio e lungo termine, all'evoluzione dei processi di conversione, alla situazione attuale e alle prospettive per quanto riguarda la copertura dei fabbisogni rapidamente crescenti di energia.
Muovendo dal concetto fisico di energia, si perviene a quello di fonte di energia, intesa quale bene economico essenziale. Questo collegamento tra concetto fisico e concetto economico sembra opportuno per chiarire il significato e la portata di quanto verrà detto più avanti.
Per il principio di conservazione, l'energia totale di un sistema isolato è costante. Questo principio, fondamento primo della scienza moderna, afferma pure che l'energia non si ‛produce', ma soltanto si trasforma, in ‛forme' diverse.
La definizione assunta nel capitolo che precede non disattende la relazione di equivalenza di Einstein tra materia ed energia. La produzione di calore e di energia elettrica di origine nucleare è già affermata sul piano industriale e acquista sempre più importanza e diffusione; non se ne può prescindere in sede di programmazione economica in genere ed energetica in specie.
Dalla definizione di energia come ‛capacità di compiere lavoro' segue che dovrebbero essere tenuti in conto anche il lavoro umano e quello animale, che hanno ancora notevole importanza nelle economie arretrate. Questa componente, connessa con il ciclo dei processi di nutrizione, non viene considerata in questa trattazione che ha per oggetto le fonti ‛inanimate' di energia. Essa ha un rilievo assai limitato nelle economie dei paesi industrialmente più progrediti. Tuttavia va sottolineato che, fino ad epoche abbastanza vicine a noi, aveva anche in questi paesi un'importanza basilare. Si è valutato, per esempio, che negli Stati Uniti ancora nel 1900 il lavoro dell'uomo e degli animali forniva oltre un quinto dell'energia meccanica consumata nel paese (v. Dewhurst, 1955, pp. 907 e 1116).
In armonia con quanto precede, può considerarsi quale fonte di energia qualsiasi sistema nel quale, per effetto di trasformazione, l'energia, che per lo più, ma non sempre, è potenziale (non lo è, ad esempio, l'energia eolica o l'irradiazione solare), si rende disponibile in forma tale da poter essere impiegata.
Sul piano economico e merceologico, la locuzione ‛fonte di energia' viene impiegata per indicare quella materia che prevale per importanza e caratterizza economicamente il processo di trasformazione, come per esempio il carbone fossile, l'olio combustibile, l'uranio. In questa trattazione non rientrano gli esplosivi, che pure producono lavoro, nè i propellenti speciali per razzi, liquidi o solidi, che vanno anch'essi acquistando sempre maggiore importanza.
Con un certo grado di convenzionalità una distinzione può esser fatta, sul piano suddetto, tra fonti naturali (o, più comunemente, ‛fonti primarie') e ‛fonti secondarie'.
Fonti primarie sono quelle esistenti in natura e con le quali si inizia il ciclo di trasformazione dell'energia. Esse sono suscettibili di utilizzazione diretta mediante conversione in una forma di energia che produce gli effetti voluti dall'utilizzatore (per esempio il riscaldamento dell'ambiente prodotto dall'energia termica ottenuta bruciando un combustibile fossile) ovvero si prestano alla conversione in altre fonti di energia dette ‛secondarie', nonché alla destinazione per fini non energetici (basta ricordare, a titolo di esempio, che i combustibili fossili quali il carbone, il petrolio e il gas naturale rappresentano materie prime essenziali per l'industria chimica). Nell'ultimo caso l'aliquota impiegata a questi fini deve essere considerata separatamente in quanto, mentre dal punto di vista merceologico si tratta pur sempre di fonte di energia, essa non entra come tale nel ciclo produttivo qui considerato.
Le fonti primarie di energia di maggior rilievo sono: combustibili (solidi, liquidi e gassosi), l'energia idraulica (acque superficiali, maree), il vapore endogeno (energia geotermica), i combustibili nucleari (ovvero i materiali fissili e, in futuro, quelli utilizzabili nel processo di fusione nucleare), i combustibili vegetali, il calore recuperato da reazioni chimiche esotermiche e i residui organici contenuti, ad esempio, nei rifiuti solidi urbani.
Si sogliono anche classificare le fonti primarie di energia in ‛tradizionali' e ‛non tradizionali'. Le prime sono quelle oggi più largamente diffuse in natura e impiegate secondo tecniche e prassi consolidate: sono i combustibili fossili, le cadute di acque superficiali, i combustibili vegetali e i residui organici; le altre sono i combustibili nucleari, il calore endogeno, le maree, il vento, il moto ondoso, il gradiente termico degli oceani, le radiazioni solari, la differenza di salinità fra le acque del mare e quelle dei fiumi. Questa classificazione ha evidentemente un valore contingente connesso con lo stato della tecnica e dell'economia dell'epoca in cui viviamo; in passato il vento è stato una delle fonti di energia di più universale impiego (nella navigazione, nei mulini) e in futuro lo saranno i combustibili nucleari. Secondo un'altra classificazione, indipendente dalla precedente, le fonti primarie di energia vengono distinte in ‛commerciali' e ‛non commerciali'. Fra le prime sono annoverate quelle oggetto di scambi conseguenti a contrattazioni su vasta scala in quell'ambito ideale che gli economisti chiamano mercato o quelle sfruttate mediante impianti estesi e complessi, com'è il caso dell'energia idraulica. Sono considerate ‛non commerciali' quelle oggetto di processi economici elementari, come i combustibili vegetali, o ottenute come prodotti secondari di altri cicli produttivi, come il calore che risulta da certi processi chimici. Anche questa classificazione è di carattere contingente. Fra le fonti ‛non commerciali' la legna da ardere ha avuto vasto mercato e importanza grandissima come combustibile, anche in un paese industrializzato come gli Stati Uniti, fino ad epoca relativamente recente.
Come già accennato, la fonte di energia ottenuta da una precedente trasformazione è detta ‛fonte secondaria'. Per lo più rientrano nella denominazione di ‛fonti secondarie' anche quelle che si potrebbero qualificare diversamente (per es. come ‛terziarie') quando si ha più di un processo di trasformazione in cascata.
A determinare la trasformazione (o conversione) delle fonti primarie in secondarie concorrono esigenze tecniche ed economiche. L'energia utilizzata (calore, energia luminosa, energia meccanica, ecc.) è cioè sovente quella ottenuta per conversione di una fonte secondaria quando: 1) la fonte primaria non sia idonea alla conversione, con i processi tecnicamente disponibili, nella forma di energia voluta per l'utilizzazione (non si può ottenere direttamente calore da una caduta d'acqua; non si può direttamente impiegare il petrolio grezzo per muovere un motore a combustione interna); 2) il processo di conversione e di utilizzazione risulti nel suo complesso più economico o perché il costo di tutti i fattori produttivi impiegati risulta minore per unità di energia utile ottenuta, o perché la forma di energia secondaria ha un pregio maggiore.
Con riferimento a quest'ultima circostanza, il processo di conversione delle fonti primarie in fonti secondarie è spesso denominato ‛nobilitazione' delle fonti di energia. Esso ha avuto uno sviluppo crescente nel tempo con l'estendersi e il moltiplicarsi delle utilizzazioni dell'energia e con il differenziarsi delle esigenze degli utilizzatori. Così l'attività di trasformazione presenta oggi, nell'ambito industriale ed economico in genere, una dimensione che un secolo fa era inconcepibile.
La conversione delle fonti primarie in secondarie (terziarie, ecc.) e, quella delle une e delle altre in energia utile comportano ‛perdite' e cioè effetti energetici non voluti, come la produzione di calore degradato.
3. Concetto generalizzato di potenza.
Il fabbisogno di energia nelle diverse forme utilizzabili non è costante nel tempo: esso varia per effetto sia di circostanze di natura casuale sia di ragioni d'ordine ciclico. La considerazione di questa variabilità nel tempo conduce al concetto di velocità di flusso dell'energia.
Posto, come già ricordato, che l'energia di un sistema isolato è costante, si considerino due sistemi interagenti reciprocamente, ma tali che il sistema somma dei due si possa considerare isolato. Mentre l'energia del sistema somma si manterrà costante nel tempo, l'energia di ciascuno dei due sistemi parziali interagenti generalmente non si manterrà tale nel tempo, ma varierà in modo che la somma resti costante, così che mentre l'una è crescente, l'altra è decrescente e viceversa. Si può quindi individuare energia ‛uscente' dall'uno ed ‛entrante' nell'altro sistema; la derivata rispetto al tempo delle due funzioni rappresenta la velocità con la quale l'energia ‛esce' o ‛entra', ossia è ceduta da un sistema all'altro. Questa velocità di flusso non è altro che la ‛potenza', suscettibile di svariate particolarizzazioni, come la ‛potenza meccanica', la ‛potenza elettrica', ecc.
Questa formulazione può essere generalizzata riferendola al trasferimento di materiali ‛fonti di energia' da un sistema a un altro, trasferimento che può essere concepito come un passaggio di energia da un sistema a un altro caratterizzato da certe velocità di flusso. Essendo l'energia l'integrale della potenza rispetto al tempo, secondo questa generalizzazione il totale delle fonti di energia trasferite in un certo intervallo di tempo sarà l'integrale della potenza con cui i trasferimenti hanno avuto luogo in quell'intervallo.
Chiamando ‛produttore' (o ‛fornitore') il sistema che cede energia e ‛consumatore' quello che la riceve, si constata come il processo di trasferimento (che può coincidere o meno con un processo di ‛conversione' dell'energia) sia caratterizzato dall'andamento della potenza rispetto al tempo. A parità di energia trasferita in un dato intervallo di tempo, la potenza o ‛potenzialità' dell'impianto che assicura il processo dovrà essere tanto maggiore quanto maggiore sarà la potenza massima registrata nell'intervallo. Dicesi ‛fattore di carico' il rapporto tra la potenza media nell'intervallo di tempo considerato nel quale avviene il processo e la potenzialità dell'impianto.
Dicesi ‛durata di utilizzazione' il rapporto tra l'energia trasferita e la potenzialità dell'impianto nell'intervallo di tempo considerato (in genere un anno). Tale durata pertanto corrisponde al tempo necessario per trasferire la stessa quantità di energia se l'impianto funzionasse a piena potenza.
Sotto alcune forme, l'energia è suscettibile di accumulazione in quantità significative e in condizioni tecnico-economiche accettabili. Due elementi essenziali caratterizzano un sistema di accumulazione e precisamente: 1) la capacità di accumulazione, rappresentata, a seconda dei casi, da un serbatoio idrico, da uno o più serbatoi di olio combustibile, da parchi carbone, ecc. Questa capacità è espressa in unità energetiche o in unità diverse, ma ad esse riferibili; 2) la potenzialità dell'impianto di accumulazione, che definisce la massima quantità di energia che può essere posta in riserva nell'unità di tempo: tale grandezza è espressa naturalmente in unità di potenza o in unità ad esse riconducibili.
Vincoli d'ordine fisico e criteri di convenienza economica delimitano e definiscono nei singoli casi concreti la dimensione di ciascuna delle due grandezze, cioè della potenzialità degli impianti e della capacità di accumulazione (o di immagazzinamento).
Nel trasferimento di energia fra due sistemi l'esigenza di un impianto di accumulazione, di capacità opportuna, si manifesta ogniqualvolta il sistema ricevente alimenta - direttamente o attraverso una o più conversioni - un impianto di utilizzazione che assorbe l'energia con un andamento nel tempo diverso da quello con cui essa viene trasferita dal sistema che alimenta a quello che riceve. In questo caso, peraltro frequente, la capacità di accumulazione deve essere adeguata allo scostamento massimo che si può verificare fra la quantità di energia immessa nel sistema ricevente e quella da esso erogata.
Va da sé, comunque, che, su tempi lunghi, il bilancio fra energia immessa ed energia erogata dal complesso dei due sistemi tende a pareggiarsi.
Considerazioni analoghe possono essere fatte anche per i trasporti delle fonti di energia. Per quelle accumulabili, tenuto conto dell'andamento del consumo nell'intervallo di tempo considerato, capacità di trasporto e capacità di di accumulazione sono strettamente legate, come lo sono potenzialità di produzione (o di conversione) e capacità di accumulazione. Per quelle non accumulabili, gli impianti oi mezzi di trasporto devono avere una potenzialità pari almeno al massimo flusso istantaneo necessario al consumatore.
Il concetto e la definizione di potenza, nel senso generalizzato in cui sono stati forniti, mostrano che a determinare le dimensioni degli impianti di produzione, conversione, trasporto e accumulazione delle fonti di energia (in breve, gli equipaggiamenti di un sistema produttivo e distributivo di energia) non concorre soltanto la produzione annua che deve soddisfare il consumo, ma anche l'andamento nel tempo e in particolare la potenza massima del consumo cui occorre far fronte.
4. Fonti primarie di energia.
L'origine prima, in senso assoluto, dell'energia utilizzabile sul nostro pianeta è di natura cosmica. Ai fenomeni cosmici è necessario risalire per classificare le fonti primarie di energia che l'uomo ha a disposizione e delle quali può valersi per ottenere gli effetti utili voluti. Queste fonti primarie sono molteplici, e svariate sono le possibilità di convertirle in fonti secondarie (e terziarie). Una sintesi delle fonti primarie, dei fenomeni da cui originano, dei processi di conversione cui possono essere sottoposte, delle fonti secondarie che ne derivano e delle relazioni di successione e di dipendenza fra tali processi e le forme utilizzabili di energia è fornita nel diagramma a blocchi della fig. i che riporta anche la destinazione delle fonti per scopi non energetici.
Le quattro sorgenti che figurano al sommo del diagramma e che sono all'origine delle fonti primarie sono: 1) il campo gravitazionale Sole-Terra-Luna, che provoca le maree; 2) la radiazione solare che determina sulla Terra l'evaporazione, da cui si originano le forze idrauliche e la differenza di salinità fra le acque dei mari e quelle dei fiumi, i movimenti dell'atmosfera, che danno luogo ai venti e al moto ondoso, l'irradiazione dei mari e delle terre emerse che provocano il gradiente termico dei mari, i processi biologici che sono all'origine dei combustibili fossili e di quelli di natura vegetale o animale; 3) la formazione del sistema solare, all'origine del calore endogeno; 4) la formazione degli elementi, all'origine dei combustibili nucleari.
Al livello successivo sono indicati nel diagramma i primi processi naturali o artificiali (con riguardo alla fonte nucleare), che danno luogo alle fonti energetiche primarie che figurano al terzo livello.
Al quarto livello si colloca l'energia termica in quei cicli di trasformazione per i quali essa rappresenta una fase intermedia obbligata, almeno allo stato attuale della tecnica.
Segue il livello che comprende le fasi che per loro natura sono denominate di ‛conversione diretta' in energia elettrica.
L'energia meccanica, che occupa il penultimo livello, è anche la fase obbligata di transizione per la produzione di energia elettrica, salvo i casi di conversione diretta.
L'ultimo livello rappresenta la fase appena precedente l'utilizzazione e comprende l'energia meccanica e l'energia termica, destinate all'utilizzazione diretta, e l'energia elettrica. In esso sono anche riportate, con diversa simbologia, le fonti destinate ad applicazioni diverse dalla produzione di energia: si tratta, come noto, dei combustibili fossili, preziosa materia prima per l'industria, e degli isotopi radioattivi, che trovano le applicazioni più svariate nella medicina, nell'industria, nell'agricoltura, ecc.
La natura pone quindi a disposizione dell'uomo, per i suoi bisogni in continua e sempre più rapida ascesa, le fonti energetiche primarie: la loro importanza dipende dalle quantità disponibili in natura e dallo stato della tecnica, cioè dai mezzi che l'uomo ha realizzato per estrarle e per convertirle in fonti secondarie di più diretta utilizzazione.
Come si è già accennato, fonti prime predominanti in passato nell'economia energetica mondiale sono oggi di importanza secondaria.
Attualmente le principali fonti primarie di energia utilizzate sono i combustibili fossili solidi (carbone, lignite), liquidi (petrolio) e gassosi (gas naturale), mentre è fortemente diminuita l'importanza dei combustibili solidi di provenienza vegetale. Questi ultimi sono tuttora utilizzati in molti paesi o regioni ancora poco industrializzati.
Un'importanza quantitativamente e qualitativamente rilevante (per quanto minore di quella dei combustibili fossili) ha l'energia idraulica dei corsi d'acqua, che è una fonte perenne, mentre i giacimenti di combustibili fossili sono soggetti ad esaurimento.
Nella tab. I sono riportati i dati della produzione mondiale (dal 1920 al 1975) di fonti ‛commerciali' di energia, cioè di energia idraulica, di combustibili e di energia geotermica e nucleotermoelettrica. Si tratta di dati non rigorosamente esatti, per l'imperfezione delle rilevazioni statistiche, ma sufficienti per delineare la ripartizione del consumo mondiale delle fonti primarie commerciali di energia e il loro tasso di sviluppo. Come si vede, il petrolio è attualmente la fonte di energia preponderante, seguito dal carbone e dal gas naturale. Questa situazione è il frutto di un'evoluzione degli ultimi decenni, nel corso dei quali il tasso di incremento del consumo del petrolio e del gas naturale è stato più elevato di quello del carbone. Relativamente elevato è stato anche il tasso di incremento della produzione di energia d'origine idraulica (praticamente tutta convertita in energia elettrica). La tabella riporta separatamente i dati dell'energia geotermica e dell'energia nucleare, convertite quasi totalmente in energia elettrica. La loro importanza è stata finora proporzionalmente molto modesta. Si valuta che nel 1975 la produzione mondiale di energia geotermoelettrica sia stata dell'ordine di 7 miliardi di kWh e quella di energia elettrica da fonte nucleare dell'ordine di circa 310 miliardi di kWh. Si tratta di cifre stimate e quindi suscettibili di rettifiche, tuttavia, anche con queste, il peso molto ridotto delle due fonti rispetto ai combustibili e all'energia idraulica non muterebbe. Bisogna dire, però, che la produzione di energia elettrica da fonte nucleare è aumentata molto rapidamente.
Negli ultimi venticinque anni la produzione e il consumo mondiale di energia idraulica e di combustibili sono aumentati a un tasso di circa il 4,7% medio annuo composto. L'ONU ha calcolato, nel 1955, che dalla metà del secolo scorso il consumo mondiale di fonti di energia è aumentato con tendenza esponenziale a un tasso di oltre il 3% annuo composto (v. ONU, 1956, p. 9).
P. C. Putnam ha espresso i consumi di energia dell'umanità mediante l'uso dell'unità di misura Q = 0,25•1018 kcal, idonea per grandissime quantità di energia. Il consumo mondiale di energia nel secolo compreso tra il 1850 e il 1950, secondo le sue valutazioni, sarebbe stato pari a 4 Q (v. Putnam, 1953, pp. 77-79). Nel successivo venticinquennio (1950-1975) è stato consumato all'incirca lo stesso quantitativo (4 Q) di energia da fonti commerciali. In un quarto di secolo il consumo mondiale è stato così pari a quello dell'intero secolo precedente, che pure è stato caratterizzato da intenso sviluppo economico e industriale. Questi fatti documentano la rapidità del ritmo di aumento del consumo mondiale di energia.
Per far fronte alla crescita esponenziale del consumo di fonti commerciali di energia occorre attingere alle riserve esistenti in natura di combustibili e di forze idrauliche ancora suscettibili di utilizzazione e fare assegnamento sulle fonti prime di energia non tradizionali in corso di sviluppo. A questo riguardo, è sull'energia nucleare che si concentra attualmente il più intenso impegno di ricerca e di sviluppo. Essa è in grado di fornire gli ingenti quantitativi aggiuntivi di energia dei quali l'umanità avrà bisogno; peraltro, la sua utilizzazione è ancora pressoché limitata alla produzione di énergia elettrica.
Come noto, l'energia nucleare trae origine da alcune reazioni nucleari che danno luogo a trasmutazioni di elementi accompagnate dalla liberazione di notevoli quantità di energia corrispondenti al ‛difetto di massa' che il complesso dei prodotti della reazione presenta rispetto al complesso degli elementi che ad essa hanno dato luogo, e ciò in base alla legge di Einstein.
I ‛generatori' di energia ottenuta dalla nuova fonte, o ‛reattori nucleari', si classificano in due grandi categorie secondo il tipo di reazione nucleare che in essi si verifica o che comunque assume importanza del tutto prevalente; essi sono i seguenti:
1. I ‛reattori a fissione', nei quali l'energia viene ottenuta dalla fissione dei nuclei di alcuni isotopi di elementi molto pesanti, fra cui, per esempio, l'uranio 235 e il plutonio 239.
La reazione di fissione, che deriva dall'interazione fra i nuclei menzionati e i neutroni, dà luogo alla divisione dei nuclei pesanti in due o più nuclei di elementi più leggeri e nello stesso tempo ad alcuni (due o tre) neutroni, che in parte interagiscono con altri nuclei fissili, determinando nuove reazioni esoenergetiche, in parte vengono ‛catturati' da altri nuclei presenti nel nocciolo del reattore, in particolare dall'isotopo 238U dell'uranio - del tutto prevalente nell'uranio naturale - che di conseguenza si trasforma nell'isotopo 239Pu del plutonio, che è fissile, e dal tono (elemento abbastanza diffuso in natura anche se a concentrazioni molto basse), il cui isotopo principale 232Th si trasforma nell'233U, anch'esso fissile. Gli elementi menzionati, 288U e 232Th, sono detti fertili, in quanto per effetto delle reazioni citate danno luogo a elementi artificiali fissili. Altri neutroni, infine, sono catturati dai materiali strutturali, dai prodotti di fissione, ecc. e pertanto vengono sottratti al ciclo della produzione di energia.
La reazione nucleare è del tipo ‛a catena' quando i neutroni che interagiscono con nuclei fissili dando luogo a reazioni di fissione sono in numero pari a quello delle fissioni dai quali hanno avuto origine; se questa condizione è soddisfatta la reazione si autosostiene.
A realizzare quest'ultima condizione concorrono vari fattori, tra cui è molto importante la velocità, e quindi l'energia cinetica, dei neutroni liberi che ‛popolano' il nocciolo del reattore. Di qui una classificazione dei reattori nucleari in due categorie: a) ‛reattori a neutroni termici', nei quali, a mezzo di un elemento detto ‛moderatore', i neutroni, emessi dalla fissione con energia cinetica elevata, vengono rallentati prima della loro interazione con i nuclei fissili sino alla velocità corrispondente alla temperatura che regna nel nocciolo del reattore (qualche centinaio di gradi); b) ‛reattori a neutroni veloci', nei quali le reazioni nucleari hanno luogo fra neutroni non rallentati (è dunque assente il moderatore) e i nuclei fissili.
I ‛reattori termici' vengono già applicati industrialmente in scala sempre più estesa: essi impiegano uranio naturale, ovvero, molto più spesso, uranio ‛arricchito' nell'isotopo 285U.
I ‛reattori veloci' sono ancora oggetto di sperimentazione, sia pure su larga scala, come si vedrà più avanti. Essi realizzano il cosiddetto ‛ciclo autofertilizzante' o breeder, in quanto trasformano elementi fertili presenti nel nocciolo (uranio naturale) in elementi fissili (plutonio 239) in misura maggiore del consumo di questi ultimi.
2. I ‛reattori a fusione', nei quali l'energia si libera per sintesi di elementi molto leggeri, formano oggetto di esperimenti su vasta scala, ma si è ancora piuttosto lontani da realizzazioni utili sul piano industriale.
Il Sole e gran parte delle altre stelle sono immensi reattori a fusione. Nei reattori di questo tipo la reazione esoenergetica ha luogo fra elementi leggeri, quali ad esempio alcuni isotopi dell'idrogeno (il deuterio 2H, il trizio 3H), che ‛fondendosi' in elementi più pesanti danno luogo alla conversione di massa in energia. La difficoltà sta nel fatto che queste reazioni ‛termonucleari' per autosostenersi implicano in particolare temperature dell'ordine di parecchie decine o addirittura centinaia di milioni di gradi.
Riservandoci di tornare più avanti sulle prospettive della produzione di energia da fusione, ricordiamo qui che ogni evento di fissione dell'235U libera circa 200 milioni di elettronvolt di energia; in altri termini, la fissione di 1 kg di 235U produce l'energia corrispondente alla combustione di 2.700 tonnellate di carbone.
Fra le altre fonti primarie di energia non tradizionali (v. fig. 1), il calore endogeno ha destato notevole interesse negli ultimi due decenni ed è attualmente oggetto di ricerche in varie aree del globo, in seguito a considerevoli progressi nelle tecniche dell'esplorazione geotermica. Vi sono stati recentemente interessanti ritrovamenti: le utilizzazioni in atto sono prevalentemente per la produzione di energia elettrica e in misura molto minore per il riscaldamento di ambienti.
I maggiori impianti geotermici sono stati realizzati in Italia; ve ne sono negli Stati Uniti, nella Nuova Zelanda, nel Giappone, nell'URSS, nel Messico, nel Salvador, in Turchia, in islanda (v. Facca, 1968).
Come è noto, la temperatura del sottosuolo è maggiore di quella della superficie terrestre e aumenta con la profondità (il gradiente geotermico è di solito all'incirca di 1 °C ogni 30 metri). Vi sono tuttavia aree caratterizzate dal fatto che la temperatura degli strati profondi assume valori molto più elevati. In alcune di queste aree è possibile reperire nel sottosuolo e portare alla superficie mediante trivellazioni, profonde in genere centinaia di metri, quantità rilevanti di vapore o di acqua calda o di ambedue (misti a gas non condensabili e talora a impurità allo stato solido), che, secondo le più recenti teorie, sono il risultato del riscaldamento e dell'evaporazione nel sottosuolo dell'acqua di origine meteorica: questa filtra nelle masse rocciose soprastanti le intrusioni magmatiche che hanno origine da strati profondi. Il vapore può avere, a seconda delle aree, caratteristiche di temperatura e di pressione assai diverse. Nella zona italiana di Larderello la temperatura è di 130÷230 °C e la pressione di 2÷5 kg/cm3. Sono valori, cioè, di molto inferiori a quelli relativi al vapore prodotto nelle caldaie delle moderne centrali termoelettriche, per cui le utilizzazioni geotermiche richiedono un macchinario particolare.
Anche l'energia delle maree è oggetto d'interesse per la produzione di energia elettrica. Naturalmente possibilità concrete sussistono nelle località dove le escursioni delle maree sono molto rilevanti e dove la configurazione naturale della costa consente l'installazione di impianti a costi ragionevoli. È controversa la valutazione della quantità di energia ottenibile dalle maree nel mondo; secondo l'oceanografo H. Jeffreys la potenza media dispersa dalle maree sull'intero globo terrestre totalizzerebbe 1,1 miliardi di kW, un'entità cioè pari all'incirca alla potenza di tutti gli impianti generatori di energia elettrica esistenti attualmente nel mondo; secondo altri, tale potenza media sarebbe dell'ordine di 300 milioni di kW. Si tratta comunque di cifre ragguardevoli. Numerose sono le utilizzazioni, anche grandiose, studiate per varie località (in Francia, nell'URSS, negli Stati Uniti, in Gran Bretagna); di queste, tuttavia, una sola è stata realizzata, quella sull'estuario del fiume Rance, in Francia, con una centrale elettrica maremotrice della potenza di 240.000 kW, concepita come una sperimentazione in grande scala di un progetto di utilizzazione ben più imponente.
Lo sviluppo della produzione di energia maremotrice trova un limite nel fatto che gli impianti hanno costi non competitivi e la potenza da essi resa disponibile presenta un andamento fortemente mutevole nel tempo.
Tra le fonti primarie di energia che prendono origine dalla radiazione solare, sono considerate ‛non tradizionali' il vento, il moto ondoso, il gradiente termico del mare, l'energia radiante e la differenza di salinità fra le acque del mare e quelle dei fiumi.
L'energia del vento come tale è inesauribile ed è ampiamente disponibile, in modo variamente concentrato, su tutta la superficie del globo. È stato stimato che un'utilizzazione molto spinta dell'energia eolica, prescindendo da considerazioni sui costi di conversione in energia meccanica utilizzabile, potrebbe fornire su scala mondiale annualmente una quantità di energia dell'ordine di 0,1 Q. Uno dei maggiori inconvenienti per il suo impiego deriva dalla sua discontinuità, dovuta al variare dell'intensità dei venti e accentuata dal fatto che la potenza erogabile da un motore eolico è pressoché proporzionale al cubo della velocità del vento. Ne segue che la sua utilizzazione è attualmente limitata a pochi e modesti impieghi.
Il moto ondoso del mare presenta anch'esso forte discontinuità: la sua utilizzazione è ostacolata dal costo degli impianti per convertirlo in energia meccanica utilizzabile; sono stati studiati dispositivi e fatte esperienze, ma le realizzazioni su scala industriale sono tuttora assolutamente antieconomiche e comportano problemi insoluti (v. Gariel, 1957, p. 407).
Si è pensato anche all'utilizzazione, ai fini della produzione di energia, del gradiente termico del mare, dovuto alla differenza di temperatura fra le masse d'acqua superficiali, riscaldate dal Sole, e quelle profonde, che non lo sono. In base a recenti studi si prevedono possibilità di utilizzazione di questa fonte energetica nei mari delle zone tropicali per la produzione di energia elettrica o di idrogeno o di combustibili sintetici (ad esempio metanolo).
La radiazione solare convoglia sulla Terra una quantità di energia molto maggiore di quella rappresentata da tutte le risorse conosciute di combustibili fossili e nucleari.
Al di sopra dell'atmosfera terrestre, il flusso dell'energia radiante solare equivale a circa 1,4 kW per m2 di superficie normale alla direzione dei raggi solari, con una variazione stagionale del 6,8% dovuta all'ellitticità dell'orbita terrestre: ne segue che la Terra intercetta un flusso di energia solare dell'ordine di 170.000 miliardi di kW. L'assorbimento e la riflessione da parte dell'atmosfera riducono in modo rilevante e mutevole la quantità di energia incidente sulla superficie terrestre, in funzione della latitudine, della quota, delle condizioni atmosferiche e delle stagioni. L'energia solare annualmente incidente sulle terre emerse del globo è di un'entità che sta, a seconda delle stime, fra 600 e 1.000 Q. Si tratta di quantità enormi. È stato valutato che, qualora negli Stati Uniti (paese a elevato consumo energetico) il 2% della superficie fosse destinato alla captazione dell'energia solare e il rendimento di conversione fosse del 10%, il paese otterrebbe un quantitativo di energia dell'ordine di cinque volte il suo fabbisogno energetico complessivo.
L'impiego dell'energia solare come fonte commerciale sostitutiva di altre fonti energetiche ha riguardato in passato applicazioni per la produzione su piccola scala di acqua dissalata e per il riscaldamento di acqua per usi domestici.
Applicazioni su vasta scala che potenzialmente appaiono più facilmente e più convenientemente riconducibili all'utilizzazione dell'energia solare sono quelle domestiche per il riscaldamento dell'acqua e quelle per il riscaldamento degli ambienti.
Si tratta di applicazioni tecnicamente acquisite o in avanzato sviluppo, che presentano caratteristiche potenziali che potranno risultare interessanti anche sotto il profilo economico; le prospettive economiche si basano principalmente sulla produzione di massa, sull'impiego di materiali poco costosi e sullo sviluppo di sistemi flessibili e adattabili a un'ampia varietà di situazioni; essi dovrebbero più che bilanciare l'uso dei sistemi integrativi o l'adozione di isolamenti molto spinti o infine il ricorso all'accumulo dell'energia, che si potranno rendere necessari data la grande variabilità dell'irradiazione solare.
La conversione energia solare-energia elettrica è stata studiata in passato anche sperimentalmente ed è oggetto di rinnovata attenzione. I costi elevatissimi che caratterizzano oggi il kWh di origine solare unitamente alle sfavorevoli caratteristiche di variabilità e densità fanno apparire però problematico l'impiego industriale di questa fonte per la produzione di energia elettrica almeno per i prossimi decenni.
La differenza di salinità fra le acque dei mari e quelle dei fiumi rende disponibile alle foci dei fiumi energia potenziale di natura fisico-chimica, che potrebbe essere convertita direttamente in energia elettrica. Gli studi sulle possibilità di utilizzazione di questa fonte energetica sono solo all'inizio.
5. Conversione delle fonti di energia ai fini dell'utilizzazione.
Le fonti di energia sono caratterizzate, entro limiti che la tecnica rende sempre più ampi, dal requisito della surrogabilità tanto nell'utilizzazione quanto nella conversione. Da una fonte primaria si possono ottenere, con processi di conversione distinti o congiunti, più fonti secondarie, in proporzioni diverse: per esempio, dal petrolio greggio si possono avere fonti secondarie di energia secondo proporzioni che possono variare, a seconda delle esigenze, entro limiti abbastanza ampi. Di contro, una certa fonte secondaria può essere ricavata da fonti primarie diverse; così la benzina può ottenersi dal carbone, anziché dal petrolio; esempio ancor più tipico è l'energia elettrica.
Il ciclo dell'energia - dall'‛estrazione' (intesa nel senso più generale) delle fonti primarie al trasporto delle stesse sui luoghi dove saranno utilizzate o convertite fino all'utilizzazione - è soggetto a varie condizioni e in particolare a criteri di economicità. L'obiettivo dell'utilizzatore è infatti quello di ottenere l'energia nella forma che gli occorre al minimo costo finale, avuto riguardo a tutte le componenti che lo determinano: entrano pertanto nel conto le spese d'impianto e di esercizio, le perdite e l'influenza di certe caratteristiche del processo produttivo.
Questa considerazione si applica in particolare ai processi di conversione delle fonti primarie di .energia in fonti secondarie, rappresentati nella fig. 1. Dal terzo livello del diagramma, quello delle fonti primarie, si passa ai livelli successivi i quali indicano le forme di energia (termica, meccanica, elettrica) ottenibili dalle fonti primarie, impiegate direttamente o convertite in fonti secondarie. Infatti i combustibili solidi, liquidi e gassosi possono essere utilizzati direttamente in processi di conversione o di utilizzazione, ovvero possono essere convertiti in combustibili secondari, o perché questi sono di più comodo ed economico impiego o perché vi sono limiti tecnologici all'utilizzazione dei combustibili primari.
Gli impianti dove i combustibili primari vengono convertiti in combustibili secondari sono principalmente: a) le cokerie (trasformazione di combustibili fossili solidi); b) gli altiforni (a valle delle cokerie); c) le officine del gas (trasformazione di combustibili solidi, liquidi e gassosi); d) le raffinerie (trasformazione di combustibili liquidi e anche gassosi) alle quali si sogliono affiancare, nonostante la diversa funzione, gli impianti di degasolinaggio; e) le carbonaie (trasformazione di combustibili vegetali).
La posizione di questi impianti nel ciclo dell'energia risulta dal diagramma della fig. 2, che rappresenta schematicamente il flusso dell'energia nell'anno 1974 nei paesi dell'OCDE, dall'‛estrazione' delle fonti primarie sino all'utilizzazione.
Appaiono evidenti dal diagramma il contributo prevalente dei combustibili per la copertura del fabbisogno di energia e il fatto che gran parte dei combustibili primari viene trasformata in combustibili secondari (benzina, gasolio, olio combustibile, coke, ecc.) per l'utilizzazione diretta o per la conversione in energia elettrica.
Le cokerie operano il trattamento del carbone: sono dette ‛chimiche' quando producono gas di distillazione per l'industria chimica e carbone coke, ‛metallurgiche' (e di solito sono associate agli impianti siderurgici) quando producono coke destinato agli altiforni, mentre i gas ottenuti dal processo sono impiegati come combustibili. La produzione mondiale di coke da cokeria per il 1973 è indicata dalle statistiche dell'ONU in 367 milioni di tonnellate; questa cifra dà un'idea dell'entità complessiva delle cokerie nel mondo.
Le officine del gas, che in passato distillavano soltanto il carbone fossile traendone coke e altri derivati non energetici, trattano ora anche derivati del petrolio e gas naturale mediante vari processi di conversione; ragioni di economicità e disponibilità di gas naturale, che può essere altresì distribuito e utilizzato tal quale, sono all'origine di questo profondo cambiamento delle officine del gas. La produzione mondiale di gas d'officina oggi è difficilmente valutabile, a causa dei processi di trasformazione delle caratteristiche tecniche delle officine o della loro riduzione a puri e semplici centri di raccolta di reti attraverso le quali viene distribuito gas naturale: di qui la conseguente incertezza o indisponibilità delle statistiche di molti paesi. L'ordine di grandezza della produzione mondiale di gas d'officina propriamente detto, nel 1973 è indicato in 24 miliardi di metri cubi riportati al potere calorifico di circa 4.200 kcal per metro cubo, sempre secondo le statistiche dell'ONU.
Il trattamento del petrolio greggio al fine di ottenere combustibili secondari, in gran prevalenza liquidi, ma anche gassosi e solidi (coke di petrolio), oltre che certi prodotti non energetici, avviene nelle raffinerie. Questi impianti hanno raggiunto grandi dimensioni, per realizzare elevate economie di scala, e pertanto notevole complessità per la varietà dei prodotti energetici richiesti dal mercato (si prescinde qui dagli aspetti annessi all'impiego del petrolio e dei suoi derivati come materia prima chimica). Le raffinerie esistenti nel mondo avevano all'inizio del 1975 una capacità di trattamento di circa 3,4 miliardi di tonnellate di petrolio all'anno (per la distribuzione territoriale si veda la tab. II). La tendenza ha portato alla costruzione di raffinerie sempre più grandi: vi sono raffinerie capaci di trattare oltre 30 milioni di tonnellate di petrolio all'anno.
Le carbonaie infine, mezzo semplice e rustico per la carbonizzazione dei combustibili vegetali, hanno ormai importanza assai modesta nei paesi industrialmente avanzati, mentre sono ancora largamente utilizzate in vari paesi in via di sviluppo.
I livelli nella parte inferiore della fig. 1 indicano le forme di energia dedotte dalle precedenti per utilizzazione finale o conversione in altre forme di energia. Le alternative possibili sono numerose, data la surrogabilità; tuttavia le fonti di energia possono distinguersi a tal fine in due categorie: quelle dirette produttrici di energia termica (i combustibili fossili, vegetali e nucleari, il calore endogeno, le radiazioni solari, il gradiente termico degli oceani) e quelle dirette produttrici di energia meccanica (l'energia idraulica potenziale, le maree, il vento, il moto ondoso). Inoltre, dall'energia termica ottenuta da alcune fonti è possibile ottenere energia elettrica - escludendo la conversione intermedia dell'energia termica in energia meccanica - mediante processi di ‛conversione diretta', i quali sono ancora oggetto di studio e di ricerca.
Come risulta dalla fig. 2, l'utilizzazione dell'energia termica è di gran lunga prevalente e pertanto impegna grandi quantità di combustibili primari e secondari; in misura più limitata sono utilizzate altre fonti secondarie, come l'energia elettrica.
L'energia meccanica si ottiene dalla conversione dell'energia termica, oppure direttamente da alcune fonti prime, cioè dall'energia idraulica, da quella del vento, da quella delle maree.
La conversione dell'energia termica in energia meccanica avviene mediante i ‛motori termici': motori a combustione interna e turbine.
Oggi i processi di conversione dell'energia termica in meccanica hanno per oggetto, con grandissima prevalenza, l'energia termica ottenuta dai combustibili. I rendimenti conseguibili nei principali motori termici di corrente impiego nell'industria, nei trasporti e nelle altre attività comuni sono all'incirca i seguenti:
motori a scoppio a ciclo Otto 25%
motori a scoppio a ciclo Diesel 38%
turbine a gas per aeromobili 35%
turbine a gas in impianti fissi 34%
turbine a vapore per navi 35%
turbine a vapore in impianti fissi 45%
macchine a vapore alternative per navi 20%
In effetti i rendimenti medi sono inferiori, se non altro perché molti motori termici esistenti nel mondo sono ormai invecchiati.
L'utilizzazione finale dell'energia radiante solare è prevalentemente per produzione di calore, impiegato per la dissalazione dell'acqua di mare in impianti di dimensioni modeste (ne esistono in Grecia, nel Messico e in altri paesi), per la produzione di acqua calda per usi domestici, per la climatizzazione di ambienti.
In alcune applicazioni le radiazioni sono concentrate a mezzo di lenti o di specchi orientabili rivolti sempre in direzione del Sole; si possono così ottenere temperature di 3.000 °C e oltre che sono proprie dei cosiddetti ‛forni solari', impiegati in particolari circostanze in metallurgia, nel trattamento di materiali refrattari, per provocare reazioni chimiche e anche per produrre vapore ad alta temperatura. Queste utilizzazioni, per quanto interessanti, sono di entità relativamente modesta e hanno per lo più carattere ancora sperimentale.
Un'altra fonte di energia sotto forma termica sono i vapori o l'acqua calda di origine endogena, dei quali si è detto.
Come si è indicato, l'energia idraulica, il vento, le maree forniscono energia meccanica che può essere utilizzata direttamente come tale mediante i motori idraulici e a vento. L'energia del vento ha avuto una parte fondamentale nello sviluppo dei trasporti marittimi. Le maree sono state utilizzate fin dal sec. XII per azionare mulini costruiti in luoghi adatti.
L'energia meccanica dell'acqua e del vento ha avuto una grande importanza nello sviluppo economico e di conseguenza nell'evoluzione delle società occidentali, come l'hanno avuta, sebbene su scala estremamente più grande, i combustibili fossili a partire dal sec. XVIII, dopo che la macchina a vapore ebbe portato con sé l'utilizzazione su larga scala del carbone.
L'utilizzazione di queste fonti prime meccaniche, soprattutto dell'energia idraulica potenziale che, come si è detto, è l'unica ancor oggi veramente importante, è attualmente destinata soprattutto alla conversione in energia elettrica.
La conversione dell'energia meccanica in energia elettrica nonché quella dell'energia termica in energia meccanica, quando l'energia elettrica è ottenuta partendo da combustibili o da calore endogeno, hanno luogo in unità generatrici o centrali elettriche che nella prassi tecnica corrente si distinguono in termoelettriche, idroelettriche, maremotrici e anemoelettriche (la denominazione di centrale si addice ai primi tipi di impianto, non al quarto) a seconda che utilizzino l'energia termica, convertendola in energia meccanica, o le energie meccaniche rispettivamente dei corsi d'acqua, delle maree o del vento.
Si è soliti distinguere le ‛centrali termoelettriche' in centrali a combustibili fossili, centrali a vapore endogeno o geotermiche e centrali nucleari, a seconda della sorgente del calore impiegato.
Le centrali termoelettriche tradizionali si distinguono, a seconda del tipo di motore primo e di fluido impiegato per convertire l'energia termica in energia meccanica, in centrali a vapore, centrali Diesel e centrali con turbine a gas. Le prime possono utilizzare vari tipi di combustibile per produrre il vapore, in particolare carbone, olio combustibile, gas naturale, petrolio greggio, lignite, ecc. Le centrali termoelettriche tradizionali sono spesso equipaggiate per bruciare in alternativa due o anche tre tipi di combustibile.
Categoria a sé costituiscono le centrali che impiegano vapore endogeno.
Le centrali termoelettriche costituiscono in alcuni casi gli elementi essenziali di un sistema di produzione nell'ambito del quale possono ricevere alimento da fonti secondarie di energia rese disponibili da una o più fasi del ciclo produttivo, così come possono presentare caratteristiche tali da associare alla produzione di energia elettrica quella del calore occorrente per gli scopi più diversi. Si hanno in tal modo impianti termoelettrici a finalità multiple che si giustificano quando, oltre a offrire le migliori garanzie di affidabilità - tanto più necessarie in quanto realizzano più scopi -, avvantaggiano l'economia del sistema di cui fanno parte.
Esempi tipici sono rappresentati: 1) dagli impianti termoelettrici che in un complesso siderurgico impiegano quale combustibile il gas reso disponibile dal ciclo produttivo dell'acciaio e concorrono alla fornitura di energia elettrica occorrente agli stabilimenti; 2) dagli impianti termici destinati alla produzione contemporanea e integrata del vapore e dell'energia elettrica occorrenti per il ciclo produttivo; 3) dagli impianti termici a vapore o a gas che alla produzione di energia elettrica associano quella del calore - a mezzo di vapore o gas caldi - a scopo di riscaldamento di ambienti (interi quartieri di città, piste di aeroporti, ecc.).
Nelle centrali a vapore la tecnologia ha consentito rilevanti incrementi di rendimento sia, come già accennato, nella trasformazione dell'energia termica in meccanica, sia nella trasformazione di questa in elettrica. Questi incrementi sono stati ottenuti aumentando la temperatura e la pressione del vapore sino a raggiungere anche valori ipercritici. Inoltre sono aumentate le dimensioni unitarie delle caldaie e dei turbogeneratori (gruppi turbina-alternatore) che da qualche diecina o dal centinaio di migliaia di kW correnti venticinque anni orsono, sono passate a varie centinaia di migliaia di kW e raggiungono e superano oggi il milione di kW. Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza gli sviluppi della metallurgia dei materiali resistenti alle alte temperature, delle tecniche di progettazione e di fabbricazione delle caldaie e delle turbine, della chimica dell'acqua, delle tecniche di combustione, ecc. (v. metallurgia e siderurgia). Si è così passati da rendimenti dell'ordine del 5%, intorno al 1900, a rendimenti di circa il 30%, nel 1940, e del 40-42% per le unità moderne più efficienti in esercizio e in costruzione.
L'aumento dei rendimenti ha ridotto il consumo e quindi il costo del combustibile per kWh prodotto; quello delle dimensioni unitarie dei gruppi generatori e delle centrali (le quali possono consistere di uno o più gruppi) ha ridotto i costi unitari di impianto e con essi le spese di capitale per kWh prodotto; l'aumento delle dimensioni ha altresì consentito una riduzione delle spese unitarie di esercizio e manutenzione, in particolare di quelle per il personale.
Le centrali geotermoelettriche esistenti funzionano con vapore naturale secco o poco umido. La prima applicazione risale al 1904 ed ebbe luogo in Italia, nella zona di Larderello in Toscana; un piccolo motore alternativo mosso da vapore naturale azionava una dinamo, la cui energia era impiegata per l'illuminazione del centro abitato di Larderello. Anche l'utilizzazione del vapore endogeno per la produzione di energia elettrica ha di molto progredito: si sono realizzati gruppi sempre più potenti (fino a 30.000 kW) concentrando la produzione in un numero relativamente ristretto di centrali mediante un maggiore sviluppo delle canalizzazioni per l'adduzione del vapore sino ai limiti dettati dall'economia della produzione.
Progressi sono stati conseguiti con l'impiego diretto del vapore in turbina (in impianti a condensazione) e i rendimenti medi delle centrali sono notevolmente aumentati. Nel 1975 in Italia il consumo medio di vapore per ogni kWh prodotto negli impianti geotermoelettrici è stato di 11,4 kg.
Caratteristiche tecnico-economiche peculiari di questo tipo di centrali sono la costanza e la continuità della potenza erogata, conseguenti alla costante disponibilità del flusso di vapore. L'esperienza ha indicato che l'esaurimento delle sorgenti endogene è estremamente lento.
Le centrali Diesel-elettriche hanno oggi una funzione di modesta entità nella produzione di energia elettrica; tuttavia, in particolari località lontane da grandi centri di produzione e con consumi modesti, esse trovano utile impiego per la facilità di messa in marcia, la limitata necessità di acqua di raffreddamento e la semplicità di esercizio. I loro progressi, anche quanto a dimensioni, sono legati a quelli dei motori Diesel.
Le centrali con turbine a gas si diffondono più rapidamente delle centrali Diesel-elettriche per le loro migliori caratteristiche tecnico-economiche: basso costo specifico d'impianto, potenza unitaria dell'ordine anche di diverse diecine di migliaia di kW, notevole rapidità di entrata in funzione e capacità di adeguarsi alle variazioni della domanda di energia. Per queste loro favorevoli caratteristiche - alle quali si contrappone un elevato consumo specifico di combustibile - il loro impiego si va estendendo, in particolare, per servizi discontinui e di riserva.
Nelle centrali termoelettriche nucleari (o elettronucleari o nucleotermoelettriche) il vapore è prodotto a partire da ‛combustibili' nucleari anziché tradizionali. Da quanto già detto emerge che il termine ‛combustibile', applicato alle materie fissili e fertili, viene usato per analogia, in quanto la produzione di calore è originata da reazioni nucleari di fissione anziché da reazioni chimiche di vera e propria combustione. Nelle centrali nucleari si distinguono: una parte nucleare vera e propria, detta talvolta ‛isola nucleare', rappresentata essenzialmente dal reattore, nella quale avviene la ‛combustione' degli elementi fissili, e la parte ‛tradizionale', che, come nelle centrali a vapore a combustibili fossili, assicura l'utilizzazione del vapore (prodotto col calore ottenuto nel reattore anziché nella caldaia tradizionale) per la produzione di energia meccanica e la conversione di questa in energia elettrica.
È stato già ricordato in brevissimi termini il modo secondo cui avviene la produzione di energia in un reattore nucleare.
L'andamento della reazione a catena deve essere regolato mediante opportuni mezzi (barre di regolazione) perché il flusso di calore prodotto nel reattore non ecceda il flusso di calore da esso ‛estratto'.
Tanto sotto il profilo concettuale quanto sotto l'aspetto costruttivo, l'estrazione del calore dagli elementi-combustibili che compongono il nocciolo di ogni reattore nucleare, e il suo trasferimento alla parte tradizionale dell'impianto rappresentano uno dei problemi più impegnativi e complessi della realizzazione e dello sviluppo delle centrali nucleari. In ogni reattore nucleare è presente e in circolazione un fluido termovettore o veicolo termico.
I reattori si sogliono distinguere per le varie materie che impiegano come moderatore e come refrigerante. Ben diversamente da quanto avviene per i generatori di vapore tradizionali, le soluzioni sono molteplici e così diverse, non solo strutturalmente, ma anche concettualmente, da implicare tecnologie e materiali spesso tanto dissimili da richiedere appositi indirizzi e specializzazioni nella ricerca applicata e nelle realizzazioni conseguenti.
Si hanno così varie ‛filiere' di reattori termici, alcune delle quali portano a risultati economici (cioè costi del kWh prodotto) effettivi o prevedibili molto simili; tre di esse sono dette di ‛tipo provato' in quanto già sperimentate in impianti industriali di grande potenza; si tratta di: a) due versioni di reattori a uranio leggermente arricchito, che impiegano l'acqua naturale quale moderatore e quale veicolo termico; in un tipo l'acqua è in pressione, nell'altro è in ebollizione; b) il reattore a uranio naturale, moderato a grafite e raffreddato con anidride carbonica (peraltro oggi abbandonato); c) il reattore a uranio naturale moderato e raffreddato ad acqua pesante.
Si sono altresì concepiti reattori capaci di utilizzare il contenuto potenziale dell'uranio e del tono in misura più elevata di quanto non avvenga con i tipi provati; sono i reattori convertitori di tipo avanzato (tra i quali rientra il reattore prima citato a uranio naturale-acqua pesante sviluppato in Canada) e i reattori ‛autofertilizzanti' (breeders), dei quali sarà detto più avanti.
Le applicazioni pacifiche dell'energia nucleare hanno preso le mosse dall'esperienza di Chicago del 1942, con la quale Enrico Fermi dimostrò per la prima volta la possibilità di innescare e controllare la reazione a catena della fissione dei nuclei di uranio.
La prima produzione di energia elettrica da combustibili nucleari risale al 1951 e avvenne negli Stati Uniti in un impianto previsto Originariamente per altri scopi; la prima centrale elettronucleare sperimentale, della potenza di 5.000 kW, entrò in servizio nel 1954 nell'URSS. Le prime centrali nucleari di dimensioni rilevanti, da 100.000 a 300.000 kW, e di carattere industriale, sebbene caratterizzate da un costo di produzione del kWh superiore a quello delle centrali termoelettriche tradizionali, sono entrate in servizio a partire dal 1960. Successivamente sono state progettate e poste in costruzione centrali di dimensioni sempre maggiori e sempre più numerose.
Alla fine del 1975 le unità elettronucleari in servizio nel mondo in centrali di potenza uguale o superiore a 100.000 kW totalizzavano una potenza di circa 74 milioni di kW e quelle in fase di realizzazione una potenza di circa 313 milioni di kW (v. tab. III). La produzione di energia elettronucleare è stata nel 1975 dell'ordine di 310 miliardi di kWh.
Nelle centrali idroelettriche ha luogo la conversione dell'energia potenziale delle acque defluenti dai bacini imbriferi montani in energia meccanica e di questa in energia elettrica.
Tali impianti sono detti ad acqua fluente quando l'andamento nel tempo del deflusso utilizzato non subisce mutamenti per effetto di apprezzabili capacità regolatrici e il deflusso stesso viene utilizzato tal quale, beninteso entro il limite della portata massima utilizzabile con il macchinario installato.
Quando le caratteristiche orografiche e morfologiche del bacino imbrifero lo consentono e i costi delle opere rientrano nei limiti economici, con riguardo al valore dell'energia producibile, il deflusso utilizzato negli impianti idroelettrici viene regolato mediante serbatoi che consentono di accumulare i deflussi naturali nei periodi di scarsa richiesta di energia e di utilizzarli intensivamente nei periodi di maggior fabbisogno. Questo adattamento della produzione alle mutevoli occorrenze di energia può aver luogo in ambito giornaliero, settimanale, stagionale e pluriennale. È facile intendere che le capacità occorrenti sono tanto maggiori quanto più lungo è il periodo entro cui ha luogo il ciclo invaso (accumulazione)-svaso (utilizzazione) del serbatoio.
Quando le condizioni sono favorevoli sotto il profilo tecnico ed economico, all'energia corrispondente ai deflussi naturali trattenuti nei serbatoi si aggiunge talvolta l'accumulazione di energia proveniente da altri impianti (idroelettrici o termoelettrici), che viene destinata al sollevamento nel serbatoio di regolazione di acque defluenti a quota inferiore, per lo più trattenute da uno sbarramento del corso d'acqua o, meglio, raccolte in un altro serbatoio naturale o artificiale. In questo caso l'energia elettrica da accumulare sotto forma di energia potenziale viene convertita in energia meccanica mediante motori elettrici e quindi da questi trasmessa alle pompe (generalmente coassiali con i motori) che sollevano l'acqua nel serbatoio superiore. L'utilizzazione avviene mediante il ciclo inverso, che è quello tipico degli impianti idroelettrici.
Di solito il macchinario di produzione e quello di accumulazione dell'energia sono installati nella stessa centrale. Al limite, un impianto idroelettrico a doppio scopo del tipo sommariamente descritto può essere previsto soltanto per un ciclo in cui la produzione è limitata a quella ottenibile dall'acqua posta in riserva mediante sollevamento da un serbatoio inferiore a un serbatoio superiore in assenza di ogni deflusso naturale. In questo caso si hanno impianti detti di ‛puro pompaggio'. Ne esistono già parecchi e anche per potenze ragguardevoli; tra essi va menzionato quello di Roncovalgrande (lago Delio) nell'Italia settentrionale, della potenza di 1.000.000 kW, completato recentemente.
I progressi conseguiti negli impianti idroelettrici, compresi quelli di accumulazione per pompaggio, sono dovuti all'aumento delle potenze unitarie, all'utilizzazione spinta delle acque di interi bacini imbriferi, al coordinamento della progettazione e dell'esercizio delle centrali idroelettriche fra di loro e con le centrali termoelettriche, utilizzando soprattutto l'immediatezza della loro risposta alla variabilità della domanda.
L'economicità degli impianti dipende in primo luogo dalle caratteristiche dei bacini imbriferi e dall'entità delle opere necessarie per l'utilizzazione delle acque. Come detto, un apporto all'economicità è dato dalla concentrazione delle utilizzazioni in poche grandi centrali e dall'aumento delle dimensioni unitarie del macchinario: le massime potenze unitarie delle turbine sorpassano ormai i 500.000 kW; anche per gli impianti di pompaggio, le potenze unitarie del macchinario sono ormai rilevanti (250.000 kW).
Sulle ‛centrali maremotrici' e sugli ‛impianti eolici' non ci si soffermerà ulteriormente, dato lo scarso rilievo del loro contributo alla copertura dei fabbisogni di energia.
L'energia elettrica occupa un posto particolare tra le fonti secondarie di energia e ciò per alcuni caratteri peculiari; in particolare perché: 1) può ottenersi a mezzo di processi di conversione, per lo più economici e affidabili, dalle fonti primarie più accessibili e cospicue; 2) può essere convertita economicamente e agevolmente, con rendimenti di solito molto elevati, nelle forme utilizzabili per gli impieghi più svariati, e ciò con potenza costantemente adeguata al fabbisogno, quale che sia il suo andamento nel tempo; 3) può essere prodotta in quantità notevoli in centrali di grande potenza (dell'ordine anche di vari milioni di kW) con vantaggio per l'affidabilità, la sicurezza e l'economia della produzione; 4) può essere trasmessa con perdite modeste, in modo continuo e sicuro, anche in grandi quantità, a distanze che raggiungono e oltrepassano i 1.500 km. Ne segue che l'energia prodotta nelle aree che offrono le condizioni migliori si rende disponibile nei centri di consumo, anche se molto distanti; 5) può essere recapitata a un'utenza molto diffusa in territori molto vasti mediante una rete di distribuzione che raggiunge tutti gli utilizzatori grandi, medi (per es., grandi e medie industrie) e piccoli (per es., piccole industrie e utenze domestiche); 6) è indubbiamente, sotto il profilo ecologico, la forma di energia più ‛pulita'.
L'energia elettrica, per queste caratteristiche di versatilità di impiego, capillarità di distribuzione ed estrema frazionabilità di consegna, facilità e pulizia d'uso e per altri vantaggi tecnologici, è una fonte di energia estremamente pregiata; la sua produzione e il suo impiego sono pertanto aumentati molto più rapidamente, come risulta dalla tab. IV, della produzione e del consumo di fonti primarie di energia; ne segue che la percentuale di fonti primarie convertita in energia elettrica è aumentata nel mondo in modo continuo e che questa tendenza prevedibilmente si manterrà anche per il futuro.
La potenza installata nelle centrali elettriche esistenti nel mondo era valutabile, alla fine del 1974, in quasi 1,5 miliardi di kW, di cui 1,2 in centrali termoelettriche (e fra queste quelle nucleari contavano solo circa 67 milioni di kW) e 0,3 in centrali idroelettriche; le centrali maremotrici e gli impianti anemoelettrici rappresentano frazioni proporzionalmente trascurabili della potenza totale.
6. Regolazione del flusso di energia: il problema dell'accumulazione.
Uno dei principali fattori che incidono sull'economicità dell'energia utile è dato dal fatto che gli utenti prelevano e consumano l'energia secondo le loro necessità e quindi con un andamento temporale determinato da queste. Alcune di queste necessità sono condizionate da fattori naturali: il consumo di energia per illuminazione ha luogo in grandissima prevalenza nelle ore in cui manca o è scarsa l'illuminazione naturale; il consumo di energia per il riscaldamento dei locali ha luogo nella stagione fredda; inversamente avviene per la ventilazione e il condizionamento dell'aria. Gli esempi si potrebbero moltiplicare. Altre necessità derivano da fattori e da abitudini sociali, quale, ad esempio, il ciclo delle giornate lavorative e delle giornate di riposo.
Dato che in genere il costo dell'energia allo stadio dell'utilizzazione non è tale da far mutare abitudini o da far passare in seconda linea altri fattori economici e sociali, il consumo di energia ha un andamento nel tempo indipendente dalla disponibilità di energia. Questa si deve adeguare a quello e non viceversa.
Caratteristici dello stadio dell'utilizzazione dell'energia sono la velocità di flusso dell'utilizzazione (ossia la potenza) e il suo andamento nel tempo.
Il consumo, che rappresenta l'ultima fase del ciclo, è, in sintesi, caratterizzato da un diagramma temporale di ‛potenza' che condiziona l'evoluzione nel tempo di tutte le fasi del ciclo energetico che si susseguono logicamente, a partire dalle fonti primarie. Il condizionamento è strettissimo per le forme di energia non suscettibili di accumulazione (fra cui principale l'energia elettrica), lo è meno per quelle accumulabili, perché l'andamento temporale dell'estrazione o della conversione e quello del consumo possono differire grazie alla possibilità di accumulare e utilizzare scorte.
L'andamento temporale può inquadrarsi in periodi più o meno lunghi. Vi sono andamenti a lungo termine, interannuali, dovuti a tendenze permanenti e a vicende congiunturali. Per fronteggiare queste variazioni interannuali del fabbisogno è necessaria una programmazione, fondata su previsioni delle richieste di energia da soddisfare con nuovi impianti. Gli impianti per l'estrazione delle fonti primarie (miniere carbonifere, pozzi petroliferi e gasiferi, serbatoi e derivazioni idrauliche) e quelli di conversione (raffinerie, centrali elettriche, ecc.) ricbiedono un lavoro di anni per essere progettati e realizzati e quindi le previsioni dei fabbisogni che essi dovranno coprire devono essere notevolmente anticipate, devono essere cioè a medio e lungo termine.
Accanto a queste variazioni tendenziali e congiunturali, vi sono quelle stagionali, quelle dovute al ciclo settimanale con la sua giornata o le sue giornate di riposo; vi sono poi nel brevissimo termine, nell'ambito giornaliero, variazioni anche molto rilevanti dovute alle ore lavorative e alle ore di riposo: basti pensare all'erogazione dell'energia elettrica o del gas d'officina, che in alcune ore diurne rappresenta da 3 a 4 volte, e anche più, la potenza minima richiesta nelle ore notturne.
Si deve quindi procedere alla creazione di scorte per fronteggiare le oscillazioni di lungo, medio e breve periodo del consumo di energia; queste scorte sono o di fonti primarie o di fonti secondarie accumulabili: carbone, petrolio e derivati, gas naturale e d'officina (per il gas si è ricorsi anche allo stoccaggio sotterraneo in giacimenti esauriti). All'accumulazione, ovviamente, si pongono limiti fisici, di spazio. Essa inoltre comporta un costo, sia perché la fonte energetica accumulata ha un valore che resta immobilizzato e che deve essere comunque finanziato, sia perché i depositi e le loro attrezzature implicano oneri di capitale e richiedono spese di esercizio per la custodia e la movimentazione delle fonti accumulate. Questo costo è il parametro di riferimento per determinare la misura più conveniente dello stoccaggio, in assenza di fattori extraeconomici, come quello della sicurezza strategica dell'approvvigionamento.
Infatti, se per fronteggiare i periodi di più elevata domanda la produzione unitaria aggiuntiva, ottenibile con l'ampliamento dell'impianto di estrazione o di conversione, costa di meno di quanto non costi l'accumulazione di una unità in più del prodotto ottenuto in periodo di bassa domanda, maggiorata del costo dell'unità stessa, non conviene ampliare le scorte e gli impianti di stoccaggio, ma conviene invece ampliare l'impianto di estrazione o di conversione. Il rigore di questi limiti di convenienza viene tuttavia in parte meno per il fatto che i fenomeni in gioco (domanda e suo andamento, produzione, voci di costo) sono di carattere aleatorio.
Di regola quanto maggiore è la variabilità della domanda, tanto maggiore tende ad essere l'accumulazione. Ciò spiega la ricerca di nuovi mezzi e sistemi di accumulazione. Un gran peso ha anche la capacità di trasporto delle varie fonti prime, della quale sarà detto più avanti.
Quando l'energia non sia accumulabile, è inevitabile che la potenza degli impianti che la producono, per esempio quella di un sistema elettrico di produzione, debba essere maggiore della massima potenza che sarà richiesta (con una certa probabilità, perché, si ripete, si è in presenza di fenomeni aleatori).
È invece possibile e conveniente accumulare le fonti primarie per produrre energia elettrica: per esempio il rifornimento di combustibili solidi e liquidi alle centrali termoelettriche non è continuo, ma intermittente, e si accumulano scorte presso di esse. Molto più tipica e importante è l'accumulazione di acqua ad alta quota, anche mediante il pompaggio, come si è ricordato, per sfruttarne l'energia potenziale ai fini di adeguare l'andamento della produzione di energia elettrica e quello della domanda, cosa che non sarebbe possibile utilizzando le portate fluenti dei corsi d'acqua. Anche l'accumulazione di acqua ha i suoi limiti di convenienza, che sono posti dal costo dell'energia prodotta con altri mezzi (per es. con turbine a gas) nei momenti in cui la domanda è più elevata. (Circa il particolare aspetto dell'accumulazione terminale, cioè presso l'utilizzatore finale, dell'energia elettrica, v. energia: Economia e conservazione).
Da quanto si è detto sull'argomento, risulta che l'accumulazione delle fonti di energia ha anche una funzione di riserva di fronte agli andamenti aleatori e imprevedibili della domanda, così come di integrazione di fronte ai cali aleatori e imprevedibili della produzione delle fonti primarie e secondarie. Anche di questa funzione si deve tener conto ed è questa esigenza che sta all'origine delle cosiddette ‛scorte strategiche':
7. Distribuzione territoriale delle fonti primarie d'energia.
Ai primordi della rivoluzione industriale e durante tutto il secolo scorso, quando la fonte di energia non animata di più avanzato impiego era il carbone (accanto alla legna da ardere), la disponibilità locale di fonti primarie di energia ha avuto un'importanza fondamentale nella localizzazione delle attività trasformatrici.
In seguito, con il progresso dei trasporti e con l'avvento dell'energia elettrica, è stata via via attenuata questa dipendenza dell'ubicazione delle attività trasformatrici da quella delle fonti primarie di energia. Va ricordato che l'utilizzazione su larga scala dell'energia idroelettrica è stata resa possibile appunto dal fatto che si è trovato il modo di trasmetterla su distanze relativamente lunghe e quindi di trasferirla dalle zone montane dove si trovano, per la maggior parte, le cadute d'acqua ai centri della pianura o della costa dove il recapito delle materie prime da lavorare e da trasformare è più facile.
Oggi, grazie ai progressi conseguiti nella tecnica e nell'economia dei trasporti, questa dipendenza è venuta in gran parte meno, così che in genere è l'energia ad affluire ai centri di trasformazione e non questi ultimi a sorgere presso le fonti primarie di energia. In effetti il costo dell'energia ha di regola un'incidenza limitata sul costo dei prodotti, per cui essa rappresenta sempre meno un fattore vincolante di localizzazione. Tuttavia, senza l'energia necessaria non è possibile intraprendere attività di trasformazione su larga scala, non si possono formare grandi agglomerazioni di popolazione e non si può avere uno svolgimento ordinato della vita civile. Ne segue che l'energia, pur non essendo un fattore vincolante di localizzazione, è sempre un fattore condizionante dello sviluppo economico e sociale. Anche se l'ubicazione naturale delle fonti primarie di energia non ha più l'importanza di un tempo, essa tuttavia costituisce il punto di partenza e il dato di fatto naturale per l'economia energetica.
La distribuzione delle risorse energetiche naturali nel mondo è infatti assai diversa da quella del fabbisogno di energia.
La distribuzione fisica non è, come tale, completamente significativa, in quanto vi sono riserve più facilmente, cioè più economicamente, sfruttabili di altre: per esempio il carbone può essere estratto mediante coltivazioni a cielo aperto, oppure mediante miniere che devono inoltrarsi in profondità per molti chilometri nelle viscere della terra; i giacimenti di petrolio possono essere più o meno ricchi, con gettiti assai diversi per ogni pozzo perforato, e trovarsi a profondità molto diverse.
Come risulta dalla tab. V, le riserve misurate di carbone sono abbastanza equamente distribuite fra i continenti: circa il 30% si trova nel Nordamerica e poco più del 15% nell'URSS; l'Europa occidentale ne possiede quasi il 14%. Questi dati non sono molto precisi e talvolta la scoperta di alcune miniere può rendere incongrue valutazioni consoli- date. Anche per quanto riguarda la lignite, l'Europa occidentale e l'Unione Sovietica dispongono di rilevanti riserve; tuttavia questo combustibile fossile, per il suo modesto potere calorifico, è difficilmente trasportabile in modo economico e viene impiegato molto spesso per la conversione in energia elettrica con centrali a bocca di miniera; invece della lignite viene trasportata l'energia elettrica.
La fonte energetica che ha assunto la massima importanza nella copertura del fabbisogno energetico mondiale è il petrolio, come già è stato indicato. Le riserve di petrolio presentano uno squilibrio rilevante fra i continenti. Oltre la metà delle riserve mondiali si trova nei paesi del Medio Oriente, mentre quelle degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica costituiscono una percentuale relativamente limitata, pur essendo di rilievo; di rilievo sono anche le riserve dell'Africa e quelle dell'area dei Caraibi. Le riserve dell'Europa occidentale, che fino a circa dieci anni or sono erano di importanza trascurabile sia rispetto al consumo annuo locale di prodotti petroliferi sia rispetto al totale delle riserve accertate nel mondo, hanno assunto un certo rilievo con le scoperte di numerosi giacimenti sottomarini nel Mare del Nord e, dai dati raccolti nella tab. V, risultano non lontane da quelle dei Caraibi e superiori a quelle dell'Estremo Oriente. L'esigenza di fronteggiare con la ricerca e la scoperta di nuovi giacimenti l'incremento dell'estrazione e del consumo di petrolio, nel mondo e quella di allargare, per ragioni di sicurezza politica dei rifornimenti, l'ambito geoeconomico in cui sono disponibili riserve accertate e sfruttabili di rilievo hanno operato nel senso di estendere le ricerche ad aree nuove, come i fondali, già ricordati, del Mare del Nord, l'Alasca, in cui sono stati scoperti importanti giacimenti, l'Australia, dove egualmente la ricerca ha avuto risultati positivi, sebhene quantitativamente limitati, ed altre regioni del mondo.
La situazione delle riserve di gas naturale è più equilibrata di quella delle riserve di petrolio, con una posizione più favorevole sia per gli Stati Uniti sia per l'Unione Sovietica sia, soprattutto, per l'Europa occidentale.
Per le riserve petrolifere e gasifere valgono, con ancora maggiore accentuazione, gli stessi avvertimenti avanzati per quelle di carbone: infatti, mentre le attività di prospezione relative al carbone sono relativamente modeste, intensissime sono quelle intese al ritrovamento di giacimenti di petrolio e di gas naturale, sia per il consumo in continuo aumento di queste fonti, sia per le favorevoli prospettive economiche offerte dal mercato.
Le risorse idrauliche ancora disponibili, cioè non utilizzate, sono relativamente abbondanti nell'Unione Sovietica, in Africa e nel continente americano.
La tab. VI indica la ripartizione delle riserve di ossido di uranio in funzione del costo di estrazione dell'ossido stesso nelle diverse aree geografiche del mondo, fatta eccezione per i paesi a economia collettivista, per i quali non si dispone di dati: quasi la metà delle riserve misurate a minor costo di estrazione (cioè a un costo inferiore a 15 dollari USA per libbra di ossido di uranio, pari a circa 27.000 lire per kg, supposto un cambio di 800 lire per 1 dollaro USA) si trova nell'America settentrionale. Per importanza delle riserve seguono l'Africa e l'Oceania (importanti riserve sono state scoperte in Australia negli ultimi anni). Anche le riserve dell'Europa occidentale sono di rilievo. Va tenuto tuttavia presente che per l'uranio campagne di prospezione di un certo rilievo hanno avuto inizio solo circa venticinque anni fa e limitatamente ad alcuni paesi del mondo; e che, nonostante una ripresa d'interesse e di prospezioni negli ultimi anni, vi sono tuttora ampie zone del globo che non sono state oggetto di alcuna prospezione; appare quindi logico prevedere che, con l'intensificarsi delle attività di ricerca di nuovi giacimenti di uranio, le riserve accertate di questo metallo siano destinate ad aumentare in misura considerevole e che la ripartizione delle riserve tra le varie aree del mondo possa in futuro risultare anche notevolmente diversa da quella indicata nella tab. VI.
Non va inoltre dimenticato che la localizzazione delle riserve di uranio ha un'importanza molto minore dal punto di vista economico di quella delle riserve di combustibili fossili, in quanto le spese di trasporto del combustibile nucleare incidono sul costo della caloria resa in misura quasi trascurabile, dato l'elevatissimo contenuto energetico dell'uranio.
Abbondanti riserve non comportano di per sé anche abbondante produzione. Fattori di carattere economico portano a utilizzare a un ritmo superiore certe riserve piuttosto che altre, indipendentemente dalla loro entità. Le ragioni stanno nel costo di estrazione, nella qualità dei combustibili estratti, nell'ubicazione delle riserve rispetto ai centri di consumo. Per esempio, come risulta dalla tab. VII, la produzione mondiale di petrolio è concentrata per circa il 22% nell'America settentrionale, mentre le riserve dello stesso combustibile esistenti nella zona sono circa il 6% del totale mondiale. Altrettanto può dirsi del gas naturale, mentre un minore squilibrio si ha per l'estrazione del carbone. Anche per l'energia idroelettrica, fonte inesauribile, si verifica un fatto analogo: nei paesi economicamente più progrediti il grado di utilizzazione delle risorse è notevolmente superiore a quello dei paesi in via di sviluppo.
8. Distribuzione territoriale dei fabbisogni di energia; il problema dell'accesso e del trasporto delle fonti primarie e secondarie.
Come la distribuzione spaziale delle risorse mondiali di fonti primarie è rispecchiata solo in parte da quella della loro produzione, così quest'ultima si riflette solo in parte sulla distribuzione del consumo delle fonti stesse e delle fonti secondarie da esse ricavate (v. tab. VIII; v. figg. 3 e 4).
Il consumo di combustibili fossili solidi (carbone) è molto elevato nei paesi a economia collettivista; è notevole nell'Europa Occidentale e nel Nordamerica, come pure nell'Estremo Oriente (soprattutto per quanto riguarda la Cina e il Giappone). Esso è legato in particolare allo sviluppo dell'industria siderurgica e alla produzione di energia elettrica; nei paesi economicamente più avanzati il carbone è stato sostituito in molti impieghi da altre fonti di energia (derivati petroliferi per il calore industriale e il riscaldamento domestico, energia elettrica per la trazione ferroviaria, ecc.).
L'area principale consumatrice di combustibili liquidi è il Nordamerica, seguita dall'Europa occidentale, dai paesi a economia collettivista e dall'Estremo Oriente, dove i consumi sono rilevanti soprattutto per la presenza di un grande paese industriale come il Giappone.
Per quanto riguarda il gas naturale, i consumi sono molto rilevanti nel Nordamerica e nei paesi a economia collettivista. Hanno importanza cospicua anche nell'Europa occidentale. Quest'importanza è stata assunta di recente, sia per la scoperta di nuovi giacimenti, prima in Olanda e successivamente nei fondali del Mare del Nord, sia per i progressi fatti nel trasporto di questo combustibile via mare e per gasdotto. Gli scambi si sono largamente sviluppati e più ancora dovrebbero esserlo in futuro, in base ad accordi già stipulati fra aziende di paesi dove esistono giacimenti la cui erogazione eccede il fabbisogno interno e aziende di paesi che hanno corrispondenti possibilità di assorbimento. Gli scambi mondiali di gas naturale sono in rapido aumento.
Il valore degli scambi internazionali di fonti di energia veniva stimato, sino ai primi anni del decennio 1970- 1980, dell'ordine del 10% del valore complessivo del commercio internazionale. I mutamenti verificatisi nel 1973 sul mercato del petrolio (che saranno brevemente trattati nel prossimo capitolo), con il rincaro del petrolio stesso e quello indotto del carbone e del gas naturale hanno aumentato la percentuale di incidenza sopra indicata che, dall'11% circa nell'anno suddetto è balzata nel 1974 al 21% circa (v. GATT, 1975, Appendice, tab. E) e sembra si mantenga su questo livello negli anni successivi, dato che non si manifestano fattori di riduzione dei prezzi né delle quantità tali da farlo diminuire.
I grandi movimenti internazionali delle fonti di energia (si vedano le tabb. IX, X e XI) avvengono principalmente via mare. Secondo l'ultimo rapporto sui trasporti marittimi pubblicato dall'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCDE) nel 1974 il tonnellaggio trasportato via mare per scambi internazionali di fonti di energia ha costituito il 53% circa del tonnellaggio complessivo trasportato via mare in traffico internazionale. È ovvio che i movimenti internazionali, e quelli interni, sono determinati, oltre che dai fattori naturali, anche da quelli economici da cui dipendono le scelte dei produttori, trasformatori, distributori e consumatori di energia.
Tra tali fattori figura naturalmente il costo dei trasporti. Come si è indicato all'inizio del capitolo precedente, sono stati i progressi conseguiti nel campo dei trasporti e la riduzione del loro costo a far sì che l'energia non sia più un fattore di localizzazione industriale così importante come in passato, ma anzi di regola secondario, e che le fonti di energia vengano oggi commerciate e trasportate su larghissima scala.
Il progresso tecnico è stato molto rilevante soprattutto nel campo dei trasporti marittimi con l'aumento del tonnellaggio delle navi, la costruzione di petroliere e di carboniere giganti, la specializzazione e l'incremento della velocità del naviglio, il miglioramento delle sue attrezzature di carico e scarico; a questi progressi si sono aggiunti quelli dei porti e delle loro attrezzature, con una sempre maggiore tendenza alla specializzazione per il carico e lo scarico dei combustibili liquidi (per es. mediante terminali al largo) e solidi.
Anche per quanto riguarda i trasporti terrestri progressi notevoli sono stati fatti nei trasporti per condotta sia per i combustibili liquidi (petrolio e derivati), sia per il gas naturale. Quest'ultimo comincia ad essere trasportato anche per via mare, liquefatto, con prospettive di rilievo per quanto riguarda gli sviluppi futuri degli scambi.
Progressi si sono avuti anche nel trasporto dei combustibili solidi per via terra, per esempio mediante convogli ferroviari speciali o anche mediante carbodotti, nei quali il carbone polverizzato viene immesso in acqua e trasportato per condotta: questo sistema è tuttavia impiegabile solamente quando i trasporti siano continui e ingenti, come per esempio quelli occorrenti per far affluire da un centro minerario il carbone necessario a una grande centrale termoelettrica.
I principali movimenti mondiali di combustibili fossili solidi, liquidi e gassosi sono riportati nei grafici delle figg. 5, 6 e 7, che danno una visione sia delle aree nelle quali l'importazione è maggiore, sia dell'entità degli scambi principali.
Anche nella trasmissione di energia elettrica fra i vari paesi si sono registrati negli ultimi anni considerevoli incrementi, per quanto il loro volume non sia andato negli anni stessi al di là dell'1,5% della produzione, raggiungendo in termini assoluti circa 95 miliardi di kwh.
Per quanto riguarda le tecniche di trasmissione dell'energia elettrica, si sono avuti progressi rilevanti con l'aumento delle tensioni delle linee e l'esercizio interconnesso delle reti su scala continentale o quasi (Europa occidentale, sistemi interstatali negli Stati Uniti e nel Canada).
I trasporti di energia hanno un grande rilievo anche agli effetti della copertura del diagramma temporale del fabbisogno di energia, di cui si è detto al cap. 6. Infatti le attrezzature per il trasporto rientrano in quel complesso sistema, costituito anche dalla produzione, dalla conversione e dall'accumulazione, che fronteggia la domanda di energia quale si presenta in ciascun istante. Anche i trasporti e i mezzi e le attrezzature che li assicurano devono quindi essere adeguati alla massima domanda che dovranno fronteggiare, nel quadro del sistema stesso. I requisiti tecnici dei vari subsistemi che assicurano il trasporto (petroliere, oleodotti, gasdotti, linee elettriche, ecc.) e le loro dimensioni devono essere stabiliti in vista di questo fine. L'affidabilità dei trasporti è essenziale per il buon funzionamento del sistema energetico globale.
9. La ‛crisi' dell'energia e le prospettive a medio e lungo termine per le sue fonti tradizionali e non tradizionali.
Come è stato indicato al cap. 4 e documentato nella tab. I, il petrolio ha acquisito progressivamente negli ultimi decenni la preminenza fra le fonti ‛commerciali' di energia; specialmente le aree geoeconomiche più industrializzate, l'America settentrionale, l'Europa occidentale e orientale, l'Unione Sovietica, il Giappone, hanno grandemente aumentato il ricorso al petrolio. La situazione e la dinamica delle riserve di questo minerale, la loro distribuzione territoriale e quella dei consumi, le correnti di traffico che ne sono derivate, l'organizzazione imprenditoriale che in base a concessioni dei governi locali, provvede all'estrazione, al trasporto, alla raffinazione e alla commercializzazione dei relativi prodotti, la politica dei governi degli Stati in cui si trovano le principali riserve e quella dei governi degli Stati in cui hanno luogo i più ingenti consumi sono i principali elementi che negli ultimi decenni hanno determinato la situazione del mercato petrolifero mondiale, cioè i rapporti tra domanda e offerta del petrolio grezzo e dei suoi derivati e i prezzi di quello o di questi.
Il mercato, nel corso di questi decenni, è stato a lungo caratterizzato da una relativa abbondanza dell'offerta e da prezzi conseguentemente moderati e tali da far preferire l'impiego dei derivati del petrolio a quello del carbone, almeno negli usi in cui quest'ultimo può essere sostituito dai primi. Specialmente nell'Europa occidentale il petrolio ha largamente dominato e domina il mercato per tali usi. La disponibilità dei derivati del petrolio a prezzi relativamente bassi è stata certamente uno dei fattori fondamentali della ripresa e dello sviluppo economici dei paesi industrializzati (in particolare di quelli dell'Europa) che maggiormente avevano risentito delle distruzioni di ricchezza provocate dal secondo conflitto mondiale.
I rapporti tra domanda e offerta sono stati tuttavia caratterizzati dal fatto che i principali fornitori del mercato mondiale sono i paesi del Medio Oriente, dove è concentrata una notevole aliquota delle riserve accertate del mondo, ai quali si sono aggiunti alcuni paesi arabi del Nordafrica (Algeria e Libia). Quando le forniture provenienti dalle concessioni dei paesi del Medio Oriente (e anche del Nordafrica) si sono ridotte rispetto all'entità consueta, a causa di avvenimenti di ordine politico, si sono determinate situazioni di squilibrio che hanno avuto ripercussioni sulle attività dei paesi consumatori e segnatamente sulle economie dei paesi che importavano soprattutto da quelle aree, cioè i paesi dell'Europa occidentale e il Giappone.
Le situazioni di squilibrio più rilevanti si sono verificate: nel 1956-1957, in occasione di un conflitto armato nel Sinai che portò alla temporanea chiusura del Canale di Suez, con conseguente dislocazione di una parte del sistema dei trasporti via mare del petrolio greggio; nel giugno del 1967, quando un altro conflitto armato ha portato, fra l'altro, alla chiusura del Canale di Suez per un lungo periodo; nell'ottobre del 1973, quando un terzo conflitto ha portato a limitazioni delle spedizioni dal Medio Oriente, imposte dai governi locali alle compagnie concessionarie, e a misure d'ordine fiscale (trasferite poi sui consumatori), prese per mutare i rapporti tra governi produttori e compagnie concessionarie. Squilibri si sono avuti anche in altri momenti, per esempio in occasione della chiusura di oleodotti nel Medio Oriente. Queste situazioni, definite correntemente di ‛crisi', sono state caratterizzate dal fatto che l'offerta e le forniture si sono ridotte in brevissimo tempo al di sotto dei livelli preventivati, ponendo in difficoltà i portatori della domanda (industrie, servizi, amministrazioni pubbliche, ecc. dei paesi importatori), con conseguente aumento, rapido e in qualche caso elevatissimo, dei prezzi di mercato delle partite disponibili. Si sono avute così ripercussioni generalizzate sull'economia di questi paesi e su quella mondiale in complesso.
Benché contingenti e quindi di ordine congiunturale, queste crisi hanno tuttavia messo in luce una situazione evolutiva di fondo determinata dalla posizione di forza acquisita dai paesi nei quali si trovano le maggiori riserve, riuniti nell'OPEC (Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio). Questi paesi hanno dimostrato di essere in grado di far salire notevolmente il prezzo del petrolio greggio sul mercato mondiale sia, prima del 1973, accordandosi con le compagnie concessionarie per maggiori oneri fiscali sull'estrazione e per una diretta partecipazione al loro capitale e alle loro attività, sia, in qualche caso, limitando l'entità dell'estrazione annua, sia, nel 1973, imponendo per diritto sovrano maggiori oneri fiscali e accrescendo la concordata partecipazione (oltre che contenendo l'estrazione e vietando l'invio del petrolio a paesi considerati politicamente ostili).
Le ragioni che, indipendentemente dalle contingenze dei conflitti politici, hanno spinto quei governi ad un maggiore controllo dello sfruttamento delle riserve petrolifere locali sono molteplici e hanno un significativo antecedente nel 1951, quando il governo dell'Iran volle mutare radicalmente il regime giuridico dello sfruttamento delle risorse petrolifere locali abolendo le concessioni rilasciate alla principale compagnia operante nel paese e provocando con ciò una riduzione notevole dell'estrazione (risalita solo dopo molti anni, quando si raggiunse una sistemazione giuridica di compromesso tra il precedente regime e quello di nazionalizzazione delle concessioni).
Di fronte a improvvise crisi di disponibilità sul mercato petrolifero, la domanda non è in grado di reagire rapidamente rivolgendosi a fonti di energia capaci di surrogare i derivati del petrolio, sia perché l'offerta di queste, principalmente carbone e gas naturale, non può essere accresciuta di molto in un breve periodo di tempo, sia perché gli stessi impianti utilizzatori non possono convenientemente essere sostituiti e adattati al nuovo combustibile entro tempi ristretti. La domanda di petrolio, quindi, è notevolmente anelastica e i prezzi si mantengono sui nuovi livelli più elevati, determinati dalla condotta concorde dei governi dei maggiori paesi esportatori.
Per i tempi brevi, i governi dei principali paesi importatori conducono una politica delle scorte tale da assicurare la copertura dei fabbisogni essenziali per un certo numero di settimane (hanno fatto ricorso anche al razionamento di certi derivati durante la crisi del 1973) e per il resto attuano la manovra dei prezzi o lasciano che sia la libera reazione del mercato a incrementarli, con conseguente azione sui consumi. Tuttavia la crisi energetica del 1973 ha determinato la ricerca di rimedi più duraturi, intesi soprattutto, per i tempi medi e lunghi, a sostituire il petrolio con altre fonti di energia, le cui riserve sono più abbondanti in natura e soprattutto meglio distribuite nel mondo. Col ricorso ad altre fonti si può aumentare la sicurezza del rifornimento energetico, attualmente condizionato per tanta parte dalle vicende di uno scacchiere di politica internazionale quale quello del Medio Oriente, caratterizzato da aspri contrasti e ricorrenti conflitti. Si sono quindi ripresi o intensificati gli studi, mediante nuovi finanziamenti, per la conversione del carbone in gas o in combustibili liquidi, per l'estrazione di questi dalle sabbie e dagli scisti bituminosi e per l'impiego di fonti prime di energia diverse dai combustibili fossili.
Le crisi energetiche, e soprattutto quella del 1973, hanno quindi condotto a porre con maggior forza anche il problema della adeguatezza delle risorse di fonti tradizionali di energia a fronteggiare i fabbisogni energetici del futuro, considerati i ritmi di incremento verificatisi negli ultimi decenni, nonché a ricercare con impegno maggiore che in passato i mezzi per ridurre questi ritmi d'incremento, soprattutto con l'impiego di procedimenti di conversione e di utilizzazione più razionali e con l'eliminazione di utilizzazioni superflue. Questo anche al fine di tener conto delle esigenze poste dalla difesa dell'ambiente: molta attenzione è stata dedicata, infatti, anche alle ripercussioni che sull'ambiente circostante hanno l'estrazione, la conversione e l'utilizzazione delle fonti di energia.
L'esame del problema dell'adeguatezza delle risorse richiede una previsione dei fabbisogni, nei limiti di un orizzonte temporale sufficientemente ampio, ma non così lontano da rendere evanescente o quasi l'attendibilità della previsione stessa. Molti studiosi dell'economia energetica si sono proposti questo tema, vitale per il futuro sviluppo economico e sociale dell'umanità, anche per stimare l'apporto che dovrà essere fornito dalle fonti non tradizionali, prima di gran lunga fra tutte l'energia nucleare.
Le previsioni relative al 2000 effettuate da alcuni autori e riportate nella tab. XII hanno lo scopo di indicare degli ordini di grandezza; nonostante le diversità dei metodi e dei criteri di previsione, è possibile un confronto di massi- ma. Nella tabella le previsioni sono riportate a tale scopo in una comune unità di misura, il miliardo di kcal. Si rileva subito che esse risultano comprese entro una banda molto ampia e inoltre che le previsioni fatte nel decennio 1960-1970 erano, in genere, via via crescenti quanto più erano recenti, mentre quelle fatte nel decennio iniziato col 1970 giungono a consumi presunti nel 2000 le cui entità divergono notevolmente fra loro, anche se si trascurano ipotesi estreme, come quella che porterebhe a valutare un consumo di 750 milioni di miliardi di kcal, oltre 12 volte quello del 1975.
Secondo queste previsioni il consumo annuo mondiale in un quarto di secolo dovrebbe, rispetto al consuntivo del 1975 che è stato vicino ai 60 milioni di miliardi di kcal (v. tab. I), al minimo aumentare di circa tre quarti e al massimo oltre cinque volte (sempre prescindendo dalla ricordata ipotesi estrema). Una delle ragioni della dispersione delle previsioni sta nella diversità delle ipotesi assunte per lo sviluppo della popolazione mondiale.
Si tratta in ogni caso di aumenti molto rilevanti se rapportati al lasso di tempo relativamente breve che ci separa dalla fine del secolo. Il quesito se le risorse energetiche che la natura pone a nostra disposizione saranno sufficienti a coprire i fabbisogni è quindi pienamente legittimo.
Nella tab. V sono state indicate le riserve accertate di combustibili fossili, petrolio, gas naturale, carbone e lignite, secondo valutazioni correnti alla fine del 1975. Questi elementi costituiscono tuttavia soltanto un punto di partenza, sia perché le riserve ‛accertate' rappresentano in genere una misura alquanto restrittiva delle risorse suscettibili di estrazione, sia perché nel trentennio che ci sta davanti nuove riserve potranno essere reperite attraverso l'opera di prospezione e di ricerca mineraria, come già si è verificato negli ultimi decenni; quest'ultima considerazione riguarda in particolare il petrolio e il gas naturale, per i quali l'intensificazione delle ricerche e la loro estensione ad aree prima inesplorate e alle piattaforme marittime continentali hanno avuto anche nel recente passato un rilevante successo.
Per quanto riguarda il petrolio, sono state ‛accertate' nel mondo, fino al 1975 compreso, riserve per circa 139 miliardi di tonnellate; circa 49 miliardi di tonnellate, cioè il 35% erano stati già estratti alla fine dell'anno suddetto, per cui le riserve accertate ancora disponibili ammontano a circa 90 miliardi di tonnellate (v. tab. V). D'altronde, a partire dal 1960 (quando le riserve accertate erano circa 41 milioni di tonnellate), cioè nel quindicennio 1960-1975, le nuove riserve accertate hanno totalizzato circa 79 miliardi di tonnellate e nello stesso periodo il consumo è stato di quasi 30 miliardi di tonnellate, pari al 38% circa delle riserve accertate nello stesso periodo. Questo rapporto percentuale fra consumo di petrolio nell'ultimo quindicen- nio e contemporaneo accertamento di nuove riserve è superiore a quello del 35% relativo a tutta la storia moderna dell'estrazione del petrolio; non se ne differenzia però tanto che si possa dire che vi sia una decisa sproporzione fra incremento delle riserve accertate ed incremento dei consumi. Va tuttavia tenuto conto che le riserve di nuovo accertamento sono per situazioni naturali, localizzazione, entità dei singoli giacimenti, più costose da prospettare, reperire e utilizzare di quelle già note e in corso di sfruttamento. Considerazioni analoghe valgono per il gas naturale, mentre per i combustibili fossili solidi le sole riserve misurate equivalgono a circa tre secoli di consumo mondiale al livello del 1975. Quelle valutate sono molto più ingenti.
Nella tab. XIII sono riportati valori di stima delle possibili riserve mondiali di fonti energetiche tradizionali, recentemente formulati e comprensivi dei quantitativi finora estratti (v. Hubbert, 1971). Il petrolio estratto a tutto il 1975 rappresenterebbe in effetti il 18% delle riserve potenziali (contro il già indicato 35% di quelle ‛accertate').
I dati della tab. XIII confermano che l'entità delle riserve dei combustibili fossili solidi è tale da non far temere una loro scarsità anche a lunga scadenza.
Una situazione alquanto diversa è quella riguardante il petrolio, il cui consumo ha avuto dal 1950 al 1975 un tasso di incremento del 6,7% annuo composto. Le riserve ‛accertate' a fine 1975 rappresentavano 33 volte il consumo di tale anno (2,7 miliardi di t) e quelle possibili, circa 223 miliardi di t al netto dei quantitativi estratti, corrispondevano a circa 83 anni di consumo al livello del 1975.
Si tratta di dati solo relativamente rassicuranti, anche ove si consideri che la domanda mondiale di petrolio potrebbe continuare ad aumentare nei prossimi decenni, sia pure a un tasso più moderato di quello testé indicato del 6,7%, dopo ch'essa ha avuto, nel 1974 e nel 1975, il regresso che è stato documentato dai dati della tab. I. Comunque è convinzione molto diffusa che non siano da temersi, almeno fino al 2000, insufficienze nella disponibilità di derivati del petrolio; tuttavia sarà necessario uno sforzo finanziario proporzionalmente molto più ingente di quello del passato, per continuare ad assicurare un accertamento di nuove riserve che stia in adeguata proporzione con la domanda, così come è probabile che i prezzi del petrolio e dei suoi derivati si manterranno su livelli decisamente più elevati di quelli esistenti sul mercato prima della crisi energetica del 1973.
Anche il consumo di gas naturale ha avuto a partire dal 1950 un incremento molto elevato, pari a circa il 7,8% annuo composto. La produzione del 1975 è stata dell'ordine dei 1.300 miliardi di metri cubi, a fronte di una consistenza delle riserve ‛accertate' di 63.200 miliardi di metri cubi, intaccate nella misura del 7% dall'estrazione sinora avvenuta. Anche per il gas naturale non è tuttavia da prevedere una scarsità almeno nel prossimo venticinquennio; per esso valgono infatti considerazioni analoghe a quelle svolte per il petrolio.
Dal trattamento del gas estratto si ottengono, come noto, i condensati petroliferi; le riserve naturali di questi idrocarburi liquidi possono valutarsi, secondo la fonte prima citata, in una misura pari a un quinto delle riserve di petrolio.
Le risorse mondiali di combustibili fossili comprendono anche gli scisti bituminosi, le cui riserve, non molto ingenti se confrontate con quelle degli altri combustibili, sono comunque un multiplo molto elevato dell'attuale estrazione, invero minima.
La ‛crisi energetica', di cui si è detto, ha ravvivato recentemente l'interesse per l'utilizzazione delle sabbie e degli scisti bituminosi, che consentirebbe di accrescere in misura non trascurabile la consistenza effettivamente sfruttabile di idrocarburi liquidi.
Nei capp. 7 e 8 abbiamo illustrato la disparità tra le distribuzioni territoriali delle riserve e i fabbisogni di combustibile; nel presente capitolo è stata messa in evidenza anche la differenza tra la distribuzione dei vari tipi di combustibile delle riserve accertate e possibili e i consumi; tali differenze costituiscono la ragione prima dell'interesse volto a ottenere combustibili liquidi o gassosi dalle riserve di carbone o lignite esistenti in natura. Queste riserve sono infatti molto meglio distribuite di quelle di petrolio ed estremamente più abbondanti di quelle del petrolio e del gas naturale. Tuttavia l'estrazione del carbone e la sua utilizzazione finale presentano di regola caratteristiche tecnico-economiche tali da far preferire gli idrocarburi liquidi o gassosi. Infatti, come già illustrato, i consumi mondiali di petrolio e di gas naturale sono aumentati e aumentano a un ritmo più elevato del consumo di carbone e lignite e ormai hanno, nell'insieme, una netta preminenza su di questo.
La situazione del mercato mondiale dei combustibili verificatasi in seguito alla ‛crisi energetica' è stato un altro fattore, oltre a quelli indicati, che ha stimolato la ricerca, la sperimentazione e l'attuazione di processi industriali che consentano di ottenere dal carbone, nella fase di estrazione o immediatamente dopo, combustibili liquidi capaci di surrogare il petrolio e combustibili gassosi capaci di surrogare il gas naturale
Processi chimici su scala industriale per ottenere idrocarburi liquidi dal carbone sono noti da decenni, ma per ragioni economiche gli esempi di impieghi su scala industriale, avvenuti o in atto, sono pochi; attualmente è in funzione un solo grande impianto del genere nel Sudafrica, che tratta circa 4 milioni all'anno di tonnellate di carbone, ricavandone idrocarburi liquidi e prodotti chimici d'altra natura.
Altri processi, basati sull'idrogenazione o sulla pirolisi del carbone, sono studiati o lo saranno in un prossimo futuro mediante impianti pilota; questi processi dovrebbero fornire, dal trattamento del carbone, idrocarburi liquidi simili come composizione al petrolio - e quindi suscettibili di un ulteriore processo di raffinazione per ottenere idrocarburi destinati agli impieghi finali - nonché altri prodotti ad alta viscosità e ad elevato contenuto di zolfo, cui è difficile trovare ulteriore destinazione.
Uno dei fattori determinanti al fine di ottenere da questi processi dei prodotti finali a costi concorrenziali con quelli ottenuti dal trattamento del petrolio greggio è il costo di approvvigionamento, e quindi di estrazione, del carbone. Questo costo dipende da un complesso di fattori d'ordine naturale, tecnico e sociale. Sue principali componenti sono però la quantità e il costo del lavoro umano per ogni unità di carbone utilizzabile prodotta: ne consegue che risultano di regola più economici i processi di estrazione che impiegano minori quantità specifiche di lavoro, come ad esempio le miniere a cielo aperto che possono essere altamente meccanizzate; la via seguita per ridurre i costi è stata quella della meccanizzazione e automatizzazione anche nelle coltivazioni in sotterraneo. I progressi ulteriori che l'arte mineraria saprà compiere in questa direzione saranno quindi di grande rilievo, anche per l'affermazione dei processi di conversione del carbone in idrocarburi liquidi, ora in fase di studio o di avvio sperimentale.
La possibilità di ottenere dal carbone idrocarburi gassosi capaci di sostituire il gas naturale, aventi cioè un elevato contenuto calorico specifico, è una prospettiva nuova e richiede tecnologie che sono in fase di sperimentazione, mentre la ‛gassificazione' del carbone per ottenere gas a basso contenuto calorico specifico rientra, com'è ben noto, fra le tecnologie poste in atto su larga scala fin dalla prima metà del secolo scorso. Le tecnologie per la produzione di gas naturale ‛sintetico' partendo dal carbone si basano su processi di idrogenazione o di pirolisi, svolti con tecniche particolari in relazione al prodotto da ottenere. Anche per questi processi, come per quelli intesi a ottenere idrocarburi liquidi, il costo del carbone è un fattore fondamentale ai fini della concorrenzialità del prodotto sul mercato.
Un'altra via per la produzione di gas dal carbone prescinde, al fine di ridurre il costo del gas prodotto, dall'estrazione ed è fondata sulla gassificazione del carbone direttamente nel giacimento e sull'estrazione e convogliamento del gas per l'impiego finale, dopo depurazione o per rilavorazione (si tratta comunque di gas a basso potere calorifico). Il problema della gassificazione sotterranea ha dato luogo a esperimenti e tentativi già due o tre decenni or sono in vari paesi, senza che tuttavia si sia giunti a impieghi industriali e continuativi del procedimento, che, negli esperimenti fatti, si è rivelato assai instabile quanto alla quantità e alla qualità del gas fornito. Sulla realizzabilità in termini industriali della gassificazione sotterranea del carbone è attualmente difficile esprimere opinioni, salvo quella che ulteriori ricerche potrebbero rivelarsi fruttuose per lo sfruttamento di giacimenti dai quali l'estrazione vera e propria non fosse economica, né si prospettasse tale per il futuro.
Le stesse ragioni, sia di carattere essenziale che contingente, che hanno acceso l'interesse per il trattamento del carbone al fine di ricavarne surrogati del petrolio e del gas naturale, hanno spinto a ricercare processi industriali per l'estrazione di idrocarburi liquidi sostitutivi del petrolio dalle sabbie e dagli scisti bituminosi presenti in varie parti del mondo e in particolare nell'America settentrionale e meridionale. I metodi conosciuti per il trattamento di questi minerali ai fini dell'estrazione degli idrocarburi liquidi in essi contenuti sono vari. Un impianto a carattere industriale è in esercizio nel Canada presso i giacimenti di sabbie bituminose dell'Athabaska e fornisce circa due milioni e mezzo di tonnellate di greggio sintetico all'anno, ricavato dal trattamento di sabbie, coltivate a cielo aperto. Altri impianti industriali del genere sono stati progettati per lo sfruttamento di sabbie o scisti bituminosi ma non sono stati realizzati, mentre sono stati realizzati piccoli impianti sperimentali. Problemi di difficile soluzione, in particolare per lo sfruttamento degli scisti bituminosi, sono posti dai grandi volumi di minerali da trattare per avere produzioni di greggio industrialmente significative e dalla conseguente sistemazione dei materiali esauriti, nonché dalle ingenti quantità di acqua richieste dai processi di trattamento. L'attività di ricerca e di sperimentazione si propone tuttavia il conseguimento su scala industriale di risultati di un certo rilievo nel prossimo decennio; naturalmente essa deve accertare, oltre alla realizzabilità tecnica dei processi studiati, anche la loro validità economica.
Da quanto precede risulta, in prima approssimazione, che le risorse di combustibili sono globalmente tali da non dar adito a dubbi sulla copertura dei fabbisogni energetici mondiali da oggi alla fine del secolo. Tuttavia saranno sempre più assillanti i problemi dei costi di estrazione, di distribuzione territoriale, di trasporto, di adeguatezza qualitativa ai fabbisogni, soprattutto se si considera che queste risorse sono costituite in gran parte da carbone.
In una previsione proiettata al di là del 2000 il totale complessivo dei combustibili disponibili potrebbe quindi rivelarsi risibile in rapporto a quella che potrà essere l'evoluzione del fabbisogno delle singole fonti. Soprattutto per il petrolio e il gas naturale è da prevedere un esaurimento a scadenza più breve di quello del carbone. L'attenzione va quindi già da oggi rivolta all'immensità delle conseguenze che ne deriverebbero. Infatti, prescindendo dalla loro conversione in energia elettrica, i combustibili fossili sono una sorgente energetica oggi insostituibile per i trasporti terrestri, marittimi e aerei e sono materia prima fondamentale nell'industria siderurgica e nella petrolchimica. È evidente quindi l'importanza della possibilità di sostituire all'impiego dei combustibili fossili quello di fonti di energia non tradizionali e in particolare dell'energia nucleare, non solo negli usi energetici di massa, come la produzione di energia elettrica e di calore industriale, ma anche per altre importanti applicazioni. Interesse grandissimo hanno, per esempio, le ricerche riguardanti la propulsione nucleare delle navi, quelle per l'impiego dell'energia elettrica nei mezzi di trasporto stradali, con la realizzazione di accumulatori più leggeri e più economici degli attuali. Lo sforzo di ricerca e di surrogazione tenderà infatti ad allontanare l'epoca in cui le disponibilità di combustibili fossili non saranno più sufficienti a soddisfare il fabbisogno in quanto materia prima.
L'altra fonte energetica ‛tradizionale' che ha contribuito e contribuisce alla copertura dei crescenti fabbisogni energetici mondiali è l'energia idraulica, che presenta ancora ingenti risorse inutilizzate e tanto più notevoli in quanto si tratta di una fonte rinnovantesi.
Tali risorse sono però modeste rispetto a quelle dei combustibili; quelle tecnicamente utilizzabili si stima potrebbero fornire quasi 11.000 miliardi di kWh all'anno, oltre il 70% in più dell'intera produzione mondiale di energia elettrica del 1975, da qualsiasi fonte ottenuta, e circa otto volte la produzione mondiale di energia idroelettrica dello stesso anno (v. tab. I).
Tuttavia solo un'aliquota delle forze idrauliche che non sono ancora utilizzate può fornire energia elettrica a costi che siano concorrenziali con quella fornita da centrali termoelettriche tradizionali e soprattutto nucleari; inoltre il grado di utilizzazione delle forze idrauliche è già attualmente molto elevato proprio nei paesi più industrializzati, nei quali il fabbisogno di energia elettrica è maggiore in termini assoluti e relativamente alla popolazione. La maggior parte delle forze idrauliche inutilizzate si trova in aree del mondo ancora in via di sviluppo o in zone remote, molto distanti dai centri di consumo, come si può evincere dai dati della tab. XIV. Quindi, mentre solo una parte delle copiose risorse esistenti in tali aree e zone può progressivamente trovare economica utilizzazione, ben ristretti sono i margini ancora disponibili a condizioni economiche nei paesi più progrediti.
Questa circostanza concorre a spiegare la riduzione, in termini relativi, della partecipazione dell'energia idraulica quale fonte prima alla produzione mondiale di energia elettrica: nel 1920 circa la metà della produzione mondiale di energia elettrica era ottenuta dalla fonte idraulica, negli ultimi anni questa frazione si è ridotta a poco più di un quinto.
Tuttavia le prospettive di sviluppo degli impianti idroelettrici sono da ritenere tuttora interessanti in molti paesi del mondo, se si tiene conto delle ottime caratteristiche che questi impianti possono avere per il servizio di regolazione dell'energia. Infatti quanto più si incrementerà la produzione di energia elettrica in centrali nucleari che, per le loro caratteristiche tecniche ed economiche, dovrebbero essere utilizzate con la massima continuità, tanto più risulterà opportuno ricorrere al complemento di fonti capaci d'una conveniente produzione discontinua, in modo da fronteggiare con le une e le altre insieme l'andamento variabile della domanda d'energia elettrica; a questo scopo si presteranno ottimamente le centrali idroelettriche di produzione mediante pompaggio, che assorbiranno nelle ore ‛vuote' la produzione degli impianti nucleari eccedente la domanda e la impiegheranno per l'azionamento delle pompe, mentre integreranno la produzione nucleare nei momenti in cui la domanda presenterà i livelli più alti o varierà molto rapidamente (funzione di regolazione). La potenza delle centrali di pompaggio in esercizio, in costruzione e in progetto è in se stessa rilevante, anche se comparativamente modesta. Un'indagine su scala mondiale pubblicata nel marzo del 1970 su ‟Water power" (pp. 96-101) fornisce un totale di poco più di 14 milioni di kW installati nelle pompe degli impianti esistenti nel mondo e di quasi 14 milioni di kW installati nei generatori degli impianti stessi, percentuale esigua rispetto ai circa 300 milioni di kW installati complessivamente negli impianti generatori di energia idroelettrica. Gli attuali sviluppi degli impianti di generazione e pompaggio sono tuttavia notevoli: dalla stessa indagine risulta che gli impianti in costruzione totalizzavano 17,6 milioni di kW di pompe e 20,4 milioni di kW di generatori, e quelli in progetto 21 milioni di kW di pompe e 26 milioni di kW di generatori.
La situazione delle risorse di combustibili fossili e di quelle idrauliche accresce l'interesse per le fonti ‛non tradizionali'; fra queste, oltre all'energia nucleare, particolarmente interessante è l'energia geotermica, soprattutto in vista della sua conversione in energia elettrica. Si è già accennato ai progressi fatti nella prospezione e nell'utilizzazione di questa fonte prima. Non sembra azzardata la speranza che lo sviluppo e l'intensificazione degli studi in corso conducano a metodi di prospezione ulteriormente perfezionati, in grado di consentire il reperimento di sorgenti di energia geotermica in molte aree del globo. La materia è stata oggetto negli ultimi tempi di particolare attenzione da parte dell'ONU e iniziative di prospezione si sono avute in molti paesi, anche per l'utilizzazione del calore secco, come viene denominato quello estraibile da rocce profonde con forti anomalie termiche.
Non è tuttavia possibile al giorno d'oggi esprimere alcuna valutazione, per quanto presuntiva, dell'entità delle risorse possibili di questa fonte di energia. È molto probabile che la produzione di energia elettrica ottenuta nel mondo dalle risorse individuate, che nel 1975 è stata, come indicato in precedenza, comparativamente assai modesta, sia destinata ad aumentare sensibilmente nei prossimi anni. L'aumento sarà dovuto al rinvenimento, attraverso la ricerca mineraria, di nuove fonti di vapori endogeni; ma non soltanto ad esso, in quanto, accanto alle tecniche tradizionali di prospezione e di coltivazione dei serbatoi geotermici naturali, si stanno mettendo in pratica, specialmente negli Stati Uniti, tecniche di coltivazione interamente nuove, basate sulla reiniezione di acque termominerali negli strati sotterranei dove si generano i vapori endogeni.
L'energia nucleare è, tra le fonti ‛non tradizionali', quella che conta le iniziative e le realizzazioni di gran lunga più importanti e che ha le più ampie prospettive di sviluppo: è la fonte che si conta di utilizzare per garantire a lungo termine un'adeguata disponibilità di energia senza creare problemi d'inquinamento atmosferico. L'utilizzazione su larga scala di questa fonte è per ora limitata alla conversione in energia elettrica, ma altri vasti campi d'impiego le sono aperti, per applicazioni in un futuro più o meno prossimo; le principali sono: gli impianti nucleari a scopo multiplo (per la produzione di acqua dolce da acqua di mare o salmastra, di calore per usi industriali e civili, ecc.), la propulsione navale, la produzione di idrogeno, l'utilizzazione come esplosivo industriale (materia che non è oggetto della presente trattazione), gli impieghi nel settore spaziale e altri che richiedono ricerche di più vasto raggio, come la propulsione aerea.
L'andamento nel tempo delle riserve di uranio accertate ha risentito degli stessi fattori che influenzano l'andamento di quelle di petrolio e di gas naturale, in quanto l'intensificazione delle campagne di prospezione, da cui dipende l'entità dei nuovi ritrovamenti, è in funzione, anche per l'uranio, della domanda della fonte di energia.
Le riserve misurate (v. tab. VI) erano nel 1975, nell'insieme dei paesi a economia di mercato, pari a circa 1.273.000 tonnellate di ossido di uranio (U3O8) disponibile a un prezzo inferiore a 15 dollari USA per libbra (cioè dell'ordine di 27.000 lire al kg, supposto un cambio di 800 lire per dollaro USA). Ad esse vanno aggiunte quelle valutate e quelle ad un prezzo superiore a 15 dollari, fino a 30 dollari per libbra (2.841.000 t in complesso).
Negli ultimi anni le accresciute prospettive di utilizzazione dell'energia nucleare hanno ridestato, dopo un periodo di stasi, l'interesse per la prospezione uranifera, con il risultato non solo di accrescere le riserve misurate, ma anche di rendere più numerose le aree geoeconomiche in cui sono stati individuati giacimenti quantitativamente e qualitativamente importanti (le più recenti scoperte di giacimenti del genere sono avvenute in Australia). La produzione del 1975 è stata di circa 24.000 tonnellate di ossido di uranio. La capacità di produzione dello stesso anno è stata valutata dell'ordine di 30.000 tonnellate e quella prevista per il 1978 dell'ordine di 52.000 tonnellate, come risulta dai dati della tab. VI.
La durata delle attuali riserve dipende dalla potenza e dal tipo delle centrali nucleari che sono e che entreranno in servizio: alla fine del 1975 le unità nucleari di almeno 100.000 kW di potenza unitaria in servizio nel mondo erano 155, per una potenza complessiva di quasi 74 milioni di kW, come già si è indicato nella tab. III. Questa potenza rappresenta meno del 5% della potenza globale delle centrali elettriche; alla stessa data erano in fase di realizzazione 340 unità nucleari di almeno 100.000 kW di potenza unitaria, per una potenza complessiva di circa 313 milioni di kW, e si può pensare che le ordinazioni di nuove centrali andranno aumentando, in relazione all'aumento del fabbisogno di energia elettrica, all'accresciuta competitività dell'energia nucleare rispetto a quella termoelettrica tradizionale, in seguito alla crisi energetica, e alla sempre più sentita esigenza di far ricorso all'energia non inquinante anche nella fase di produzione.
Secondo una stima dello Spinrad (v., 1971) la potenza delle centrali elettriche installate nel mondo nel 1985 dovrebbe essere di circa 3 miliardi di kW, di cui il 27% nucleari; nel 1990 di oltre 4 miliardi di kW, di cui il 40% nucleari; nel 2000 dovrebbe essere di circa 6,8 miliardi di kW, di cui il 63% nucleari. Se si suppone che con ogni kW di potenza elettrica si producono mediamente ogni anno 4.500 kWh e che alla formazione di questa media le centrali nucleari concorrono con una produzione di 5.900 kWh per kW, si ottengono le previsioni seguenti di produzione di energia elettrica relativamente ai valori totali e a quelli della parte di essa ottenuta da centrali nucleari:
La produzione di energia elettrica di origine nucleare passerebbe così dalla già indicata modestissima percentuale del totale nel 1973 al 36%, al 52% e all'82% del totale nei tre anni presi in considerazione.
Supponendo un rendimento del 40% nella trasformazione di fonti primarie in energia elettrica, l'apporto dei combustibili nucleari corrisponderebbe nel 2000 a 54 milioni di miliardi di kcal che coprirebbe il 27% circa del fabbisogno energetico mondiale nello stesso anno, supposto uguale a 200 milioni di miliardi di kcal. Tuttavia questa percentuale rappresenterebbe un limite inferiore, perché dovrebbe essere maggiorata dell'apporto della fonte prima nucleare a tutti quegli impieghi che potranno svilupparsi nel prossimo trentennio.
Secondo altre previsioni, ricavabili dal contenuto di rapporti e di discussioni svoltesi alla IV Conferenza dell'ONU sugli usi pacifici dell'energia nucleare (Ginevra 1971), la partecipazione delle fonti nucleari alla produzione di energia elettrica sarebbe diversa: 15-20% nel 1980 e oltre il 50% nel 2000.
Previsioni successive, elaborate alla luce della recente crisi petrolifera, portano a incidenze della produzione nucleare molto più elevate: il 60-70% circa nel 1990 e l'80- 90% circa nel 2000. Si tratta, comunque, di previsioni assai incerte, e nel loro complesso e nelle loro componenti.
In ogni caso è da ritenersi che le disponibilità effettive di uranio del mondo potranno essere sufficienti per assicurare un ampio sviluppo della produzione di energia di origine nucleare anche a lungo termine. Questa convinzione è fondata soprattutto sul fatto che, mentre i reattori fino ad ora impiegati nelle centrali nucleari utilizzano solamente circa l'l% del contenuto energetico potenziale dell'uranio naturale, lo sviluppo dei reattori autofertilizzanti, dei quali sarà detto più avanti, porterà l'utilizzazione dell'uranio naturale a percentuali di gran lunga più vicine al 100% e potrà consentire, in caso di successo di alcune linee di ricerca, anche l'utilizzazione pressoché integrale del torio. In questo caso la certezza della sufficienza delle fonti primarie nucleari ben al di là del 2000 è rafforzata dalla considerazione che il più elevato grado di utilizzazione potrà rendere economiche anche risorse il cui costo di estrazione risulti di molto superiore a quello di 15 dollari USA per libbra, assunto oggi, più o meno convenzionalmente, come limite di possibile impiego.
10. Prospettive a medio e lungo termine per la conversione dell'energia.
I processi di conversione dell'energia vanno considerati sotto tre aspetti fondamentali: quello dell'economicità, quello della sicurezza e quello dell'affidabilità. Il primo è già stato esaminato in uno dei capitoli precedenti, nel quale è stato anche chiarito che la ‛fattibilità' tecnica di un processo di conversione non è che il presupposto del suo effettivo impiego, poiché questo dipende dal costo e dal soddisfacimento dei requisiti di sicurezza e di affidabilità.
L'importanza della sicurezza è evidente: il processo non deve mettere in alcun modo in pericolo l'incolumità e la salute degli addetti e dell'ambiente umano circostante.
L'affidabilità è la capacità di un processo di conversione di funzionare con continuità e senza guasti tali da pregiudicare la fornitura di energia agli utilizzatori nei tempi e con le modalità volute. L'affidabilità è molto importante sia per la sua evidente incidenza sui costi di conversione, sia perché la mancanza di certe forme di energia può portare alla paralisi delle attività produttive e sociali nell'area in cui si verifica.
Sicurezza e affidabilità hanno un costo tanto più elevato quanto più severe sono le esigenze.
I processi di conversione delle fonti tradizionali di energia attualmente di corrente impiego sono il risultato di decenni e decenni di ricerche, di esperienza e di progressi, nei quali all'espansione della domanda di energia da parte degli utilizzatori è corrisposto il continuo accrescimento e affinamento delle loro esigenze qualitative. In linea generale è da ritenersi che il progresso continuerà lungo le direttrici dell'aumento delle dimensioni unitarie degli impianti e dell'avanzamento della tecnologia dei materiali. Tuttavia gli ulteriori miglioramenti non potranno avere conseguenze economiche così rilevanti come quelle del passato, dati i grandi passi fatti negli ultimi cinquant'anni. Per esempio, per quanto riguarda le centrali termoelettriche tradizionali, condizioni del vapore più spinte di quelle adottate nelle moderne unità (pressione 250 kg/cm2 e temperatura 540-570 °C) potranno portare a ulteriori modeste riduzioni del consumo specifico per kWh prodotto; tuttavia il maggior costo di impianto e la minore disponibilità dei gruppi, derivanti dall'adozione di condizioni del vapore più spinte, rendono tenue e pertanto discutibile la convenienza economica di passare a temperature e pressioni del vapore più elevate. Anche l'ulteriore aumento della taglia dei gruppi porta vantaggi nel costo specifico di impianto marginalmente sempre minori, con la contropartita dei maggiori danni economici dovuti alle fermate in caso di guasti. Inoltre l'aumento delle dimensioni rende più acuti i problemi del recapito dei combustibili alle centrali: per esempio una centrale i cui gruppi totalizzano una potenza di 2.000.000 di kW e che funziona a piena potenza richiede giornalmente 10.000 tonnellate di olio combustibile o 14.000 tonnellate di carbone.
Lo sviluppo delle centrali termoelettriche tradizionali sarà inoltre condizionato da quello delle centrali nucleari; il ricorso all'energia nucleare, oltre a dare una soluzione al problema generale delle disponibilità di fonti prime di energia, modificherà radicalmente l'impostazione di altri problemi: per esempio, quello dell'inquinamento atmosferico, praticamente assente, e quello del recapito del combustibile, che è molto meno rilevante sotto il profilo economico, data l'elevatissima concentrazione energetica del combustibile nucleare.
Per quanto riguarda l'utilizzazione delle fonti idrauliche, oltre allo sviluppo degli impianti di pompaggio di cui si è detto, è da prevedere che un'attenzione crescente sarà via via dedicata allo studio e alla realizzazione di impianti idroelettrici a scopi multipli, quali la produzione di energia, l'approvvigionamento di acqua dolce e l'irrigazione, la regolazione delle piene, la navigabilità dei corsi d'acqua. E ciò sia per la maggiore importanza economica che alcuni degli scopi non energetici sopra citati potranno assumere in futuro, in relazione all'aumento della domanda di acqua dolce, sia per il fatto che molti progetti idroelettrici, economicamente non convenienti se previsti per la sola produzione di energia elettrica, lo divengono se riarticolati in vista anche del conseguimento di altri scopi.
I prevedibili progressi nella conversione delle fonti energetiche in energia elettrica avranno un parallelo anche nel trattamento del petrolio. Anche in questo settore si assisterà prevedibilmente all'incremento delle dimensioni unitarie degli impianti e a un'intensa attività per la soluzione dei problemi dell'inquinamento atmosferico e delle acque; il trattamento del petrolio e i suoi impianti saranno sempre più collegati anche all'industria chimica propriamente detta, alla quale forniranno materie prime importanti in misura crescente; questo processo di diversificazione dell'utilizzazione inciderà sulle modalità di trattamento e conseguentemente ne sarà influenzata anche l'ubicazione degli impianti.
Si è già accennato all'estensione dei limiti di impiego di certe fonti e forme di energia attraverso forme di surrogazione: in particolare, si aprono prospettive per l'impiego dell'energia elettrica nella trazione stradale, quando siano risolti i problemi degli accumulatori.
Si è anche accennato nel cap. 5 alla conversione diretta di alcune fonti energetiche in energia elettrica, senza il passaggio attraverso l'energia meccanica. È un problema che è stato oggetto di studio e di sperimentazione sin dal nascere dell'industria elettrica. Gli indirizzi possibili sono molteplici: alcuni processi sono stati notevolmente sviluppati e hanno dato anche luogo ad applicazioni pratiche, sia pure del tutto speciali, per esempio in campo spaziale. Nessun processo finora ha però portato ad applicazioni industriali di costo concorrenziale con i mezzi provati di conversione in energia elettrica.
I processi di conversione diretta attualmente più seguiti, in una fase di studio e di applicazione sperimentale, sono: a) la conversione magnetofluidodinamica; b) la conversione elettrochimica mediante le pile a combustibile; c) la conversione fotoelettrica; d) la conversione termoelettrica; e) la conversione termoionica.
La conversione magnetofluidodinamica è un processo di conversione diretta di energia termica in energia elettrica, potenzialmente capace di dare luogo a rendimenti assai superiori a quelli ottenibili con i processi utilizzati nelle centrali termoelettriche tradizionali e nucleari; esso consiste nel far percorrere a grande velocità ad un fluido elettricamente conduttore un condotto posto tra i poli di un potente elettromagnete e dotato, su due pareti opposte, di due elettrodi; tra questi si manifesta una forza elettromotrice che dà luogo a una corrente attraverso il condotto e il circuito esterno; la corrente interagisce col campo magnetico e provoca un rallentamento nel movimento del fluido; la diminuzione di energia cinetica (e in ultima analisi di energia termica) del fluido ionizzato corrisponde, a prescindere dalle perdite, all'energia elettrica prodotta nel processo di conversione. I fluidi impiegati sono gas ionizzati e metalli liquidi, ma si è sperimentato soprattutto sui primi. Il ciclo può essere aperto quando i gas, percorso il condotto, sono scaricati nell'atmosfera, o chiuso, quando i gas sono reimmessi nel condotto.
L'altissima temperatura (1.500-2.500 °C) che deve avere il fluido per ottenere valori accettabili del grado di ionizzazione pone gravi problemi di tecnologia dei materiali.
I primi programmi di ricerca indirizzati ad applicazioni industriali risalgono al 1959. Sono stati realizzati prototipi di qualche diecina di migliaia di kW e ne sono stati progettati altri di potenza maggiore. Il rendimento pratico dovrebbe essere di oltre il 50%.
Le pile a combustibile, note in campo scientifico prima della metà del secolo scorso, hanno attirato l'interesse in vista di applicazioni pratiche intorno al 1950. Una pila a combustibile è un generatore elettrochimico di corrente continua, nel quale l'energia resa disponibile da una reazione chimica è convertita direttamente in energia elettrica con rendimenti dell'ordine del 20÷70%, a seconda del tipo di pila. I tipi studiati e realizzati sono molto numerosi sia riguardo all'elettrolita che al suo stato fisico, al combustibile (idrogeno, idrocarburi, ecc.), alla pressione e alla temperatura di funzionamento. Tra le pile a combustibile realizzate hanno trovato applicazione di rilievo quelle utilizzanti ossigeno e idrogeno puro come combustibili, che sono state impiegate nelle astronavi degli Stati Uniti.
Negli usi correnti le pile a combustibile sono ben lontane dall'essere competitive; se i programmi di ricerca e di sviluppo in corso avranno successo, la prima applicazione di rilievo delle pile a combustibile potrebbe essere la produzione locale e isolata di non rilevanti quantitativi di energia elettrica, per esempio in singole abitazioni o per impieghi industriali speciali e per autoveicoli di tipo particolare.
La conversione fotoelettrica converte direttamente l'energia solare in energia elettrica, utilizzando l'effetto fotoelettrico mediante piccoli generatori conosciuti con il nome di ‛celle solari'. La cella solare, essenzialmente costituita da una giunzione np di materiale semiconduttore (il più impiegato è il silicio monocristallino) ha già trovato vasta applicazione negli usi spaziali; in particolare molti dei satelliti artificiali sono dotati di ‛batterie solari', costituite da più celle, aventi potenza variabile da pochi watt ad alcune centinaia di watt. Celle solari sono state impiegate anche a terra per applicazioni del tutto speciali, per esempio per la realizzazione di apparecchiature quali trasmettitori, ricevitori, ripetitori telefonici e stazioni meteorologiche in zone di difficile accesso. Il costo delle celle solari è molto elevato e allo stato attuale della tecnologia è da ritenere che la loro diffusione sarà limitata ad applicazioni speciali.
I fenomeni termoelettrici sono stati; scoperti nel penultimo decennio del secolo scorso, ma il loro sfruttamento per la produzione di energia elettrica è stato preso in considerazione solo negli ultimi decenni, come conseguenza dello sviluppo dei materiali semiconduttori. Un convertitore termoelettrico elementare è costituito di due ‛braccia' di materiale semiconduttore ‛drogato' opportunamente con elementi p e n, collegati in genere dalla parte della sorgente di calore (giunzione calda). I materiali impiegabili sono diversi; anche senza perdite e con l'impiego dei migliori materiali, il rendimento della conversione termoelettrica risulta inferiore al 20%. L'energia termica necessaria per il funzionamento dei convertitori può essere ottenuta da combustibili fossili tradizionali, dal decadimento di isotopi radioattivi, dall'energia solare o da un reattore nucleare. I convertitori a combustibili fossili sono in uso dal 1962 in applicazioni speciali di piccola potenza, con buona affidabilità. Quelli a radioisotopi, che hanno il vantaggio di funzionare per anni con la sola carica iniziale, hanno trovato anch'essi nel decennio scorso realizzazioni per applicazioni speciali di potenza limitata, fino ad alcune centinaia di watt, ma hanno un costo elevatissimo. I convertitori termoelettrici che sfruttano l'energia delle reazioni di fissione sono stati costruiti in prototipi di potenza inferiore a 1 kW. Il loro basso rendimento e il costo molto elevato li rendono probabilmente adatti solo per applicazioni speciali.
I convertitori termoionici sono essenzialmente tubi elettronici nei quali l'energia termica degli elettroni liberati dal catodo viene aumentata innalzando la temperatura di quest'ultimo a valori molto elevati (1.300-2.000 °C e oltre): in tal modo gli elettroni possono raggiungere l'anodo collettore che è mantenuto a temperatura più bassa (300-1.000 °C). La corrente elettrica che si stabilisce tra gli elettrodi si chiude attraverso un circuito esterno nel quale sono inseriti gli apparecchi elettrici utilizzatori. I convertitori termoionici non sono usciti ancora dalla fase di sviluppo in laboratorio; sono stati finora realizzati, o sono in fase di sviluppo, piccoli prototipi che utilizzano come fonte primaria l'energia solare, il calore di decadimento d'isotopi radioattivi, gli idrocarburi e l'energia nucleare. Presentano indubbiamente capacità potenziali interessanti, ma i problemi tecnologici da risolvere sono particolarmente ardui, per le elevate temperature di funzionamento. Allo stato attuale si può pensare ad applicazioni spaziali o ad applicazioni terrestri di natura del tutto speciale.
In sintesi, la conversione diretta del calore in energia elettrica presenta allo stato attuale possibilità che meritano ulteriori studi e sperimentazioni, senza che peraltro si pro- filino, entro un orizzonte temporale prossimo, applicazioni comparabili ai processi di conversione provati, che si fondano sulla conversione del calore in energia meccanica e di questa in energia elettrica. Le applicazioni in atto e quelle concepibili nel prossimo futuro sono di carattere speciale.
Fra i processi non tradizionali di conversione dell'energia, quello oggi di gran lunga più importante e già adottato su larga scala industriale ha per oggetto la conversione dell'energia da fissione nucleare in energia elettrica.
I progressi in campo nucleare e la rapidità con cui sono stati risolti complessi problemi tecnologici non trovano riscontro, per intensità e per importanza, nella storia della scienza e della tecnica, con l'eccezione, forse, di quelli ottenuti nel settore degli elaboratori elettronici e in quello delle applicazioni spaziali.
Come già indicato, uno degli elementi caratterizzanti la produzione di energia elettrica dalla fonte nucleare è la molteplicità delle filiere di reattori coesistenti; le filiere vengono in genere divise in tre categorie, in relazione al grado di sviluppo tecnologico: alla prima appartengono i reattori di tipo provato, in quanto già sperimentati in esercizio in impianti su scala industriale; alla seconda i reattori convertitori di tipo avanzato; alla terza i reattori autofertilizzanti.
Alla categoria dei reattori provati appartengono il reattore a uranio leggermente arricchito, moderato e raffreddato ad acqua naturale, nelle due versioni ad acqua bollente (BWR - Bolling Water Reactor) e ad acqua in pressione (PWR - Pressurized Water Reactor) e il reattore a uranio naturale, moderato a grafite e raffreddato con anidride carbonica (GCR - Gas Cooled Reactor); in questa categoria rientrano anche il reattore tipo CANDU-PHW (CANadian Deuterium Uranium - Pressurized Heavy Water Reactor) a uranio naturale, moderato e raffreddato ad acqua pesante e i reattori a uranio arricchito, moderati a grafite e raffreddati con acqua naturale bollente sviluppati nell'Unione Sovietica.
I reattori ad acqua in pressione e ad acqua bollente, che sono stati originariamente sviluppati negli Stati Uniti, sono oggetto attualmente di numerose applicazioni: l'imponente programma statunitense di costruzioni industriali è quasi esclusivamente basato su questi due tipi di reattore; anche al di fuori degli Stati Uniti sono numerose le realizzazioni già attuate o in corso.
Il reattore a uranio naturale, moderato a grafite, sviluppato in Gran Bretagna e poi in Francia, è stato abbandonato soprattutto per ragioni economiche dopo aver dato luogo alla realizzazione di numerosi impianti aventi una potenza complessiva dell'ordine degli 8 milioni di kW. In Gran Bretagna esso è stato sostituito da una versione più avanzata a uranio arricchito (AGR - Advaneed Gas Reactor) sul quale è stato impostato il 20 programma nucleare britannico; nel 1975 erano in corso di costruzione in Gran Bretagna 10 unità AGR per oltre 6 milioni di kW, ma anche per questa versione non sono previste ulteriori realizzazioni. Nell'AGR il combustibile, anziché uranio naturale metallico, è ossido di uranio leggermente arricchito; è stato cosi possibile superare alcune limitazioni intrinseche del tipo a uranio naturale, ridurre notevolmente le dimensioni del reattore e migliorarne le prestazioni tecniche ed economiche.
L'esperienza di esercizio dei reattori di tipo provato ha messo in evidenza la completa rispondenza delle centrali nucleari ai requisiti di sicurezza, con riguardo sia al personale che alle popolazioni, e la pratica assenza di inquinamento; in effetti l'energia nucleare è da ritenersi la fonte ‛più pulita' di energia elettrica, dopo quella idraulica, in quanto gli unici possibili agenti inquinanti, cioè gli scarichi radioattivi nell'atmosfera e nell'acqua, sono in pratica contenuti entro valori così bassi da limitare l'irradiazione delle persone più vicine agli impianti a una frazione trascurabile della dose che ciascuno di noi riceve dall'ambiente naturale.
Inoltre gli impianti nucleari di tipo provato hanno dimostrato di possedere, almeno allo stato potenziale, i requisiti di affidabilità richiesti a un impianto elettrico di produzione.
L'esperienza di esercizio è stata fonte di preziosi insegnamenti, che hanno permesso non solo di migliorare fortemente le prestazioni tecniche ed economiche dei reattori attualmente in costruzione, ma anche di passare, grazie alle conoscenze acquisite e al progresso tecnologico, dalle unità di 100.000÷200.000 kW di 7÷10 anni fa, a quelle di 800.000÷900.000 kW da qualche tempo in esercizio e a quelle di 1.000.000÷1.300.000 kW i cui primi esemplari sono recentemente entrati in servizio.
Per le centrali nucleari affermate commercialmente la ‛competitività economica della fonte nucleare rispetto ai combustibili fossili era già acquisita per le alte utilizzazioni prima della crisi del petrolio; oggi la loro competitività è largamente affermata; inoltre le prospettive economiche dei reattori sperimentati e tuttora oggetto di applicazione industriale, rispetto alle centrali a combustibile tradizionale, sono da ritenersi favorevoli anche per i margini di sviluppo tecnico, che sono maggiori per gli impianti nucleari. In particolare, miglioramenti tecnici ed economici sono attesi da un aumento delle potenze unitarie (la tecnologia permetterà a non lunga scadenza di realizzare unità nucleari da 2 milioni di kW), da una progressiva standardizzazione dei componenti e da una semplificazione degli schemi di impianto.
La categoria dei convertitori di tipo avanzato comprende alcune versioni dei reattori ad acqua pesante e i reattori a gas ad alta temperatura.
Tra i reattori avanzati ad acqua pesante gli sviluppi più promettenti si profilano per i tipi che impiegano acqua naturale bollente come veicolo termico; essi si differenziano sia per il combustibile usato sia per le soluzioni costruttive adottate. Ne sono esempi: in Inghilterra il prototipo SGHWR (Steam Generating Heavy Water Reactor) da 100.000 kW in funzione dalla fine del 1967, che impiega uranio leggermente arricchito; il prototipo canadese di Gentilly, da 250.000 kW in esercizio dal 1971, a uranio naturale; un prototipo giapponese da 165.000 kW, la cui entrata in servizio è prevista per il 1976, a uranio naturale e plutonio; un prototipo italiano CIRENE (CIse REattore a NEbbia) da 40.000 kW, in via di realizzazione, a uranio naturale (il vettore termico è acqua naturale in cambiamento di fase).
Questi reattori sono tutti caratterizzati da buone prospettive economiche, da un'elevata produzione di plutonio, dalla possibilità di utilizzare il ciclo uranio-tono e da caratteristiche costruttive, in particolare la modularità, che dovrebbero permettere la realizzazione di unità di potenza elevata con costi di impianto interessanti.
L'unico dei prototipi avanzati ad acqua pesante, che sia in esercizio da qualche anno, è l'SGHWR inglese; la sua esperienza di funzionamento è stata incoraggiante, per cui esso è stato scelto in Inghilterra - nel luglio 1974 - per il nuovo programma di costruzione di centrali nucleari, in sostituzione del reattore AGR.
I reattori a gas ad alta temperatura (HTGR - High Temperature Gas Reactor) hanno dato luogo alla realizzazione di tre prototipi di potenza modesta nel Regno Unito, negli Stati Uniti e in Germania; un prototipo da 300.000 kW è diventato critico negli Stati Uniti al principio del 1974, mentre un altro prototipo di uguale potenza e di concezione originale è in costruzione in Germania. Anche questo tipo di reattore, nel quale possono essere adottati cicli del combustibile diversi, incluso il ciclo uraniotono, ha buone prospettive economiche ed è oggetto di notevole sviluppo, in particolare per quanto riguarda gli elementi di combustibile.
Molto dell'interesse per questa filiera è legato alla prospettiva tecnica di raggiungere temperature elevate e tali da aprire a questi reattori anche quelle applicazioni non elettriche - ad esempio nei settori della chimica e della siderurgia - che appunto richiedono calore ad alta temperatura. La spinta per l'affermazione commerciale di questi reattori, pur non ancora provati sul piano industriale, è stata notevole in passato, ma recentemente (1975) un serio ripensamento ha portato negli Stati Uniti alla cancellazione di tutte e sei le unità di questo tipo, di potenza unitaria compresa fra 770.000 e 1.140.000 kW, ordinate in passato.
Lo sviluppo di convertitori avanzati competitivi comporta in genere tecnologie abbastanza vicine a quelle già possedute e richiede il superamento di difficoltà molto minori di quelle presentate dai reattori autofertilizzanti: in effetti un tipo di convertitore avanzato, il CANDU-PHW, come già accennato, ha già dato luogo a numerose realizzazioni di dimensioni industriali, tra cui alcune con unità superiori a 500.000 kW, mentre altre di potenza più elevata (750.000 kW) sono in costruzione avanzata.
Con la più elevata utilizzazione del contenuto energetico, con la possibilità di reimpiegare convenientemente il plutonio (riciclo del plutonio) e di utilizzare il tono, questi reattori sono meno sensibili a eventuali futuri aumenti del costo dell'uranio e potranno avere una funzione di rilievo per lungo tempo, sia nel caso di un ritardo dell'avvento industriale dei reattori autofertilizzanti, sia in quello di un successo di questi ultimi, per produrre il plutonio loro necessario e, in una seconda fase, per impiegare l'eccesso di plutonio da essi prodotto.
Un'attenzione del tutto particolare deve essere rivolta ai ‛reattori autofertilizzanti' e alle loro prospettive tecnico- economiche; si tratta di una categoria di reattori capaci di utilizzare pressoché integralmente il contenuto energetico dell'uranio (contro utilizzazioni dell'ordine dell'1% per i reattori di altro tipo) e ritenuta quindi universalmente l'unica in grado di garantire una disponibilità di energia da fissione a basso costo sufficiente a soddisfare i fabbisogni dell'umanità per secoli.
Questi reattori convertono la parte fertile dell'uranio, l'isotopo 238 (oppure il torio 232), in plutonio 239 (oppure in uranio 233), producendo un quantitativo di nuovo materiale fissile superiore a quello consumato nella reazione a catena. Il loro ‛fattore di conversione è cioè superiore all'unità.
Il tipo di reattore autofertilizzante ritenuto più promettente è quello che impiega il sodio come veicolo termico (LMFBR - Liquid Metal Fast Breeder Reactor); su questo tipo di reattore sono centrati programmi molto impegnativi di ricerca e di sviluppo di tutti i maggiori paesi industrializzati (Stati Uniti, URSS, Francia, Inghilterra, Germania, Italia, Giappone, Benelux, ecc.), che hanno già permesso di conseguire progressi sperimentali, tecnici e industriali di grande rilievo. In particolare la fisica di questi reattori e il loro comportamento dinamico sono oggi ben conosciuti; mentre è ancora in corso un lavoro di affinamento, le conoscenze disponibili sono più che sufficienti per avviare l'impostazione di un programma industriale. Dal punto di vista tecnologico, i componenti principali del reattore hanno formato oggetto di notevole sviluppo e progresso; il comportamento del combustibile è stato ed è attentamente studiato: in particolare i programmi sperimentali svolti dai paesi all'avanguardia nel settore hanno fornito una messe di informazioni considerevole, anche se non ancora tale da garantire che le prestazioni del combustibile corrisponderanno alle aspettative. Questo progresso appare d'altra parte indirettamente dimostrato dalle realizzazioni in corso in materia di prototipi di reattori veloci al sodio di potenza ragguardevole: in Francia il Phénix, da 250.000 kW, che nel 1973 ha iniziato la produzione di energia elettrica; in Gran Bretagna il PFR (Prototype Fast Reactor) da 250.000 kW, che nel marzo 1974 ha raggiunto la criticità; nell'URSS il BN (Bystri Neitroni 350) da 350.000 kW, di cui solo 150.000 convertiti in energia elettrica, il resto essendo destinato alla desalinazione dell'acqua di mare; inoltre negli Stati Uniti è prossima la decisione di avviare la costruzione di una centrale dimostrativa di potenza compresa tra 300.000 e 500.000 kW e in Germania quella relativa all'impianto SNR (Schnell Natrium Reaktor) da 300.000 kW, in collaborazione con i paesi del Benelux.
Il passo successivo sulla strada del raggiungimento della competitività dei reattori autofertilizzanti è rappresentato dalla costruzione di impianti di caratteristiche industriali aventi potenze dell'ordine del milione di kW: determinante a questo riguardo risulta l'iniziativa presa dai maggiori produttori di energia elettrica francesi, italiani e tedeschi (Électricité de France, ENEL, Rheinisch-Westfälisches Elektrizitätswerk). Essi hanno firmato nel 1973 un accordo per la costruzione in Europa di impianti nucleari con potenza superiore a 1.000.000 di kW equipaggiati con reattori autofertilizzanti veloci al sodio. La costruzione del primo impianto da 1.200.000 kW che sorgerà a Creys-Malville sul Rodano, in Francia, dovrebbe avere inizio entro il 1976.
In conclusione, per quanto riguarda le prospettive dei reattori autofertilizzanti al sodio vi è un concorso di opinioni da parte degli esperti nel ritenere che la data della loro affermazione commerciale possa cadere intorno al 1990, se la soluzione dei problemi economici, tecnici e industriali ancora da superare verrà perseguita con la necessaria sollecitudine.
Altri tipi di reattori autofertilizzanti, che si trovano in una fase meno avanzata rispetto ai reattori al sodio, presentano capacità potenziali tecniche ed economiche abbastanza interessanti. Ad essi sono dedicati programmi di sviluppo di entità relativamente modesta; si tratta essenzialmente di reattori autofertilizzanti a neutroni termici fondati sul ciclo uranio-torio rispettivamente del tipo omogeneo a sali fusi (MSBR - Molten Salt Breeder Reactor) e del tipo eterogeneo ad acqua leggera in pressione (LWBR - Light Water Breeder Reactor). È inoltre considerata con interesse la possibilità di impiego del gas (elio) quale veicolo termico nei reattori veloci in luogo del sodio. Una soluzione del genere si avvantaggerebbe dell'esperienza che va maturando con l'impiego del gas nei reattori a neutroni termici ad alta temperatura (HTGR). Queste soluzioni potranno costituire valide alternative nel caso - pur non molto probabile - di una mancata affermazione dei reattori autofertilizzanti al sodio.
L'energia nucleare è una fonte prima di energia di larga disponibilità a medio e lungo termine e i progressi, fatti e da farsi, per la sua conversione in energia elettrica ne assicurano la disponibilità sotto questa forma. Tuttavia essa potrà occupare uno spazio ancora maggiore nel bilancio energetico mondiale se - come accennato - potrà essere utilizzata, indirettamente, anche in impieghi finali che richiedano forme di energia diverse da quella elettrica, quali per esempio la trazione di autoveicoli stradali o la propulsione di aeromobili, se cioè l'energia elettrica o il calore per suo mezzo ottenuti potranno a loro volta essere riconvertiti in un combustibile economicamente trasportabile e immagazzinabile, così in grandi come in piccoli quantitativi. L'idrogeno è stato individuato quale possibile fonte secondaria (a rigore ‛terziaria' o ‛quaternaria' in quanto ottenuta da calore di origine nucleare o da energia elettrica ottenuta da questo calore), che allargherebbe il campo di utilizzazione della fonte primaria nucleare. Questa fonte secondaria presenterebbe anche requisiti positivi, nella fase di utilizzazione, dal punto di vista della difesa dell'ambiente, in quanto la sua combustione non è causa d'inquinamento atmosferico. L'idrogeno dovrebbe essere prodotto su larghissima scala con processi elettrochimici che impiegherebbero energia elettrica di origine nucleare o con processi termici che impiegherebbero calore d'origine nucleare, alle temperature a cui esso può essere ottenuto dai reattori. La tecnologia e l'economia di questi processi sono oggetto di ricerche.
Possibilità analoghe a quelle dell'idrogeno, quale fonte secondaria di energia, avrebbe l'alcool metilico (o metanolo) che, essendo un liquido e avendo un maggiore potere calorifico per unità di volume, costituirebbe anch'esso un economico intermediario fra l'energia nucleate e i tipi di utilizzazioni energetiche ai quali si è accennato. La sua produzione avverrebbe mediante grandi impianti alimentati da energia elettrica di origine nucleare.
11. Prospettive del futuro: la produzione di energia mediante ‛fusione' dei nuclei leggeri.
Le reazioni nucleari di fusione rappresentano il processo fondamentale con cui viene generata l'energia nel Sole e nelle stelle; sul nostro pianeta energia da fusione nucleare è stata finora prodotta solamente in modo incontrollato mediante esplosione di bombe all'idrogeno, ma non è ancora stato possibile, nonostante le intense ricerche in corso dal 1950, pervenire a una reazione di fusione controllata e autosostenentesi.
La soluzione di questo problema metterebbe a disposizione dell'umanità quantità di energia tali da risultare praticamente inesauribili; i ‛combustibili', da usarsi nei futuri reattori a fusione, dovrebbero essere costituiti da deuterio (reattori DD) e da deuterio e trizio (reattori DT); il contenuto energetico potenziale del deuterio presente nell'acqua degli oceani è di circa 7,5•109 Q, valore di alcune decine di miliardi di volte superiore agli attuali consumi energetici annuali complessivi del mondo.
Il deuterio viene oggi prodotto separando l'acqua pesante da cui viene poi ricavato: esso ha costi molto elevati (dell'ordine di 150 milioni di lire per tonnellata di deuterio); ciononostante l'incidenza del costo del combustibile per kWh prodotto in un reattore a fusione sarebbe praticamente nulla; infatti il contenuto energetico potenziale di una tonnellata di deuterio è equivalente all'incirca a quello di 10 milioni di tonnellate di carbone.
Il trizio può essere prodotto artificialmente mediante una reazione (n, α dall'isotopo di massa 6 del litio, che costituisce il 7,5% del litio naturale; questa reazione potrebbe aver luogo in un ‛mantello' a litio-berillio di un reattore a fusione del tipo DT: in tal caso le materie prime necessarie per il funzionamento di un reattore DT sarebbero deuterio e litio 6. Le risorse mondiali di litio conosciute e quelle supplementari possibili ammontano ad alcuni milioni di tonnellate; il contenuto energetico potenziale del trizio da esse ricavabile è dell'ordine di molte decine di Q; non vi è dubbio tuttavia che le riserve effettive di litio del mondo siano di gran lunga superiori a quelle attualmente conosciute.
Altro motivo che induce a guardare con molto interesse ai reattori a fusione è la loro sicurezza intrinseca: in essi non si possono verificare nè esplosioni nè reazioni a catena divergenti; il contenuto energetico del plasma (gas ionizzato ad alta densità) presente nella camera di reazione sarebbe relativamente modesto; inoltre la radioattività dei prodotti delle reazioni di fusione decade rapidamente con il tempo, come pure quella dei materiali che possono essere attivati, quando questi ultimi siano scelti con criteri opportuni.
Di fronte a questi vantaggi potenziali di più che rilevante importanza, sta il superamento di difficoltà scientifiche e tecnologiche di alcuni ordini di grandezza superiori a quelle finora incontrate nei settori più avanzati.
Infatti le condizioni perché possa aver luogo una reazione da fusione controllata e autosostenentesi sono: 1) che si ottenga un plasma a temperature superiori al valore minimo (temperatura di accensione) a cui l'energia liberata dalla reazione di fusione uguaglia le perdite per radiazione del plasma; per le reazioni DT e DD le temperature di accensione sono rispettivamente di alcune diecine e di alcune centinaia di milioni di gradi; 2) che si stabilisca per un tempo sufficientemente lungo un valore di densità del plasma abbastanza elevato, per cui il bilancio fra energia prodotta e perdite di ogni natura sia positivo (criterio e fattore di Lawson). Per la reazione DT il fattore di Lawson, prodotto della densità del plasma per il tempo di ‛confinamento', vale, nel campo di interesse, 1014 (particelle/cm3)×secondo; ne segue, per esempio, che una densità di plasma DT di 1014 particelle/cm3 deve essere mantenuta per almeno un secondo (a una temperatura superiore ai quaranta milioni di gradi centigradi) per garantire un bilancio energetico positivo.
Una delle maggiori difficoltà che si incontrano per ottenere un plasma caldo in grado di sostenere una reazione controllata consiste nella necessità di isolarlo dalle pareti della camera in cui è contenuto; a tal fine si ricorre al vuoto spinto e a forti campi magnetici, le cui linee di forza circondano il plasma stesso. Il plasma in genere tende a sfuggire entro tempi brevissimi dalla zona in cui è confinato, per cui gli sforzi dei ricercatori sono stati rivolti a realizzare ‛bottiglie' o ‛trappole' magnetiche di forma idonea per sopprimere o limitare questi fenomeni di instabilità, in modo da addensare il plasma per tempi sempre più lunghi e a temperature sempre più elevate, fino a raggiungere le condizioni perché abbia luogo sotto controllo una reazione di fusione autosostenentesi. Le macchine finora realizzate sono state concepite per conseguire una delle condizioni a preferenza delle altre, senza che si sia riusciti a ottenerle tutte nella misura necessaria. Progressi di rilievo sono stati fatti verso questa meta, tuttavia non si è ancora ottenuta una reazione di fusione controllata e autosostenentesi, l'equivalente cioè dell'esperienza di Fermi del 1942, che però riguarda la fissione.
Non insistiamo ulteriormente sulle difficoltà tecnologiche che si presenteranno nella realizzazione dei reattori a fusione, soprattutto perché in questo stadio delle ricerche e dello sviluppo non è ancora possibile identificare quelle che potranno essere le caratteristiche strutturali fondamentali di questi reattori; è tuttavia prevedibile che, tenuto conto delle condizioni di funzionamento, le difficoltà tecnologiche saranno complesse e molteplici.
In questa situazione è impossibile fare previsioni attendibili sia sulle possibilità di realizzazione di reattori a fusione con caratteristiche tecniche accettabili per impianti industriali, sia, a maggior ragione, sulle loro possibilità competitive.
Alla domanda: ‟quando potranno essere realizzati reattori a fusione di caratteristiche industriali?" sono state date in passato risposte molto contrastanti, alcune molto pessimistiche, altre molto ottimistiche. (Nel 1958 fu, per esempio, autorevolmente affermato che nel giro di un decennio ed anche meno si sarebbe pervenuti a controllare le reazioni di fusione). Oggi le maggiori conoscenze acquisite e la cognizione più approfondita delle grandi difficoltà ancora da superare inducono in genere a una grande cautela nel formulare previsioni del genere.
In effetti gli intensi programmi di ricerca in corso a partire dal 1950 nel mondo, in particolare nell'URSS, negli Stati Uniti, nei paesi della Comunità europea e nel Regno Unito, hanno permesso di avvicinare notevolmente il raggiungimento della prima reazione di fusione controllata e autosostenentesi.
Secondo le previsioni che il dottor Seaborg, premio Nobel e presidente della Commissione Atomica degli Stati Uniti, ha formulato in occasione della IV Conferenza di Ginevra del settembre 1971, questo primo scopo potrebbe essere raggiunto entro il 1980; l'applicazione industriale dell'energia da fusione per la produzione di energia elettrica dovrebbe invece presumibilmente aver luogo prima del 2000.
A quest'ultimo riguardo si prospettano due possibilità. La prima prevede l'asportazione dal reattore dell'energia termica prodotta, mediante un fluido di caratteristiche opportune (per es., sali fusi); tale energia termica verrebbe poi trasferita a un circuito a vapore per alimentare una turbina tradizionale. La seconda si riferisce alla conversione diretta in energia elettrica; l'alta temperatura e l'elevata conduttività elettrica del plasma potrebbero infatti rendere possibili un certo numero di schemi nei quali l'interazione del fluido con campi magnetici o elettrici darebbe luogo alla produzione diretta di energia elettrica.
12. Aspetti economici dell'evoluzione tecnologica nel campo della produzione di energia.
Il ciclo dell'energia ha una parte importante nei sistemi economici nazionali, soprattutto in quelli dei paesi più progrediti, e nei traffici internazionali.
La parte che ha l'energia nelle economie nazionali è molteplice: gli investimenti nel settore energetico incidono per una percentuale non trascurabile sugli investimenti complessivi e hanno perciò una notevole importanza nell'indurre effetti su tutte le attività produttive interessate alla realizzazione degli impianti del settore energetico; tuttavia l'incidenza del costo dell'energia sul valore finale dei prodotti nei settori agricolo, industriale e dei servizi e sulle spese delle famiglie è modesta, salvo poche eccezioni per singoli prodotti per la cui fabbricazione sono richieste grandi quantità di energia; d'altronde senza energia non sono possibili lo sviluppo su larga scala delle attività produttive, l'aumento del reddito e il miglioramento del livello di vita; tendenzialmente, e salvo eccezioni dovute a fattori singolari, i paesi con più elevati consumi energetici medi per abitante sono anche quelli in cui il reddito medio individuale è più elevato. L'energia quindi, pur senza essere un fattore che determina lo sviluppo economico, è un fattore che lo condiziona. Ne deriva l'importanza rilevante che ha lo sviluppo tecnologico del settore energetico, con la riduzione che esso determina dei costi reali dell'energia utile per i consumatori finali.
Il progresso tecnologico si manifesta in tutti gli stadi del ciclo dell'energia, in quello della produzione, in quello della conversione e in quello dell'utilizzazione, e la sua azione su di uno stadio ha ripercussioni anche sugli altri: ad esempio la soluzione del problema dell'impiego economico dell'energia elettrica nella trazione automobilistica (che potrebbe venire da progressi negli accumulatori o in qualche procedimento di conversione diretta di fonti di energia in energia elettrica) comporterebbe, quando si realizzasse, mutamenti non trascurabili nelle attività di conversione dell'energia (in particolare nell'industria elettrica e in quella della raffinazione del petrolio).
In futuro il fabbisogno globale di energia dell'umanità continuerà ad aumentare; alla sua copertura concorreranno sempre di più i combustibili nucleari, che nell'anno 2000 potrebbero soddisfare la quasi totalità del fabbisogno di energia elettrica (80-90%) e contribuire in quantità apprezzabili ad altri fabbisogni energetici: in quell'anno, quindi, il fabbisogno energetico complessivo potrà essere coperto per il 35-45% dalla fonte nucleare solo per il tramite dell'energia elettrica; questa percentuale potrà aumentare grazie ad altre applicazioni, principalmente grazie all'impiego dell'idrogeno come vettore energetico, se avranno successo le sperimentazioni in corso. Pertanto, non è impensabile che nel 2000 la fonte nucleare, con queste due forme intermedie di energia, possa coprire anche più del 50% dei fabbisogni energetici mondiali.
Grande ampiezza e importanza economica avrà quindi la branca di industrie minerarie, metallurgiche, meccaniche ed elettromeccaniche, elettroniche ecc. connesse con la realizzazione delle centrali nucleari, coll'approvvigionamento del combustibile e col suo riciclo.
Rilevante sarà anche l'effetto sulla distribuzione territoriale dell'approvvigionamento delle fonti di energia, quando i combustibili nucleari avranno assunto un posto di rilievo. Per l'elevato contenuto energetico specifico di questi combustibili l'incidenza economica del trasporto sarà molto minore e quindi la localizzazione dei centri di consumo di energia sarà ancora più indipendente da quella delle risorse naturali di fonti di energia di quanto non sia oggi.
D'altra parte l'evoluzione della distribuzione della popolazione mondiale, con l'incremento demografico più rapido dei paesi oggi industrialmente meno sviluppati e quindi minori consumatori di energia, comporterà uno spostamento anche nella distribuzione territoriale dei fabbisogni di energia, tanto più che questi paesi compiranno ulteriori passi sulla via dello sviluppo economico.
Ne consegniranno, in conclusione, mutamenti negli scambi internazionali delle fonti di energia e nel ruolo che questi scambi hanno nelle bilance dei pagamenti internazionali. La riduzione del costo delle fonti di energia, con l'avvento su larga scala dei combustibili nucleari, comporterà un alleggerimento degli oneri gravanti per l'approvvigionamento energetico sulle bilance dei pagamenti dei paesi forti consumatori di energia ma proporzionalmente scarsi di risorse energetiche locali, come, presi nel loro complesso, sono attualmente i paesi dell'Europa occidentale.
Tuttavia è molto difficile oggi poter effettuare previsioni sicure a questo riguardo: il progresso tecnologico ha infatti una sua componente di imprevedibilità, che non va sottovalutata, e la disponibilità di fonti di energia a condizioni economicamente convenienti fa sorgere nuove applicazioni e intensifica e moltiplica quelle esistenti.
Si può soltanto affermare che nei prossimi decenni il sistema energetico mondiale sarà soggetto a mutamenti di rilievo in molte delle sue componenti e che tutta l'economia mondiale ne sarà influenzata. Più avanti nel tempo, l'utilizzazione pacifica dell'energia da fusione, se gli sforzi in atto per realizzarla conseguiranno i successi sperati, porterà nuovi progressi nel settore dell'approvvigionamento di energia.
13. La conservazione delle risorse energetiche.
L'evoluzione recente del mercato internazionale delle risorse energetiche unitamente all'andamento esponenziale del loro consumo, che ha luogo ormai nel mondo da molti decenni, e ai molteplici problemi presenti e futuri già illustrati, relativi all'approvvigionamento, alla conversione, al trasporto e all'utilizzazione delle fonti di energia, rende anche il problema della conservazione dell'energia sempre più importante e meritevole della massima attenzione.
Finora la disponibilità di fonti prime è risultata nel complesso generalmente commisurata al fabbisogno, se si prescinde da qualche carenza di alcune forme energetiche di uso comune. Tuttavia, a una situazione caratterizzata da abbondante disponibilità di energia a basso costo, tipica del passato anche recente, è subentrata una fase di costi crescenti, esplosa, come si è visto, colla crisi del 1973. Le tensioni del mercato energetico e le riserve relativamente modeste di alcune fonti primarie hanno pertanto destato serie preoccupazioni per il futuro.
Tra le diverse misure che possono contribuire a evitare a medio e lungo termine una crisi energetica, che avrebbe conseguenze socio-economiche gravissime, grande importanza assume in primo luogo - come già detto - l'utilizzazione di nuove fonti, quali l'energia nucleare, che siano tecnicamente ed economicamente accettabili e disponibili in grandi quantità. Comunque, un impegno volto a realizzare, nella massima misura possibile e in maniera conveniente, la miglior conservazione dell'energia, rappresenta un contributo rilevante alla soluzione di questo vitale problema.
La conservazione dell'energia presenta due aspetti. Il primo riguarda la razionalizzazione dei processi produttivi e il miglioramento dei rendimenti in fase di trasformazione delle fonti energetiche, in modo da ottenere l'utilizzazione più efficiente dell'energia stessa: si realizzerebbe pertanto un obiettivo di natura tecnico-economica, cui si sono sempre dedicati ingegneri e tecnici. Il secondo aspetto, che riguarda l'eliminazione degli sprechi, in alcuni casi notevoli, e in generale il contenimento dei consumi meno indispensabili, trascende l'ambito tecnico e coinvolge questioni di ordine socio-economico e fattori diversi, quali l'educazione e le abitudini dei consumatori, la struttura economica e produttiva dei singoli paesi, ecc.
Senza affrontare, in questa sede, un esame approfondito ditali argomenti - per il quale rimandiamo all'articolo successivo, energia: Economia e conservazione, e a una relazione dello scrivente del settembre 1973 (v. Angelini, 1973) - si ricordano alcune delle possibilità che consentono di realizzare economie energetiche e di utilizzare in maniera più razionale le risorse disponibili.
Fra queste vi è l'isolamento termico degli edifici, che dovrebbe essere migliorato riducendo così i fabbisogni per il riscaldamento degli ambienti, che rappresentano una quota sensibile dei fabbisogni energetici. Si tratta di un problema di rilievo, studiato in diversi paesi e per il quale la collaborazione internazionale potrebbe evitare la ripetizione di costose ricerche ed esperienze. Un altro esempio nel settore elettrico è rappresentato dal miglioramento dei rendimenti di alcune apparecchiature, in particolare dei piccoli motori per elettrodomestici, di quelli per l'illuminazione e così via. Si tratta di una molteplicità di consumi individualmente non rilevanti in termini relativi, ma per i quali un sistematico lavoro di miglioramento dell'economia energetica, nel rispetto di altri vincoli quali i costi complessivi, potrebbe comportare risparmi di un certo peso. Inoltre, una maggiore incidenza dell'uso dei trasporti collettivi potrebbe dare un contributo notevole a un maggior risparmio delle fonti energetiche.
L'uso razionale delle risorse energetiche, che tra l'altro può indirizzare alcuni consumi da torme di energia meno facilmente reperibili e più rapidamente esauribili verso altre fonti, riveste carattere di grande importanza specie nel caso della sostituzione diretta o indiretta della fonte nucleare ai combustibili fossili. Fra gli impieghi possibili della fonte nucleare vi è il riscaldamento di quartieri di città, che oggi viene effettuato con combustibili tradizionali. Studi intesi a valutare la possibilità tecnica ed economica di sostituire all'energia tradizionale l'energia nucleare potrebbero presentare notevole interesse; risulterebbe fra l'altro limitato l'inquinamento atmosferico delle città, al quale il riscaldamento con combustibili fossili porta un contributo tutt'altro che indifferente.
Tralasciando l'ipotesi di un riscaldamento centralizzato di tipo distrettuale, merita attenzione l'impiego della pompa di calore per il riscaldamento degli ambienti e ciò essenzialmente per l'ottima utilizzazione dell'energia che essa consente: è noto, infatti, che le pompe di calore permettono, in climi temperati, di trasferire dall'ambiente esterno a quello da riscaldare una quantità di calore di circa 2÷3 volte superiore a quella dell'energia elettrica assorbita dalla pompa.
Per quanto riguarda, infine, i sistemi produttivi-distributivi dell'energia elettrica, è interessante ricordare che la programmazione economica della ripartizione dell'energia è stata negli ultimi anni progressivamente affinata e che il ricorso a sistemi centralizzati di ripartizione, che fanno largo uso dell'elaborazione dei dati in tempo reale, permette già oggi di effettuare una ottimazione molto spinta e praticamente continua. Ne segue che i rendimenti che si raggiungono nei paesi industrializzati, nella produzione, nella trasmissione e nella distribuzione dell'energia elettrica, sono assai vicini ai livelli massimi teoricamente ottenibili.
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Economia e conservazione dell'energia
SOMMARIO: 1. Premessa. □ 2. Prospettive di sviluppo della disponibilità nel medio e lungo termine. □ 3. Competitività con il carbone ai fini della produzione di energia. □ 4. Adattamento della disponibilità al fabbisogno nel tempo. □ 5. Andamento della disponibilità nell'ambito territoriale e nel tempo. □ 6. Possibilità di utilizzazione sotto forma primaria. □ 7. Possibilità di trasporto sotto forma primaria. □ 8. Possibilità di sostituzione con altre fonti alternative. □ 9. Possibilità di trasformazione in energia secondaria. □ 10. Rendimenti dell'utilizzazione sotto forma primaria e secondaria. □ 11. Effetti ecologici. □ Bibliografia.
1. Premessa.
Una valutazione economica dell'energia ottenibile dalle varie fonti primarie e secondarie è assai complessa, a causa del gran numero di elementi dei quali occorre tener conto e delle incertezze relative alle prospettive future. Al fine di fornire un'indicazione circa la competitività delle varie fonti energetiche, il carbone è stato assunto convenzionalmente quale termine di riferimento, in quanto è il combustibile ‛tradizionale' disponibile da tanti decenni e caratterizzato da riserve che dureranno a lungo.
In questo articolo si è portata l'attenzione sui fattori determinanti che maggiormente influiscono e influiranno nel futuro sull'evoluzione dell'economia delle fonti energetiche, sulla loro conservazione e possibilità di sostituzione senza peraltro indugiare su dati e cifre, in quanto la situazione muta così rapidamente che la loro obsolescenza si manifesterebbe in troppo breve volgere di tempo.
Va altresì rilevato che, per meglio inquadrare gli argomenti specificamente trattati in questo articolo, è apparso utile richiamare in questa sede, sia pure con brevi cenni, taluni altri aspetti della vasta tematica energetica, che sono stati poi sviluppati in maniera estesa e dettagliata nel precedente articolo: Fonti primarie di energia, cui si rimanderà di volta in volta per ulteriori notizie al riguardo.
2. Prospettive di sviluppo della disponibilità nel medio e lungo termine.
Combustibili fossili. - La preminenza fra le fonti ‛commerciali' di energia acquisita dal petrolio negli ultimi decenni è destinata a rimanere tale anche nel medio termine. Si tenderà però gradatamente nel medio termine e soprattutto nel lungo termine alla surrogazione del petrolio con altre fonti di energia, che possono offrire caratteristiche di maggiore e più sicura disponibilità e di distribuzione territoriale più uniforme. I principali indirizzi sui quali è basata tale surrogazione sono quelli della conversione del carbone in gas o in combustibili liquidi, dell'estrazione di combustibili liquidi dalle sabbie e dagli scisti bituminosi e dell'impiego di fonti primarie di energia diverse dai combustibili fossili.
Per quanto riguarda in particolare la possibilità di ottenere dal carbone idrocarburi gassosi e liquidi, cioè combustibili ad alto potere calorifico e facilmente trasportabili, si nota che essa potrà rappresentare il modo più razionale per utilizzare le notevoli riserve di carbone distribuite abbastanza equamente in tutti i continenti. Il trasporto, soprattutto terrestre, del carbone è infatti poco agevole e spesso economicamente oneroso e, allo stato attuale, i quantitativi disponibili sul mercato internazionale sono modesti se confrontati con i fabbisogni energetici complessivi.
I processi per la trasformazione del carbone in combustibili gassosi e liquidi, ai quali sono dedicati attualmente intensi studi, ricerche e sperimentazioni in tutto il mondo, si possono raggruppare in tre gruppi corrispondenti ad altrettante soluzioni tecnologiche e, precisamente, la gasificazione a basso potere calorifico, la gasificazione ad alto potere calorifico e la liquefazione. In questo ambito viene considerato anche un quarto processo di raffinazione del carbone allo stato solido che, per quanto particolare, è importante ai fini della utilizzazione del carbone di qualità scadente (per es., ad alto tenore di zolfo).
Sino ad ora si sono sviluppati su scala industriale solo alcuni processi per la gasificazione di combustibile fossile a basso potere calorifico (processi Lurgi e Koppers-Totzek) e per la liquefazione mediante conversione catalitica (processi Fischer-Tropsch e Methanol). Tutti gli altri processi di cui si ha notizia sono ancora in fase sperimentale o allo stadio di impianti pilota.
Una prima valutazione economica delle possibilità di sviluppo a medio e lungo termine delle varie tecnologie di trasformazione del carbone può essere fatta considerando il rendimento globale della trasformazione stessa, definito come rapporto fra il contenuto energetico del combustibile secondario prodotto e la somma del contenuto energetico del carbone trattato e dell'energia ausiliaria utilizzata per la trasformazione.
Nella tab. I sono indicati i valori entro i quali può variare il rendimento dei vari tipi di processi di trasformazione del carbone, compresi quelli in fase di sperimentazione o allo stato di impianto pilota. Si può osservare che il massimo rendimento della trasformazione può esscre ottenuto mediante la gasificazione a bassa temperatura, che fornisce però un prodotto a basso contenuto energetico, utilizzabile solo per la produzione di energia elettrica. Analoghe considerazioni valgono per la raffinazione allo stato solido.
La gasificazione ad alto potere calorifico e la liquefazione tendono invece a fornire combustibili utilizzabili direttamente dal consumatore finale e per ottenere tale risultato si basano su tecnologie più complesse. Quando questi processi potranno svilupparsi su scala industriale essi saranno probabilmente in grado di sostenere i maggiori costi di trasformazione dovuti sia al minore rendimento della trasformazione sia al maggiore costo di lavorazione.
Un fattore limitativo dello sviluppo industriale su grande scala dei processi di trasformazione del carbone potrà essere costituito dall'inquinamento, soprattutto atmosferico, da essi prodotto a causa dell'emissione di ossidi di zolfo e di azoto, di idrocarburi e di polveri.
Le prospettive di sviluppo della disponibilità, nel medio e nel lungo termine, del carbone, sia per la sua utilizzazione diretta sia per la sua eventuale conversione in idrocarburi, saranno comunque determinate dal costo di approvvigionamento e quindi di estrazione del carbone, sul quale influisce in maniera determinante il costo del lavoro umano. Tali considerazioni valgono in misura ancor maggiore per la lignite, dato il suo basso potere calorifico, per cui è da prevedere che le prospettive di sviluppo delle disponibilità di tale combustibile, anche se notevoli nel medio termine in alcune aree limitate, diventeranno sempre più modeste nel lungo termine.
Un'altra fonte dalla quale è possibile ricavare idrocarburi liquidi è rappresentata dagli scisti bituminosi; questi, come è noto, sono costituiti da rocce sedimentarie con grana cristallina fine, che contengono un materiale organico solido, in gran parte insolubile, denominato ‛kerogene'. Mediante pirolisi, cioè riscaldamento a circa 450 °C in atmosfera parzialmente ossidante, gli scisti emettono il ‛kerogene', sia come gas sia come olio pesante, che viene quindi raffinato fino a produrre un olio grezzo sintetico (‛syncrude') equivalente a un grezzo di alta qualità.
L'estrazione di idrocarburi liquidi dagli scisti bituminosi rappresenta l'obiettivo principale del loro sfruttamento. I gas estratti sono infatti usati come fonte energetica ausiliaria per il processo di estrazione oppure per la produzione di idrogeno utilizzato nella successiva fase di raffinazione.
La tecnologia dell'estrazione di idrocarburi liquidi dagli scisti bituminosi è stata utilizzata da tempo in alcuni paesi sia pure su scala limitata. Ciò che ha impedito sinora lo sfruttamento su grande scala degli scisti bituminosi (oltre ai fattori economici derivanti dalla disponibilità del petrolio) sono stati i problemi tecnici connessi col movimento di grandi quantità di materiale da trattare in rapporto al prodotto ottenibile (in peso, da dieci a uno e anche più) e dalla grande quantità d'acqua occorrente per il processo (in volume, da tre a uno rispetto al combustibile liquido prodotto). Inoltre lo scarico del materiale scistoso già trattato presenta problemi per la sua collocazione anche sotto l'aspetto della protezione dell'ambiente e in ogni caso grava in misura sensibile sul costo del prodotto. Malgrado ciò in conseguenza dei considerevoli aumenti del prezzo del petrolio a partire dall'autunno 1973, la tecnologia basata sulla escavazione degli scisti bituminosi dai loro giacimenti e sul loro trattamento alla superficie in storte di pirolisi ha già cominciato a presentare aspetti competitivi rispetto al petrolio. Tale tecnologia è stata perciò sperimentata negli Stati Uniti in impianti pilota ai fini di un successivo sviluppo su scala industriale.
Recentemente è stata proposta una nuova tecnologia di estrazione del combustibile liquido dagli scisti bituminosi, cioè l'estrazione in sito o sotterranea. Vengono scavate delle cavità entro lo strato di scisto con le tradizionali tecniche minerarie: in queste cavità lo scisto viene frantumato mediante esplosivi e quindi riscaldato. Gli idrocarburi liquidi che se ne ricavano si depositano sul fondo della cavità e vengono quindi pompati in superficie. I processi che utilizzano questo nuovo sistema (BuMines Process e Garrett Process) sono in fase di sperimentazione negli Stati Uniti. Uno di essi (Garrett Process) è già stato sperimentato con successo, nel 1973, in un piccolo impianto pilota nel Colorado.
L'estrazione in sito o sotterranea può risultare conveniente anche per il trattamento di scisti a basso tenore di idrocarburi liquidi, che costituiscono gran parte delle riserve, ma che sono considerati troppo poveri per giustificare l'onere di un trattamento in superficie. Il processo di estrazione in sito non richiede acqua e crea minori problemi per quanto riguarda la protezione dell'ambiente, soprattutto perché non vi è materiale residuo da eliminare; dovrebbe pertanto risultare meno costoso, anche perché richiede meno lavoro minerario e non comporta l'impiego di storte.
Naturalmente vi sono dei siti in cui la presenza di acqua sotterranea rende impossibile la combustione e in tale caso sarà indispensabile ricorrere a processi di estrazione in superficie. Ciò vale anche per il trattamento di giacimenti superficiali di scisti ad alto tenore di idrocarburi liquidi.
Si può quindi prevedere che a lungo termine, in relazione al progressivo esaurimento delle riserve di petrolio, si potranno determinare condizioni economicamente favorevoli allo sviluppo su scala industriale dei processi di estrazione di idrocarburi liquidi dagli scisti bituminosi e in tale sviluppo i processi stessi per estrazione sia in superficie che sotterranea potranno assumere funzione complementare.
Per quanto riguarda il rendimento globale dell'estrazione, cioè il rapporto fra il contenuto energetico dell'olio grezzo sintetico prodotto e la somma del contenuto energetico degli scisti bituminosi trattati e dell'energia ausiliaria utilizzata per la estrazione, esso risulta compreso fra il 53% e il 67% nei processi di estrazione in superficie e del 40÷45% nel processo di estrazione sotterranea già sperimentato in un impianto pilota. È da notare però che nel caso di estrazione in superficie i rendimenti indicati sono al lordo dei rendimenti relativi allo scavo e alla preparazione degli scisti da trattare.
Anche le sabbie bituminose costituiscono una possibile fonte di idrocarburi liquidi; tali sabbie sono formate, come è noto, da depositi di rocce e sedimenti porosi che contengono idrocarburi liquidi molto viscosi, non estraibili con i metodi tradizionali applicati per il petrolio. Anche in questo caso la tecnologia di estrazione può essere applicata in superficie e in sito, cioè nel giacimento stesso; quest'ultimo processo è però tuttora in fase sperimentale. Nei processi in superficie le sabbie, estratte dai giacimenti, vengono trattate mediante acqua calda o solvente o pirolisi, in modo da ricavare il bitume che viene quindi raffinato sino a produrre un olio grezzo sintetico. Tali processi creano problemi di protezione dell'ambiente analoghi a quelli che si pongono per il trattamento degli scisti bituminosi: anche da ciò l'interesse per lo sviluppo dei processi in sito o sotterranei, che dovrebbero inoltre consentire di sfruttare i giacimenti più profondi e quelli più poveri. I processi in superficie, sviluppati su scala industriale nel Canada, risulterebbero già attualmente competitivi col prezzo del petrolio. Si ritiene quindi che a lungo termine anche le sabbie bituminose, le cui riserve accertate, con riferimento al contenuto di idrocarburi liquidi, sarebbero meno importanti di quelle degli scisti bituminosi, potranno fornire una quantità abbastanza rilevante di idrocarburi liquidi quando verranno progressivamente ad esaurirsi le riserve di petrolio.
Per quanto riguarda il gas naturale le prospettive di sviluppo della disponibilità nel medio e nel lungo termine sono analoghe a quelle già indicate per il petrolio, e cioè notevoli nel medio termine e gradatamente decrescenti nel lungo termine. Per il gas naturale è però da notare che, a differenza del petrolio l'accesso a giacimenti lontani è reso più difficile dai problemi posti dal suo trasporto.
Tanto per il petrolio quanto per il gas naturale, prospettive di sviluppo sempre più ampie derivano da esplorazioni che si estendono a territori sinora inesplorati o molto lontani dai centri di consumo: tipici a questo riguardo i ritrovamenti in Alasca e in Siberia. Non meno interessanti e promettenti sono le prospettive nel medio e lungo termine della estrazione del petrolio e del gas naturale da alcuni fondi marini, per es. dal Mare del Nord.
Ne segue un progressivo aumento delle riserve accertate, ma nello stesso tempo un aumento di costo di questi combustibili conseguente all'impiego di equipaggiamenti via via più costosi e al trasporto attraverso distanze sempre maggiori. Di conseguenza, la competitività con altre fonti primarie, e in particolare con il carbone e i suoi derivati, ne risulterà progressivamente diminuita sino ad annullarsi in epoca che è oggi difficile da precisare, in quanto dipende tra l'altro dall'evoluzione imprevedibile delle tecniche di estrazione dei combustibili fossili.
Per quanto riguarda i combustibili vegetali, dato che sono disponibili solo in paesi e regioni poco industrializzati, si può prevedere uno sviluppo modesto della disponibilità nel medio e pressoché nullo nel lungo termine, con il progredire dell'industrializzazione.
Risorse geotermiche. - Una fonte primaria di energia che ha destato notevole interesse negli ultimi due decenni ed è attualmente oggetto di ricerche in varie aree del globo è il calore endogeno. In seguito a considerevoli progressi nelle tecniche dell'esplorazione geotermica sono stati fatti recentemente interessanti ritrovamenti. Le utilizzazioni in atto sono prevalentemente per produzione di energia elettrica e in misura molto minore per il riscaldamento di ambienti. Il funzionamento degli impianti geotermici è caratterizzato da una continuità e una affidabilità soddisfacenti e ciò incide in modo favorevole sulla valutazione dell'energia ottenibile da questa risorsa.
Le prospettive di sviluppo degli impianti geotermici dipendono evidentemente dall'entità delle risorse di vapore naturale che verranno reperite e non possono pertanto essere quantizzate. La ricerca di nuovi campi geotermici comporta rischi economici e incertezze che, grosso modo, possono ritenersi paragonabili a quelli relativi alla ricerca di petrolio. È però da aggiungere che negli ultimi anni le teorie relative alla genesi dei campi geotermici e le tecniche di prospezione sono state oggetto di un'evoluzione intensa e sono avviate a progressi considerevoli.
In Italia la scoperta dei campi geotermici del Monte Amiata, zona priva di manifestazioni termiche superficiali, ha rappresentato una svolta determinante nel settore della ricerca geotermica ed ha messo in evidenza la possibilità di ulteriori progressi nelle campagne di prospezione; i miglioramenti conseguiti hanno già permesso di ridurre in modo rilevante i costi e i rischi della ricerca, in particolare per la possibilità di eliminare più facilmente in una fase preliminare le aree meno favorevoli, riducendo quindi l'entità delle perforazioni esplorative.
Un nuovo sviluppo potrà essere rappresentato dall'utilizzazione del calore ‛secco', cioè di quello contenuto in estesi giacimenti di rocce situati a profondità che vanno da 2.000 a 10.000 m, nei quali una fonte di calore di particolare intensità (per es. un corpo magmatico in via di raffreddamento) si è incuneata determinando una concentrazione di calore, cioè riscaldando le rocce a una temperatura dell'ordine di 300-350 °C. Gli studi e gli esperimenti in corso tendono all'utilizzazione del calore secco per il riscaldamento di un fluido vettore (per es. acqua); questo verrebbe introdotto mediante un pozzo di profondità appropriata (4÷5 km) in terreni a elevato gradiente termico e impermeabili; verrebbero create, in profondità, grosse fratture che renderebbero possibile un migliore scambio di calore tra le rocce calde e l'acqua di circolazione; si riporterebbe in superficie, mediante un secondo pozzo parallelo al primo, il fluido vettore riscaldato e si utilizzerebbe quindi questo calore per la produzione di elettricità o per applicazioni termiche (riscaldamento civile e industriale in genere).
I cicli per l'utilizzazione, a fini elettrici, di acque calde comportano l'uso accoppiato di turbine a vapore e turbine alimentate da fluidi a basso punto di ebollizione e prevedono rendimenti totali dell'ordine del 20%; di conseguenza, il calore di un km3 di roccia, raffreddata da 350 a 300 °C, può produrre 8 miliardi di kwh.
Se al calore terrestre si aggiungessero altre sorgenti termiche (per es. calore da esplosivi, energia nucleare) i rendimenti e i risultati sarebbero migliori.
Energia idraulica. - L'altra fonte primaria che ha contribuito e contribuisce alla copertura dei crescenti fabbisogni energetici mondiali è l'energia idraulica. Alcune caratteristiche intrinseche della fonte idraulica possono avere una non indifferente rilevanza, anche sotto l'aspetto economico: a) la fonte idraulica è ‛rinnovabile' e si rende via via disponibile attraverso il ciclo ricorrente delle precipitazioni atmosferiche e dell'evaporazione. La sua utilizzazione, in paesi come l'Italia che non dispongono di risorse di combustibili fossili e nucleari se non in misura molto limitata in rapporto al fabbisogno, comporta una riduzione negli acquisti all'estero di combustibili, con conseguenze positive sulla bilancia dei pagamenti; b) la realizzazione di impianti idroelettrici comporta impegni di uomini e di mezzi generalmente disponibili in paesi industrialmente sviluppati; c) inoltre, nel bilancio energetico relativo a un lungo periodo di tempo, le risorse di fonti primarie rappresentate da combustibile fossile e nucleare, se non utilizzate, conservano intatto il loro contenuto energetico, mentre l'energia potenziale di quelle idrauliche va irrimediabilmente dispersa, se non viene convertita in energia elettrica e utilizzata via via che si rende disponibile. Di conseguenza, agli effetti della migliore utilizzazione delle risorse energetiche naturali, la produzione idroelettrica rappresenta un sostanziale contributo all'economia delle fonti primarie menzionate, non solo per la loro conservazione, ma anche per il fatto che il rapido progredire della tecnica ne assicura una utilizzazione molto migliore in senso qualitativo e quantitativo; d) un altro aspetto positivo è rappresentato dal contributo, seppure non risolutivo, dato dall'energia idroelettrica alla sicurezza dell'approvvigionamento energetico specie in periodi di turbamento nei rapporti internazionali.
È da notare tuttavia che le riserve ancora disponibili, cioè non utilizzate, sono relativamente abbondanti nell'Unione Sovietica, in Africa e nel continente americano mentre vanno progressivamente esaurendosi in molti paesi industrialmente sviluppati. In questi ultimi una quota sempre più rilevante dei fabbisogni di energia elettrica dovrà quindi essere soddisfatta con altre fonti energetiche e in particolare con combustibili fossili e nucleari; ne segue che in un numero di nazioni che è destinato ad aumentare gradualmente nel tempo le centrali termiche e quelle nucleari sono o saranno chiamate a coprire non solamente la parte inferiore del diagramma di carico, ma anche una frazione rilevante della parte variabile del diagramma stesso. Durante le ore vuote o di minor carico del giorno si renderebbe quindi disponibile una quantità via via crescente di energia termoelettrica o nucleotermoelettrica a costi uguali o molto prossimi al costo marginale. In tali condizioni appare tecnicamente ed economicamente conveniente l'impiego di impianti di accumulazione dell'energia mediante pompaggio. La situazione orografica di alcuni paesi industrialmente sviluppati, e in particolare dell'Italia, è tale da offrire la possibilità di numerosi impianti di pompaggio per potenze complessive elevate, che soddisfino le condizioni di convenienza economica con riferimento sia alle centrali termiche tradizionali, sia a quelle nucleari esistenti o previste per il futuro.
L'utilizzazione del potenziale idroelettrico dei territori industrialmente sottosviluppati presenta aspetti tecnici, finanziari, economici e sociali la cui portata e attualità sono considerevolmente aumentate a seguito dei problemi posti dalla protezione dell'ambiente e, soprattutto, dalla crisi energetica.
Secondo i dati più recenti le risorse in questione sono principalmente concentrate in Africa, in Asia e nell'America Latina. Sulla base delle realizzazioni idroelettriche in corso e di altre informazioni disponibili si può affermare che fra le risorse idrauliche di questi continenti ve ne sono alcune che possono assicurare l'energia meno costosa di cui si possa disporre attualmente a livello mondiale. Il confronto con il costo delle altre fonti di energia prova che la produzione in questione può sopportare un costo di trasmissione prossimo a quello di produzione, pur rimanendo concorrenziale rispetto al costo dell'energia elettrica ottenuto da altre fonti primarie, principalmente da combustibili nucleari. Ne deriva che l'energia in questione può essere utilizzata in territori lontani dalla fonte a distanze che possono raggiungere e oltrepassare 1.000 o 2.000 km.
La realizzazione di impianti per la raccolta e l'accumulazione delle precipitazioni meteoriche da utilizzare sia per la produzione di energia idroelettrica sia per l'approvvigionamento di acqua dolce è stata affrontata già da alcuni decenni in molti paesi del mondo e in particolare in Italia; sin dai primordi delle utilizzazioni idroelettriche si è infatti profilata in più di un caso la possibilità di conseguire, mediante le stesse opere, finalità idroelettriche e di approvvigionamento di acqua destinata a uso potabile, irriguo e industriale, cui non raramente si associano finalità di bonifica e la realizzazione di vie di navigazione interna. Basti pensare alle opere realizzate nelle valli del Tennessee, del Columbia, del Missouri, del San Lorenzo ecc. nel Nordamerica, nella valle della Durance in Francia, e in Italia nelle valli del Sangro e del Velino. Ma le realizzazioni del passato in questo settore sono ancora poca cosa di fronte a quelle che si profilano per l'avvenire.
Le richieste mondiali di acqua per usi domestici, industriali e irrigui hanno avuto negli ultimi decenni un incremento sostanziale e sono destinate in futuro ad aumentare con ritmo ancor più rapido in conseguenza dell'aumento della popolazione mondiale, del crescente sviluppo industriale e del miglioramento delle condizioni di vita. Per far fronte al fabbisogno di acqua dolce vengono utilizzate le precipitazioni meteoriche, mediante opere di raccolta e di convogliamento delle acque superficiali e sotterranee con finalità puramente irrigue e/o di fornitura di acqua per usi industriali, civili e domestici, oppure mediante impianti in cui alle finalità sopraddette viene abbinata la produzione di energia elettrica; di recente si sono sviluppati vari processi per il dissalamento dell'acqua marina e delle acque salmastre. Nei suddetti impianti il valore dell'acqua resa disponibile in genere supera di gran lunga quello dell'energia elettrica prodotta, se come costo dell'acqua si assume quello che avrebbe, sia pure secondo le valutazioni ragionevolmente più ottimistiche, l'acqua dolce ottenibile per dissalamento. Basti pensare che in un impianto con un salto di 450-500 metri a ogni kWh prodotto corrisponde la messa a disposizione di un m3 di acqua: il valore del kWh, che dipende dalla misura con cui si riesce a regolare la produzione dell'impianto in modo conforme all'andamento del fabbisogno della rete in ambito giornaliero, settimanale e stagionale, risulta in ogni caso notevolmente inferiore al costo attualmente previsto per la produzione di un m3 di acqua in impianti di dissalamento di grandissime dimensioni; per salti minori di 450-500 m, che sono in genere più frequenti, il rapporto tra il valore dell'acqua e quello dell'energia prodotta risulterebbe ancora maggiore. Ne segue che in molti paesi del mondo piani di utilizzazione di bacini imbriferi, abbandonati in passato perché eccessivamente costosi, e nuovi schemi di utilizzazione di bacini non presi finora in considerazione, perché economicamente non attraenti, potranno risultare pienamente competitivi grazie all'abbinamento della produzione di energia elettrica con l'utilizzazione delle acque per usi irrigui, potabili e industriali.
Energia nucleare da fissione. - Già prima dell'attuale crisi energetica, l'energia nucleare da fissione era ovunque considerata la più importante alternativa dei combustibili fossili: carbone, petrolio e gas naturale.
A seguito degli avvenimenti recenti la spinta verso l'energia nucleare è aumentata considerevolmente e ha determinato un'accelerazione dei programmi in molti paesi. In effetti la fonte nucleare può sostituire pressoché totalmente i combustibili tradizionali, e quindi anche il petrolio, nella produzione di elettricità che attualmente rappresenta all'incirca il 25% della produzione energetica complessiva. È importante rilevare che, secondo il parere unanime espresso dagli esperti, la percentuale di fonti energetiche primarie utilizzate per la conversione in energia elettrica è destinata ad aumentare nei prossimi 25 anni fino al 45-50%. Queste cifre danno un'indicazione della crescente importanza che potrà avere la sostituzione nella produzione di elettricità dei combustibili tradizionali con la fonte nucleare.
L'utilizzazione su larga scala di questa fonte è per ora limitata alla conversione in energia elettrica, ma in futuro si potranno sviluppare anche altre applicazioni, quali gli impianti nucleari a scopo multiplo (per la produzione di acqua dolce da acqua di mare o salmastra, di calore per usi industriali e civili), la propulsione navale, la produzione di idrogeno.
Per quanto concerne la disponibilità e l'accesso alle fonti dei combustibili nucleari in rapporto con la domanda prevedidile, i problemi che si pongono sono di natura ben diversa da quelli relativi ai combustibili tradizionali e meno difficili da risolvere in una prospettiva a medio e a lungo termine; soprattutto la sicurezza di approvvigionamento risulta garantita, data la distribuzione delle riserve di uranio sulla superficie della terra e in relazione allo sviluppo di tipi di reattori nucleari che fanno prevedere la realizzazione sul piano industriale del ciclo autofertilizzante a partire dalla fine degli anni ottanta. Il ciclo autofertilizzante consente, come è noto, di utilizzare l'uranio pressoché integralmente. L'energia nucleare appare quindi la fonte primaria di energia di più larga disponibilità nel medio e lungo termine per la conversione in energia elettrica. Tuttavia essa potrà avere un'importanza anche maggiore nel bilancio energetico mondiale se si svilupperanno anche altre utilizzazioni per impieghi finali che richiedano forme di energia diverse da quella elettrica, per esempio per la trazione di autoveicoli stradali e di aeromobili.
Si sta studiando la possibilità di utilizzare l'energia elettrica e il calore ottenibili dall'energia nucleare per produrre idrogeno, cioè un combustibile ‛pulito' che possa essere economicamente trasportabile e immagazzinabile in grandi e in piccoli quantitativi. L'idrogeno dovrebbe essere prodotto su larghissima scala con processi elettrochimici o con processi termici che impiegherebbero entrambi come fonte primaria l'energia nucleare.
Un'altra possibilità che è oggetto di studi e ricerche è quella della produzione mediante energia elettrica di origine nucleare di alcool metilico (o metanolo), cioè di un combustibile liquido con elevato potere calorifico, che potrebbe costituire un economico intermediario fra l'energia nucleare e le utilizzazioni cui si è accennato.
Energia nucleare da fusione. - In una prospettiva a lungo termine si pone il problema della disponibilità di energia nucleare da fusione, che potrà mettere a disposizione dell'umanità quantità inesauribili di energia. Infatti la quantità di energia ottenibile mediante le reazioni nucleari di ‛fusione' dei nuclei degli elementi più leggeri a parità di peso dei ‛reagenti', supera notevolmente quella originata da reazioni nucleari di fissione. La difficoltà da superare sta nel fatto che l'innesco delle reazioni di fusione richiede che i ‛reagenti' siano portati a temperature dell'ordine del centinaio di milioni di gradi centigradi in uno stato particolare, detto ‛plasma' o ‛quarto stato della materia', in cui gli atomi degli elementi presenti sono totalmente ionizzati. Temperature tanto elevate occorrono per conferire alle particelle dei reagenti un'energia cinetica tale da consentire la loro unione superando la repulsione coulombiana dovuta alle cariche positive dei nuclei dei reagenti stessi.
Tra le ‛reazioni' possibili, quella che implica il livello di temperatura minore del plasma è quella fra il trizio (3T) ed il deuterio (2D) i cui nuclei comprendono un protone e due neutroni e, rispettivamente, un protone e un neutrone. Ciò è conseguenza del fatto che la repulsione risulta evidentemente minima quando minime sono le cariche dei nuclei reagenti.
Tra i problemi che si pongono assume rilievo prevalente quello del ‛confinamento' del plasma in una zona relativamente limitata della cavità che lo contiene e a conveniente distanza dalle sue pareti. La ricerca procede secondo diversi indirizzi per la realizzazione della struttura più conveniente per raggiungere il fine ora delineato. Un promettente sistema di confinamento è il Tokamak, in cui il campo magnetico è prodotto da una corrente che attraversa lo stesso plasma. Il plasma in qualche modo rappresenta l'avvolgimento secondario di un trasformatore, sotto forma di anello e cioè di una spira di conducibilità elevata. Le ricerche Tokamak, iniziate in URSS, impegnano attualmente gran parte degli sforzi compiuti su scala mondiale nel campo della fusione.
Il Tokamak è un'apparecchiatura promettente per produrre e confinare grandi volumi di plasma ad alta temperatura a un livello di densità notevole per i reattori. Esso ha pertanto interesse come punto di partenza per un reattore a fusione.
Gli studi effettuati sugli attuali Tokamak, relativamente piccoli, hanno consentito di isolare plasmi con temperature sempre più alte e di controllarli per tempi sempre più lunghi. Le conoscenze acquisite mostrano che temperature più alte e tempi di confinamento più lunghi possono essere raggiunti soltanto in apparecchiature grandi con forti correnti di plasma. La costruzione di un'apparecchiatura ditali dimensioni fa parte del Programma JET (Joint European Thorus) della Commissione Europea per l'Energia Atomica (EURATOM). L'obiettivo essenziale del JET consiste nell'ottenere e studiare un plasma in condizioni e dimensioni che si avvicinino a quelle richieste per un reattore termonucleare. La fase di costruzione del JET dovrebbe avere inizio nel 1976 e durare circa cinque anni. La fase sperimentale comincerà agli inizi degli anni ottanta.
È anche da segnalare una tecnica per la fusione dei nuclei atomici, che sembra presentare favorevoli prospettive, basata sull'utilizzazione di laser ad altissima potenza per il riscaldamento di microsfere contenenti isotopi dell'idrogeno. Programmi di ricerche al riguardo sono già stati avviati in vari paesi.
Secondo le più recenti previsioni l'applicazione industriale dell'energia da fusione dovrebbe presumibilmente avere luogo prima del 2000.
Energia delle maree. - L'energia delle maree è da tempo oggetto di studi ai fini della produzione di energia elettrica. Possibilità di utilizzazione di tale energia si hanno solo nelle località in cui le escursioni delle maree sono molto rilevanti e dove la configurazione naturale della costa si presta all'installazione degli impianti relativi.
In relazione anche all'esperienza acquisita nella costruzione e nell'esercizio dell'impianto della Rance (Francia), si può ritenere che le prospettive di sviluppo a medio e a lungo termine della produzione di energia maremotrice siano scarse: gli impianti hanno costi non competitivi e la potenza da essi resa disponibile presenta un andamento fortemente mutevole nel tempo.
Energia eolica, solare, gradiente termico e moto ondoso del mare. - Queste fonti primarie di energia prendono tutte origine dalla radiazione.
Energia eolica. L'energia eolica rappresenta una delle più antiche fonti primarie di energia cui l'uomo ha fatto ricorso, dapprima per la propulsione di natanti e successivamente, ma sempre in epoca molto lontana, forse venti o trenta secoli fa, per l'azionamento di mulini. Più recentemente i motori a vento hanno trovato applicazione nell'agricoltura per il sollevamento di acqua.
Anche in tempi assai vicini a noi l'utilizzazione dell'energia eolica era assai diffusa: basti ricordare, a titolo di esempio, che negli ultimi decenni del XIX secolo almeno 30.000 mulini a vento erano in esercizio in Danimarca, Germania settentrionale, Olanda e Inghilterra.
Indubbiamente la fonte eolica presenta alcuni aspetti assai interessanti: ha costo nullo, è inesauribile ed è ampiamente disponibile, in modo variamente distribuito su tutta la superficie del globo. È stato stimato che, se si potesse prescindere da ogni considerazione di costo e dalle conseguenze della sua grande variabilità, una utilizzazione molto spinta della fonte eolica su scala mondiale potrebbe fornire annualmente una quantità di energia pari a quella di circa 4 miliardi di tonnellate di carbone.
Con riferimento agli sviluppi futuri si può quindi ritenere che gli impianti eolici continueranno a trovare impiego in zone isolate lontane dalle reti di distribuzione, sia per la produzione di modeste quantità di energia elettrica, sia per usi vari di forza motrice, in particolare per il sollevamento di acqua e per l'azionamento di mulini; sembra logico, inoltre, prevedere che ben difficilmente le centrali eoliche potranno concorrere sostanzialmente alla produzione di elettricità, in quanto non competitive a questo effetto con altre fonti primarie.
Energia solare. La quantità di energia convogliata annualmente sulla Terra dalle radiazioni solari è molto maggiore di quella rappresentata dalle risorse conosciute di combustibili fossili e nucleari, ma la sua utilizzazione è stata relativamente modesta e riguarda principalmente la produzione di acqua dolce dal mare, in impianti di dimensioni modeste, e la produzione di acqua calda per usi domestici.
L'impiego dell'energia solare per la produzione di energia elettrica in grandi quantità appare, almeno nelle condizioni attuali, molto problematico. Si tratta infatti di una fonte discontinua e di bassa densità; per esempio, per ottenere la potenza di 1.000 MW, che è quella fornita da una moderna unità nucleare, occorrerebbero superfici di raccolta della radiazione di decine di km quadrati; ne seguono gravi problemi dovuti all'ingombro di questi impianti, con pesanti riflessi economici che unitamente ad altri fattori, quale la discontinuità, inducono a ritenere molto improbabile la competitività della produzione di energia elettrica dalla fonte solare con la produzione elettronucleare. Prospettive interessanti per l'energia elettrica di origine solare si presentano invece per applicazioni del tutto speciali, quali quelle già realizzate per sonde spaziali e satelliti artificiali o in luoghi desertici o comunque molto isolati.
L'energia solare dovrebbe poter trovare crescente applicazione per il riscaldamento dell'acqua per usi domestici e per quello degli ambienti, in sostituzione parziale di altre fonti; si pongono naturalmente dei problemi di accumulazione, ma il riscaldamento per accumulazione rappresenta oggi una tecnologia in pieno sviluppo, che, associata alla fonte solare, potrebbe portare a risultati interessanti.
Gradiente termico del mare. Un aspetto particolare di utilizzazione dell'energia solare è quello che riguarda il gradiente termico del mare nelle zone tropicali. La superficie del mare rappresenta in effetti un collettore naturale di energia solare di area vastissima e di costo nullo. Le correnti naturali che si stabiliscono, per effetto del riscaldamento della superficie degli oceani, fra le zone tropicali e quelle polari determinano nelle zone tropicali una stratificazione termica permanente dell'acqua marina con variazioni di temperatura fra la superficie e le zone profonde dell'ordine di 25 °C. L'utilizzazione di tale gradiente per azionare un motore termico darebbe luogo in base al ciclo di Carnot a un rendimento teorico dell'8%, che si ridurrebbe in pratica a solo il 3% circa. È però da osservare che il ‛combustibile', cioè l'acqua marina, è disponibile in quantità praticamente illimitata a costo nullo e perciò il rendimento della trasformazione ha in questo caso scarso significato.
Vari studi di fattibilità eseguiti di recente negli Stati Uniti hanno condotto a conclusioni positive per quanto riguarda gli aspetti sia tecnici che economici dell'utilizzazione del gradiente termico degli oceani nelle zone tropicali per la produzione di energia elettrica in impianti di potenza elevata. Lo schema di funzionamento di un impianto del genere, che è già stato sperimentato su modelli in laboratorio, è basato su un ciclo analogo a quello che si utilizza negli impianti frigoriferi e il fluido in circolazione è costituito infatti da una sostanza refrigerante del tipo usato in tali impianti, cioè con basso punto di ebollizione. L'acqua calda superficiale viene pompata in profondità alla ‛caldaia', che è in pratica uno scambiatore di calore, nel quale il fluido suddetto si trasforma in vapore a pressione relativamente elevata; il vapore viene inviato in superficie ad azionare una turbina, alla quale è accoppiato un generatore elettrico. Dallo scarico della turbina il vapore a bassa pressione viene inviato nuovamente in profondità a un condensatore raffreddato con acqua sollevata da zone più profonde e si trasforma nuovamente in liquido che fluisce alla caldaia per ricominciare il ciclo. Gli impianti di questo tipo sarebbero dislocati su isole artificiali e l'energia elettrica prodotta potrebbe essere trasportata alla terraferma mediante cavi sottomarini oppure utilizzata in sito per la produzione di idrogeno o di combustibili sintetici (come, per esempio, il metanolo) o di prodotti elettrochimici in genere.
Moto ondoso del mare. Il moto ondoso del mare rappresenta un'altra fonte energetica ‛non tradizionale', cui sono dedicati studi per una possibile utilizzazione. Un inconveniente per il suo impiego deriva dalla forte discontinuità. La sua utilizzazione è ostacolata dal costo degli impianti per convertirlo in energia meccanica utilizzabile; sono stati studiati numerosi possibili dispositivi e fatte esperienze, ma le realizzazioni su scala industriale sono tuttora del tutto antieconomiche e comportano problemi insoluti.
Diferenza di salinità delle acque del mare e dei fiumi. - Nell'ambito delle fonti di energia ‛non tradizionali' è da citare anche l'energia che si può ricavare sfruttando la differenza di salinità delle acque del mare e dei fiumi alla foce dei fiumi. Si tratta di energia di natura fisico-chimica, che viene normalmente dissipata ma che potrebbe essere in parte recuperata mediante conversione diretta in energia elettrica. Per tale conversione si dovrebbero utilizzare apposite batterie dialitiche, basate sull'impiego di particolari membrane scambiatrici di ioni, alla cui realizzazione si stanno dedicando studi e ricerche, che sono però ancora in una fase preliminare.
Lo sviluppo su scala industriale dell'utilizzazione di questa potenziale fonte energetica dipenderà in primo luogo dalla soluzione di problemi di natura tecnologica riguardanti soprattutto la costruzione delle suddette batterie, ma certamente una tendenza favorevole in tal senso potrà essere determinata dalle caratteristiche positive di questa fonte quali la durata nel tempo, gli aspetti ecologici e le possibilità di ottenere energia elettrica mediante conversione diretta.
Rifiuti solidi urbani. - Una posizione singolare fra le fonti energetiche è quella dei rifiuti solidi urbani. Il loro smaltimento rappresenta un problema oneroso, tanto più quanto maggiore è la dimensione del centro urbano interessato. Il forte aumento dei prezzi delle materie prime energetiche verificatosi contemporaneamente alla crisi petrolifera ha posto l'esigenza di recuperare dai rifiuti solidi urbani tutto il materiale che può essere riciclato, in particolare vetro, carta, metalli. Spesso i residui organici derivanti da tale recupero vengono semplicemente inceneriti, ma in vari paesi si sta diffondendo la pratica di utilizzare i rifiuti solidi urbani, previo recupero del materiale riciclabile, anche per la produzione di vapore e/o di energia elettrica. Va rilevato che il potere calorifico dei rifiuti solidi urbani è piuttosto basso e che non si tratta di un vero e proprio combustibile ma di materiale di rifiuto, il che comporta bassi rendimenti dei generatori di vapore e spesso la necessità di integrazione con altri combustibili.
È da notare che, in alternativa all'incenerimento puro e semplice e all'utilizzazione dei rifiuti solidi urbani come combustibile, si sta sviluppando anche l'utilizzazione dei medesimi, previo recupero dei materiali di riciclaggio, per la preparazione di un prodotto (detto ‛compost') che ha qualità simili all'humus e che può essere utilizzato con successo per l'arricchimento di terreni agricoli che si siano inariditi sia per causa naturale sia per l'uso eccessivo di composti chimici.
Si può comunque ritenere che nei limiti di alcune aree urbane a grande densità di popolazione l'utilizzazione dei rifiuti solidi urbani come fonte energetica presenti buone prospettive nel medio e lungo termine.
In questo ambito sono da menzionare anche gli studi e le ricerche in corso per l'utilizzazione dei residui organici provenienti dai rifiuti solidi urbani, dal liquame e dalle acque di scarico in genere, per la produzione di combustibili liquidi o gassosi. Uno di tali processi basato sulla conversione biologica dei residui organici in gas naturale ha luogo spontaneamente, in assenza di ossigeno, ad opera di microrganismi. Esso è già utilizzato, per esempio in Cina, per la produzione su scala locale del gas naturale necessario per la produzione di energia a uso termico e per piccoli gruppi generatori di energia elettrica ed è oggetto di studi, in corso negli Stati Uniti, per la realizzazione di un impianto pilota su scala industriale.
3. Competitività con il carbone ai fini della produzione di energia.
Per una valutazione indicativa della competitività delle varie fonti energetiche si ritiene opportuno assumere quale termine di riferimento il carbone, in quanto, come già detto, esso rappresenta il combustibile ‛tradizionale' più durevole.
La competitività dei principali combustibili fossili (petrolio e gas naturale) rispetto al carbone è elevata nei paesi produttori dei combustibili stessi, a causa del minore costo di estrazione e della trasportabilità nettamente più facile, soprattutto per il petrolio.
La lignite, dato il suo scarso potere calorifico, è competitiva con il carbone solo in vicinanza di grandi giacimenti superficiali.
L'energia geotermica, ovunque essa sia ricavabile da sorgenti di calore endogeno, è nettamente competitiva, in quanto fornisce direttamente calore.
La competitività dell'energia idraulica ai fini della produzione di energia elettrica è elevata, ma è da ricordare che le disponibilità ancora non utilizzate, per quanto rilevanti, si trovano per lo più in aree molto lontane dai centri industriali.
L'energia nucleare da fissione è competitiva ovunque solo ai fini della produzione di energia elettrica, quando trovano giustificazione potenze non inferiori a 300.000 o 400.000 kW.
Per quanto riguarda l'energia nucleare da fusione, trattandosi di fonte non ancora sperimentalmente provata, neppure su modesta scala industriale, una previsione attendibile della competitività non è possibile anche se le prospettive future sono così favorevoli da incoraggiare un crescente impegno nella sperimentazione.
Incerta anche nelle aree in cui esiste la possibilità di utilizzazione è la competitività dell'energia maremotrice; ciò, come si è già accennato, in conseguenza del costo degli impianti utilizzatori e della grande variabilità della potenza disponibile nel tempo.
Delle fonti primarie di energia che prendono origine dalla radiazione solare, solo l'energia eolica e quella solare possono risultare competitive con il carbone, entro determinati limiti di utilizzazione, e precisamente: per l'energia eolica, solo per potenze limitate e per aree lontane dalle reti di distribuzione di energia tratta da altra fonte e, per l'energia solare, limitatamente al riscaldamento dell'acqua e a qualche altro uso termico nelle aree temperate e tropicali.
Ben lontana dalla competitività si può ritenere invece attualmente l'energia ottenibile dal moto ondoso. Migliori prospettive si presenterebbero, secondo recenti studi effettuati negli Stati Uniti, per quel che riguarda l'utilizzazione del gradiente termico del mare.
Per quanto riguarda l'utilizzazione ai fini della produzione di energia elettrica della differenza di salinità delle acque del mare e dei fiumi non si può per ora porre un problema di competitività perché si tratta di fonte non ancora sperimentalmente provata in sia pur modesta scala industriale.
Infine, i rifiuti solidi urbani possono costituire una fonte energetica competitiva nei pressi di certe aree urbane di grandi dimensioni, in cui siano disponibili con continuità in grandi quantitativi. È da notare però che si tratta di un combustibile molto scadente che si preferisce utilizzare come integrazione dei combustibili ‛tradizionali'.
4. Adattamento della disponibilità al fabbisogno nel tempo.
La scelta della fonte di energia più conveniente dal punto di vista tecnico ed economico dipende anche dall'andamento nel tempo del fabbisogno di energia per le singole attività. Questo non è costante e il flusso dell'energia deve adeguarsi a tale andamento. Per ‛flusso di energia' si intende la quantità di energia erogata, sotto forma primaria o secondaria, in un dato tempo e per ‛velocità di flusso dell'energia' la quantità di energia erogata per unità di tempo nel momento al quale ci si riferisce.
La velocità di flusso dell'energia nel tempo rappresenta un aspetto dei problemi energetici molto di frequente trascurato mentre ha importanza determinante agli effetti delle dimensioni degli investimenti occorrenti per la produzione, il trasporto, la trasformazione e la distribuzione dell'energia nelle diverse forme. La velocità di flusso dell'energia alla produzione e la velocità di flusso alla consegna non coincidono necessariamente e anzi di solito differiscono.
Vi sono forme di energia, come l'energia elettrica, che non sono suscettibili di accumulazione e quindi devono essere consumate nell'istante stesso in cui sono prodotte, con la conseguenza che gli impianti devono essere dimensionati per la velocità massima di trasformazione dalla fonte primaria o secondaria in energia elettrica richiesta dalle attività consumatrici: La velocità di flusso rappresenta in questo caso la potenza, concetto abituale del quale la prima è una generalizzazione.
Le fonti primarie di energia, intese come materia dalla cui trasformazione deriva, ad esempio, l'energia elettrica, sono invece suscettibili di accumulazione; per esse l'adeguamento della fornitura alle velocità di flusso richieste avviene mediante una regolazione combinata della produzione e delle scorte accumulate. Vi sono dei limiti anche fisici alle possibilità di accumulazione ed essi comportano che la velocità di flusso abbia una influenza sul ritmo di produzione anche delle fonti immagazzinabili. La variabilità della velocità di flusso non si limita soltanto alla produzione e ai prelievi giornalieri e settimanali e a quelle che gli statistici analizzano come variazioni dovute alla stagionalità, di carattere periodico e spesso approssimativamente prevedibili; comprende pure le irregolarità accidentali della produzione e della domanda di energia che comportano variazioni spesso rilevanti della velocità di flusso, determinate da fatti economici ed extraeconomici (temporanee impossibilità di rifornimento dovute ad avversità meteorologiche e a conflitti; impennate della domanda dovute alle stesse cause; ecc.). Ne deriva l'esigenza delle cosiddette ‛scorte strategiche'.
Gli impianti di produzione e di trasformazione, di trasporto e di distribuzione nel caso di fonti di energia non accumulabili devono essere dimensionati per i massimi fabbisogni stagionali, mensili, settimanali e orari; per le fonti di energia accumulabili, invece, l'accumulazione deve essere adeguata alla produzione al fine di poter erogare regolarmente i quantitativi richiesti. In un ampio intervallo di tempo produzione e consumo (comprese le inevitabili perdite) debbono certamente equivalersi, però la disponibilità di fonti di energia è adeguata solo quando fronteggia in permanenza la domanda.
Le attività che producono, trasformano, trasportano e distribuiscono l'energia sono quindi costantemente impegnate nella ricerca di nuovi e più economici accessi alle fonti prime di energia, di adeguati e più economici impianti di trasformazione delle fonti primarie in secondarie e di miglioramenti delle loro attrezzature di trasporto e distribuzione. Non solo, ma occorre pure costituire adeguate capacità di accumulo: scorte di combustibili solidi e liquidi, serbatoi di gas naturale lungo i metanodotti o al oro termine, serbatoi idroelettrici, e così via.
Le capacità di accumulazione necessarie a far sì che il flusso dell'energia nel tempo si adegui alla domanda possono assumere varie dimensioni, in relazione non solo alle esigenze del paese, ma anche alla presenza in esso di risorse di fonti prime, alla loro entità, all'andamento della domanda nel tempo, ecc. Le capacità di consumo incidono comunque in misura non trascurabile sugli investimenti. Basti pensare al costo dell'ingente capacità dei serbatoi idroelettrici, al costo dei serbatoi del petrolio e dei prodotti petroliferi ottenuti dalla sua lavorazione, conservati presso le raffinerie, al costo dei serbatoi del gas naturale e di quello fabbricato, ecc. L'onere deriva non soltanto dagli impianti di accumulazione, ma anche dall'immobilizzo del valore delle fonti di energia accumulate e costituenti una riserva temporanea o permanente di maggiore o minore entità, dalla quale attingere. Le attività del settore energetico sono quindi altamente interessate al progresso della tecnica nel campo dell'accumulazione delle fonti di energia. In anni recenti si è per esempio imparato a utilizzare giacimenti esauriti di gas naturale come serbatoi, per immagazzinarvi gas fatto affluire da altri giacimenti per gasdotto.
Analogamente si ricercano nuovi mezzi per il trasporto: per il carbone si sono realizzati impianti per il trasporto a lunga distanza di carbone polverizzato, mediante condotte; si è iniziato il trasporto intercontinentale, a mezzo di apposite navi, del gas naturale liquefatto; si sono in genere migliorati i mezzi di trasporto marittimi per renderli più economici (superpetroliere, grandi navi carboniere).
L'adeguamento della velocità di flusso delle disponibilità di energia a quella dei fabbisogni coinvolge quindi una molteplicità di aspetti, tecnici ed economici, ed è di vitale importanza in quanto, come si è detto, l'energia è un fattore strategico e una sua inadeguata disponibilità coinvolge pressoché tutte le attività produttive.
Per quanto riguarda i combustibili fossili l'adattamento della disponibilità al fabbisogno nel tempo viene effettuato nel lungo termine regolando l'estrazione, e nel breve e medio termine mediante serbatoi per il petrolio e il gas naturale (quest'ultimo in forma gassosa o liquida) e mediante accumuli per il carbone e la lignite (allo stesso modo si provvede anche, in misura modesta, per i combustibili vegetali).
L'energia geotermica si qualifica come energia di base caratterizzata da estrazione ed erogazione continua e costante con possibilità di accumulo estremamente limitate.
L'energia idraulica, se ottenuta da acqua fluente, non presenta possibilità di adattamento della disponibilità al fabbisogno nel tempo. L'accumulo in serbatoio consente, a seconda dei casi, un adattamento giornaliero, settimanale, stagionale e talvolta pluriennale. Particolare importanza assumono in questo ambito gli impianti di accumulazione idraulica mediante pompaggio. Come noto, lo schema tipico di un impianto del genere comprende due serbatoi, naturali o artificiali, a livelli diversi e una stazione generatrice e di pompaggio. Nei periodi di disponibilità di potenza l'acqua viene sollevata dal serbatoio inferiore e convogliata, a mezzo di una condotta forzata, in quello superiore con energia di basso valore; nel periodo di fabbisogno di potenza, attraverso la stessa condotta e mediante l'acqua erogata dal serbatoio superiore e scaricata in quello inferiore, viene prodotta energia di integrazione. Un impianto di pompaggio, concepito nel modo schematico ora richiamato, mentre contribuisce a fronteggiare la richiesta di potenza, non dà alcun apporto alla copertura del fabbisogno di energia; anzi l'energia consumata dalle pompe che sollevano l'acqua è maggiore di quella generata dai gruppi turbina-alternatore azionati dall'acqua che discende.
Oltre agli impianti che rispondono allo schema così delineato, ve ne sono - e non sono pochi - di quelli in cui alla accumulazione di energia mediante sollevamento d'acqua si associano una produzione propria da afflussi naturali e altre finalità, quali l'utilizzazione delle acque per usi irrigui, potabili e industriali, come abbiamo già accennato. Qui, per semplicità, ci riferiremo in modo specifico alla pura e semplice accumulazione di energia, assumendo alla base delle considerazioni che seguono lo schema tipico di accumulazione richiamato sopra, che è definito di ‛pompaggio puro'.
L'impianto di pompaggio realizza una rivalutazione considerevole dell'energia assorbita durante le ore vuote, che può essere apprezzata al costo marginale termico, mentre quella prodotta per far fronte alle punte di carico è di alto pregio. Esso ha inoltre tutte le caratteristiche tecniche favorevoli tipiche degli impianti idroelettrici e si presta pertanto nel migliore dei modi non solo ai servizi di punta, ma anche a quelli di integrazione e di riserva rotante. La convenienza economica degli impianti di pompaggio dipende da molti fattori, tra i quali i più importanti sono il costo dell'impianto per kW installato, l'ubicazione dell'impianto rispetto ai centri di consumo, il costo dell'energia disponibile per il pompaggio.
Per quanto riguarda l'energia nucleare da fissione, l'adattamento della disponibilità al fabbisogno nel tempo è possibile nel lungo termine regolando l'estrazione e il trattamento della materia prima (uranio o tono) e nel medio termine (in scala annuale) mediante accumulazione del ‛combustibile' nei reattori e fuori. Non sostanzialmente diversa si profila la situazione per i combustibili nucleari utilizzati per la fusione (deuterio e tritio).
L'energia delle maree è mutevole e non è assoggettabile ad accumulo diretto se non raramente e con oneri per lo più inaccettabili.
Non regolabili sono anche le fonti energetiche che hanno origine dalle radiazioni solari e cioè: a) l'energia eolica, che risente di un'influenza marcata delle stagioni e, in alcune zone, delle ore diurne e notturne e che, anche indipendentemente da ciò, è molto irregolare; b) l'energia solare, caratterizzata da regime periodico giornaliero e disponibile in misura variabile secondo le stagioni e in dipendenza dalle condizioni atmosferiche; c) il moto ondoso del mare, che è estremamente e rapidamente mutevole; d) il gradiente termico del mare, che è essenzialmente continuo ma in parte influenzato dalle stagioni.
Per quanto riguarda infine i rifiuti solidi urbani la disponibilità è pressoché uniforme nel tempo ed è regolabile in modesta misura mediante accumulazione dei rifiuti.
Accumulazione terminale dell'energia elettrica. - Un cenno deve essere fatto, infine, al particolare aspetto dell'accumulazione terminale, cioè presso l'utilizzatore finale, che riguarda in modo particolare l'energia elettrica.
Il crescente impiego dell'energia nucleare per la produzione di energia elettrica accentuerà l'esigenza, già posta dagli impianti termoelettrici convenzionali, di aumentare al massimo possibile la durata di utilizzazione delle centrali nucleari. Oltre al contributo che a ciò possono dare allo stadio della produzione gli impianti idraulici di pompaggio, si stanno studiando nuovi sistemi per l'accumulazione di energia in ore non di punta presso l'utilizzatore finale per ottenere il livellamento del carico; ciò consentirebbe anche di ridurre le perdite di trasmissione e di distribuzione dell'energia elettrica utilizzata.
Un quadro sintetico delle caratteristiche dei vari sistemi di accumulazione dell'energia che potrebbero essere utilizzati per il livellamento del carico è riportato nella tab. II, alla quale si ritiene opportuno fare seguire un breve commento.
L'energia può essere accumulata direttamente sotto forma di energia elettrica, il che consentirebbe di ridurre le perdite di conversione e riconversione, oppure sotto forma di energia termica, meccanica o chimica.
L'accumulazione sotto forma di energia elettrica nelle varie forme teoricamente possibili, cioè in campi magnetici (con l'impiego di materiale superconduttore) o in campi elettrici (con il condensatore) o mediante ionizzazione degli atomi, per esempio del berillio, se pure oggetto di studi e ricerche, presenta notevoli difficoltà di natura soprattutto tecnologica.
L'accumulazione sotto forma di energia termica si realizza con un'efficienza elevata nella fase di conversione dell'energia elettrica in energia termica, ma è regolata dal ciclo di Carnot nella fase di riconversione in energia elettrica. Il limite superiore di temperatura raggiungibile che, assieme alla differenza fra le temperature massime e minime, determina il rendimento della riconversione in energia elettrica è vincolato dalle esigenze di stabilità termica e meccanica del contenitore del materiale utilizzato per l'accumulazione, che per questa applicazione dovrebbe essere costituito da sali fusi. È perciò probabile che l'accumulazione del calore continuerà anche in futuro a trovare il suo principale impiego nei sistemi di riscaldamento elettrico dei locali.
L'accumulazione sotto forma di energia meccanica può essere effettuata con diversi sistemi: o mediante pompaggio di energia idraulica, o accumulando gas sotto pressione o per inerzia con l'uso del volano.
L'accumulazione di energia idraulica mediante pompaggio è la sola forma attualmente usata, per lo più in grandi impianti e non presso l'utente.
L'accumulazione mediante gas sotto pressione è stata proposta come mezzo per aumentare il rendimento delle turbine a gas nelle quali circa il 60% dell'energia è richiesto per comprimere l'aria che viene immessa nella camera di combustione. Accumulando in caverne sotterranee aria che sia stata compressa in ore non di punta si può fare aumentare di due-tre volte la produzione di energia elettrica di un impianto generatore con turbina a gas, a parità di consumo di combustibile fossile.
È però da rilevare che questp tipo di impianto richiede anche l'impiego di combustibile fossile e la sua dislocazione presso i centri di consumo dell'energia elettrica per ottenere il livellamento del carico porrebbe problemi gravi di inquinamento per le emissioni nell'atmosfera e per il rumore. Gli impianti di questo tipo, di potenza relativamente elevata (oltre 200 MW), di cui uno in costruzione nella Germania Occidentale e uno allo studio in Svezia, rispondono a esigenze di livellamento del carico allo stadio della produzione di energia elettrica, hanno cioè una funzione analoga a quella degli impianti idroelettrici di pompaggio.
L'altro sistema di accumulazione di energia sotto forma di energia meccanica, basato sull'impiego del volano, pur avendo recentemente suscitato nuovo interesse a causa dei miglioramenti realizzati nella tecnologia dei materiali che si possono usare per la costruzione dei volani, presenta notevoli inconvenienti dovuti alle elevate perdite di energia nel caso di accumulazione di durata superiore a 24 ore e ai problemi di sicurezza che si possono porre per effetto di vibrazioni di risonanza e per guasti meccanici in genere. Resta infine da considerare l'accumulazione di energia sotto forma di energia chimica. Il solo metodo che presenta interesse sotto tale aspetto è quello elettrochimico e ciò per l'assenza di limiti di natura termodinamica, per l'elevata efficienza ottenibile e per la compattezza degli impianti che, d'altra parte, non danno luogo a inquinamento da rumore e da emissioni nell'atmosfera.
L'accumulazione elettrochimica può essere effettuata con vari sistemi che presentano grandi differenze nelle prestazioni, nella durata di vita e nel costo dell'accumulatore. Alcuni di tali sistemi sono già noti e disponibili, quali, per esempio, gli accumulatori acidi al piombo e gli accumulatori alcalini al cadmio e al ferro. Il loro impiego ai fini dell'accumulazione di energia elettrica per il livellamento del carico è tuttavia impossibile a causa del costo elevato, anche solo per un'accumulazione giornaliera, e dei limiti nella durata di vita degli accumulatori stessi. Si stanno perciò sperimentando altri sistemi, fra i quali quelli che presentano le caratteristiche più favorevoli sono il sistema a soluzione redox e il sistema redox ad alta temperatura.
Il sistema a soluzione redox (Dissolved Redox System, DRS), in fase di sperimentazione presso il Centro di Ricerche Battelle di Ginevra, è basato sull'ossidazione e riduzione reversibili di ioni in soluzione in celle elettrolitiche. La scelta di coppie redox che possiedano una differenza di potenziale elevata consente di raggiungere forti densità di energia per unità di volume della soluzione. Fra le numerose coppie redox disponibili, quelle al cromo, oltre a presentare vantaggi di carattere tecnico, consentono di ottenere un'elevata densità di energia, pari a circa 50 Wh/1 (1 MWh in circa 20 m3). Il costo d'investimento, per quanto si può attualmente valutare, risulta tuttavia ancora troppo elevato.
Per quanto riguarda, infine, il sistema redox ad alta temperatura, pure in fase di sperimentazione, esso è basato sull'impiego di un elettrolita di sale fuso e può consentire di raggiungere elevate densità di energia e di potenza. Tale sistema presenta però ancora molte difficoltà tecnologiche, dovute a problemi di corrosione degli elettrodi e dei contenitori, di isolamento termico e di stabilità a lungo termine degli elettrodi e dell'elettrolita. La soluzione di questi problemi potrà influenzare in misura notevole i costi di impianto, sulla cui entità vi sono quindi molte incertezze.
5. Andamento della disponibilità nell'ambito territoriale e nel tempo.
Elementi fondamentali del problema energetico sono l'entità e la distribuzione delle riserve di fonti primarie. I dati disponibili circa l'entità delle riserve di combustibili fossili (per dettagli, v. energia: Fonti primarie) mettono in evidenza l'ampia consistenza delle riserve di combustibili solidi; solo quelle accertate in giacimenti con spessori non inferiori ai 30 cm e a profondità non eccessive avrebbero una durata, ai livelli di produzione attuale, di alcune centinaia di anni; purtroppo a un forte incremento della produzione di combustibili solidi si oppongono spesso difficoltà notevoli, quali per esempio quelle relative al reperimento della mano d'opera e alle interazioni con l'ambiente, per le quali non si intravedono soluzioni semplici e rapide.
Minore è la consistenza delle riserve dei combustibili liquidi e gassosi, la cui durata ai livelli di produzione del 1974 è dell'ordine delle decine di anni e maggiore, fra i due, per quelli gassosi; ma se si tiene conto del rapido adeguarsi di queste riserve all'espansione dei fabbisogni, che si è regolarmente verificato in passato grazie alle scoperte di nuovi giacimenti, esse appaiono globalmente soddisfacenti.
Le riserve misurate di carbone sono abbastanza equamente distribuite fra i continenti. Le riserve di petrolio, come si può notare dalla fig. 1, presentano invece una distribuzione territoriale nettamente squilibrata: oltre la metà di esse si trova nei paesi del Medio Oriente.
A tali riserve si potranno aggiungere gli idrocarburi liquidi che potranno essere estratti, quando si svilupperanno su scala industriale i relativi processi, dalle sabbie e dagli scisti bituminosi, presenti in varie parti del mondo, in particolare nel Nord- e Sudamerica. La prospezione sistematica degli scisti bituminosi è appena iniziata, ma si ritiene possibile che la loro distribuzione geografica corrisponda all'incirca a quella delle riserve accertate di petrolio.
Per quanto riguarda le sabbie bituminose notevoli giacimenti sono stati sinora accertati nel Canada, negli Stati Uniti, nel Venezuela e nella Colombia.
La distribuzione superficiale delle riserve di gas naturale è molto più uniforme di quella delle riserve del petrolio.
I dati riguardanti le riserve mondiali di combustibili fossili (v. energia: Fonti primarie, tab. V) non devono indurre a ritenere che un'adeguata disponibilità di combustibili fossili possa essere facilmente accessibile ovunque. Come noto, infatti, la diversa distribuzione geografica delle riserve rispetto ai consumi comporta notevoli difficoltà e ampi margini di rischio. I combustibili solidi, il cui trasporto è poco agevole e spesso economicamente oneroso, meglio si prestano all'utilizzazione massiccia in loco. Peraltro i quantitativi disponibili sul mercato internazionale sono molto modesti se confrontati con i fabbisogni energetici complessivi. Anche l'accesso a giacimenti lontani di gas naturale è reso più difficile dai problemi posti dal suo trasporto. Il petrolio e i suoi derivati sono invece facilmente trasportabili: questa caratteristica e la economicità, fino a epoca recente, di questi prodotti hanno determinato la grande espansione dei loro consumi. Serie riserve sussistono però oggi in merito alla sicurezza di approvvigionamento del petrolio e derivati e i conseguenti riflessi sui prezzi.
A differenza del petrolio, l'uranio è presente in ampia misura in nazioni industrializzate, caratterizzate da sistemi politici stabili, da economie aperte e da un volume elevato di scambi internazionali. La fig. 1 illustra come la sua disponibilità, a livelli di costo elevati, ma non proibitivi, sia molto ampia: dato il modesto livello di produzione dell'uranio, il confronto tra risorse e produzione (circa 24.000 t nel 1975) è poco significativo, mentre può essere più indicativo ricordare che le risorse a costo contenuto dovrebbero risultare sufficienti per l'ampia espansione prevista per la produzione nucleare fino alla fine del secolo. In base a queste e ad altre considerazioni, l'uranio sembra offrire oggi un'elevata sicurezza di approvvigionamento, tanto che nelle analisi di bilanci energetici e nelle previsioni viene talvolta equiparato a una fonte interna, anche quando è d'importazione. Questa valutazione trova in particolare fondamento nella facilità di trasporto e di immagazzinamento di questa fonte. Non va taciuto tuttavia che molto recentemente in alcuni paesi produttori di uranio sono state proposte delle iniziative che, se attuate, potrebbero limitare la libertà del mercato internazionale dell'uranio.
Quasi la metà delle risorse di uranio a basso costo di estrazione presenti nei paesi a economia di mercato si trova nel Nordamenca. Segue per importanza delle riserve l'Africa. Importanti risorse sono state accertate in Oceania; anche nell'Europa occidentale vi sono risorse di rilievo. È da ricordare, d'altra parte, che le campagne di prospezione su vasta scala per quel che riguarda l'uranio hanno avuto inizio solo negli ultimi decenni e limitatamente ad alcuni paesi. Lo sviluppo ulteriore della prospezione potrà quindi modificare in misura notevole sia l'entità che la distribuzione territoriale delle risorse. La durata delle attuali risorse di uranio nel mondo dipenderà essenzialmente dal ritmo con cui procederà lo sviluppo dei programmi nucleari e in minor misura dalla potenza e dal tipo di centrali nucleari che sono e che entreranno in funzione. Le disponibilità effettive di uranio, in conseguenza anche dell'intensificarsi della prospezione, potranno assicurare un ampio sviluppo della produzione di energia di origine nucleare e ciò in misura molto maggiore quando potranno affermarsi i reattori autofertilizzanti, capaci di utilizzare, come accennato, pressoché integralmente il contenuto energetico dell'uranio.
L'energia idraulica presenta ancora risorse inutilizzate ingenti. La fig. 2 mette in rilievo per il mondo intero e per le principali zone geoeconomiche le risorse idrauliche tecnicamente utilizzabili, così come la produzione idroelettrica del passato e quella prevista per l'anno 2000. (Per quel che riguarda la situazione mondiale delle risorse e della produzione idroelettrica dell'anno 1973, v. energia: Fonti primarie, tab. XIV). Come indicano i dati della fig. 2, la divergenza fra risorse tecnicamente utilizzabili e risorse utilizzate è molto grande nei paesi scarsamente industrializzati. Questa differenza si ridurrebbe evidentemente se ci si riferisse unicamente alle risorse economicamente utilizzabili, ma essa rimarrebbe ugualmente considerevole, come risulta dagli studi e dai programmi messi a punto da diversi paesi. Le risorse tecnicamente utilizzabili ammontano complessivamente a 11.000 miliardi di kWh/anno circa, di cui qualche anno fa si ritenevano economicamente utilizzabili 4.000 miliardi di kWh/anno. Sono entità non rilevanti se confrontate con la produzione complessiva di energia elettrica (6.400 miliardi di kWh circa nel 1975), ma tali comunque da giustificare l'impegno in atto in vari paesi per la loro utilizzazione. Tali risorse, come si è già accennato, sono relativamente abbondanti nell'Unione Sovietica, in Africa e nel continente americano.
Per quanto riguarda l'energia geotermica si può osservare che le fasce territoriali più promettenti per la ricerca di fluidi endogeni interessano tutti i continenti, ma occorre aggiungere che agli effetti del successo della ricerca geotermica si deve verificare la coesistenza di varie condizioni necessarie per la formazione di un giacimento geotermico economicamente sfruttabile. Le prospezioni in corso in vari paesi tendono quindi ad accertare le aree di accumulo dei fluidi ipertermali dove i rischi di un'esplorazione diretta a mezzo di sondaggi profondi e costosi sono ridotti entro limiti accettabili. Allo stato attuale le risorse accertate di energia geotermica risultano abbastanza consistenti e la loro utilizzazione è già in corso o in fase di sviluppo in vari paesi.
Per quanto riguarda l'energia delle maree si può osservare che si tratta di risorsa perenne ma che la sua disponibilità è consistente solo nelle zone costiere in cui si hanno escursioni molto rilevanti delle maree.
Perenni sono anche l'energia eolica e quella solare e la loro disponibilità sul piano territoriale è molto estesa: fanno eccezione solo alcuni territori in relazione alla loro particolare esposizione ai venti e al sole.
Ancora mal definita è la disponibilità sul piano territoriale di altre fonti di energia non ‛tradizionali' e per loro natura perenni quali il moto ondoso, il gradiente termico del mare e la differenza di salinità fra le acque del mare e quelle dei fiumi.
Per quanto riguarda infine i rifiuti solidi urbani, la loro disponibilità è naturalmente commisurata al tipo di agglomerato urbano da cui provengono e alla sua popolazione e di conseguenza è connessa nel tempo con lo sviluppo dei centri urbani.
6. Possibilità di utilizzazione sotto forma pri- maria.
Le fonti di energia si possono distinguere in due categorie: quelle dalle quali si può ottenere direttamente calore (i combustibili fossili, vegetali e nucleari, il calore endogeno, le radiazioni solari, il gradiente termico del mare, i rifiuti solidi urbani) e quelle convertibili direttamente in energia meccanica (l'energia idraulica, le maree, il vento, il moto ondoso). A tali categorie se ne può aggiungere una terza che comprende alcuni processi di ‛conversione diretta' da fonte primaria ad energia elettrica: in questo ambito vi sono le pile a combustibile e quella fonte ‛non tradizionale', ancora in fase preliminare di ricerca e sperimentazione, che è la differenza di salinità fra le acque del mare e quelle dei fiumi.
L'utilizzazione dell'energia termica è di gran lunga prevalente e pertanto impegna grandi quantità di combustibili primari e secondari. Tali combustibili (fossili, vegetali, nucleari) possono essere utilizzati sotto forma primaria per la produzione di energia termica, anche se talvolta ciò avviene previa conversione in combustibili secondari, come nel caso del petrolio.
Mentre con i combustibili fossili si può ottenere calore a temperatura elevata, come è richiesto in varie utilizzazioni industriali e civili, con i combustibili nucleari si può ottenere calore a temperatura non elevata e utilizzabile allo stato attuale soltanto per la produzione di energia elettrica. Infatti nei reattori di tipo provato, in particolare nei reattori ad acqua, già in esercizio su scala industriale per la produzione di energia elettrica, la temperatura e la pressione del vapore prodotto non sono molto elevate. È questo il motivo delle sperimentazioni in corso con i reattori convertitori di tipo avanzato, in particolare quelli a gas ad alta temperatura, il cui sviluppo potrà interessare i settori della chimica e della siderurgia per l'utilizzazione in processi termici.
Anche l'energia geotermica può essere utilizzata direttamente sotto forma di calore per il riscaldamento domestico e per altri usi civili e industriali. Si tratta anche in questo caso di calore a temperature relativamente basse (intorno ai 200 °C nel caso di vapore endogeno e di 50-90 °C nel caso di acqua calda).
Grandi impianti per riscaldamento domestico e agricolo mediante risorse endogene sono stati sviluppati in Islanda, dove abitazioni ed edifici pubblici della capitale e dei suoi dintorni sono riscaldati con impianti centralizzati, alimentati da acque geotermiche. Altre importanti applicazioni si hanno anche in Giappone, nel Messico, in Ungheria e negli Stati Uniti, per vari usi (riscaldamento di abitazioni, di serre, di allevamenti avicoli, di vivai di pesci; distillazione di acque salmastre).
Analogamente dall'energia solare si può ottenere calore a bassa temperatura. Con un collettore a circolazione d'acqua si può riscaldare l'acqua sino a 80 °C con un rendimento del 75%. Il vantaggio di una utilizzazione di questo genere è la semplicità del sistema, che può essere usato per il riscaldamento dell'acqua e per il riscaldamento dei locali. È da notare in proposito che, per esempio nell'Europa occidentale, circa il 25% dell'energia primaria consumata in totale viene utilizzata per la produzione di calore a temperatura non superiore a 80 °C. Con l'energia solare si possono ottenere anche temperature più elevate concentrando i raggi del sole mediante specchi. In un forno solare sperimentale si sono realizzate temperature di 3.000 °C, ma si tratta evidentemente di utilizzazioni particolari.
Come si è già accennato, l'energia idraulica, il vento, le maree possono essere convertite e utilizzate direttamente sotto forma meccanica mediante motori idraulici e a vento. Queste fonti meccaniche sono state utilizzate nel passato su grande scala, ma, specialmente negli ultimi decenni, il motore elettrico, per la sua versatilità e per la possibilità di frazionamento della potenza; è subentrato in misura preponderante negli usi di forza motrice.
7. Possibilità di trasporto sotto forma primaria.
Ci riferiamo qui essenzialmente a due categorie di trasferimenti di energia e cioè: a) trasporto delle fonti primarie o materie prime energetiche più importanti e cioè dei combustibili tradizionali - petrolio, carbone, gas naturale - e dei combustibili nucleari; b) trasmissione della forma secondaria più importante rappresentata dall'energia elettrica.
Alcune fonti primarie in quanto non rappresentate da materie prime energetiche non possono essere trasportate - è il caso dell'energia idraulica e geotermica - ma debbono essere utilizzate sul posto ovvero convertite nella forma più adatta alla trasmissione: l'energia elettrica. (Tralasciamo di considerare il caso - non attuale - in cui l'energia elettrica venga impiegata sul posto per produrre una materia prima energetica, quale, per es., l'idrogeno, che poi può essere oggetto di trasporto).
I trasporti di materie prime energetiche, pur essendo trasporti specializzati, hanno fruito di gran parte dei progressi realizzati, specie in questi ultimi anni, nei mezzi terrestri e soprattutto marittimi destinati in generale al movimento di grandi quantità di merci. Ma l'evoluzione della tecnica, sospinta da esigenze nuove, ha condotto allo sviluppo di mezzi di trasporto nuovi e specifici per i combustibili, quali: a) le superpetroliere; b) le navi ‛metaniere' per il trasporto del gas naturale liquefatto; c) gli oleodotti; d) i gasdotti terrestri e sottomarini.
L'incremento dei trasporti è stato in misura notevole originato dal maggior fabbisogno mondiale di energia e dalla diversa distribuzione sulla terra delle aree di più intenso consumo rispetto ai giacimenti di combustibili ed alle risorse idriche. Poiché certe fonti di energia localizzate nelle aree di più intenso consumo hanno consentito solo modesti incrementi, perché ai limiti dell'utilizzazione (soprattutto risorse idriche), o hanno subito dei regressi per ragioni di economicità (carbone), l'incremento dei consumi si è ripercosso in misura massiccia sul fabbisogno di importazione e conseguentemente sui trasporti. I trasporti di fonti di energia si sono adeguati alla maggiore domanda con risposte d'ordine quantitativo (incremento dei mezzi) e risposte d'ordine qualitativo (innovazioni).
Negli ultimi decenni il petrolio ha assunto la preminenza tra le fonti energetiche impiegate e, poiché proprio per il petrolio, più che per altre fonti, si verifica la dissociazione tra aree di maggior consumo e aree di maggior produzione, i trasporti di questo combustibile hanno registrato gli aumenti più elevati. Ciò ha portato, da un lato, all'incremento delle dimensioni e della velocità delle petroliere e, dall'altro, all'intensificazione della costruzione e al potenziamento (portata, sicurezza) degli oleodotti di scambio che uniscono l'entroterra ai porti di sbarco del petrolio. Questo sviluppo è stato notevole anche in Europa, dove la rete di oleodotti ha raggiunto una estensione e una diffusione considerevoli. L'esercizio di petroliere di grandi dimensioni (fino all'ordine di 300.000 t.p.l. e oltre) e l'impianto di grandi oleodotti di penetrazione hanno portato alla costruzione di porti o terminali destinati al traffico del petrolio e dotati di adeguati depositi costieri.
Negli ultimi decenni l'importanza del gas naturale quale fonte energetica si è fortemente accresciuta, inizialmente soprattutto negli Stati Uniti, ma in seguito anche in Europa (e in particolare in Italia) e altrove. Ancor oggi vi sono riserve di gas naturale non utilizzate; sono quelle dei giacimenti petroliferi dei grandi paesi produttori di petrolio. L'esportazione ha già assunto notevole importanza e più ancora ne sta assumendo per iniziative in atto o programmate, fra cui il trasporto del gas naturale dei giacimenti siberiani negli Stati Uniti e nel Giappone. Lo sviluppo grandissimo e tuttora in corso dei grandi gasdotti su lunghe distanze si è esteso dagli Stati Uniti all'Europa e ad altre parti del mondo ed è in atto la tendenza alla realizzazione di gasdotti di grandissimo diametro. I massimi diametri sino ad ora raggiunti sono dell'ordine di 1,5 m e con essi si può trasportare il gas fino a distanze dell'ordine di 2.000-3.000 km. Nell'URSS si sta studiando la realizzazione di gasdotti del diametro di 2,4 m. Si è inoltre reso possibile il trasporto per mare del gas naturale liquefatto, mediante apposito naviglio di nuova concezione.
Il traffico di carbone ha seguito le vicende dell'impiego di questo combustibile. Nell'ultimo ventennio, la produzione mondiale di carbone è aumentata di oltre il 50% anche se la surrogazione da parte dei derivati del petrolio gli ha tolto o limitato vari sbocchi, fra i quali quello stesso dei trasporti; quindi l'accrescimento del suo consumo è stato inferiore a quello del complesso delle fonti commerciali di energia. Il progresso dei mezzi di trasporto, soprattutto via mare, ha esteso le zone di utilizzazione del carbone, grazie alla riduzione del costo che ne è derivata. Per i trasporti via terra si sono studiati ed adottati trasporti di carbone polverizzato per condotta e trasporti ferroviari specializzati ed automatizzati. Tuttavia, se si esclude il carbone destinato alla siderurgia, cioè quello da coke la cui funzione è solo in parte energetica, il traffico marittimo del carbone, che è quello di gran lunga prevalente, è aumentato relativamente poco.
Il trattamento e il trasporto del carbone sono più costosi, a parità di calorie contenute, di quelli relativi al petrolio e al gas naturale (per condotta). Per quanto riguarda il tra- sporto (prescindendo quindi dall'estrazione e dall'impiego) si stanno sperimentando, come già accennato, vari processi di trasformazione del carbone in combustibili gassosi e liquidi, onde ottenere prodotti più economicamente trasportabili. Non conviene, dal punto di vista economico, trasportare combustibili solidi poveri se non per percorsi brevissimi (per es., per certe ligniti, dal luogo di estrazione alla centrale elettrica ubicata sul giacimento, che le converte in energia elettrica; tuttavia le caratteristiche di erogazione e di impiego dell'energia elettrica le valorizzano anche nel senso di renderne accettabili i costi di trasporto).
Il trasporto dei combustibili nucleari, data la quantità elevatissima di energia che essi sono in grado di sviluppare nei reattori in cui vengono impiegati, comporta oneri del tutto irrilevanti, tanto che non ha incidenza apprezzabile l'impiego del mezzo aereo. Ma, dopo l'impiego, i combustibili nucleari debbono essere trasportati dalla centrale a un impianto di trattamento per la separazione dell'uranio, impoverito dell'elemento fissile, dal plutonio - che ha grande valore in quanto elemento fissile reimpiegabile nei reattori attuali (di tipo provato) e più ancora in quelli del prossimo futuro (i surrigeneratori) - e dai prodotti di fissione altamente radioattivi. Questi ultimi debbono poi essere recapitati ai depositi ove debbono restare pressoché indefinitamente. Questi trasporti successivi implicano oneri molto maggiori di quelli relativi ai combustibili nuovi non irradiati nei reattori e ciò a causa delle costose protezioni che debbono essere adottate per difendere gli operatori e le popolazioni circostanti da ogni pericolo di contaminazione radioattiva. Malgrado ciò, l'incidenza del complesso di questi costi non raggiunge valori degni di rilievo se riferiti al contenuto energetico utilizzabile dei combustibili in parola.
Per valutare la convenienza del trasporto delle varie fonti energetiche un termine di riferimento è rappresentato dalla quantità di energia in kcal per kg di materia prima energetica.
La massima concentrazione di energia per unità di peso si ha per il gas naturale e per l'idrogeno liquefatti. (Per l'idrogeno è da tener presente che è ancora incerto il successo delle pur molto promettenti ricerche in corso per il suo esteso impiego quale vettore energetico). Il processo di liquefazione comporta un costo che accresce il valore del prodotto a parità di peso; da ciò la convenienza a trasportare queste fonti di energia dopo che sono state liquefatte, anche se il trasporto è molto oneroso. L'intero ciclo, dall'estrazione alla consegna ai consumatori della fonte rigassificata, fornisce comunque, a questi, calorie a un costo più elevato di quello delle calorie dell'olio combustibile, che è una fonte a minor contenuto energetico per unità di peso che non il gas naturale e l'idrogeno liquidi, ma il cui trasporto è meno costoso. Comunque, per il trasporto dei combustibili gassosi attraverso tratti di mare relativamente brevi e sulla terra ferma sono preferibili i gasdotti e ciò sia dal punto di vista tecnico, sia dal punto di vista economico. I gasdotti, come pure gli oleodotti, al pari delle linee elettriche, rappresentano infrastrutture costituite da impianti vettori di energia che collegano in modo stabile e permanente i centri di produzione, di ripartizione e di consumo delle rispettive forme di energia.
Se si vuole estendere il confronto all'energia elettrica trasportabile mediante gli accumulatori oggi disponibili o mediante quelli che attualmente formano oggetto di sperimentazione, risulta che tale trasporto non è economicamente conveniente: questa deduzione non si estende tuttavia alle applicazioni che potranno avere gli accumulatori alla trazione e alla propulsione.
Un altro termine per valutare la convenienza del trasporto è rappresentato dal costo del trasporto stesso in relazione al valore dell'energia trasportata. Tale costo dipende da molti elementi aventi incidenza mutevole, quali la distanza, il costo degli impianti terminali, ecc. Ad esempio, il trasporto del gas naturale liquido rispetto a quello dell'olio combustibile risulta svantaggioso a causa del maggior costo delle navi metaniere a parità di carico e del fatto che queste ultime possono, almeno sinora, raggiungere al massimo capacità dell'ordine della decima parte di quella delle superpetroliere e inoltre richiedono equipaggiamenti terminali particolarmente costosi. Malgrado ciò, come già detto, il trasporto del gas naturale liquido via mare si va rapidamente sviluppando in quanto la disponibilità di petrolio sta diminuendo e il gas naturale rappresenta per molti impieghi, sotto l'aspetto tecnico e ambientale, il miglior combustibile sostitutivo del petrolio.
È inoltre da tener presente che la trasportabilità e la possibilità di accumulazione di ciascuna fonte energetica sono strettamente connesse alla possibilità di realizzare economie di scala, mediante la costruzione di impianti di grandi dimensioni, non solo nello stadio del trasporto e dell'accumulazione, ma anche in quello della produzione della fonte stessa.
Il gas naturale, che presenta qualche svantaggio rispetto al petrolio e ai suoi derivati, per il trasporto a lunga distanza, è invece in posizione più favorevole per quanto riguarda la trasportabilità allo stadio della distribuzione agli utilizzatori finali e la possibilità di accumulazione. Circa quest'ultima caratteristica è da rilevare che la variazione della pressione del gas nello stesso gasdotto, la possibilità di utilizzare come serbatoi le cavità sotterranee, quali le falde freatiche oppure i grandi giacimenti esauriti di gas naturale, rappresentano livelli successivi di possibilità di accumulazione su base, rispettivamente, oraria, giornaliera, mensile o, al limite, anche annuale. Inoltre, l'accumulazione del gas con i suddetti mezzi può esser fatta con un minimo di interferenza fisica e visuale con l'ambiente.
Tali favorevoli caratteristiche del gas naturale sono alla base dell'attuale interesse per l'idrogeno quale vettore di energia secondaria, particolarmente adatto per il trasporto a grande distanza, in quanto per esso si potrà utilizzare la stessa tecnologia di trasporto e di accumulazione del gas naturale. In questo senso può avere fondamento l'ipotesi di una economia energetica basata nel prossimo secolo prevalentemente sull'energia nucleare come fonte primaria e sull'energia elettrica e sull'idrogeno come fonti secondarie.
Le tendenze di sviluppo dei sistemi energetici, con particolare riferimento alle esigenze di trasportabilità e di possibilità di accumulo delle fonti di energia, fanno pensare che in futuro la produzione di energia possa essere concentrata in isole artificiali che rappresenterebbero, in un certo senso, i sostituti dei giacimenti di petrolio. Alla base di questa concezione sono lo sviluppo dell'energia nucleare come fonte primaria fondamentale del sistema energetico e i conseguenti problemi di ubicazione degli impianti. L'isola artificiale dislocata sul mare a una certa distanza dalla costa rappresenta sotto quest'ultimo aspetto una delle possibili soluzioni, che può presentare vantaggi per quanto riguarda sia la possibilità di costruire impianti di grandissima potenza, e le conseguenti economie di scala, sia le esigenze ecologiche.
L'energia nucleare prodotta su isole artificiali potrà essere utilizzata per la produzione di energia elettrica oppure, quando si svilupperà su scala industriale la relativa tecnologia, per la produzione di idrogeno a partire dall'acqua del mare. In quest'ultimo caso l'idrogeno liquefatto potrebbe essere trasportato con navi supergasiere sino alla terraferma e quindi distribuito mediante grandi gasdotti.
È stato osservato che l'idrogeno, pur essendo un combustibile ‛pulito', contribuirà, tuttavia, a fornire calore residuo all'atmosfera e ad aumentare perciò, come tutti gli altri combustibili, il calore nella biosfera. Da ciò l'esigenza di sviluppare a lungo termine sistemi energetici che siano invarianti termici rispetto alla biosfera. In questo senso è da citare la proposta, recentemente avanzata, di utilizzare come fonte primaria, sulle isole artificiali adibite alla produzione di energia, il gradiente termico del mare e produrre quindi, come fonte secondaria, aria compressa o, preferibilmente, dato il suo maggiore contenuto energetico, aria liquida, da distribuire con lo stesso sistema usato per l'idrogeno.
Aspetti della trasmissione dell'energia secondaria con particolare riferimento all'energia elettrica. - Prendiamo ora in esame la trasmissione dell'energia nelle principali forme secondarie e cioè energia termica, energia meccanica ed energia elettrica.
L'energia termica forma oggetto di trasmissione anche in grandi quantità su vasta scala industriale attraverso diversi ‛vettori', ma per lo più su distanze modeste, dell'ordine delle decine o centinaia di metri, ben raramente di pochi chilometri; è quanto avviene nel riscaldamento degli ambienti, negli impianti industriali e in particolare nelle centrali termiche. È da tempo oggetto di studio e di ricerca sperimentale la trasmissione del calore su distanze maggiori, ma anche se le speranze più rosee dovessero realizzarsi, molto difficilmente si troverà un sistema economico per trasmettere calore su percorsi superiori a qualche chilometro. È per questo motivo che non ci soffermiamo su questo tipo di trasmissione dell'energia, pur sottolineando le realizzazioni già ben consolidate per la distribuzione di calore sotto forma di vapore d'acqua a interi quartieri cittadini, anche se di superficie relativamente limitata. Considerazioni analoghe, pur essendo la natura del processo sostanzialmente diversa, ma con limitazioni ancora maggiori circa il percorso massimo raggiungibile, possono ripetersi per quanto riguarda l'energia meccanica e le relative trasmissioni di tipo teledinamico, pneumatico ecc.
Passiamo perciò a considerare la trasmissione della più flessibile fra tutte le forme di energia impiegata dall'uomo e cioè dell'energia elettrica (v. anche energia: Trasmissione).
La maggior parte dell'energia elettrica prodotta viene inviata al sistema di trasmissione primario e raggiunge poi l'utente attraverso il sistema di distribuzione; il posto che la trasmissione occupa nel ciclo di produzione e fornitura dell'energia elettrica è indicato nel grafico della fig. 3, che, con un diagramma strutturale e funzionale molto semplificato, raffigura in qualche modo il percorso seguito dall'energia elettrica dalla sua generazione fino all'utente.
È da notare che la potenza trasmissibile attraverso gli elettrodotti aumenta grosso modo in misura proporzionale al quadrato della tensione. Negli ultimi quindici anni in Europa si è dato grande impulso a un nuovo livello di tensione, i 400 kV, ed i relativi impianti rappresentano l'ossatura principale della rete di interconnessione europea. L'impiego di tensioni elevatissime è stato oggetto di sempre maggiore attenzione in particolare modo da parte della CIGRE (Conférence Internationale des Grands Réseaux Electriques) in rapporto alla possibile realizzazione di sistemi con tensione fino a 1.500 kV.
È opportuno a questo punto richiamare le ragioni per cui i fabbisogni di energia elettrica di ogni paese vengono soddisfatti quasi per intero mediante produzione nazionale (gli scarti globali sono infatti dell'ordine di alcune unità per cento). Il fornitore di energia elettrica rende infatti alla propria utenza non solo una ‛fornitura' nel senso normale del termine, ma anche, e in particolare, un ‛servizio'. La ‛fornitura' è espressa dalla quantità di energia che l'utente preleva per soddisfare il proprio fabbisogno, mentre il ‛servizio' è rappresentato dall'esigenza che il produttore soddisfa, tenendo costantemente a disposizione dell'utente l'intera potenza che questi, a suo esclusivo giudizio, può prelevare in ogni momento. E poiché per l'energia elettrica la produzione e il consumo debbono equivalersi in ogni istante, in quanto essa non è accumulabile, il produttore di energia deve disporre in ogni momento della potenza che complessivamente e singolarmente i propri utenti richiedono. Per assicurare la continuità di servizio alla propria utenza il produttore di energia deve, innanzitutto, fare assegnamento in ogni istante sulla disponibilità di potenza presso i centri di produzione ubicati il più vicino possibile ai centri di consumo, proprio per ragioni di sicurezza di alimentazione. Un contributo alla continuità di servizio è, tuttavia, dato dall'interconnessione nazionale e internazionale.
Alcuni aspetti peculiari della trasmissione dell'energia elettrica assumono rilievo tanto sul piano nazionale quanto sul piano internazionale, in particolare in Europa. In pochi settori l'integrazione europea si è spinta al livello raggiunto nel campo della produzione e interscambio dell'energia elettrica; questo risultato si è ottenuto grazie a un sistema di interconnessione che consente la ‛marcia in parallelo' degli impianti di produzione di energia elettrica di tutti i paesi dell'Europa occidentale continentale. Tale interconnessione si estende ora anche all'Inghilterra mediante un cavo che attraversa la Manica; le maggiori arterie che la compongono figurano in una carta edita dall'Unione per il Coordinamento della Produzione e Trasporto dell'Energia Elettrica (v. fig. 4). Questa interconnessione è tale che due orologi elettrici sincroni, regolati sulla frequenza della tensione di due utenti qualsiasi situati nell'Europa occidentale continentale, segnano esattamente la stessa ora.
Gli obiettivi realizzati, validi tanto sul piano nazionale per effetto della interconnessione regionale, quanto, in particolare, nel più esteso ambito internazionale, possono riassumersi schematicamente come segue: a) messa in comune delle riserve: i collegamenti consentono infatti ai paesi confinanti di mettere in comune, nella misura che via via viene giudicata economicamente realizzabile, le proprie riserve, riducendo gli oneri che i produttori dei singoli paesi dovrebbero sostenere in assenza dei collegamenti stessi (questo provvedimento si rivela particolarmente utile in conseguenza dello sviluppo della produzione nucleare che, per la natura della tecnica e per le dimensioni veramente notevoli delle singole unità, comporta anche notevole impegno di riserve di potenza); b) coordinamento dei piani di manutenzione del macchinario generatore: assume sempre maggior interesse l'estensione nell'ambito internazionale del coordinamento dei programmi di manutenzione del grosso macchinario generatore allo scopo di limitare le riserve di potenza che risultano tanto maggiori quanto più concentrati sono i periodi di manutenzione del macchinario stesso; c) forniture di energia intese a colmare lo sfasamento dei programmi determinato dalle più svariate circostanze fra cui indisponibilità accidentali del macchinario o delle fonti primarie; d) forniture e scambi di energia in vista delle migliori utilizzazioni delle riserve di serbatoio, per quel che concerne la produzione idroelettrica, e delle disponibilità temporanee di energia; e) miglioramento dell'affidabilità del servizio reso possibile quale conseguenza della molto più vasta estensione della rete di interconnessione, della regolazione della frequenza molto più sensibile, ecc.
Le frontiere di ciascuno dei paesi dell'Europa occidentale sono attraversate da numerose linee a 220 kV e a 400 kV. A queste si aggiunge una rete molto più fitta di linee a tensione inferiore.
Il complesso dei vantaggi richiamati giustifica appieno l'interconnessione europea, anche se gli scamhi globali di energia fra i paesi dell'Europa occidentale rappresentano una frazione relativamente modesta del fabbisogno di ogni paese. Questa circostanza non si verifica soltanto in Europa, ma anche altrove e, in particolare, negli Stati Uniti, anche essi collegati tra di loro mediante una fitta rete di interconnessione.
Una trasmissione a lunga distanza di energia elettrica è giustificabile soltanto quando la fonte primaria, a bassissimo costo, non è trasportabile, come per le risorse idroelettriche di alcuni paesi. La soluzione di questo problema porta d'altronde un contributo notevole al soddisfacimento delle esigenze poste dalla salvaguardia dell'ambiente, da una parte, e dalla crisi del petrolio, dall'altra. Infatti, la produzione idroelettrica è assolutamente pulita e, come tale, assolutamente non responsabile dell'inquinamento dell'aria e dell'acqua. D'altra parte l'utilizzazione di grandi quantità di risorse idroelettriche per trasmissione su grandi distanze permette di risparmiare sostanziali quantitativi di petrolio la cui carenza e i cui forti aumenti di prezzo hanno provocato la crisi energetica.
Una situazione favorevole al tipo di interconnessione considerato si è verificata come noto in Svezia, dove grandi quantità di energia a basso costo possono essere prodotte nelle zone settentrionali mentre la maggior parte degli impianti industriali del paese sono situati nel Sud. Questa situazione ha caratterizzato l'interconnessione svedese, dove per la prima volta è stata impiegata una tensione a 420 kV. La struttura longitudinale di questo sistema di interconnessione si estende dalle zone settentrionali a quelle meridionali del paese, su distanze superiori ai 1.000 km. Questa non è pertanto una rete magliata e si presentano problemi molto diversi per quanto riguarda la garanzia di continuità di servizio, la stabilità e la regolazione della tensione. Un altro esempio notevole è dato dalla interconnessione canadese, la prima ad essere esercita a 765 kV. Anche questa interconnessione copre distanze di oltre 1.000 km e consente di utilizzare nei centri industriali del sud-est del paese, in particolare nelle zone industriali di Quebec e di Montreal, le risorse idroelettriche dei fiumi Churchill, Manicouagan e Outardes.
Ancora più interessanti sono comunque gli sviluppi previsti in altri paesi, dove è in programma la realizzazione di certi progetti di dimensioni talvolta gigantesche che consentono l'utilizzazione di importanti risorse energetiche. È sufficiente ricordare i progetti attualmente in via di completamento per l'utilizzazione del fiume Zaire, a Inga, dove la capacità di produzione potenziale, a costi molto modesti, supera i 100 miliardi di kWh all'anno, la maggior parte dei quali da utilizzare nella regione nord-orientale e meridionale dell'Africa su distanze fra i mille e duemila chilometri.
Altre possibilità di trasmissione di grandi quantità di energia su grandi distanze si prospettano in molti paesi del Sudamerica.
In un prossimo futuro sarà possibile, mediante l'interconnessione internazionale, far fronte a ulteriori esigenze; l'utilizzazione delle acque dei fiumi per il raffreddamento dei condensatori delle centrali termiche, e più specificamente delle centrali nucleari (che a parità di potenza richiedono una portata superiore, all'incirca, del 50%), presenta alcuni limiti che certi paesi avvertiranno in pieno alla fine di questo decennio o un po' più in là. In queste condizioni, due alternative possono essere previste, una consistente nell'impiego dell'acqua marina, l'altra nell'impiego di torri di raffreddamento, eventualmente in collegamento con bacini di evaporazione. La prima soluzione comporta degli evidenti limiti nel caso di paesi con sviluppo costiero scarso o nullo. In questo caso, la costruzione di centrali nucleari in comproprietà con un paese adiacente con sufficiente disponibilità di accesso all'acqua marina, come inesauribile fonte di raffreddamento, rappresenta una possibile soluzione. Nel caso che venga adottata questa soluzione, si pone allora il problema della trasmissione di grandi quantità di energia attraverso i confini dei paesi che hanno realizzato il progetto congiunto.
Le prospettive di sviluppo del programma per la costruzione dei già menzionati impianti idroelettrici di pompaggio si integrano perfettamente, sia dal punto di vista funzionale che economico, con la produzione termica, e in misura molto maggiore con la produzione nucleare. Esistono delle possibilità di realizzazione, economicamente convenienti, di centrali di questo tipo in quei paesi caratterizzati da una orografia montagnosa e da bacini naturali che consentono la utilizzazione di laghi o la costruzione di serbatoi artificiali a condizioni favorevoli. I paesi confinanti possono ugualmente trarre vantaggio dall'esistenza di queste centrali (con una potenza sempre maggiore) sulla base di opportuni accordi.
È evidente che l'estensione su scala internazionale della regolazione dell'energia mediante impianti di pompaggio implica una trasmissione bilaterale attraverso i confini di grandi quantità di energia e, soprattutto, di potenze elevate e variabili nel corso della giornata, della settimana e delle stagioni.
Queste poche c0nsiderazioni sulla rete europea possono chiarire la natura di un sistema interconnesso su scala internazionale mediante una rete primaria e le sue funzioni presenti e future. L'economia dei paesi interconnessi nel campo della generazione e dell'esercizio in genere può essere favorevolmente influenzata dagli scambi di energia e di potenza che possono essere stabiliti per il conseguimento dei succitati obiettivi nelle condizioni economiche migliori possibili.
Le considerazioni riguardanti la rete europea valgono per tutti i sistemi elettrici interconnessi che si estendono su grandi aree caratterizzate da una distribuzione relativamente uniforme dei carichi e della produzione e dalla tipica struttura magliata delle reti di trasmissione come, ad esempio, quegli degli Stati Uniti o dell'Europa orientale.
8. Possibilità di sostituzione con altre fonti alternative.
Ai fini dell'utilizzazione dell'energia sotto forma primaria e, naturalmente, anche sotto forma secondaria è importante l'influenza che può avere l'intercambiabilità delle fonti.
Alla produzione di talune forme di energia secondaria e di energia utile si può pervenire sia direttamente sia tramite una precedente trasformazione che comporta sensibili dispersioni. In effetti è bene distinguere tra: a) la intercambiabilità delle diverse forme di energia primaria impiegate nella produzione di una determinata energia secondaria; b) la intercambiabilità delle diverse forme di energia primaria e secondaria che si possono impiegare per produrre energia utile. Inoltre occorre distinguere in entrambi i casi tra il grado di intercambiabilità attuale e quello previsto per il futuro, sia a breve sia a lungo termine, e approfondire l'esame di quelle modifiche della struttura dei fabbisogni che consentono di superare più facilmente eventuali crisi di approvvigionamento.
Il primo dei due aspetti della intercambiabilità comprende tutti quei casi nei quali ci si può prospettare la convenienza di equipaggiare gli impianti di trasformazione in modo tale da consentire un'agevole e rapida possibilità di sostituzione di una fonte primaria con un'altra. I vantaggi che derivano da un'intercambiabilità del genere debbono naturalmente compensare il maggiore costo degli impianti, il che si verifica ad esempio nel caso delle centrali termoelettriche tradizionali, in cui la possibilità di bruciare indifferentemente carbone (eventualmente anche di qualità inferiore), olio combustibile o gas naturale, comporta una maggiorazione così limitata degli oneri di impianto da rendere, nella massima parte dei casi, conveniente l'installazione delle apparecchiature che consentono di realizzare la sostituzione di detti combustibili. Non sono invece affatto intercambiabili in una centrale termica i combustibili nucleari con quelli tradizionali.
Assicurare nella massima misura possibile l'intercambiabilità delle fonti primarie di energia significa contribuire sostanzialmente ad accrescere la sicurezza dell'approvvigionamento energetico, soprattutto nei paesi che difettano di fonti primarie proprie. È difficile valutare in termini economici i vantaggi di una maggiore sicurezza di approvvigionamento o, ciò che in fondo è lo stesso, stabilire la misura delle perdite economiche che possono derivare da una carenza di rifornimenti di fonti primarie; è però certo che in questi casi vantaggi e perdite sono di notevole entità e destinati ad aumentare di importanza in futuro, con l'estendersi degli impieghi dell'energia in tutti i settori di attività.
In questo ordine di idee, quando ragioni economiche non costituiscano grave ostacolo, è certamente auspicabile che, ovunque la tecnica lo consenta, sia resa possibile l'adozione dell'uno o dell'altro dei tre principali combustibili tradizionali: carbone, petrolio e gas naturale (per quest'ultimo, naturalmente, a condizione che esso sia o possa rendersi in qualche modo disponibile).
Abbiamo visto che il costo dell'intercambiabilità è relativamente modesto nel caso delle centrali termoelettriche. Una simile sostituzione si presenta meno agevole in molti altri casi in cui è da auspicare un intenso sforzo della tecnica per superare le difficoltà che derivano da problemi di costo.
Del secondo aspetto dell'intercambiabilità, e cioè di quella fra forme di energia primaria e secondaria che si possono impiegare per produrre energia utile, si ha un esempio tipico nella generazione di calore destinato a numerosi impieghi industriali e a scopi di riscaldamento in genere. In molti casi per tale produzione di calore l'energia elettrica è intercambiabile con le fonti primarie rappresentate dal carbone, dal petrolio, dal gas naturale e, per quanto oggi applicazioni del genere siano alquanto limitate, dai combustibili nucleari. Va da sé che, in via di principio, produrre calore impiegando energia elettrica significa mettere in funzione un ciclo che si inizia con la produzione di energia elettrica bruciando uno dei combustibili menzionati sopra e perdendo nella trasformazione non meno del 65% del contenuto energetico del combustibile; segue quindi il trasferimento dell'energia elettrica dalle centrali di produzione all'utenza, ove ha luogo la nuova trasformazione dell'energia elettrica in calore, il che comporta ulteriori perdite. Se si pensa che la stessa quantità finale di calore utile potrebbe essere ottenuta direttamente nel luogo di impiego bruciando carbone, petrolio o gas naturale, ci si rende subito conto che, in questi casi, le notevoli dispersioni cui si è accennato or ora verrebbero eliminate e che agli oneri relativi alle fasi di trasformazione e trasmissione dell'energia elettrica si sostituirebbero quelli, per lo più minori, derivanti dal solo trasporto del combustibile.
Agli effetti dell'economia del bilancio energetico non vi è dubbio quindi sull'opportunità di spingere al massimo la produzione diretta di calore evitando stadi intermedi di trasformazione; più in generale, per quanto concerne la produzione di energia sotto qualsiasi forma, è opportuno ridurre al minimo tecnicamente indispensabile le trasformazioni intermedie. Il perseguimento di questo obiettivo è tuttavia contrastato, nei singoli settori di consumo, da limitazioni di varia natura fra cui assumono particolare rilievo quelle tecniche e quelle economiche. Qualche esempio varrà meglio della enunciazione dei principi generali a sottolineare la natura di tali limitazioni. La produzione dell'acciaio rappresenta un caso tipico, in quanto l'acciaio può essere prodotto sia al forno elettrico ad arco sia dal processo altofornoconvertitore. Nel primo caso il calore è fornito dall'energia elettrica, nel secondo dall'impiego del coke e dell'ossigeno e i quantitativi di energia impegnati nella produzione dell'acciaio sono, come noto, tutt'altro che trascurabili. Ciò nonostante, ambedue i procedimenti sono in uso. Sta di fatto che il forno elettrico ad arco consente di utilizzare per la carica unicamente rottame di ferro e di produrre una gamma di acciai, da quelli comuni a quelli speciali, che è molto più ampia di quella che si può ottenere con il processo al convertitore.
9. Possibilità di trasformazione in energia secondaria.
La trasformazione (o conversione) delle fonti primarie in secondarie è determinata da esigenze tecniche ed economiche. In certi casi la fonte primaria non è idonea, dati i processi tecnicamente disponibili, alla conversione nella forma di energia voluta per l'utilizzazione. In altri casi il processo di conversione risulta più economico, oppure l'utilizzazione di una fonte secondaria dà luogo a un prodotto di migliore qualità (è questo il caso, per es., dell'impiego dell'energia elettrica nei trattamenti termici superficiali di pezzi meccanici mediante processi a induzione in alta frequenza).
Le fonti secondarie di energia sono i combustibili secondari e l'energia elettrica. Quest'ultima è ottenuta dall'energia termica mediante conversione intermedia in energia meccanica, oppure mediante processi di conversione diretta.
La conversione diretta di alcune fonti energetiche primarie in energia elettrica è stata oggetto di studio e di sperimentazione fin dal nascere dell'industria elettrica. Alcuni processi sono stati notevolmente sviluppati ed hanno dato luogo ad applicazioni importanti, sia pure per usi del tutto particolari, come per esempio nel campo spaziale; nessuno di essi può però oggi competere, per la produzione di energia elettrica su scala industriale, con i mezzi tradizionali o in via di affermazione (centrali idroelettriche, geotermoelettriche, termoelettriche a combustibili fossili e nucleari). Considerata tuttavia l'evoluzione rapidissima della scienza e della tecnologia e l'importanza dei programmi di ricerca e di sviluppo dedicati nel mondo ad alcuni processi di conversione diretta, non si può escludere che taluno di essi possa trovare, a più o meno lunga scadenza, applicazioni anche diffuse per soddisfare i fabbisogni di energia elettrica. Si ritiene perciò opportuno sviluppare le considerazioni economiche già accennate nel precedente articolo (v. energia: Fonti primarie) circa le prospettive di applicazione dei processi di conversione attualmente più seguiti.
Conversione magnetofluidodinamica. - La conversione magnetofluidodinamica (MHD) è, come noto, un processo di conversione diretta di energia termica in energia elettrica, con il quale, mediante il passaggio a grande velocità di un fluido elettricamente conduttore in un condotto posto fra i poli di un potente elettromagnete, si genera agli elettrodi del generatore una forza elettromotrice unidirezionale proporzionale all'induzione del campo magnetico e alla velocità del fluido.
I ‛fluidi' presi in considerazione - necessariamente conduttori e a bassa resistività - sono essenzialmente due e cioè gas ionizzati e metalli liquidi. Poiché si è sperimentato soprattutto sui primi, è ad essi che si riferiscono queste considerazioni.
Affinché la corrente possa raggiungere valori apprezzabili occorre che il gas sia ionizzato in modo tale da elevare la sua conducibilità. Ciò potrebbe ottenersi elevando la temperatura del gas a valori superiori a 6.000 0C, che sono incompatibili con i materiali disponibili. L'impiego di ‛additivi' in quantità relativamente modeste (dell'ordine dell' 1%) permette di ottenere valori accettabili del grado di ionizzazione del fluido anche a temperature di 1.500÷2.500 °C; entro tale gamma si trovano le temperature del fluido previste nei prototipi realizzati o nei progetti studiati di convertitori magnetofluidodinamici. All'uscita del condotto di conversione la temperatura del gas è ancora molto elevata, l'energia termica corrispondente può essere quindi utilizzata, per esempio, per produrre vapore che alimenta una turbina tradizionale.
Secondo i progetti già studiati si potrebbero conseguire rendimenti complessivi della trasformazione di energia termica in elettrica anche maggiori del 50%. Questa ed altre caratteristiche concettualmente interessanti del processo di conversione magnetofluidodinamica (assenza di parti meccaniche in movimento, alti valori di potenza per unità di volume del condotto, possibilità di ottenere potenze unitarie degli impianti molto elevate, ecc.) hanno portato anni fa a dedicare attenta considerazione allo sviluppo di questo processo. I paesi che più attivamente si sono dedicati alla ricerca in questo settore sono gli Stati Uniti, l'URSS, il Regno Unito e la Francia; anche l'Italia ha svolto e svolge, sia pure in piccola scala, attività in questo campo.
Le fonti primarie del processo di conversione MHD possono essere i combustiblli fossili (carbone o idrocarburi) e i combustibili nucleari.
I fluidi previsti possono essere raggruppati in due grandi categorie: a) gas di combustione del carbone o di idrocarburi, a temperature superiori a 2.000 °C, ai quali sono aggiunte piccole quantità di sali facilmente ionizzabili, in genere di potassio; b) gas nobili, come l'argon, l'elio o il neon, a temperature di 1.500-2.000 °C, ai quali sono aggiunte piccole quantità di un sale di cesio, elemento più facilmente ionizzabile del potassio. Nel primo caso i gas di combustione, alla fine del ciclo termico, sono scaricati nell'atmosfera (ciclo aperto); nel secondo caso i gas nobili vengono continuamente riciclati (ciclo chiuso). Il processo di conversione a ciclo aperto è quello cui finora è stata dedicata la maggiore attenzione. L'eventuale sviluppo dei generatori MHD a ciclo chiuso è tuttora condizionato dal realizzarsi di progressi scientifici e tecnologici, sui quali oggi è difficile, se non impossibile, pronunciarsi.
In queste condizioni è prematura ogni previsione sulla possibilità di future applicazioni industriali della MHD. Inoltre, per trovare vasta applicazione su scala industriale, il processo di conversione magnetofluidodinamica dovrebbe pervenire alla competitività con gli impianti nucleari. Tenuto conto della prevedibile evoluzione degli impianti nucleari e dello stato di sviluppo tecnologico della MHD, alcuni esperti ritengono che non sia da escludere a priori la possibilità che la MHD possa pervenire alla maturità industriale troppo tardi, quando cioè per essa sarà molto difficile trovare ampia applicazione. In effetti in alcuni paesi del mondo occidentale considerazioni di questo tipo, unitamente a una certa delusione per la lentezza dei progressi finora ottenuti, hanno portato a ridurre, se non a sospendere, i programmi di ricerca e di sviluppo nel campo della MHD. In altri paesi, come l'URSS, che dispongono di riserve di combustibili fossili molto ingenti, e per i quali la questione ‛tempo' ha diversa importanza, i programmi continuano a svilupparsi con il fine di pervenire, sia pure a non breve scadenza, a trarre profitto dalle capacità potenziali della MHD nei confronti delle centrali a combustibili fossili.
Pila a combustibile. - Un altro processo di conversione diretta in energia elettrica al quale si stanno dedicando da tempo studi e ricerche è la pila a combustibile, ossia un generatore elettrochimico di corrente continua, nel quale l'energia resa disponibile da una reazione chimica è convertita direttamente in energia elettrica; il rendimento può variare dal 20% al 70% a seconda del tipo di pila. Affinché le pile a combustibile possano trovare applicazione diffusa è necessario che esse risultino competitive con gli altri processi di produzione di energia elettrica; perché ciò possa avvenire si rende indispensabile in primo luogo l'impiego di aria e di combustibili facilmente disponibili e di basso prezzo, e in secondo luogo la realizzazione di pile poco costose e di riflesso l'ottenimento di elettrodi altamente attivi e di basso costo, lo sviluppo dei quali richiede ancora un considerevole lavoro di ricerca fondamentale nel campo della catalisi e del meccanismo delle reazioni.
Notevole è lo sforzo dedicato nei paesi industrialmente più avanzati allo sviluppo di pile che impieghino come reagenti aria e idrocarburi comuni di basso costo o i prodotti di gassificazione del carbone; nonostante i progressi compiuti, ci si trova tuttora in una fase sperimentale piuttosto arretrata e molto lavoro di ricerca di base e applicata deve essere ancora svolto.
A prescindere dagli usi spaziali e militari, per i quali le pile a combustibile hanno già trovato, o potranno tra poco trovare, efficiente utilizzazione, i campi di possibile applicazione delle pile a combustibile possono essere così raggruppati: produzione locale di energia elettrica, usi industriali, autotrazione.
La maggior parte degli esperti ritiene che ben difficilmente le pile a combustibile potranno risultare competitive con le grandi centrali elettriche tipiche dei paesi industrialmente sviluppati. Dando anche per scontati notevoli progressi tecnologici non ancora conseguiti, si ritiene infatti che il costo d'impianto di pile a combustibile, utilizzanti combustibili a basso prezzo e aventi le caratteristiche di durata necessarie per un impianto elettrico di produzione, difficilmente scenderà al di sotto di un certo livello, tale da non poter essere compensato che in piccola parte dall'eventuale minor costo del combustibile per kWh prodotto dalle pile. Le pile a combustibile potrebbero in un futuro non molto vicino trovare applicazione nei paesi in via di sviluppo e in genere in zone isolate con richieste di potenza elettrica modesta; in tali situazioni e per impianti di non elevata potenza complessiva, le pile a combustibile potrebbero trovare condizioni di impiego più favorevoli.
Numerose sono le applicazioni industriali per le quali l'uso di pile a combustibile potrebbe rivelarsi interessante: ad esempio per i processi elettrochimici che richiedono corrente continua, in industrie elettrochimiche, dove l'idrogeno rappresenta un sottoprodotto che potrebbe essere usato come combustibile nelle pile e, in genere, per le applicazioni industriali in zone isolate (per es. protezione catodica di gasdotti, stazioni di pompaggio di gasdotti, ecc.). Impiego diffuso potrebbero inoltre trovare le pile a combustibile come fonti di energia elettrica presso le abitazioni, qualora potessero essere prodotte a costi molto minori di quelli attuali e fossero in grado di utilizzare combustibili di costo non elevato (idrocarburi e in particolare gas naturale); un vantaggio di non lieve momento sarebbe rappresentato dall'assenza di prodotti inquinanti l'atmosfera.
Per quanto riguarda infine l'autotrazione, valgono le stesse considerazioni economiche sopra esposte: le prime più probabili applicazioni in questo campo delle pile a combustibile dovrebbero riguardare veicoli di tipo speciale, quali, per esempio, carrelli sollevatori e furgoni per la consegna di merci in città e in genere veicoli per uso urbano; meno probabile sembra invece l'uso di pile a combustibile per automobili di prestazioni elevate e per percorsi extraurbani.
Rispetto ai processi di conversione cui si è accennato (conversione magnetofluidodinamica, pile a combustibile), il cui sviluppo potrà interessare le applicazioni industriali e civili, ve ne sono altre che, a quanto si può prevedere, si limitano ad applicazioni speciali. Esse sono la conversione fotoelettrica, la conversione termoelettrica e la conversione termoionica.
Conversione fotoelettrica. - Come noto, utilizzando l'effetto fotoelettrico, è possibile convertire direttamente l'energia solare in energia elettrica, mediante piccoli generatori conosciuti con il nome di celle solari.
La cella solare, che è basata sull'impiego di materiali semiconduttori, ha già trovato vasta applicazione negli usi spaziali e per usi terrestri del tutto speciali, per esempio la realizzazione di apparecchiature telefoniche e stazioni metereologiche in zone difficilmente accessibili. Il tipo di cella solare più sviluppata e più diffusamente utilizzata nei veicoli spaziali è quello che impiega silicio monocristallino; una tipica cella al silicio ha un'area di 2-4 cm2, una potenza dell'ordine di alcuni centesimi di watt e un rendimento misurato che può raggiungere il 14%, valore assai vicino al rendimento massimo teorico; per esempio, sul satellite Nimbus, per disporre di una potenza di 400 W sono state installate 10.944 celle quadrate (ciascuna di 4 cm2) montate su due pannelli, aventi ognuno una superficie di circa 2,2 m2. Le celle al silicio sono già state prodotte in grandi quantità e si prestano bene all'impiego nello spazio, anche se risultano piuttosto sensibili ai danni da radiazione. Esse presentano caratteristiche che le renderebbero particolarmente interessanti anche per applicazioni terrestri, almeno per alcuni usi speciali: sono leggere e robuste, non presentano parti in movimento, non richiedono speciali collettori dell'energia solare né sistemi ausiliari di raffreddamento ed hanno un rendimento accettabile. Il loro costo elevatissimo dovuto principalmente all'impiego di silicio sotto forma di monocristalli, ne esclude però, almeno per ora, la competitività economica con altri mezzi di produzione commerciale dell'energia elettrica. Si deve però aggiungere che, al fine di ridurre sostanzialmente i costi di produzione, sono in corso da tempo programmi di ricerca e di sviluppo per la realizzazione di celle solari che impieghino pellicole sottili di materiali in forma policristallina, anziché monocristalli, e che nello stesso tempo abbiano rendimenti di conversione accettabili. I materiali oggetto di studio sono assai numerosi: solfuro di cadmio, arseniuro di gallio, fosfuro di gallio, fosfuro di indio. Si spera in tale maniera di ottenere celle con costi molto ridotti e una minore sensibilità al danno da radiazioni. Celle con pellicole di solfuro di cadmio o di tellururo di cadmio sono già state realizzate; esse non hanno però ancora raggiunto uno stadio di sviluppo avanzato e sono tuttora oggetto di studi e di ricerche.
Conversione termoelettrica. - I fenomeni termoelettrici, scoperti da Seebeck nel 1882, sono stati da allora utilizzati essenzialmente per la misura della temperatura mediante termocoppie.
Lo sviluppo, negli ultimi decenni, dei materiali semiconduttori ha richiamato l'attenzione sulla possibilità di realizzare convertitori termoelettrici in grado di risultare competitivi, per alcune applicazioni particolari e per livelli di potenza modesti (dell'ordine del kW), con altri tipi di generatori elettrici.
I convertitori termoelettrici posseggono una serie di caratteristiche positive; in particolare: a) in comune con altri processi di conversione diretta, essi hanno un rendimento che è praticamente indipendente dalla potenza; b) non hanno parti meccaniche in movimento e sono di costruzione compatta; c) funzionano in modo silenzioso, flessibile e anche in assenza di gravità; d) possono funzionare per lunghi periodi senza richiedere nè manutenzione nè la presenza di operatori; e) possono essere progettati e costruiti in modo da dare una ‛affidabilità' molto elevata.
Le caratteristiche intrinseche dei convertitori termoelettrici e, soprattutto, il loro costo molto elevato, hanno limitato per ora il loro impiego a livelli di potenza assai modesti (fino ad alcune centinaia di watt) e ad applicazioni spaziali o a usi terrestri molto speciali.
Si può prevedere che anche in futuro i convertitori termoelettrici non verranno impiegati per la produzione di energia elettrica in impianti di dimensioni industriali, a causa del costo molto elevato e del rendimento (che, al massimo non supera il 20% e risulta perciò di molto inferiore a quello delle attuali centrali termoelettriche tradizionali e nucleari); ciò a prescindere dalla complessità e dalla difficoltà dei problemi tecnologici che dovrebbero essere risolti per realizzare convertitori termoelettrici con potenze di molti ordini di grandezza superiori a quelli oggi possibili.
Conversione termoionica. - Un processo di conversione che è ancora allo stadio della ricerca è quello della conversione termoionica.
I convertitori termoionici sono essenzialmente dei tubi elettronici: uno dei problemi principali da risolvere è quello di ridurre la resistenza al passaggio degli elettroni nello spazio tra gli elettrodi, allo scopo di ottenere densità di corrente sufficientemente elevate; a questo riguardo sono state studiate in passato diverse soluzioni, tra le quali si ricordano tubi a vuoto con elettrodi molto vicini (con distanze dell'ordine di 0,0006÷0,002 cm) e l'impiego di un terzo elettrodo tra emettitore e collettore; la soluzione oggi utilizzata generalmente consiste nel riempire lo spazio tra gli elettrodi con vapori di cesio, a pressioni dell'ordine di 0,1÷10 mm di Hg; il cesio, grazie al suo basso potenziale di ionizzazione, si ionizza molto facilmente e permette di raggiungere densità di corrente e potenze assai elevate (fino a 20 A/cm2 e 20 W/cm2). Il rendimento massimo teorico di un convertitore termoionico è notevolmente superiore ai rendimenti effettivamente ottenuti (in laboratorio sono stati conseguiti valori inferiori al 25%).
La conversione termoionica presenta molti dei vantaggi comuni ad alcuni processi di conversione diretta (rendimento praticamente indipendente dalla potenza, silenziosità di funzionamento, capacità potenziale di dar luogo a lunghi funzionamenti continui e di non richiedere molta manutenzione, ecc.); sua caratteristica tipica è invece quella di permettere di ottenere, grazie alle alte temperature di funzionamento, densità di potenza molto elevata; ciò dovrebbe comportare in particolare un basso rapporto peso/potenza e notevole compattezza dei generatori; inoltre il fatto che l'energia termica viene dissipata a temperature molto elevate dovrebbe costituire un aspetto assai interessante per le applicazioni spaziali, in quanto permetterebbe di ridurre considerevolmente le dimensioni dei radiatori necessari; per usi terrestri l'energia termica disponibile all'anodo potrebbe essere efficientemente utilizzata per scopi diversi (riscaldamento di ambienti, processi industriali o anche produzione di energia elettrica con metodi tradizionali).
Nonostante queste interessanti caratteristiche potenziali, i convertitori termoionici non hanno sino ad ora dato luogo ad applicazioni importanti. Sono già stati realizzati, o sono in fase di sviluppo, piccoli prototipi che utilizzano come fonte primaria l'energia solare, il calore di decadimento di isotopi radioattivi, gli idrocarburi e l'energia nucleare. I reattori nucleari, a causa essenzialmente della loro elevata potenza specifica, rappresentano in via di principio la sorgente termica ideale per convertitori termoionici di potenza elevata. Nelle soluzioni studiate, i convertitori possono essere posti all'interno o all'esterno del reattore.
Quali potranno essere le prospettive di sviluppo della conversione termoionica? Essa presenta indubbiamente capacità potenziali interessanti; il suo sviluppo è tuttora in fase preliminare per cui mancano elementi per una previsione attendibile. Si può tuttavia ritenere che il campo di applicazione dei convertitori termoionici a combustibile fossile, a energia solare e a radioisotopi potrà risultare limitato agli usi spaziali o a quelli terrestri di natura del tutto speciale.
Anche i programmi di ricerca e di sperimentazione dei convertitori termoionici ad energia nucleare sono attualmente indirizzati verso le applicazioni spaziali; tuttavia, nella soluzione che prevede la loro disponibilità all'interno di un reattore nucleare, i convertitori termoionici sono potenzialmente in grado di dar luogo a potenze dell'ordine di molti megawatt; il loro sviluppo comporta la soluzione di problemi tecnologici così complessi e difficili, che appare praticamente impossibile pronunciarsi sulle loro prospettive di successo; non si può d'altra parte escludere a priori, anche se dal punto di vista economico ciò appare attualmente assai dubbio, che i convertitori termoionici ad energia nucleare possano, in un futuro che in ogni caso non appare prossimo, trovare applicazione per la produzione di energia elettrica in quantità di un certo rilievo.
10. Rendimenti dell'utilizzazione sotto forma primaria e secondaria.
Nella sua accezione più ampia, la ‛conservazione dell'energia' ha per obiettivo l'adozione di criteri di utilizzazione che consentano di limitare al minimo tecnicamente ed economicamente indispensabile l'impiego delle fonti non rinnovabili dell'energia stessa riservandole per quanto possibile alle attività che non consentono soluzioni alternative. Tale esigenza assume tanto maggior rilievo quanto più prossimo si profila l'esaurimento delle risorse. Va da sé che sarebbe illogico risparmiare energia in quei casi in cui come contropartita si richiedesse un sacrificio sproporzionato di altre risorse, economiche, sociali o ambientali.
La conservazione dell'energia comporta tra l'altro la soluzione di problemi tecnici in vista di un miglior rendimento complessivo di utilizzazione dell'energia stessa, nonché un esame critico dei vari consumi in vista del contenimento di quelli più o meno superflui e dell'eliminazione degli sprechi. Dalle misure rivolte alla conservazione dell'energia ci si attende anche un contributo al miglioramento della compatibilità del sistema energetico con l'ambiente naturale.
Una prima indicazione generale dei vari stadi ai quali si pongono i problemi di conservazione dell'energia si può ricavare dal quadro energetico relativo all'area della Co- munità Europea (v. fig. 5). L'ambito scelto presenta un elevato grado di industrializzazione ed è profondamente inserito negli scambi internazionali. Il grafico si riferisce al 1974 e rappresenta in forma semplificata il flusso di energia dalle fonti disponibili per uso interno all'energia utile; la larghezza delle fasce dà il contenuto energetico della forma di energia considerata nell'unità generalmente adottata, mille miliardi di chilocalorie (1012 kcal); dato che quest'unità non è molto espressiva, va ricordato che i numeri espressi in 1012 kcal, divisi per dieci, rappresentano i milioni di tonnellate di petrolio che occorrerebbero per rendere disponibile grosso modo la stessa quantità di energia.
Il grafico della fig. 5 mette in evidenza: a) l'importanza pratica e la rilevanza industriale delle diverse fonti e forme energetiche; b) il fatto che tutte le fonti primarie concorrono in varia misura alla produzione di energia elettrica, mentre solo i combustibili fossili sono destinati in quantità significative anche ad altri usi; c) il fatto che la fonte nucleare si rende disponibile all'utente solo tramite l'energia elettrica; d) l'assoluta prevalenza dei combustibili fossili liquidi (petrolio e derivati); e) l'entità delle perdite nel ciclo dell'energia e la loro ripartizione fra le due fasi essenziali di produzione-distribuzione e di conversione in energia utile.
Come si vede, il grafico mostra la conversione delle fonti primarie, da un lato in energia elettrica, e dall'altro in fonti secondarie, destinate ad usi diversi dalla produzione di energia elettrica.
Dal grafico si rileva pure come le trasformazioni energetiche comportino dispersioni di calore; nella fase della produzione è la conversione in energia elettrica che dà luogo alle maggiori perdite, in quanto è inevitabile che parte dell'energia ottenuta dalle fonti primarie sia dissipata nei condensatori delle centrali; di qui il problema della utilizzazione, nei limiti del possibile, di questo calore. Perdite di calore si verificano anche nella fase di conversione in energia utile; esse sono molto modeste per l'energia elettrica mentre assumono rilievo molto maggiore per le altre forme.
Come già accennato, si hanno perdite di calore anche nella produzione e conversione dei combustibili fossili. Con riferimento al già citato bilancio energetico della Comunità Europea tali perdite (ivi incluse anche quelle di trasporto e distribuzione) risultano dell'ordine del 17%.
Rendimenti dell'impiego dei combustibili. - Allo stadio dell'utilizzazione finale il rendimento dell'impiego dei combustibili sotto forma primaria e secondaria per la produzione di calore varia a seconda dei tipi di attività industriali e civili; in genere, nei grandi generatori di vapore è compreso fra l'80% e il 95%, nei forni industriali fra il 50% e il 75%, negli impianti termici civili fra il 50% e l'85%, a seconda della potenzialità e dell'uso dell'impianto.
La conversione dell'energia termica in energia meccanica viene effettuata nei motori termici (motori a combustione interna e turbine) con rendimenti che possono raggiungere il 25% nei motori a scoppio a ciclo Otto, il 34-35% nelle turbine a gas (in impianti fissi o in aeromobili), il 45% nelle turbine a vapore in impianti fissi.
La causa di tali bassi rendimenti, che in pratica si traducono in perdite di calore, attiene alla natura stessa del processo di conversione del calore in lavoro; è noto infatti che, in base al secondo principio della termodinamica, tale conversione può avvenire solo parzialmente e dà sempre luogo alla produzione di calore degradato.
Rendimenti del processo produttivo-distributivo dell'energia elettrica. - Per quanto riguarda il processo produttivodistributivo dell'energia elettrica è opportuno esaminare separatamente sotto l'aspetto dei rendimenti le sue principali fasi.
1. Rendimento allo stadio della produzione. La produzione idroelettrica ha costituito nel 1975 il 12,3% della produzione elettrica complessiva della CEE; tale incidenza è più che doppia per l'Italia ove nello stesso anno è risultata pari al 30% circa. Il contributo percentuale di questa fonte è quindi importante; esso è però in continuo declino, in quanto non si prevedono nuovi apporti significativi, dato che le risorse idrauliche competitive in Europa sono già state in gran parte utilizzate. Il processo di conversione da energia idraulica in energia elettrica avviene con perdite modeste e il rendimento complessivo negli impianti più moderni raggiunge l'85%. A questi risultati si è giunti grazie ai notevoli progressi conseguiti nella realizzazione del macchinario elettrico e idraulico e con l'aumento considerevole della potenza unitaria dei gruppi turbina-alternatore.
Altre economie energetiche sono state ottenute a seguito dell'adozione di criteri di dimensionamento degli impianti che permettono di concentrare nel tempo la produzione idroelettrica e quindi di destinare questi impianti a coprire la parte variabile del diagramma di carico; una delle possibili alternative per effettuare questo servizio è rappresentata dall'impiego di turbine a gas, che hanno però rendimenti ben inferiori. Per il futuro non si prevedono per gli impianti idroelettrici miglioramenti di qualche rilievo nei rendimenti, in quanto i margini esistenti sono molto modesti; un certo miglioramento si potrà invece avere grazie al rifacimento, con criteri e con tecnologie più moderne, dei vecchi impianti che via via diventano obsoleti.
Il grafico della fig. 5 mostra come allo stato attuale il contributo dei combustibili fossili alla produzione elettrica sia prevalente rispetto alle altre fonti energetiche; in effetti la produzione termoelettrica tradizionale ha rappresentato per la CEE nel 1975 circa il 79% di quella complessiva.
Come noto, il processo di conversione che avviene in una centrale termoelettrica tradizionale consiste in una serie di trasformazioni dell'energia chimica potenziale dei combustibili in energia termica, quindi meccanica e infine elettrica. È in particolare durante la conversione di energia termica in energia meccanica che si verificano le perdite maggiori, in quanto è inevitabile che parte dell'energia termica vada dispersa. Per le centrali termoelettriche attuali le perdite complessive sono dell'ordine del 60% dell'energia potenziale dei combustibili. A tale risultato, che al profano potrebbe sembrare alquanto deludente, si è arrivati invece solo grazie a un progresso tecnologico veramente rilevante nei settori più diversi, da quello dei materiali a quello delle tecniche di costruzione, da quello della strumentazione e controllo a quello metallurgico. A questo riguardo è interessante esaminare l'evoluzione che ha avuto in passato il rendimento di queste centrali; nella fig. 6 è riportato l'andamento del consumo specifico, espresso in kcal/kwh, nelle centrali termoelettriche dal 1950 ad oggi. La figura mette in evidenza che i margini di sviluppo si sono venuti progressivamente riducendo e che negli ultimi anni il processo di produzione termoelettrica si è praticamente stabilizzato su un consumo specifico di 2.100÷2.200 kcal/kwh (corrispondente a un rendimento del 40% circa).
Ridotta è anche la probabilità di miglioramenti futuri di un certo rilievo, dato che si è praticamente raggiunta la maturità tecnologica e i margini esistenti sono assai modesti; per esempio, un'innovazione tecnologicamente molto rilevante, come l'impiego di un nuovo tipo di alternatore, che utilizzi per lo statore materiali superconduttori mantenuti a temperature vicine allo zero assoluto, per cui le perdite verrebbero ridotte a circa la metà, comporterebbe un miglioramento nel rendimento della centrale dell'ordine solamente dello 0,5%.
Non è escluso infine che i rendimenti delle centrali possano in futuro diminuire per altre ragioni, in particolare per ragioni ambientali; per esempio, se venisse imposto un più ampio ricorso alle torri di raffreddamento, la quantità di combustibile necessaria per produrre un kWh aumenterebbe leggermente. A più lungo termine riduzioni notevoli nelle perdite potrebbero realizzarsi a seguito di innovazioni tecnologiche radicali come la conversione diretta dell'energia termica in energia elettrica mediante il processo della magnetofluidodinamica; come si è già accennato, questi sviluppi sono però subordinati al superamento di difficoltà tecnologiche veramente considerevoli nonché al raggiungimento della competitività economica e di una adeguata affidabilità.
Un altro indirizzo per realizzare economie energetiche è rappresentato dalla possibilità di utilizzare per usi termici il calore residuo delle centrali termoelettriche.
Una prima soluzione, che ha dato luogo a diverse applicazioni, è quella di combinare la produzione di elettricità con la produzione di vapore a bassa pressione o di acqua calda per il riscaldamento di quartieri residenziali. L'energia elettrica prodotta nei nove paesi della CEE con impianti di questo tipo ha tuttora un'incidenza modesta e d'altra parte diversi sono i fattori che si oppongono a una più estesa applicazione di questo sistema; fra i principali vanno citati: l'incentivo tecnico ed economico a produrre energia elettrica in impianti di dimensioni che eccedono di gran lunga le taglie di impianti adatti per il riscaldamento di un gruppo di edifici; la tendenza, dettata anche da ragioni ambientali, a scegliere i siti delle centrali termoelettriche lontano dai grandi centri abitati; la complessità dei circuiti di trasporto dell'acqua calda e del vapore per il riscaldamento degli ambienti; i molti vincoli tecnici che l'abbinamento delle due produzioni comporta e le notevoli differenze esistenti nell'andamento temporale, nel giorno e nei vari mesi dell'anno, dei diagrammi delle richieste di energia elettrica e di calore.
La produzione combinata di energia elettrica e vapore industriale rappresenta un altro modo di utilizzare efficientemente questo calore residuo; esso è normalmente seguito dall'industria, la quale in sede di progetto di un nuovo stabilimento prende in genere in esame l'opportunità economica di associare la produzione del vapore necessario per i processi industriali alla produzione di elettricità; tale soluzione è spesso adottata, per esempio, nei grandi centri siderurgici, negli impianti petrolchimici, in grossi stabilimenti per la produzione di metalli, in industrie tessili e cartarie, ecc.
Il processo di conversione dell'energia nucleare in energia elettrica si svolge, come quello delle centrali termoelettriche tradizionali, attraverso le forme intermedie dell'energia termica e dell'energia meccanica; inoltre, alle limitazioni imposte dalle leggi termodinamiche si aggiungono, almeno nei reattori ad acqua che sono quelli oggi maggiormente impiegati, limitazioni dovute ai materiali del reattore; ne segue che la temperatura e la pressione del vapore prodotto non sono molto elevate e ciò incide negativamente sul rendimento complessivo della trasformazione dell'energia nucleare in energia elettrica. In effetti nelle centrali nucleari più moderne equipaggiate con reattori ad acqua il rendimento complessivo non supera il 33% ed è da tenere presente che valori del genere rappresentano il risultato di un progresso tecnologico molto intenso ed importante (dieci anni fa i rendimenti si aggiravano sul 28÷29%); per questo motivo non sono quindi da prevedere miglioramenti di rilievo nel rendimento degli impianti con reattori ad acqua.
Prospettive completamente diverse si hanno invece per alcuni tipi di reattore, oggi ancora in fase di sviluppo, come i reattori a gas ad alta temperatura e i reattori autofertilizzanti, che utilizzano il sodio come veicolo termico, con i quali sarà possibile ottenere rendimenti superiori al 40%.
I reattori autofertilizzanti presentano poi una caratteristica di gran lunga più importante: grazie alla loro capacità di utilizzare il contenuto energetico potenziale dell'uranio naturale in maniera pressoché integrale, essi saranno in grado di estrarre dalla stessa quantità di uranio naturale una quantità di energia 50÷70 volte maggiore di quella che si estrae con i reattori attualmente impiegati e renderanno di conseguenza economicamente utilizzabili anche le notevoli riserve di uranio a elevato costo di estrazione. Per questi motivi l'affermazione commerciale dei reattori autofertilizzanti significherà per l'umanità una disponibilità di energia praticamente illimitata dalla fonte nucleare.
2. Rendimento allo stadio della trasmissione. La trasmissione dell'energia elettrica dalle centrali di produzione ai centri di consumo ha luogo con rendimenti molto alti nonostante le distanze di trasmissione siano talvolta considerevoli; l'evoluzione tecnologica ha infatti permesso, con l'adozione di tensioni via via più elevate, non solo di risolvere il problema posto dalla trasmissione di sempre maggiori quantità di energia elettrica, limitando il numero delle linee e quindi l'occupazione del suolo e l'interazione con l'ambiente, ma anche di ridurre le perdite percentuali dovute alla trasmissione dell'energia. Si è passati così dai 10 kV in uso àttorno al 1890 ai 50 kV dell'inizio del secolo, ai 130 kV negli anni attorno al 1920, ai 220 kV verso il 1930; negli ultimi quindici anni in Europa si è dato grande impulso a un nuovo livello di tensione, i 400 kV. Per alcune situazioni particolari di trasmissione in Canada, negli Stati Uniti e nell'URSS viene già usata una tensione di 765 kV.
Le possibilità offerte dall'adozione di livelli di tensione più elevati risultano chiaramente nella fig. 7 che, per diversi valori di tensione, indica le perdite in valore assoluto per un tratto di linea lungo 100 km, in funzione della potenza trasmessa; le due curve per ciascun livello di tensione si riferiscono rispettivamente alle sezioni minime e massime dei conduttori o dei fasci di conduttori generalmente impiegati per il livello di tensione in questione. Nella figura sono anche riportate alcune rette che rappresentano i punti dove si verificano perdite percentuali costanti.
La figura mostra che all'aumento del livello di tensione còrrisponde non solo un aumento della potenza trasmissibile, ma anche una diminuzione delle perdite percentuali. Nella figura sono riportate anche le curve relative a una tensione di 1.000 kV, che non ha ancora applicazione pratica; è tuttavia già previsto che nei prossimi dieci-quindici anni si potrà rendere necessario per la rete di interconnessione europea un livello di tensione superiore ai 400 kV; uno dei valori oggetto di studio al riguardo è appunto quello di 1.000 kV. La sua adozione comporterebbe un ulteriore miglioramento del rendimento della trasmissione dell'energia elettrica.
Anche la distribuzione dell'energia elettrica avviene con efficienza elevata; le perdite, che sono state molto contenute, hanno avuto in passato una diminuzione graduale, sia grazie all'aumento dei carichi, che ha consentito di adottare tensioni di distribuzione più elevate, sia grazie ai criteri più razionali con i quali vengono oggi realizzate le reti di distribuzione. Le perdite dei sistemi elettrici di trasmissione e di distribuzione dipendono evidentemente dalle caratteristiche delle reti e dalle particolari situazioni locali. Semplicemente per dare un ordine di grandezza si può dire che esse, nei paesi europei, assommano a valori dell'ordine del 7÷10% e che grosso modo tali perdite si ripartiscono in maniera uguale fra il sistema di trasmissione e quello di distribuzione.
Misure per la conservazione dell'energia. - Un'analisi di massima delle possibili misure di conservazione può essere fatta prendendo in considerazione i principali settori consumatori: il settore dei trasporti, quelli dell'industria e dell'energia e i rimanenti (domestico, commerciale, ecc.).
Nel settore dei trasporti si nota la grande prevalenza dei consumi per l'automobile e la notevolissima differenza nei consumi specifici per tipo di trasporto (v. fig. 8).
Le misure di conservazione nel settore dei trasporti seguono i seguenti indirizzi principali: 1) soddisfare la domanda di trasporto con sistemi energeticamente più efficienti, quali i trasporti pubblici per le persone e i treni merci per il trasporto di merci su grandi distanze; 2) contenere la domanda di trasporto: a) per le persone, con un razionale sviluppo degli ambienti urbani e con un più ampio ricorso alle telecomunicazioni; b) per le merci, con la razionalizzazione nei trasferimenti da un mezzo all'altro e con il ricorso a sistemi informativi per coordinare nel modo più efficace trasporto, trattamento e distribuzione delle merci.
Nei settori dell'industria e dell'energia e specialmente nella grande industria e nelle aziende elettriche l'impiego dell'energia è, in genere, già razionale. In particolare si è già accennato al continuo miglioramento dei consumi specifici delle centrali termoelettriche e all'esiguità dei margini ancora disponibili; per le unità più moderne il limite pratico di efficienza è stato raggiunto al principio degli anni sessanta. I margini di risparmio si prevedono principalmente: a) nel miglioramento dell'efficienza delle apparecchiature e dei sistemi preposti ai processi industriali; b) nella riutilizzazione dei materiali e dei componenti; c) nello sviluppo e nell'adozione di nuove tecnologie più efficienti; d) nel recupero del calore di scarto.
Nei settori domestico e commerciale la prevalenza dei consumi energetici si ha nel riscaldamento degli ambienti. Altri consumi importanti riguardano il condizionamento dell'aria e il riscaldamento dell'acqua. Le misure di conservazione, per quanto riguarda il riscaldamento degli ambienti, sono basate sui seguenti principali indirizzi: a) riduzione di qualche grado della temperatura dei locali riscaldati; b) migliore manutenzione, regolazione più razionale degli impianti (basata sulla temperatura esterna); c) miglioramenti nell'isolamento termico delle costruzioni; d) sviluppo e adozione di sistemi di riscaldamento più efficienti, quali: pompa di calore, riscaldamento di interi quartieri, recupero del calore, utilizzazione dell'energia solare.
Possibilità offerte dalla pompa di calore. - La pompa di calore rappresenta uno dei mezzi più efficienti per un'incisiva azione di conservazione. La flessibilità della pompa di calore è molto ampia ed essa può usare diverse fonti di energia e diversi tipi di forza motrice per trasferire calore da una sorgente relativamente fredda a un livello di temperatura superiore. La pompa di calore è principalmente affermata negli Stati Uniti nel campo della climatizzazione degli ambienti (riscaldamento e condizionamento). Nelle sue versioni commerciali essa attinge all'energia elettrica per la forza motrice e trasferisce calore dall'aria esterna a quella interna in servizio di riscaldamento e viceversa in servizio di condizionamento.
La tab. III fornisce alcuni elementi per la valutazione delle pompe sotto il profilo energetico. Essa riporta il coefficiente di guadagno energetico, ossia il rapporto tra il calore consegnato all'ambiente interno e l'energia richiesta in fase di riscaldamento, per le condizioni di collaudo valide negli Stati Uniti; la situazione che dà il coefficiente di guadagno massimo teorico, che è assai elevato, è quella del caso a). Se si tiene conto della necessità pratica di impiegare un evaporatore e un condensatore anche nell'ipotesi di fluido ideale (caso b), il coefficiente scende notevolmente (6,4); altre riduzioni si verificano poi con il fluido reale (caso c) e con le perdite di trasformazione e i consumi ausiliari richiesti nel funzionamento effettivo (caso d); i sistemi oggi commercialmente disponibili hanno un coefficiente di guadagno energetico di 2,2-3,0. È opportuno anche ricordare come tali dati valgono per temperature esterne di 7 °C; a temperature più basse il guadagno si riduce e questo effetto, unito alla diminuzione nella potenzialità delle pompe attuali che si verifica a mano a mano che scende la temperatura esterna, rende difficile il dimensionamento delle pompe di calore; infatti conciliare le esigenze poste dal riscaldamento con quelle del condizionamento estivo è un compito delicato che richiede un'accurata scelta del tipo di pompa di calore, in funzione delle situazioni locali.
Nel progetto e nel dimensionamento altri problemi assai difficili si sono presentati in passato e negli Stati Uniti una commercializzazione prematura, effettuata negli anni cinquanta, prima di aver sviluppato un prodotto con prestazioni soddisfacenti, ha portato a una certa sfiducia in questo sistema e a un rallentamento nello sviluppo delle vendite; oggi grazie ai notevoli progressi tecnologici realizzati, le prospettive del mercato appaiono migliori.
Risultati delle azioni di conservazione dell'energia. - Sul risultato globale delle azioni di conservazione influiscono in misura determinante l'effetto complessivo dell'aumento dei prezzi delle fonti energetiche e quello che deriva da possibili iniziative di politica energetica. Queste ultime potrebbero comportare risparmi sensibili; ne sono esempio le norme di isolamento termico per le abitazioni e le varie forme di indirizzo verso i trasporti pubblici. Da questa breve analisi si deduce che una quota rilevante dei risparmi energetici riguarda petrolio e derivati; essi sono dovuti in gran parte a riduzioni delle importazioni e più in generale di consumo di questa materia prima che non ha sostituti nella petrolchimica e in altre applicazioni. È questo uno dei maggiori vantaggi della conservazione.
Un altro vantaggio di rilievo è il beneficio che ne conseguirà per l'ambiente. La conservazione porterà infatti a un rinnovamento di impianti, processi e apparecchiature, individualmente dotati di una maggiore compatibilità ambientale; benefici effetti per l'ambiente risulteranno anche dai migliori criteri di gestione, quale, per esempio, la più accurata manutenzione degli impianti di riscaldamento.
Non va peraltro dimenticato che l'operazione di conservazione avrà un costo elevato e che gli investimenti necessari andranno coordinati con altri.
11. Effetti ecologici.
È noto che le preoccupazioni per l'ambiente riguardano aspetti diversi che vanno da quelli estetici e paesaggistici al rumore, dalla gestione del territorio all'alterazione termica delle acque e così via; le maggiori preoccupazioni derivano però dall'inquinamento dell'acqua e dell'aria.
Gli inquinanti immessi nell'acqua e nell'atmosfera hanno origine da diversi processi industriali e da altre attività nei settori domestico, commerciale, agricolo e dei trasporti. Anche la produzione di calore mediante combustibili fossili comporta l'emissione di alcuni inquinanti, essenzialmente nell'atmosfera; i principali sono le polveri, gli ossidi di zolfo, gli ossidi di azoto, l'ossido di carbonio e gli idrocarburi; essa comporta anche l'emissione di altri fattori alterogeni quale l'anidride carbonica che non dà luogo a inquinamento anche se artificialmente prodotta e immessa nell'atmosfera.
Combustione e inquinamento dell'aria. - Molti fattori concorrono a determinare la concentrazione degli inquinanti nell'aria in vicinanza del suolo, cioè nello spazio di interesse per l'uomo e più generalmente per le attività biologiche; il più importante di questi fattori è la diffusione degli inquinanti nell'atmosfera, la cui efficace dispersione dipende dalle modalità di emissione e dalle vicende meteorologiche.
Le emissioni dipendono da processi di combustione, cioè di trasformazione in calore dei combustibili che vengono utilizzati in tutte le attività industriali e civili e, in particolare, in specifiche attività industriali, fra le quali, ad esempio: a) per le polveri: l'industria del cemento, le raffinerie e l'industria siderurgica; b) per l'ossido di zolfo: l'industria per la produzione dell'acido solforico e dell'acido nitrico, l'industria mineraria (rame, zinco e piombo), le cokerie, le raffinerie e l'industria per la produzione della pasta di legno; c) per gli ossidi di azoto: l'industria chimica per la produzione dell'acido nitrico e dell'acido solforico; d) per gli idrocarburi: le raffinerie e le cokerie; e) per l'ossido di carbonio: le raffinerie, le fonderie e le industrie della pasta di legno.
Nell'ambito della combustione il tipo di attività è uno dei fattori di maggior rilievo nel determinare le modalità di emissione che unitamente alle condizioni meteorologiche giuocano un ruolo essenziale nella dispersione nell'atmosfera dei fattori alterogeni. Dell'insieme delle modalità di emissione che incidono in maniera rilevante sull'entità della dispersione è importante la quota di emissione che ha un effetto di riduzione assai notevole; per esempio, l'emissione a un'altzza virtuale di diverse centinaia di metri - quale quella che si verifica in una centrale termoelettrica moderna dotata di un alto camino - contribuisce a una concentrazione al suolo di diversi ordini di grandezza inferiore all'emissione di un'eguale quantità di inquinante a poche decine di metri di quota, o anche meno, come nel caso del riscaldamento domestico e delle automobili. È questa la ragione fondamentale per cui il contributo delle centrali termoelettriche all'inquinamento dell'ambiente circostante è, come dimostrato dall'esperienza, modesto, nonostante le grandi concentrazioni di potenza e le conseguenti rilevanti quantità di combustibile bruciato.
Altre considerazioni di rilievo potrebbero aggiungersi a queste per porre nella prospettiva più appropriata il contributo delle diverse attività all'inquinamento dell'aria derivante dalla combustione. Le preoccupazioni dell'inquinamento da combustione vanno comunque oggi confrontate con il problema di fondo posto dalla crisi del petrolio ossia il contenimento dei consumi di questa materia prima e la sua sostituzione con altre fonti energetiche. Alla soluzione di questo problema contribuirà sostanzialmente la fonte nucleare che si rende disponibile oggi solo per il tramite dell'energia elettrica.
Aspetti specifici dell'interrelazione fra fonte nucleare e ambiente. - La fonte nucleare e i mezzi per la sua conversione in energia elettrica presentano caratteristiche di compatibilità con l'ambiente del tutto soddisfacenti; infatti, data l'assenza di combustione, non vi sono inquinanti nel senso tradizionale. Quanto alle tenui emissioni radioattive delle centrali nucleari, esse sono mantenute a livelli così bassi, in relazione ai livelli ammissibili stabiliti da norme peraltro assai limitative, da poter essere ritenute assolutamente innocue. L'uomo, fin dal suo apparire sulla terra, è stato sottoposto a radiazioni provenienti da corpi celesti, dai materiali che compongono la terra, molti dei quali sono debolmente radioattivi, da alcuni alimenti, acque minerali, ecc. Ciascuno di noi riceve dall'ambiente naturale una ‛dose' di radiazioni la cui entità dipende da molti fattori, quali, ad esempio, l'altitudine sul livello del mare, la latitudine geografica, le caratteristiche dei minerali che compongono il suolo e dei materiali che costituiscono le abitazioni, ecc. Orbene, la dose di radiazioni che la popolazione che vive nelle immediate vicinanze di un impianto nucleare riceve in più a causa degli scarichi della centrale stessa rappresenta una frazione molto modesta di quella ricevuta per cause naturali; esistono al riguardo delle norme specifiche, studiate anche in sede internazionale dagli esperti più qualificati, che prescrivono dei limiti ben precisi ai rilasci di sostanze radioattive; a ciò si aggiunga che gli scarichi effettivi sono sempre risultati assai inferiori ai limiti massimi ammessi dalle norme nazionali e internazionali.
Qualche cifra di larga massima potrà meglio illustrare queste considerazioni. La dose media di radiazione dovuta all'ambiente naturale, e ricevuta quindi da ciascuno di noi, varia tra 100 e 200 millirem per anno: circa 50 millirem sono dovuti ai raggi cosmici, altri 50 millirem provengono dalla radioattività del suolo, altri 25 dalla radioattività naturale dei cibi e dell'acqua. Vi sono però, come già accennato, diversi fattori che influiscono notevolmente su tali valori: ad esempio, se una persona vive a duemila metri di altezza anziché al livello del mare, la dose dovuta ai raggi cosmici aumenta di circa 30 millirem all'anno.
Vi sono poi le dosi di radiazione dovute a cause non naturali. Ecco alcuni numeri relativi alla causa più importante, i raggi X usati per ragioni mediche: è stato valutato che la dose media ricevuta annualmente da ogni cittadino degli Stati Uniti è dell'ordine di 90 millirem; il valore corrispondente in Europa è di 35-55 millirem.
Le centrali nucleari sono in genere progettate e costruite in modo tale che, pur assumendo le ipotesi meno favorevoli, una persona che viva costantemente presso la recinzione dell'impianto non riceva più di uno-due millirem all'anno. In pratica poi, proprio per i criteri adottati nelle ipotesi di calcolo, i valori effettivamente misurati risultano di molto inferiori; per molti impianti le dosi annue alla recinzione sono addirittura dell'ordine di qualche centesimo di millirem all'anno.
Anche per il futuro la situazione è tranquillizzante malgrado il ricorso sempre maggiore che sarà fatto all'energia nucleare; è stato valutato dalla Commissione Atomica degli Stati Uniti che nell'anno 2000 la dose supplementare media cui sarà esposta la popolazione degli Stati Uniti a causa della produzione elettronucleare sarà inferiore a 1 millirem/anno e quindi a meno dell'1% della dose naturale. Da questo confronto emerge chiaramente che l'energia elettrica di origine nucleare è veramente ‛energia pulita'.
Le tabb. IV e V raccolgono sinteticamente alcuni dei dati esposti; la prima pone a confronto le dosi di radiazione dovute alle centrali nucleari con quelle ricevute dall'uomo per cause naturali e per altre cause. La seconda tabella illustra la variabilità della componente dovuta ai raggi cosmici con la quota; essa mostra che le dosi dovute alle centrali sono di molto inferiori anche a variazioni dovute a fattori in cui è normale incorrere. Ad esempio, nel corso di un viaggio aereo dall'Europa agli Stati Uniti ogni passeggero riceve, a motivo dell'altitudine, una dose in più di 3-5 millirem, quantità superiore a quella ricevuta in un anno da una persona che vive nelle immediate vicinanze di una centrale nucleare.
Un altro aspetto che pone le centrali nucleari in relazione con l'ambiente riguarda le loro caratteristiche di sicurezza. L'esperienza di esercizio sinora maturata per tutte le centrali nucleari del mondo è stata nettamente positiva; infatti, non solo non si sono mai verificate situazioni di pericolo per la popolazione, ma non si sono neppure avuti incidenti di qualche rilievo al personale di esercizio, anche nei casi in cui si sono verificati guasti agli elementi di combustibile. In effetti l'industria nucleare ha fornito dal punto di vista della sicurezza delle prestazioni del tutto soddisfacenti e non va dimenticato che l'esperienza finora acquisita è tutt'altro che modesta, basti pensare che la somma dei periodi di esercizio delle singole centrali nucleari esistenti nel mondo ha superato i mille anni.
Un cenno infine ai residui radioattivi contenuti nel combustibile nucleare; come noto, il combustibile irradiato viene sottoposto, in appositi impianti di ritrattamento distinti dalle centrali nucleari, a opportuni processi atti a separare i materiali ancora utili, principalmente uranio e plutonio, dai residui radioattivi. L'immagazzinamento di questi residui radioattivi rappresenta un problema importante per il quale esistono soluzioni soddisfacenti per il breve e medio termine (qualche decina di anni); d'altra parte, sono state già evidenziate soluzioni tecniche per assicurare un immagazzinamento di questi prodotti rispondente a severi requisiti di sicurezza, per i lunghi periodi di tempo richiesti; queste soluzioni sono oggetto attualmente di intensi programmi di sviluppo in diversi paesi del mondo in vista di una loro precisa definizione e applicazione.
Alterazione termica delle acque di raffreddamento. - La produzione termoelettrica, con combustibili fossili o nucleari, interagisce con l'ambiente anche perché innalza di alcuni gradi centigradi la temperatura dell'acqua utilizzata per il raffreddamento dei condensatori dell'impianto; infatti il processo di conversione in energia elettrica che avviene nei turboalternatori richiede che parte dell'energia termica prodotta nel reattore o nella caldaia venga ceduta a una sorgente fredda, che è in genere l'acqua di raffreddamento; essa non subisce alcuna alterazione chimica nè tanto meno viene inquinata, in quanto rappresenta semplicemente il veicolo attraverso il quale viene asportato il calore di condensazione del vapore di scarico delle turbine.
Il problema assume maggiore rilievo per le centrali nucleari, dato che a causa del minor rendimento degli attuali impianti nucleari di tipo più sperimentato è richiesta una portata di acqua di raffreddamento superiore di circa il 50% a quella necessaria a una centrale tradizionale. Questa differenza è tuttavia destinata a scomparire con l'avvento di tipi avanzati di reattori, quali ad esempio i reattori veloci autofertilizzanti.
L'aumento di alcuni gradi centigradi nella temperatura dell'acqua non comporta problemi quando il raffreddamento dei condensatori della centrale viene effettuato mediante acqua di mare; si tratta semplicemente di evitare ogni possibilità di ricircolazione nei condensatori dell'acqua già utilizzata a scopo di raffreddamento e di attuarne una adeguata dispersione; questo problema, che è di carattere esclusivamente tecnico, trova in ogni caso soluzioni del tutto soddisfacenti, in particolare mediante un adatto progetto delle opere di presa e di scarico dell'acqua.
Quando invece per il raffreddamento dei condensatori si impiegano deflussi fluviali, vi possono essere limitazioni imposte dalla portata minima dei fiumi utilizzati a tale scopo e ciò con riferimento a tutti gli impianti eventualmente installati lungo il corso del fiume. Seguendo infatti il deflusso delle acque, gli aumenti di temperatura determinati dagli impianti che fiancheggiano il fiume possono, almeno parzialmente, sommarsi ponendo limitazioni che, se in passato non avevano conseguenze per la modesta potenza delle centrali termiche, oggi vanno assumendo rilievo anche per corsi d'acqua di notevole portata.
Sempre in tema di dispersione del calore nei corsi d'acqua, può essere interessante ricordare che in Italia è stata rilevata la distribuzione della temperatura dei corsi d'acqua nelle vicinanze di numerose centrali mediante aerofotogrammetrie all'infrarosso; la tecnica utilizzata è di tipo molto avanzato ed è stata originariamente sviluppata negli Stati Uniti per essere impiegata in alcuni satelliti artificiali. In concomitanza con l'esecuzione delle fotografie aeree sono state rilevate presso alcuni siti anche le temperature in loco, per una verifica dei risultati.
In conclusione l'impiego della fonte nucleare per la produzione di energia elettrica comporta una compatibilità ambientale soddisfacente, grazie alle numerose cure poste nella realizzazione e nell'esercizio delle centrali nonché nelle attività che compongono il ciclo del combustibile nucleare.
Inserimento delle centrali nucleari nel territorio. - L'esigenza di dedicare la massima attenzione alla compatibilità ambientale si riflette anche nelle misure adottate per l'inserimento nel territorio delle centrali nucleari (e termoelettriche). Esiste ad esempio un'iniziativa estesa a tutte le coste italiane per raccogliere le informazioni di maggior rilievo relative ai caratteri fisici della fascia costiera e agli elementi demografici, di assetto e destinazione territoriale e di attività turistica per una prima selezione delle localizzazioni delle centrali nucleari (e termoelettriche tradizionali). A queste rilevazioni si aggiungono le ricerche di carattere biologico sulla flora lungo i corsi d'acqua interessati.
Un impegno notevole è dedicato allo studio mediante modelli per verificare le diverse interazioni, meccaniche, idrauliche e termiche, tra una centrale e il corso d'acqua dal quale viene prelevata l'acqua di raffreddamento necessaria. Ne è esempio il modello del Po in corrispondenza della centrale nucleare di Caorso. Lungo quasi 60 m, il modello riproduceva un tratto di fiume lungo 17 km ed ha avuto lo scopo di definire la posizione ottimale delle opere di presa e di scarico della centrale e nello stesso tempo di studiare sperimentalmente i problemi della dispersione del calore.
Problemi di trasmissione dell'energia elettrica in relazione all'ambiente. - La programmazione dell'evoluzione di un sistema di trasmissione è oggi molto più complessa di quanto non fosse in passato; agli imperativi economici convenzionali si aggiungono infatti altri vincoli, la cui valutazione dal punto di vista economico è piuttosto difficoltosa e che si riferiscono all'interferenza delle linee aeree con l'ambiente; questi vincoli stanno divenendo sempre più importanti, in particolare nei paesi con zone densamente popolate.
Teoricamente, ogni problema ambientale originato dalle linee aeree potrebbe essere risolto sostituendole con linee in cavo; in questo caso però i costi di trasmissione risulterebbero all'incirca dieci volte superiori e comporterebbero una revisione globale dei problemi di trasmissione o, più in generale, dei problemi di trasferimento dell'energia nelle sue varie forme.
Gli elettrodotti possono interferire con l'ambiente in varie maniere. Nella fig. 9 sono rappresentate le principali interferenze di un elettrodotto, in questo caso esercito a 420 kV, con l'ambiente immediatamente circostante, e precisamente: a) l'occupazione fisica di spazio intorno ai conduttori; b) il gradiente al suolo; c) le radiointerferenze e i disturbi acustici dovuti all'effetto corona. Queste interferenze con l'ambiente interessano in genere quei tratti di territorio soggetti al diritto di servitù per linee aeree. Nelle zone più distanti l'unica interferenza esistente è rappresentata dal disturbo al paesaggio, che costituisce oggi il maggiore ostacolo allo sviluppo delle reti con elettrodotti.
La prima condizione da soddisfare per ridurre l'interferenza con l'ambiente è di adattare la capacità potenziale della linea, e quindi la sua tensione, alla potenza da trasmettere. Per quanto ovvio a prima vista, questo punto è stato discusso a lungo, in quanto le linee a tensione più elevata comportano apparentemente un deterioramento più sensibile dell'ambiente. Se d'altra parte il maggior disturbo viene messo in correlazione con la potenza molto più elevata che può essere trasmessa, le tensioni più alte avranno sempre una posizione predominante.
La fig. 10 mostra chiaramente quanto segue: la potenza trasmissibile è rappresentata dalla sezione del solido attorno alla linea; la larghezza di base di questo solido rappresenta la servitù di passaggio, l'altezza è la potenza per unità di larghezza della stessa servitù. È pertanto evidente che la potenza trasmissibile per unità di larghezza della servitù di passaggio aumenta considerevolmente con la tensione. Analoghe considerazioni possono essere fatte in merito al disturbo arrecato al paesaggio che, nel caso di linee a tensione più elevata, è più pronunciato in senso assoluto e lo è meno in senso relativo.
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Trasmissione dell'energia
SOMMARIO: 1. Generalità: a) esigenze di trasferimento dell'energia e modi in cui può essere realizzato; b) potenzialità della trasmissione e ‛sistemi' di trasmissione dell'energia; c) cenni storici riguardanti la trasmissione dell'energia. □ 2. Funzionamento delle linee elettriche di trasmissione dell'energia: a) equazioni energetiche della trasmissione su linea elettrica e per analogia su albero meccanico; b) potenzialità della trasmissione con grandezze continue e con grandezze alternate; c) compensazione in serie delle lunghe linee aeree. □ 3. I sistemi di trasmissione dell'energia elettrica: a) strutture e genesi del sistema di trasmissione dell'energia elettrica a corrente alternata; b) evoluzione dei sistemi di trasmissione dell'energia elettrica; c) il proporzionamento degli elementi del sistema; d) le applicazioni della trasmissione in corrente continua. □ 4. Caratteristiche delle linee di trasmissione aeree e in cavo: a) struttura tipica delle linee aeree; b) caratteristiche dei conduttori per linee aeree; c) isolatori e isolamento; d) sostegni; e) le linee aeree e l'ambiente, f) struttura tipica dei cavi; g) il cavo in carta impregnata; h) il cavo in carta impregnata a olio fluido, i) il cavo in carta impregnata a pressione di gas; l) cavi con isolamento in elastomeri; m) cavi con isolamento in materiale termoplastico, n) cenni alla struttura dei nodi delle reti elettriche. □ 5. Problemi economici inerenti alla trasmissione dell'energia elettrica: a) costi delle linee elettriche aeree e in cavo in funzione dei parametri fondamentali; b) ottimizzazione dei parametri; c) ottimizzazione del sistema di trasmissione in corrente alternata; d) confronto economico fra trasmissione in corrente continua e trasmissione in corrente alternata; e) confronto tra i costi di trasmissione dell'energia elettrica e quelli di trasporto dei combustibili. □ 6. Sviluppi futuri della trasmissione dell'energia: a) possibilità di sviluppo delle tecniche tradizionali; b) cavi in gas; c) cavi criogenici e superconduttivi; d) trasmissione dell'energia per microonde. □ Bibliografia.
1. Generalità.
a) Esigenze di trasferimento dell'energia e modi in cui può essere realizzato.
Le fonti di energia sono territorialmente distribuite, come è noto, in modo diverso rispetto ai fabbisogni (v. energia: Fonti primarie di energia). Da tale distribuzione territoriale non uniforme segue la necessità di massicci trasferimenti dalle aree di produzione alle aree di consumo. Inoltre, poiché le fonti di energia economicamente sfruttabili sono di potenzialità molto grande rispetto ai singoli utilizzatori, sono necessari ulteriori trasferimenti dell'energia, nelle aree di consumo, per distribuirla ai singoli utilizzatori.
Come una merce, l'energia deve quindi essere ‛trasportata' dalla produzione al consumo e ‛distribuita' agli uti- lizzatori.
Il trasferimento dell'energia può essere effettuato in due modi: 1) trasportando materia in cui l'energia è accumulata in forma potenziale; tale modo di trasferimento è oggi praticamente realizzato solo con il trasporto dei combustibili, sia quelli fossili sia quelli nucleari. Sono in corso promettenti studi per ottenere artificialmente combustibile (idrogeno) da utilizzare come vettore di energia a partire da energia di fonte nucleare (v. Marchetti, 1973). Un grande sforzo tecnologico viene compiuto attualmente al fine di rendere tecnicamente ed economicamente vantaggioso il trasferimento dell'energia mediante il trasporto di accumulatori elettrici, almeno per quanto concerne l'alimentazione di utilizzatori mobili autonomi, come l'automobile elettrica (v. Beardsley, 1972). È stata anche studiata e sperimentata la possibilità di trasferire energia immagazzinandola in volani in rotazione. Interessanti prospettive a questa forma di trasferimento dell'energia sembrano essersi aperte di recente con l'utilizzazione di materiali costituiti da fibre ad altissima resistenza meccanica e bassa densità, derivanti dalla tecnologia aerospaziale (v. Post e Post, 1973). Nella tab. I sono illustrate le quantità di energia che possono essere liberate per unità di massa dalla materia trasportata, per i combustibili nucleari o fossili, per i più moderni accumulatori elettrici e per il volano di cui all'esperimento citato; 2) trasmettendo energia attraverso un mezzo interposto fra il punto di trasmissione e quello di ricezione. Si tratta in genere, ma non necessariamente, di un mezzo materiale. L'energia può essere trasmessa sotto forma meccanica mediante supporti solidi, come ad esempio alberi rotanti, cinghie, funi o catene, oppure mediante supporti fluidi, come ad esempio liquidi o gas, in pressione all'interno di tubazioni. Le trasmissioni di energia più importanti, in termini di quantità e di distanze, sono però effettuate sotto forma elettrica per mezzo di linee di trasmissione aeree o in cavo. La trasmissione per via elettrica a scopo di potenza per mezzo di guide d'onda o di fasci di microonde è entrata ora nella fase degli studi sperimentali (v. sotto, cap. 6, È d), mentre è utilizzata ormai da anni, così come la trasmissione via radio, per il trasferimento delle modestissime quantità di energia necessarie per la trasmissione delle informazioni. Altrettanto dicasi per la trasmissione di energia luminosa. Non ha trovato, invece, alcuna pratica applicazione per scopi di trasferimento di energia a distanza, la trasmissione del calore.
I trasferimenti di energia di gran lunga più importanti avvengono trasportando combustibili dalle grandi aree di produzione alle grandi aree di consumo (v. energia: Fonti primarie di energia). Ciò si verifica sia perché la maggior parte dell'energia viene utilizzata in forma termica e chimica, sia perché il trasporto del combustibile è in molti casi più economico della trasmissione dell'energia elettrica. Ingenti sono anche i trasporti di combustibile per la distribuzione sia ai grandi sia ai piccoli utilizzatori di energia termica - si pensi ad esempio alla distribuzione del gas liquido e dei derivati del petrolio per uso domestico, nonché alla distribuzione del gas a mezzo di sistemi di tubazione fissi - sia, infine, ai piccoli utilizzatori di energia meccanica, particolarmente per il movimento dei mezzi di trasporto autonomi, come ad esempio navi, aerei e autoveicoli.
Per la distribuzione di energia a quei tipi di utilizzatori che, a causa delle loro piccole dimensioni, non possono utilizzare direttamente la fonte nucleare, si sta pensando di utilizzare un combustibile convenzionale prodotto artificialmente, l'idrogeno, al posto dei combustibili fossili; l'idrogeno verrebbe ottenuto, utilizzando energia nucleare, con processi chimici che portano alla scissione dell'acqua.
La trasmissione dell'energia elettrica viene, in ordine di importanza, subito dopo il trasporto del combustibile; i trasferimenti massicci, sono forse in questo settore, meno importanti dei trasferimenti necessari a distribuire l'energia ai piccoli e piccolissimi utilizzatori. Infatti, si cerca sempre di porre le centrali di produzione in vicinanza dei carichi, compatibilmente con i vincoli imposti alla loro ubicazione. Tali vincoli sono imperativi per la conversione di fonti di energia idraulica, geotermica e termica a combustibile povero (centrale a bocca di miniera), che infatti hanno individuato e individuano i più caratteristici sistemi di trasmissione; sono invece, almeno in linea di principio, meno imperativi per la conversione di energia termica e nucleare, oggi di gran lunga le più importanti, anche se in pratica i vincoli imposti dal raffreddamento, dagli scarichi atmosferici e dal rispetto dell'ambiente si fanno sempre più severi.
La trasmissione di energia meccanica per il tramite di un supporto solido si effettua su distanze molto brevi, per mezzo di alberi rotanti ed elementi di collegamento quali cinghie, catene, rotismi.
Prima dell'avvento dell'energia elettrica, questo tipo di trasmissione era largamente usato negli opifici per distribuire alle singole macchine operatrici l'energia meccanica prodotta da un motore primo centrale, idraulico o a vapore (v. fig. 1). Le distanze tra motore primo e macchine operatrici erano comunque modeste, dell'ordine della decina di metri, al massimo di cento o duecento metri. Lo scarso rendimento, la rumorosità, la scarsa sicurezza del sistema, la modesta entità di potenza trasmissibile ne hanno decretato la fine con l'avvento della trasmissione elettrica.
Oggi la trasmissione di energia meccanica su supporto solido avviene solo all'interno di singole macchine, ad esempio, nel sistema di trasmissione di un automezzo, dal motore primo alle ruote, su distanze talmente brevi che non è forse più neanche il caso di parlare di trasmissione dell'energia.
La trasmissione dell'energia meccanica per il tramite di un supporto fluido si effettua mediante fluidi in pressione e in movimento entro tubi; tali fluidi sono essenzialmente olio o aria.
La trasmissione mediante olio in pressione avviene negli azionamenti oleodinamici, anch'essa su distanze brevissime, praticamente all'interno di una stessa macchina, più con lo scopo di trasformare il tipo di energia meccanica (da rotazione veloce di coppie modeste a spostamenti lenti di forze rilevanti) che con lo scopo di trasmettere energia.
La trasmissione mediante aria compressa è l'unica che, sia pure su brevi distanze, serve ancora per distribuire a un certo numero di macchine operatrici l'energia meccanica fornita da un motore primo centrale. Tale sistema (v. fig. 2) è particolarmente usato in miniera e nei cantieri.
b) Potenzialità della trasmissione e ‛sistemi' di trasmissione dell'energia.
Ogni trasmissione dell'energia è caratterizzata in ogni istante dalla sua ‛potenza' e cioè dalla quantità di energia trasmessa per unità di tempo (v. energia: Fonti primarie di energia). In generale, la potenza si esprime come prodotto di due fattori, che sono le grandezze fisiche caratteristiche della trasmissione. Ad esempio, nel caso di trasmissione meccanica per mezzo di albero rotante, tali fattori sono il momento della coppia e la velocità angolare, mentre, nel caso di trasmissione elettrica per mezzo di linea, essi sono la tensione e la corrente.
Il mezzo materiale che permette la trasmissione (albero rotante o linea elettrica) è in generale sollecitato da queste grandezze fisiche, per cui pone ad esse dei limiti che definiscono la massima potenza trasmissibile dal mezzo di trasmissione stesso, e cioè la sua potenzialità.
Una stessa potenzialità di trasmissione può essere realizzata con valori diversi dei fattori caratteristici; ad esempio si può realizzare, per una stessa potenza da trasmettere, una linea elettrica per tensioni elevate e correnti basse o per tensioni basse e correnti elevate. Esiste però sempre una coppia particolare di valori con cui si realizza il minor costo della trasmissione, per quanto tale coppia non rappresenti necessariamente la soluzione ottimale né per l'apparato generatore che provvede alla produzione dell'energia da trasmettere nè per l'apparato utilizzatore che riceve l'energia.
Occorrono, quindi, per realizzare trasmissioni economiche, dispositivi che consentano di modificare, a parità di potenza, i valori dei due fattori caratteristici. Tali dispositivi vengono denominati ‛trasformatori' per la trasmissione su linee elettriche a corrente alternata e ‛riduttori' per la trasmissione con alberi rotanti. E opportuno a questo proposito ricordare che, poiché l'energia deve essere trasferita non solo per finalità di grande trasporto, ma anche di distribuzione, assai spesso le trasmissioni di energia tra due punti non possono essere considerate come a sé stanti, ma come facenti parte di un ‛sistema di trasmissione' che collega più utilizzatori a uno o più apparati di produzione.
In un tale sistema dove si individuano evidentemente più ‛rami' di trasmissione a potenza diversa e più apparati produttori e utilizzatori, anch'essi di potenza diversa, le esigenze di ‛trasformazione' sono ancora più sentite. Ugualmente sentita è in tali sistemi l'esigenza di dispositivi che consentano di interrompere il flusso di trasmissione, così da poter separare una parte del sistema, senza con ciò mettere necessariamente fuori servizio anche tutta la parte restante. Questi dispositivi sono gli interruttori per la trasmissione su linee elettriche e i giunti, a frizione o di tipo analogo, per la trasmissione meccanica ad alberi rotanti.
Si noti che, tra i due modi possibili di trasmissione dell'energia elettrica, quello a corrente alternata e quello a corrente continua, il primo ha largamente prevalso sul secondo, proprio per la possibilità di realizzare in maniera estremamente più semplice e meno costosa gli apparati di ‛trasformazione' e di ‛interruzione' dei flussi di energia e quindi per la possibilità di costituire con facilità sistemi di trasmissione.
La relativa semplicità e il basso costo di impianto e di esercizio degli elementi costituenti il sistema di trasmissione dell'energia elettrica a corrente alternata (linee, trasformatori e interruttori) ha determinato: a) l'accentramento della conversione dell'energia potenziale dei combustibili in energia meccanica presso centrali di produzione di energia elettrica sempre più grandi, riducendo il campo di applicazione dei piccoli motori termici praticamente ai soli mezzi di trasporto autonomi; b) il crescente frazionamento degli apparati utilizzatori e di conseguenza la progressiva eliminazione della distribuzione di energia meccanica; c) l'utilizzazione sia delle fonti energetiche idrauliche, anche di potenza considerevole, sia di fonti geotermiche o giacimenti di combustibili poveri; d) l'interconnessione delle grandi centrali di produzione e delle grandi aree di consumo. Tale interconnessione consente di risolvere, con rilevanti vantaggi, i problemi della riserva e della compensazione delle irregolarità nella distribuzione temporale della produzione e del prelievo dell'energia.
Esamineremo in seguito le caratteristiche di questi sistemi di trasmissione che collegano numerose unità di produzione aventi potenze oggi spesso superiori ai 1.000 MW con miriadi di utilizzatori, alcuni dei quali anche di pochi watt, distribuiti su superfici di milioni di km2.
c) Cenni storici riguardanti la trasmissione dell'energia.
La trasmissione dell'energia meccanica attraverso alberi e ingranaggi, che nel passato venivano realizzati in gran parte in legno, è certamente molto antica. Si possono ricordare antichi esempi di mulini ad acqua e a vento e di ordigni che venivano impiegati per scopi bellici, idraulici oppure per allestimenti teatrali. In questi casi, però, la trasmissione resta confinata all'interno di una singola macchina, cosicché l'argomento si dovrebbe considerare piuttosto nell'ambito di una storia dell'evoluzione delle macchine.
Non v'è dubbio che gli inizi della trasmissione dell'energia su grandi distanze, così come oggi si concepisce, coincidano con gli inizi dell'industria elettrica (v. Società Edison, 1934; v. Collegio Ingegneri Milano, 1962). Eppure le prime trasmissioni di energia elettrica furono effettuate durante la seconda metà del 1700 dalla telegrafia elettrica e dunque con lo scopo di trasmettere segnali e non di trasmettere energia.
Si può dire che il primo esperimento di trasmissione dell'energia elettrica a scopo di utilizzazione della potenza risalga all'Esposizione universale di Vienna del 1873.
Fra i primi esempi di telegrafia elettrica e l'Esposizione di Vienna si era avuta la formulazione precisa del concetto energetico da parte di J. Meyer, sulla base dei lavori di Carnot, e si era avuta nel 1831 la fondamentale scoperta dell'induzione elettromagnetica da parte di Faraday.
Già nel 1832, sulla base della scoperta di Faraday, Pixii costruiva la prima macchina a induzione. È caratteristico il fatto che, sebbene l'induzione offrisse una forza elettromotrice naturalmente alternata, tutto lo sforzo dei primi ricercatori fosse volto a ottenere tensioni continue, sulla base delle esperienze degli anni precedenti, in éui l'unica fonte di elettricità era stata la pila di Volta. Così le macchine di Clarke, Stohrer, Wheatstone e Siemens erano tutte dotate di commutatore mirante a fornire tensione unidirezionale, anche se non certamente continua. È solo nel 1860, con l'invenzione di A. Pacinotti, che si realizza il primo vero generatore di corrente continua (v. fig. 3). A tale generatore dovevano dare diffusione industriale Z. T. Gramme negli anni attorno al 1870 e successivamente Brush (v. fig. 4).
Le prime linee di trasmissione furono quindi a corrente continua e destinate, oltre a qualche utilizzazione per galvanoplastica, soprattutto ad alimentare impianti di illuminazione. L'illuminazione era allora ottenuta con lampade a incandescenza a filamento di carbone, molto sensibili alle variazioni di tensione (gli scarti massimi tollerabili erano del 2% o 3% dal valore nominale) e alimentate a tensione di 100÷125 V.
Per mantenere la tensione nei limiti voluti, senza rendere intollerabile l'onere di costruzione delle linee, si effettuò una distinzione netta fra le linee di distribuzione, alle quali erano direttamente allacciate le lampade e sulle quali la tensione doveva essere mantenuta entro i limiti anzidetti, e le linee di alimentazione destinate a trasferire l'energia della centrale ai nodi di distribuzione e lungo le quali si potevano tollerare cadute di tensione superiori. Si adottò inoltre la distribuzione a tre fili (più tardi anche a cinque fili), collegando in serie due dinamo fra i due fili estremi, mentre il punto di connessione fra le due dinamo era messo a terra e collegato al terzo filo, disposizione che consentiva di ridurre il peso del rame impiegato sulla linea, pur senza elevare il valore della tensione verso terra. Dato che le prime reti si svilupparono nei centri abitati, le linee furono dapprima costruite in forma di canalizzazioni sotterranee, sia con sbarre o fili di rame disposti in opportune gallerie, sia con ‛cavi' più o meno embrionali (v. fig. 5).
Nel 1882 si costruisce la linea aerea Kiesbach-Monaco di Baviera, per trasmettere, su di una distanza di 57 km, 1,5 kW alla tensione di 2.000 V in corrente continua. Nel 1883 si costruisce a Milano la centrale di Santa Radegonda che distribuisce l'energia elettrica in corrente continua a tre fili (2×110 V) entro un raggio di non più di 1.000 m, cioè all'interno della cerchia dei Navigli.
Fra il 1887 e il 1889 fu costruita la linea aerea Isoverde-Genova, lunga 27 km, a corrente continua sistema Thury. Il sistema Thury consisteva nel mettere in serie, sul medesimo circuito, più generatori e più apparecchi utilizzatori, in modo da ottenere un'elevata tensione e quindi la trasmissione di potenze elevate con correnti modeste. La linea Isoverde-Genova poteva inizialmente trasmettere, a corrente costante di 45 A e tensione variabile fino a 2.200 V, una potenza massima di 100 kW. Successivamente la tensione venne elevata a 12.000 V e la potenza a 540 kW. Contemporaneamente anche la tecnica delle correnti alternate muoveva i suoi primi passi. Negli anni attorno al 1860 cominciarono a costruirsi i primi generatori, tuttavia le prime realizzazioni di interesse industriale possono ritenersi quelle di Gramme e Siemens fra il 1875 e il 1880 (v. fig. 6).
Ci si rese conto ben presto che la corrente alternata offriva la possibilità di ottenere tensioni assai più elevate di quelle ottenibili, per le difficoltà inerenti alla commutazione, dalla singola macchina in corrente continua. Anche se il sistema Thury consentiva di aggirare questa difficoltà, esso risultava tuttavia assai complesso e oneroso, mentre l'impiego del trasformatore rendeva la corrente alternata estremamente flessibile. Le realizzazioni dei primi trasformatori seguirono assai presto la scoperta di Faraday. Nel 1836 Callan, portando a perfezionamento un lavoro di Page, otteneva un apparecchio che può essere considerato in linea di principio il capostipite degli autotrasformatori odierni. Nel 1851 H. D. Ruhmkorff costruiva il suo rocchetto.
Nel 1878 Jablochkoff presentò all'Esposizione internazionale di Parigi le sue lampade che erano alimentate dai secondari di bobine a induzione i cui primari erano inseriti in serie fra i morsetti del generatore. In tal modo la rottura di una lampada non comportava lo spegnimento di tutte le altre come nell'inserzione diretta in serie.
Sviluppando questo concetto Goulard e Gibbs presentarono nel 1882 un impianto che alimentava in serie a corrente costante i primari di bobine (v. fig. 7) alimentanti lampade di vario tipo sul loro secondario. In tale impianto tuttavia si realizzava un rapporto diverso da 1 fra la corrente primaria che era di 13 A e la corrente secondaria che era di 40 A. Le lampade erano distribuite su di una certa lunghezza del circuito e la tensione poteva essere regolata in corrispondenza di ogni lampada variando la posizione del nucleo rispetto al secondario e variando, mediante un commutatore, il numero di spire sul secondario.
All'Esposizione di Torino del 1884 Goulard offrì un saggio di trasmissione dell'energia in corrente alternata, alimentando, con le macchine installate nei locali dell'esposizione, lampade elettriche situate nella stazione ferroviaria di Lanzo a 34 km di distanza.
Dopo il successo di Goulard e Gibbs, l'idea di costruire bobine per elevare la tensione in corrispondenza dei generatori e per ridurla in corrispondenza dei carichi viene ripresa dalla casa Ganz di Budapest, che nel 1885 prende un brevetto sull'impiego di bobine da connettere in parallelo sulle linee primarie. Il primo esperimento della ditta Ganz fu effettuato a Vienna nel 1885 ove venne dimostrato come, con la disposizione prevista, fosse possibile mantenere pressoché costanti le tensioni, comunque si variassero i carichi. Nel medesimo anno furono alimentate, col nuovo sistema, 1.000 lampade all'Esposizione nazionale di Budapest.
Nel 1886 entrò in servizio a Roma l'impianto termoelettrico di via dei Cerchi in corrente alternata monofase. Nel medesimo anno venne installato a Tivoli un alternatore Siemens, che era stato esposto a Torino nel 1884. Nel 1892 la centrale di Tivoli venne collegata a Roma con una linea in corrente alternata monofase alla tensione di 5.000 V, che può ritenersi la prima linea a corrente alternata nel mondo. Questo avvenimento ebbe risonanza internazionale, come testimonia il telegramma di congratulazioni di eminenti elettrotecnici inglesi, fra cui lord W. Th. Kelvin, G. Kapp, Ph. Thompson (v. fig. 8).
È di quegli anni la polemica fra i sostenitori della corrente continua e quelli della corrente alternata. I primi mettevano in rilievo la maggior flessibilità dei motori e la possibilità dell'accumulazione e criticavano i rischi connessi all'uso delle alte tensioni in corrente alternata, mentre i sostenitori della corrente alternata mettevano in risalto la possibilità di impiegare tensioni più elevate e le possibilità di trasformazione e regolazione. Tale polemica vide schierati eminenti tecnici e scienziati nell'uno e nell'altro campo (si possono citare negli Stati Uniti i nomi di Th. A. Edison per la corrente continua e di G. Westinghouse per l'alternata), ma dovevano essere gli sviluppi successivi a risolvere il problema in netto favore della corrente alternata, anche se, come si vedrà, i sostenitori della corrente continua, sia pure come sistema ausiliario rispetto alla corrente alternata, non mancano neppure ai nostri giorni.
È del 1885 la scoperta da parte di G. Ferraris del campo magnetico rotante e del motore a induzione, scoperta che doveva imprimere una svolta decisiva allo sviluppo successivo di tutta l'industria elettrica, imponendo l'uso della corrente alternata trifase. Dalla scoperta di Ferraris si origina nel 1891 la prima linea a corrente alternata trifase, che trasmette, alla tensione di 25 kV, la potenza di 170 kW da Lauffen sul Neckar a Francoforte sul Meno, su di una distanza di 178 km.
Nel 1898 entra in servizio la linea Paderno-Milano, a corrente alternata trifase, per trasmettere 10.500 kW a 13.000 V su di una distanza di 32 km. La linea è realizzata per la prima volta con sostegni metallici di ferro invece che di legno (v. fig. 9).
Agli inizi del sec. XX la tecnica della trasmissione elettrica si può considerare ormai chiaramente delineata e affermata. L'energia elettrica viene ottenuta per conversione dell'energia idraulica o termica da alternatori trifasi. La tensione viene elevata in corrispondenza del punto di produzione, trasmessa su lunghe linee fino all'area di consumo e ivi viene ritrasformata a tensioni più basse con le quali viene distribuita, sino ad essere consegnata agli utenti a tensioni dell'ordine del centinaio di volt. Gli sviluppi successivi sono contrassegnati dalle crescenti potenze da trasmettere e dalle crescenti distanze da superare. Di pari passo con l'aumento delle potenze e delle distanze procede l'aumento delle tensioni di trasmissione, che divengono il simbolo del progresso dell'industria elettrica. Si passa così in Europa dalla tensione massima di 20 kV all'inizio del secolo, agli 80 kV alla vigilia della prima guerra mondiale, mentre negli Stati Uniti si raggiungono i 100 kV già nel 1909 con la linea Bing Bend-Oakland di 250 km in California, alla quale ben presto si aggiunge la linea di 340 km tra Great Falls e Durham nella Carolina del Nord.
Dopo la prima guerra mondiale le tensioni superiori a 100 kV si sviluppano rapidamente anche in Europa. In Italia la prima linea a 130 kV fu costruita dalla Società Interregionale Cisalpina nel 1923: essa si estendeva da Brugherio (Milano) a Reggio Emilia su di una distanza di 153 km.
Nel 1922 fu introdotta per la prima volta la tensione di 220 kV con la linea del Petit River (California) della Pacific Gas and Electric Company. In Europa il 220 kV venne introdotto nel 1929-1930 con la linea italiana dell'Isarco messa in opera dalla Società Elettrica Piemontese e con la linea germanica del Rheinisch-Westphalisches Elektrizitätswerk, che era già stata predisposta per funzionare a tensioni più elevate.
A questo sviluppo si accoppia un progresso continuo nelle conoscenze e nella tecnologia delle diverse componenti degli impianti. Basti ricordare che nel periodo dal 1880 al 1930 il peso per unità di potenza prodotta si ridusse nel rapporto di circa un quarto per le macchine in corrente continua, mentre nel periodo tra il 1890 e il 1930 il peso delle macchine trifasi in corrente alternata, partite già da una situazione più evoluta, si ridusse di circa la metà.
Nel 1936 venne messa in servizio negli Stati Uniti la linea Hoover Dam-Los Angeles alla tensione di 287 kV, che rimase la più alta tensione in uso nel mondo fino al 1952, quando entrarono in servizio le prime linee del sistema svedese a 380 kV, destinate a convogliare al sud industrializzato del paese l'energia elettrica prodotta dalle risorse idriche situate al nord. Negli anni successivi, il 380 kV si diffondeva in Russia, Germania Occidentale, Francia, Finlandia, Svizzera, Argentina e Austria. In Italia la prima linea a 380 kV, la Bovisio (Milano)-La Spezia, entrava in esercizio nel 1964 sebbene già nel 1961 la linea Mese-Bovisio fosse stata costruita per la tensione di 380 kV, ma messa in esercizio a 220 kV. Negli Stati Uniti e Canada si sviluppava invece la tensione di 345 kV, insieme ai livelli di 275÷300 kV che si sviluppavano pure in Inghilterra, Giappone e Germania Occidentale.
Negli anni successivi al 1960 si iniziava la trasformazione e l'ulteriore sviluppo del sistema russo a 400 kV in sistema a 500 kV. Il 500 kV veniva pure adottato negli Stati Uniti nel 1964 dalla Virginia Electric and Power Company, mentre nel 1965 entrava in servizio in Canada la prima linea alla tensione di 735 kV. Nel 1969 veniva messa in servizio negli Stati Uniti la prima linea del sistema a 765 kV dell'American Electric Power Company, mentre venivano avviati programmi sperimentali per la costruzione di linee a tensioni ancora maggiori. Questi sviluppi tuttavia non appartengono più alla storia ma al futuro della trasmissione dell'energia, per cui si rimanda al cap. 6.
Per quanto riguarda la corrente continua, come già ricordato, dopo i primi sviluppi iniziali, essa era stata completamente sostituita dalla corrente alternata nella funzione vera e propria della trasmissione dell'energia e il suo ruolo era stato limitato ad alcune applicazioni particolari, come ad esempio la trazione ferroviaria.
Lo sviluppo raggiunto dal raddrizzatore statico, a partire dai primi anni del 1900, aveva fatto intravedere verso il 1930 la possibilità di ottenere elevate tensioni continue, adatte per la trasmissione dell'energia su grandi distanze, particolarmente per risolvere il problema degli attraversa- menti sottomarini in cavo, non risolubile con la tecnica della corrente alternata (v. sotto, cap. 2). Si iniziava così una serie di indagini, condotte specialmente in Svezia, che doveva permettere negli anni immediatamente successivi al 1950 il collegamento dell'isola di Gotland (Svezia) al continente.
A questa prima realizzazione ne seguirono rapidamente molte altre, che sono sommariamente ricordate più avanti nella tab. V.
2. Funzionamento delle linee elettriche di tra- smissione dell'energia.
a) Equazioni energetiche della trasmissione su linea elettrica e per analogia su albero meccanico.
Si consideri il circuito elettrico della fig. 10A, che trasmette energia dai generatori G agli utilizzatori U. Esso si compone di due cavi che sono, a ogni istante, in corrispondenza con ogni sezione del circuito, a potenziale uguale e contrario rispetto alla terra e sono percorsi da correnti uguali e contrarie. Di conseguenza il flusso della potenza ha il medesimo verso in entrambi i cavi: dalla sezione corrispondente alla generazione verso la sezione corrispondente alla utilizzazione.
Se consideriamo due sezioni generiche 1 e 2 (v. fig. 10A), il bilancio energetico fra potenza entrante e potenza uscente per ciascuno dei due cavi si scrive:
ove v1 e v2 sono le tensioni nel conduttore in corrispondenza alle sezioni 1 e 2; i1 e i2 sono le correnti nel conduttore in corrispondenza alle sezioni 1 e 2; Es ed Em sono rispettivamente l'energia elettrica e l'energia magnetica immagazzinate nel cavo fra le sezioni 1 e 2; pd è la potenza dissipata nel tratto di cavo compreso fra le sezioni 1 e 2 nel conduttore e nel dielettrico.
L'equazione (1) è scritta in funzione di grandezze globali; si può anche scrivere con riferimento allo stato di sollecitazione del materiale costituente il supporto della trasmissione in ogni suo punto (v. Stratton, 1941).
Consideriamo a tal fine lo spazio occupato da uno dei due cavi costituenti la linea fra le sezioni 1 e 2: cioè il dominio di volume v racchiuso dalla superficie S che si compone della superficie interna A della guaina e delle superfici σ1 e σ2 normali all'asse del cavo, intersezioni delle sezioni 1 e 2 con il cavo stesso.
Prescindiamo per semplicità dai fenomeni di dissipazione, vale a dire consideriamo i conduttori e il dielettrico perfetti, e applichiamo il teorema di Poynting allo spazio racchiuso dalla superficie S. Si ha:
ove E⋀H = P è il vettore di Poynting nel punto considerato di S e n è il vettore unitario normale alla superficie S in quel punto.
La (2) esprime l'eguaglianza fra il flusso del vettore di Poynting attraverso la superficie S e la derivata rispetto al tempo della somma delle energie elettrostatica e magnetica contenute nel volume v.
Nelle ipotesi fatte, il campo elettrico è diverso da zero solo nel dielettrico ove è diretto radialmente e ha valore:
Il campo magnetico è nullo all'interno del conduttore di energia, mentre all'esterno di tale conduttore ha direzione tangenziale e valore:
Se ne deduce che il vettore di Poynting P = E⋀H è diverso da zero solo nel dielettrico ove è diretto parallelamente all'asse del conduttore. Di conseguenza il flusso del vettore di Poynting è nullo su tutta la superficie laterale A, così come è nullo sulle intersezioni delle sezioni 1 e 2 col conduttore di energia. Dette σ1d e σ2d le intersezioni delle sezioni 1 e 2 col dielettrico del cavo, si ha allora che:
Per cui la (2) diviene:
il primo termine della (6) equivale al primo termine della (1) e rappresenta la potenza entrante nella sezione 1, espressa come flusso del vettore di Poynting E⋀H attraverso la sezione 1; il secondo termine della (6) equivale al secondo termine della (1) e rappresenta la potenza uscente dalla sezione 2, espressa in modo analogo come flusso del vettore di Poynting E⋀H attraverso la sezione 2; il terzo termine della (6) equivale al terzo termine della (1) e rappresenta la derivata rispetto al tempo della somma delle energie elettrica e magnetica immagazzinate fra le sezioni 1 e 2.
Se consideriamo una trasmissione in corrente continua, cioè con grandezze E ed H costanti nel tempo, la derivata rispetto al tempo della somma delle energie elettrica e magnetica immagazzinate nel dielettrico è nulla e di conseguenza l'equazione (2) esprime il fatto che il flusso del vettore di Poynting nella sezione di ingresso è uguale al flusso del vettore di Poynting nella sezione di uscita. Naturalmente ciò vale a meno dei termini dissipativi che si sono supposti nulli.
Il vettore di Poynting rappresenta in ogni punto della sezione considerata la densità dell'energia trasmessa; ove il vettore di Poynting è nullo non vi è trasmissione di energia.
Dalla (6) si deduce che la trasmissione dell'energia non avviene nel conduttore, ma nel dielettrico. Se consideriamo, all'interno del dominio, la superficie laterale Ac del conduttore, è immediato verificare che il flusso del vettore di Poynting attraverso di essa è nullo. Non vi è quindi nessuno scambio di energia fra conduttore e dielettrico nell'ipotesi ammessa di conducibilità infinita del conduttore. Il dielettrico quindi non solo è sede dell'energia immagazzinata espressa dal terzo termine della (1) e della (6), ma è anche il mezzo attraverso il quale avviene la trasmissione dell'energia lungo la linea. Questo resta vero anche nel caso reale di conduttore con conducibilità finita. In via approssimata si può infatti ancora ritenere che il campo elettrico e magnetico nel dielettrico siano dati dalle (3) e (4). In tal caso però la corrente si distribuisce su tutta la sezione del conduttore, in modo uniforme in corrente continua, disuniforme in corrente alternata (effetto pelle). Di conseguenza si ha un campo elettrico E all'interno del conduttore, diretto assialmente e pari a:
E = ρG, (7)
ove ρ è la resistività elettrica e G la densità di corrente nel punto considerato.
Il campo magnetico H all'interno del conduttore ha direzione tangenziale e intensità pari a:
ove r è la distanza dall'asse del conduttore e i è la corrente che fluisce entro la sezione circolare di raggio r.
Il vettore di Poynting all'interno del conduttore è quindi diretto normalmente all'asse del conduttore dall'esterno verso l'interno. Esso rappresenta quindi un flusso di energia dal dielettrico verso il conduttore. Il flusso del vettore di Poynting sulla superficie laterale Ac del conduttore vale in questo caso:
ove Ge, densità di corrente sulla superficie esterna del conduttore, vale:
essendo χ un fattore maggiore di 1 che tiene conto della disuniformità di distribuzione prodotta dall'effetto pelle. Introducendo la (10) nella (9) si ha:
ove R è la resistenza elettrica del tratto di conduttore fra le sezioni 1 e 2. Si deduce che il flusso del vettore di Poynting attraverso la superficie laterale del conduttore non è più nullo, ma è pari alla potenza dissipata nel conduttore stesso. Di conseguenza, con conduttori reali, valgono le considerazioni fatte nel caso ideale, con la variante però che si ha un flusso di potenza dal dielettrico verso il conduttore, flusso volto a far fronte alle perdite nel conduttore. Questa energia elettrica viene trasformata in energia termica nel conduttore e quindi irradiata in forma termica nello spazio circostante. In tal caso alla (6) va aggiunto il termine
che corrisponde al quarto termine (pd) della (1), limitatamente alle perdite di energia nel conduttore.
È evidente che, per concentrare sul cavo in esame la massima potenza possibile, è necessario rendere il più grande possibile il vettore di Poynting e quindi ciascuno dei suoi due fattori E ed H.
In pratica l'aumento di E trova un limite nelle caratteristiche del dielettrico, mentre l'aumento di H trova un limite solo nel fatto che esso è legato a G, il quale, a sua volta, è causa delle perdite, come risulta dalla (9).
Poiché sia E che H, all'aumentare della distanza dall'asse del conduttore, variano in modo inversamente proporzionale a tale distanza, il vettore di Poynting varia in modo inversamente proporzionale al quadrato della distanza. Il valore massimo della densità di potenza trasmessa si verifica quindi alla superficie del conduttore e si riduce poi, con legge di proporzionalità inversa al quadrato della distanza, all'aumentare della distanza stessa. Quando si consideri la linea funzionante in corrente alternata, si possono considerare i valori simbolici delle grandezze vettoriali, E, H e P, in modo analogo a quanto si fa con le grandezze scalari, tensione, corrente e potenza. Così come la potenza apparente è la grandezza globale che rappresenta l'impegno della linea rispetto alla sua potenzialità, il valore apparente del vettore di Poynting (espresso quindi in kVA/mm2) è la grandezza che si deve adottare per esprimere l'impegno del dielettrico in ogni suo punto nei riguardi della trasmissione dell'energia.
Per aumentare la potenzialità di trasmissione delle linee elettriche, nel rispetto dei valori massimi di E e di G, occorre: a) aumentare le dimensioni della linea e quindi il valore della tensione di esercizio; b) aumentare la sezione del conduttore e quindi il valore della corrente.
In pratica, nell'evoluzione degli impianti di trasmissione si sono seguite contemporaneamente entrambe queste vie, il che ha portato a successivi incrementi delle tensioni e delle correnti di esercizio.
Si noti che aumentare le dimensioni della linea non significa solo aumentare le distanze di isolamento, ma significa anche aumentare il diametro esterno del conduttore (o il numero dei conduttori per fase nelle linee aeree). Nella fig. 11 si riportano due cavi aventi lo stesso spessore di isolante e conduttori di ugual sezione ma diverso diametro. A pari corrente e a pari sollecitazione massima nel dielettrico il cavo con conduttore di diametro maggiore ha potenzialità maggiore e tensione di esercizio maggiore.
Si presenta evidentemente un'altra possibilità che è legata all'aumento dei valori limite di E e di G. L'aumento del valore limite del campo elettrico è stato costantemente e tenacemente perseguito nella tecnologia dei cavi (v. sotto, capp. 4 e 6).
Più di recente l'attenzione degli studiosi si è portata anche sulle possibilità di aumentare il valore limite di G. Se si vuole aumentare il valore limite di G, senza che ciò comporti un aumento eccessivo nella potenza perduta, occorre al medesimo tempo aumentare la conducibilità γ = ρ-1 del conduttore (v. la 9). Questo è possibile adottando temperature molto basse, prossime allo zero assoluto. Queste possibilità vengono brevemente descritte nel cap. 6.
Occorre peraltro notare che il campo magnetico H è legato non solo alla corrente di conduzione, ma anche alla derivata rispetto al tempo del vettore spostamento elettrico, la quale, a frequenze elevate, può assumere un valore notevole.
Si apre così un'altra serie di possibilità nel campo delle frequenze molto elevate (guide d'onda), possibilità che solo ora cominciano a essere esplorate; anche ad esse si accenna brevemente nel cap. 6.
Può essere interessante confrontare l'equazione energetica della trasmissione dell'energia elettrica a mezzo di linea con l'equazione energetica della trasmissione dell'energia meccanica a mezzo di albero rotante (v. fig. 10C).
In questo caso i fattori della potenza sono la coppia M e la velocità angolare ω dell'albero. Fra le sezioni 1 e 2 dell'albero si può porre, in analogia con la (1), l'equazione seguente:
ove M1 e M2 sono le coppie in corrispondenza alle sezioni 1 e 2; ω1 e ω2 sono le velocità angolari in corrispondenza alle sezioni 1 e 2; Ee ed Ec sono rispettivamente l'energia elastica e cinetica immagazzinate nella porzione di albero compreso fra le sezioni 1 e 2; pd è la potenza dissipata nel tratto di albero compreso fra le sezioni 1 e 2 per effetto di attriti sui cuscinetti di sostegno e per fenomeni interni legati alla flessione rotante dell'albero.
Ancora in analogia con quanto fatto a proposito della linea elettrica, si può scrivere, trascurando la dissipazione, l'equazione (13) in funzione di grandezze locali invece che globali, e si ha:
ove τ è la sollecitazione tangenziale nel punto considerato; u è la velocità lineare nel punto considerato; μ è la massa specifica nel punto considerato; il primo termine della (14) equivale al primo termine della (13) e rappresenta il flusso di potenza entrante nella sezione 1; il secondo termine della (14) equivale al secondo termine della (13) ed esprime il flusso di potenza uscente dalla sezione 2; il terzo termine della (14) equivale al terzo termine della (13) e rappresenta la derivata rispetto al tempo della somma delle energie elastiche e cinetiche immagazzinate nella porzione di albero compresa fra le sezioni 1 e 2.
L'equazione (14), valida per la trasmissione dell'energia meccanica, è l'analoga dell'equazione di Poynting, valida per la trasmissione dell'energia elettrica. In questo caso il supporto della trasmissione è l'albero e le caratteristiche del materiale del quale è costituito pongono un limite alla potenzialità della trasmissione. In particolare, il valore massimo della sollecitazione tangenziale è limitato dalla resistenza meccanica del materiale, mentre il valore massimo della velocità è limitato sia dai fenomeni di dissipazione, sia dalle forze centrifughe.
b) Potenzialità della trasmissione con grandezze continue e con grandezze alternate.
Un'idea delle potenzialità di trasmissione realizzabili sia con linea elettrica sia con albero meccanico si può avere dalle tabb. Il e III, che si riferiscono rispettivamente a grandezze continue e a grandezze alternate.
In entrambe le tabelle si prende in considerazione una linea in cavo e una linea aerea per la trasmissione di energia elettrica, un albero di acciaio per la trasmissione di energia meccanica. Naturalmente le linee in corrente continua si compongono di due poli, mentre quelle in corrente alternata ne comprendono tre, tuttavia i dati nelle tabb. II e III sono sempre riferiti a un polo e sono quindi direttamente comparabili.
Le caratteristiche del cavo sono quelle riportate nella fig. 10A. Le linee aeree hanno per conduttore di energia lo stesso conduttore di energia del cavo e le caratteristiche riportate nella fig. 10B. L'albero di acciaio, infine, ha la stessa sezione trasversale del dielettrico del cavo (v. fig. 10C), in quanto, come già visto, il dielettrico è il supporto della trasmissione dell'energia elettrica.
Le grandezze alternate si considerano alla frequenza di 50 Hz. Si deve subito rilevare che una trasmissione meccanica alternata, cioè con albero rotante di un certo angolo in un verso e poi del medesimo angolo in verso opposto, in particolare alla frequenza di 50 Hz, è un assurdo dal punto di vista pratico. Essa, tuttavia, è stata considerata per completare l'analogia col caso elettrico iniziata al paragrafo precedente.
Nella prima colonna delle tabb. II e III sono riportati i valori massimi ammessi del campo elettrico E per la trasmissione elettrica e della sollecitazione tangenziale τ per la trasmissione meccanica. Questi valori sono in genere minori per la trasmissione con grandezze alternate, anche se riportate a valori di picco, per i fenomeni di isteresi elettrica nelle linee in cavo e di fatica nell'albero.
Nella seconda colonna delle tabb. II e III sono assegnati i valori massimi ammissibili della densità di corrente e della velocità, rispettivamente per la trasmissione elettrica e per la trasmissione meccanica.
Dai valori limite suddetti si deducono i valori di tensione e di corrente nel caso elettrico, di coppia e di velocità angolare nel caso meccanico e i valori delle potenzialità dei diversi mezzi, dai quali subito risulta la superiorità della trasmissione elettrica rispetto a quella meccanica.
È interessante anche il confronto delle densità di potenza trasmessa, che viene effettuato sia con riferimento ai valori massimi, sia con riferimento ai valori medi sulla sezione utile (dielettrico nel cavo, acciaio nell'albero), sia con riferimento alla sezione totale e cioè allo spazio effettivamente impegnato dal mezzo di trasmissione.
L'andamento della densità di potenza trasmessa è riportato nella fig. 10 per ciascuno dei mezzi considerati.
È interessante osservare come tale andamento sia inverso per l'albero rispetto alle linee, in conseguenza del fatto che, nell'albero, sollecitazione tangenziale e velocità lineare aumentano dal centro verso la periferia, mentre nelle linee elettriche il campo elettrico e il campo magnetico si riducono procedendo dalle parti del dielettrico più vicine al conduttore a quelle più lontane.
Per quanto riguarda le linee aeree il campo elettrico e magnetico si estendono all'infinito, tuttavia la riduzione della densità di potenza, a partire dalla superficie esterna del conduttore, è tale che il flusso di potenza entro un raggio di 1 m dall'asse del conduttore è pari a circa il 70% del totale. Per quanto riguarda le linee aeree il confronto più significativo riguarda il rapporto fra potenzialità di trasmissione e larghezza della striscia asservita. Tale rapporto fornisce infatti l'indicazione della potenza trasmissibile per unità di larghezza della striscia asservita (v. fig. 29).
Con grandezze continue le energie immagazzinate nel supporto della trasmissione influenzano solo i transitori fra due diverse situazioni di regime; con grandezze alternate invece esse influenzano anche la condizione di regime. Le derivate rispetto al tempo di queste energie, che come risulta dalla (1) e dalla (6) influenzano i flussi di potenza trasmessa, vengono caratterizzate con le loro ampiezze, denominate potenze reattive.
Nella tab. III si esprimono le diverse potenze reattive. È importante osservare che le potenze reattive, sia in valore assoluto che, ancor più, con riferimento all'unità di potenza trasmessa, risultano essere molto maggiori nella trasmissione per via meccanica che nella trasmissione per via elettrica. Nella trasmissione per via meccanica basta un albero della lunghezza di pochi metri, perché le potenze reattive risultino circa uguali alla potenza trasmessa. Si osservi anche che la potenza reattiva messa in gioco dal campo elettrico è circa 100 volte maggiore per il cavo che per la linea aerea: ciò è dovuto al fatto che il campo elettrico, alla superficie del conduttore, è molto maggiore per la linea in cavo e si riduce meno rapidamente all'aumentare della distanza. La potenza reattiva messa in gioco da un campo magnetico è invece minore nel caso del cavo che nel caso della linea aerea, perché il campo magnetico alla superficie del conduttore non è molto diverso, mentre la regione di spazio interessata è minore per la linea in cavo.
Quanto sopra è valido quando si consideri la condizione di funzionamento al limite della potenzialità di trasmissione. È interessante osservare anche che cosa accade quando si considerino condizioni di funzionamento caratterizzate da una potenza trasmessa minore, almeno per quanto riguarda la trasmissione elettrica, che è di gran lunga la più importante (v. Faletti, 1963-19674).
Dell'energia immagazzinata nel supporto della trasmissione, l'energia elettrica varia col quadrato della tensione, l'energia magnetica col quadrato della corrente.
Anche se energia elettrica ed energia magnetica sono distribuite con continuità lungo tutta la linea, per ottenere un'immagine intuitiva del funzionamento possiamo pensare la linea suddivisa in tanti tratti di uguale lunghezza; ciascuno di questi potrà essere simulato con un condensatore, posto in derivazione fra conduttore e terreno, nel quale si concentra tutta l'energia elettrica, e con un induttore, inserito in serie al conduttore, nel quale si concentra tutta l'energia magnetica, distribuite sul tratto di linea corrispondente. Per linee relativamente corte (fino a 150 km nel caso di linee aeree) si può assumere come circuito equivalente della linea una sola cella, usualmente nella forma detta a π della fig. 12A. Per linee più lunghe occorre considerare più celle in cascata come nella fig. 12B.
Pensiamo di alimentare a un estremo, in corrente alternata, questa catena di celle e di applicare all'altro estremo un carico puramente attivo. La potenza reattiva assorbita dagli induttori è evidentemente funzione della corrente da cui sono percorsi e aumenta infatti con legge quadratica col valore della corrente. La potenza reattiva assorbita dai condensatori dipende invece dalla tensione e quindi, in un funzionamento accettabile, si può ritenere quasi costante.
Vi è evidentemente un particolare valore della corrente che percorre l'induttore, per cui l'energia immagazzinata nell'induttore è la stessa richiesta dal condensatore; 1/2 LI2 = 1/2 CV2. Questo fatto si verifica quando la tensione sta con la corrente nel rapporto √-L-/-C-. Al parametro √-L-/-C-. si dà il nome di impedenza caratteristica Zc.
Supponiamo che la linea sia chiusa alla sua estremità di arrivo, sulla sua impedenza caratteristica, in modo tale che la potenza prelevata all'arrivo sia pari a P = VI = V2/Zc, valore che viene detto appunto potenza caratteristica. Se si considera l'ultima cella, poiché la corrente è, in tali condizioni, in fase con la tensione, la caduta di tensione ai capi dell'induttore è sfasata di 90° in ritardo rispetto alla tensione ai capi del condensatore, il che significa che l'energia reattiva immagazzinata nel condensatore è massima quando è nulla quella immagazzinata nell'induttore e viceversa. Tutto avviene, quindi, a regime, come se la stessa aliquota di energia seguitasse a oscillare, nell'ambito della cella, fra condensatore e induttore, senza richiedere contributi dall'esterno (ciò nel caso ideale di perdite nulle; in pratica sarà richiesto un piccolo contributo per far fronte alle perdite). Quanto detto per l'ultima cella può ripetersi identicamente anche per tutte le precedenti, per cui la potenza che si fornisce all'ingresso della catena di celle è la stessa potenza attiva che viene prelevata all'uscita, cioè è la potenza caratteristica.
Per quanto già detto, in queste condizioni, nè la corrente nè la potenza transitante variano fra ingresso e uscita di ogni cella, di conseguenza anche la tensione è costante su tutta la catena di celle.
Quando all'arrivo si prelevi una potenza attiva di valore minore della potenza caratteristica (in particolare quando la linea è a vuoto), la corrente che attraversa gli induttori è minore che nel caso precedente e di conseguenza l'energia in essi immagazzinata è minore di quella immagazzinata nei condensatori. Si avrà pertanto una componente capacitiva nella corrente, componente che, attraversando gli induttori, produce una sopraelevazione di tensione da ingresso a uscita della linea. Al contrario, quando all'arrivo si prelevi una potenza attiva di valore maggiore della potenza caratteristica, la corrente che attraversa gli induttori è maggiore che nel caso precedente e di conseguenza l'energia in essi immagazzinata è maggiore di quella immagazzinata nei condensatori. Si avrà pertanto una componente induttiva nella corrente, componente che, attraversando gli induttori, produce una caduta di tensione da ingresso a uscita della linea. Se ne deduce come ovvia conseguenza che, ammesso un certo scarto massimo della tensione dal suo valore nominale e quindi anche fra ingresso e uscita della linea, la potenza trasmissibile con una linea assegnata, anche quando non si pongano limiti alla sezione dei conduttori, è comunque limitata.
Da tutto quanto precede si comprende come il problema della trasmissione di energia in corrente alternata sia strettamente connesso al problema della regolazione della tensione. Ancora più evidente risulta tale connessione quando si metta in conto anche l'assorbimento di potenza reattiva all'arrivo della linea.
Si osservi che, per effetto della maggior capacità, la potenza caratteristica della linea in cavo è molte volte superiore a quella della linea aerea. Tuttavia, mentre la potenza caratteristica della linea aerea è ben centrata nel campo delle potenzialità economicamente realizzabili, per quanto riguarda le linee in cavo, invece, la potenza caratteristica, almeno per le linee AT, è di gran lunga maggiore dei valori accettabili, soprattutto in relazione alle possibilità di smaltimento del calore. In pratica quindi le linee AT in cavo vengono sempre costruite per potenzialità molte volte inferiori alla loro potenza caratteristica.
Accade quindi che, anche nel funzionamento alla massima corrente, la potenza reattiva assorbita dal campo elettrostatico superi di gran lunga quella assorbita dal campo elettromagnetico, per cui, già per linee di alcune decine di chilometri, tutta la potenzialità del cavo è impegnata dalla corrente di carica della sua capacità. Si comprende come, nei sistemi in corrente alternata, si possano realizzare per la trasmissione di potenze elevate solo connessioni in cavo molto brevi.
c) Compensazione in serie delle lunghe linee aeree.
L'insieme di celle in cascata della fig. 12B, per quanto già detto, può considerarsi rappresentativo di una lunga linea senza perdite (v. Dalla Verde, 1947).
Consideriamo il funzionamento a vuoto di tale linea, con una tensione V applicata ai morsetti di arrivo. La tensione V, applicata ai capi della capacità C dell'ultima cella, provoca la circolazione di una corrente I, sfasata di 90° in anticipo su V, e tale corrente I produce una caduta di tensione sull'induttanza L, in fase con V, per cui la tensione applicata all'ingresso dell'ultima cella risulta inferiore alla tensione V. Ripetendo lo stesso ragionamento per la penultima cella, e poi via via per quelle che la precedono, risulta chiaro che la tensione si riduce al procedere dall'arrivo verso la partenza della linea, fino a che si annulla a una certa distanza d dall'arrivo. Tale distanza è indipendente dal valore della tensione assunta all'arrivo, in quanto, se si varia in un certo rapporto K la tensione, anche le correnti, e quindi le cadute di tensione, restano variate nel medesimo rapporto K.
Si dimostra che la distanza d corrisponde a un quarto della lunghezza d'onda di propagazione della tensione e della corrente sulla linea considerata. Alla frequenza di 50 Hz, per una linea aerea senza perdite, tale distanza risulta essere di 1.500 km. Il funzionamento di una linea di tale lunghezza è chiaramente inaccettabile, basti pensare che, a vuoto, se a tensione nulla in partenza possono corrispondere valori finiti di tensione all'arrivo, a tensione finita alla partenza debbono corrispondere valori infiniti di tensione all'arrivo.
In pratica anche valori notevolmente minori della lunghezza d possono risultare pericolosi per la presenza di armoniche nella forma d'onda della tensione di alimentazione, per le quali la lunghezza critica è minore.
Nel funzionamento a carico della linea, per valori della potenza trasmessa nell'intorno della potenza caratteristica, occorre inoltre ricordare che l'angolo di sfasamento fra le due tensioni agli estremi aumenta con l'aumentare della lunghezza. Per ragioni di stabilità di funzionamento tale angolo deve risultare invece minore di un valore assegnato, e questa è un'ulteriore ragione per limitare la lunghezza di trasmissione in corrente alternata.
Per rendere meno severi i limiti alla lunghezza della linea, nel caso in cui si debba effettuare la trasmissione su grandi distanze, si usa compensare longitudinalmente la linea. Questa compensazione consiste nell'inserire in un certo numero di punti della linea, equidistanti fra loro e dagli estremi, delle batterie di condensatori, in serie ai conduttori di fase. L'effetto è lo stesso che si ottiene sulle celle della fig. 12 inserendo sui rami longitudinali una capacità C0 in serie all'induttanza L, cioè equivale a una riduzione della reattanza del ramo longitudinale, che passa dal valore ωL al valore ωL − 1/ωC0. La compensazione longitudinale è stata effettuata in molti casi su sistemi ad altissima tensione.
3. I sistemi di trasmissione dell'energia elettrica.
a) Strutture e genesi del sistema di trasmissione dell'energia elettrica a corrente alternata.
Si è osservato che i trasferimenti di energia, a mezzo di trasmissione su linee elettriche, avvengono prevalentemente in complessi sistemi funzionanti a corrente alternata che collegano pochi grandi generatori tra loro e con molti piccoli utilizzatori. Esamineremo le caratteristiche di questi sistemi e la genesi della loro struttura.
Il collegamento tra un generatore e i molti utilizzatori può, in linea teorica, essere effettuato nei due modi caratteristici illustrati nella fig. 13. L'uno prevede un collegamento in derivazione e l'altro un collegamento in serie.
Per consentire a ogni utilizzatore di modificare il suo prelievo di energia o addirittura di essere inserito o disinserito senza arrecare disturbo agli altri, è necessario che il generatore sia realizzato e regolato in modo tale che mantenga costante la tensione nel primo caso e costante la corrente nel secondo. Il sistema in derivazione a tensione costante ha preso decisamente il sopravvento sul sistema in serie per molti motivi, ma principalmente perché, nella distribuzione domestica, è in grado di alimentare molti utilizzatori mantenendo, in ogni condizione di funzionamento, la tensione a valori non pericolosi per l'uomo. Oggi restano pochi esempi di distribuzione in serie, limitati all'alimentazione delle lampade stradali.
Ci riferiremo quindi nel seguito a sistemi di trasmissione in derivazione a tensione costante; ci riferiremo inoltre a sistemi in corrente alternata trifase. Delle ragioni che fanno preferire la corrente alternata alla corrente continua già si è detto nel cap. 1. Per quanto riguarda il sistema trifase, esso è prevalso sul sistema monofase per la possibilità di generare campi magnetici rotanti e quindi per la possibilità di semplificare tutte le macchine rotanti che effettuano la conversione da energia elettrica in meccanica e viceversa e che rappresentano tutti i generatori e una gran parte degli apparati utilizzatori. Solo i rami periferici del sistema, a cui sono collegati utilizzatori di piccolissima potenza, sono spesso realizzati in monofase per ragioni di economia.
Per alimentare da un'ipotetica centrale (che abbiamo visto essere di potenza unitaria considerevole) le molte centinaia di migliaia di apparecchi utilizzatori che da essa dipendono, la forma più elementare di rete di distribuzione in derivazione è strutturata ad albero (v. tav. I, A). Tale albero ha rami di importanza decrescente, per ordini di grandezza ben definiti, rappresentati da linee esercite a una tensione proporzionata alla loro potenzialità; le ultime propaggini, a cui sono collegati la maggior parte degli utilizzatori, sono sempre esercite in bassa tensione (BT) cioè a una tensione che rende possibile l'utilizzazione domestica dell'energia elettrica senza gravose cautele.
Il numero di livelli di tensione usati, a partire dal sistema di trasmissione per raggiungere il carico, è variabile. Una distribuzione a tre livelli, come quella indicata nella tav. I, A che comprende un livello di distribuzione primaria, ad alta tensione, un livello di distribuzione secondaria, a media tensione, e un livello di distribuzione terziaria, a bassa tensione, è la più comune. Nella tab. IV sono elencate le tensioni normalizzate e i relativi campi di applicazione per le diverse funzioni secondo le norme dell'International Electrotechnical Commission.
Le potenzialità dei rami primari e secondari e le relative tensioni adottate dipendono fortemente dalla densità di carico. In Italia, dove la densità di carico su grandi aree varia da 40 a 100 kW/km2, le tensioni adottate sono il 132 o il 150 kV per la distribuzione primaria con raggio d'azione dell'ordine di qualche decina di km, il 10 o il 15 o il 20 kV per la distribuzione secondaria con raggio d'azione dell'ordine di qualche km, e il 220-130 volt o il 380-220 volt per la distribuzione BT, con raggio d'azione di qualche centinaio di metri (v. Paris e altri, 1973).
In generale la struttura ad albero, pur essendo la più semplice ed economica, non garantisce la migliore qualità del servizio, in quanto ogni nodo ha una sola via di alimentazione. Per garantire un'alimentazione di riserva ai nodi nasce la rete magliata (v. tav. I, B), soprattutto sulla rete primaria, dove la spesa per evitare disservizi è minore, relativamente all'entità dei disservizi stessi. Le reti secondaria e terziaria possono essere magliate o radiali secondo le zone che coprono. Sono in genere a struttura magliata nelle zone urbane ad alta densità di carico e a struttura radiale nelle zone rurali a bassa densità di carico. Comunque, anche quando sono a struttura magliata, salvo qualche eccezione, queste reti sono in genere esercite allo stesso modo delle reti radiali, vale a dire mantenendo aperte le maglie.
Abbiamo visto che i vincoli di ubicazione delle centrali fanno sì che la centrale di produzione molto spesso non sia baricentrica rispetto agli utilizzatori. Una rete primaria, del tipo indicato nella tav. 1, C, alimentata in un punto diverso dal baricentro dei carichi, risulta in generale non economica. È infatti molto più conveniente convogliare l'energia in prossimità del baricentro dei carichi mediante una linea di potenza maggiore (v. tav. I, D), in genere esercita a una tensione più elevata di quella di distribuzione primaria, e iniettarla quindi nella rete di distribuzione primaria.
Evidentemente il nodo di alimentazione della rete primaria necessita, per ragioni di sicurezza, di una seconda alimentazione (v. tav. I, E), che conviene provenga dalla centrale destinata ad alimentare il sistema di distribuzione adiacente. Questo apporta l'ulteriore vantaggio di una riserva comune più ridotta per i generatori dei due centri di produzione e in genere anche di un valore del picco del carico complessivo minore della somma dei picchi dei carichi, che sono in genere non contemporanei, sui due sistemi separati. A tale funzione si dà il nome di interconnessione. Il ragionamento, esteso a tutti i sistemi di distribuzione contigui, porta alla realizzazione di una rete di trasmissione magliata, che assolve contemporaneamente alle funzioni di trasmissione e interconnessione, come la rete a 220 kV e 380 kV italiana.
La struttura tipica dei sistemi elettrici di produzione, trasmissione e distribuzione dell'energia, nelle zone a densità di consumi relativamente uniformi (qual è ad esempio la rete europea o quella degli Stati Uniti), si presenta quindi come una rete magliata di grande estensione, a tensione elevata, cui è collegata la parte più consistente delle centrali di produzione e che alimenta reti ancora magliate di distribuzione primaria, di dimensioni ridotte, ai cui nodi fanno capo le reti di distribuzione secondaria e quindi la rete di distribuzione in bassa tensione.
Nella rete a tensione elevata è in genere difficile distinguere le funzioni di trasmissione da quelle di interconnessione; solo in alcuni casi particolari troviamo sistemi che hanno funzione tipica di trasmissione, in genere per convogliare in zone ad alta densità di consumi risorse energetiche disponibili in regioni a bassa densità o addirittura desertiche. Tipiche le trasmissioni dell'energia idraulica prodotta nelle zone subartiche della Svezia (v. The Swedish State Power Board, 1960) e del Canada (v. Fournier e altri, 1968; v. fig. 14) verso il più popolato Sud o i grandi progetti russi di sfruttamento delle risorse idriche della Siberia (v. Alexandrov e altri, 1968).
I sistemi di trasmissione si giustificano economicamente per lo sfruttamento di risorse idriche o di combustibili estremamente poveri, in quanto il trasporto del combustibile pregiato è nella maggior parte dei casi più conveniente del trasporto dell'energia elettrica. Le caratteristiche di un sistema di trasmissione, interconnessione e distribuzione, in aree a densità relativamente uniforme, dipendono strettamente dal valore della densità di carico stessa; in generale le geometrie delle reti sono poco diverse per densità e di conseguenza la potenza dei singoli elementi del sistema risulta proporzionale alla densità.
È interessante osservare che il parametro densità di carico regola anche l'estensione delle interconnessioni. Abbiamo visto, infatti, come l'interconnessione consenta una riduzione nelle riserve di generazione e quindi una riduzione nei costi di produzione mentre comporta un aumento nei costi di rete e in particolare in quello delle linee aeree. L'interconnessione è, dunque, conveniente fino a che il primo fattore compensa il secondo.
All'aumentare della densità di carico aumentano le potenze dei singoli elementi e di conseguenza, com'è noto, si riducono i costi specifici di installazione degli elementi per unità di potenza; i costi delle linee aeree, però, si riducono, all'aumentare delle potenze unitarie, assai più rapidamente che quelli delle centrali di produzione (v. fig. 15). Ne risulta che nei sistemi a maggiore densità di carico l'incidenza del costo del sistema di trasmissione sul costo dell'intero sistema si riduce sensibilmente.
Di conseguenza, mentre nei sistemi a bassa densità di carico gli alti costi specifici delle linee di trasmissione limitano l'estensione economica dell'interconnessione, nei sistemi ad altissima densità la convenienza dell'interconnessione permane anche quando le economie di generazione diventano modeste. Infatti, oltre un certo limite di dimensioni del sistema, i vantaggi dovuti alla diminuzione di riserva si riducono notevolmente, mentre aumentano i vantaggi inerenti allo sfasamento delle punte, che diviene più sensibile, con l'estendersi dell'interconnessione, per la diversità di fuso orario e di costumi di vita in regioni tra loro molto distanti.
Nelle zone ad alta densità le interconnessioni hanno oggi dimensioni continentali. Tipico esempio è l'interconnessione europea (v. fig. 16): più di 100.000 MW di generatori in tutta l'Europa centro-occidentale sono rigidamente interconnessi mediante una rete di trasmissione alla tensione di 380 kV, alla quale si connettono anche, sia pure elasticamente, attraverso collegamenti in corrente continua (v. sotto, È d), i sistemi inglese e scandinavo e quello della Sardegna (v. Unione per il Coordinamento della Produzione e del Trasporto di Energia Elettrica, 1971).
Raggiunta una certa densità di carico, non vi è limite economico all'interconnessione, che si arresta solo sui confini naturali dei mari o dei grandi deserti o sui confini politici dei grandi sistemi economici, come mostra chiaramente la figura.
La possibilità di trasmettere energia elettrica con relativa facilità ha fatto così sorgere un tipo di sistema materiale continuo che è certamente, per potenza, estensione e capillarità, il più importante fra quelli costruiti dall'uomo; alcune considerazioni riferentisi al sistema europeo ne danno una sensazione immediata.
Vicino a Cadice e vicino a Palermo, per esempio, vi sono masse rotanti di diverse decine di tonnellate che distano, attraverso il sistema di trasmissione, più di 4.000 km l'una dall'altra; esse fanno parte del medesimo sistema e ruotano in perfetto sincronismo con una tale uniformità che, in certi tipi di orologi elettrici, la frequenza della rete è assunta come base per la misura del tempo.
Il sistema è così ampio e capillare che ben pochi dei 270 milioni di abitanti dell'Europa centro-occidentale vivono a più di qualche metro di distanza dalle propaggini estreme del sistema stesso. Esso ha un'autonomia periferica eccezionale; ciascuno può modificare le condizioni di funzionamento del sistema, inserendo o disinserendo carichi, senza chiedere autorizzazioni di sorta.
Il sistema di produzione, trasmissione e distribuzione è assistito nel suo funzionamento da altri sistemi ausiliari che sono: a) il sistema di regolazione della frequenza e dei flussi di potenza attiva; b) il sistema di regolazione della tensione e dei flussi di potenza reattiva; c) il sistema di eliminazione dei guasti. Questi sistemi ausiliari, su cui sarebbe troppo lungo intrattenersi, sono in parte automatici e in parte affidati all'intervento umano.
Dalla maggiore o minore qualità di questi sistemi dipende l'economia della gestione del sistema (regolazione dei flussi di potenza), la qualità del servizio (regolazione della frequenza e della tensione) e la continuità del servizio stesso (eliminazione dei guasti).
b) Evoluzione dei sistemi di trasmissione dell'energia elettrica.
Per comprendere la natura dei problemi che interessano l'ingegneria dei sistemi elettrici di trasmissione è opportuno ricordare che questi sistemi evolvono nel tempo.
Si è osservato che le potenze dei singoli elementi sono proporzionali alla densità di carico, ma questa varia con una dinamica relativamente veloce, per cui i consumi si raddoppiano ogni 10 anni e anche in un minor tempo nei paesi in via di sviluppo.
Il sistema evolve in generale mantenendo la struttura pressoché inalterata e aumentando la potenzialità dei singoli elementi, ciò che avviene con difficoltà facilmente immaginabili. In genere si introduce un nuovo più elevato livello di tensione per la rete di trasmissione, mentre la vecchia rete di trasmissione assume gradualmente le funzioni di distribuzione primaria, funzioni che, a loro volta, vengono sottratte alla rete a tensione inferiore; in poche parole le diverse reti faranno una sorta di ‛carnera' alla rovescia.
Restando nella metafora della carriera, è quindi necessario aumentare il numero di livelli gerarchici o provvedere al licenziamento o, meglio, alla messa a riposo delle tensioni. A titolo di esempio si ricordi quanto è avvenuto in Italia nei recenti anni: il 132 kV prima, poi il 220 kV e oggi il 380 kV hanno assunto il ruolo di tensioni di trasmissione; le potenzialità degli elettrodotti di trasmissione si sono di conseguenza ogni volta all'incirca quadruplicate. L'intervallo di tempo corrispondente al quadruplicarsi della densità di carico è di 20 anni, per cui ci si può aspettare che le reti di trasmissione a 132 kV, 220 kV e 380 kV assumano configurazioni non molto dissimili a circa venti anni di distanza l'una dall'altra. Ciò è dimostrato dalla tav. II, dove sono riportate le strutture delle reti suddette, a 20 anni di distanza l'una dall'altra, salvo i 3 anni del periodo bellico, a partire dal 1922 e a partire dal 1928.
La maggiore evoluzione della rete a 380 kV verso il Mezzogiorno d'Italia rispetto a quella delle reti a 220 kV e a 132 kV si spiega col fatto che al sud si sono di recente verificati incrementi di consumo assai superiori che al nord. Seguendo questa semplice regola non sarebbe difficile pronosticare per il 1991 una rete a 765 kV avente uno stadio di sviluppo comparabile a quello delle reti nella tav. II.
Tutto sembra logico e semplice quando si dimentichino le reti ai livelli di tensione più bassi, destinati a essere declassati o licenziati; ciò è accaduto in Italia per il 60 kV, oggi quasi definitivamente licenziato, e sta accadendo per il 220 kV.
Queste operazioni, infatti, rappresentano sempre un lungo e tormentoso travaglio, aggravato dal fatto che, quando finalmente il traguardo è raggiunto, sopravviene la necessità di un nuovo cambiamento. Per questo motivo, seri dubbi sono stati avanzati circa l'opportunità dell'introduzione di un nuovo livello di tensione ogni 20 anni, che corrisponde a un passo nelle tensioni di 1,73-2 e che comporta una dinamica di sviluppo della rete troppo rapida.
Così attualmente molti preferirebbero che si evitasse di sovrapporre alla rete europea a 380 kV una rete a 765 kV, conservando al 380 kV le sue funzioni di trasmissione per 10-15 anni in più e adottando in seguito una tensione superiore a 1.000 kV (v. Paris e altri, 1973).
È chiaro, da quanto precede, che la rete esige una programmazione tecnico-economica a più lungo termine di quella che si richiede per il sistema di produzione. È infatti indispensabile conoscere molto presto quale dei livelli di tensione sarà destinato al ‛licenziamento' con l'avvento della nuova rete di trasmissione, per non fare investimenti a vuoto e per non rendere le operazioni di eliminazione estremamente gravose. Analogo problema non si pone per le centrali di produzione, in quanto nessuna centrale deve essere licenziata, se non per raggiunti limiti di età.
c) Il proporzionamento degli elementi del sistema.
Come già osservato, i fattori che determinano la potenza della trasmissione su linea elettrica sono la tensione e la corrente. Queste grandezze determinano il dimensionamento delle linee e in generale degli elementi del sistema e quindi il costo della trasmissione.
Consideriamo qui in breve come gli elementi del sistema debbano essere proporzionati per resistere alle sollecitazioni determinate dalla tensione e dalla corrente.
Le sollecitazioni di tensione. - La sollecitazione principale prodotta dalla tensione è quella dielettrica sull'isolamento del sistema, intendendo per isolamento tutto ciò che materialmente separa i conduttori tra loro e dall'ambiente esterno, cosicché essi possano mantenersi al potenziale voluto (v. Paris, 1970).
La tensione in un sistema a corrente alternata in derivazione è per definizione costante; anche se in realtà ciò non avviene rigorosamente, le variazioni di tensione in funzionamento normale sono assai modeste e comunque la tensione non supera mai un valore prefissato detto ‛massima tensione del sistema', valore che, agli effetti del proporzionamento degli isolamenti, si suppone a essi permanentemente applicato.
In condizioni transitorie, in conseguenza di eventi di carattere eccezionale, possono però verificarsi tensioni superiori alla massima tensione del sistema: esse si chiamano sovratensioni.
Le sovratensioni possono essere di tipo ‛atmosferico', quando sono determinate, principalmente sulle linee aeree, dagli effetti diretti o indiretti dei fulmini tra le nubi e il terreno (v. ENEL, RAI, STET, 1972), o di tipo ‛interno' quando sono determinate come conseguenze di manovre o guasti nel sistema (v. AIEE Committee Report, 1961, 1966 e 1970).
Le sovratensioni di tutti i tipi possono essere controllate, nel senso che se ne può limitare l'ampiezza all'origine, mediante opportuni dispositivi (funi di guardia e impianti di terra per le sovratensioni atmosferiche, interruttori muniti di resistenza d'inserzione per le sovratensioni di manovra, ecc.) e se ne può ridurre l'ampiezza in prossimità dell'isolamento da proteggere mediante dispositivi di sfioro (scaricatori, spinterometri, ecc.).
Nei sistemi a bassa e media tensione, per ragioni economiche, le sovratensioni non sono molto controllate e quindi sono spesso determinanti nel progetto dell'isolamento. Viceversa, nei sistemi ad alta tensione, l'onere derivante dall'installazione di dispositivi di controllo delle sovratensioni è trascurabile rispetto ai vantaggi economici derivanti dalle corrispondenti riduzioni di isolamento e quindi risulta in genere conveniente ridurre le sovratensioni finché, nel progetto dell'isolamento, divenga determinante la tensione di servizio (v. Paris, 1970).
È interessante considerare quali siano le conseguenze di questa filosofia per l'isolamento dei grandi elettrodotti.
Le distanze di isolamento vengono determinate dalla tenuta alla tensione di esercizio in ambiente inquinato (v. Sforzini, 1972) secondo la curva della fig. 17A, che esprime una legge quasi di proporzionalità fra tenuta e distanza. Poiché invece la tenuta dell'aria alle sovratensioni di manovra aumenta molto meno che proporzionalmente all'aumentare della distanza di isolamento (v. Paris e Cortina, 1968), il rapporto fra tenuta alle sovratensioni di manovra e tensione massima di esercizio si riduce all'aumentare della tensione di esercizio (v. fig. 17B) e si richiedono quindi mezzi sempre più sofisticati per il controllo delle sovratensioni. Ad esempio per il 132 kV le distanze in aria previste possono tenere sovratensioni di 4÷5 volte la tensione di esercizio, mentre per il 765 kV la tenuta è circa 2 volte la tensione di esercizio. Per quanto riguarda poi le sovratensioni atmosferiche, la tenuta delle linee aumenta linearmente con le dimensioni e quindi con la tensione d'esercizio.
Anche tenendo conto che il numero di fulminazioni che colpiscono la linea e l'entità delle sovratensioni da esse prodotte tendono ad aumentare, il beneficio che si consegue riguardo all'affidabilità è rilevante (v. fig. 17C).
Le sollecitazioni dovute alla corrente. - Nel sistema in derivazione la corrente negli elementi del sistema si può ritenere proporzionale alla potenza. Per ogni elemento esiste una potenza massima trasmissibile in servizio normale, cui corrisponde la massima corrente di servizio normale.
In condizioni particolari questo valore di corrente può essere però superato e si verificano così delle ‛sovracorrenti' che, in relazione alla loro origine, si definiscono di ‛sovraccarico' o di ‛corto circuito'. Le correnti di sovraccarico si verificano in genere quando, a causa di guasti ed eventualmente a seguito di manovre effettuate per rialimentare i carichi, la configurazione della rete risulta alterata rispetto a quella di esercizio normale. Le correnti di corto circuito si verificano quando, per effetto di una rottura dell'isolamento, conduttori a diverso potenziale vengono collegati tra loro o con l'ambiente circostante da una impedenza molto ridotta. Poiché il sistema è predisposto per mantenere la tensione costante, queste correnti risultano molto elevate.
Accade spesso, specialmente per le linee in cavo, che il dimensionamento dei conduttori sia dettato dall'esigenza di rendere sopportabili, anche per alcune ore, le sollecitazioni termiche derivanti dai sovraccarichi, sullo stesso conduttore e sul materiale isolante circostante. Non è invece economicamente conveniente aumentare le dimensioni dei conduttori per renderli atti a sopportare le correnti di corto circuito, le quali pertanto devono essere opportunamente contenute in ampiezza, ma soprattutto in durata (v. fig. 18A).
La filosofia è simile a quella considerata a proposito del proporzionamento dell'isolamento; la sollecitazione che determina l'impianto deve essere quella di servizio, mentre le sollecitazioni estreme devono essere controllate affinché non divengano determinanti. Fanno eccezione alcuni elementi di modesta importanza, particolarmente nei sistemi MT e BT, e tutti quei componenti che sono sensibili alle azioni elettrodinamiche, trascurabili in condizioni di funzionamento normale (v. fig. 18B).
La durata delle correnti di corto circuito viene limitata mediante un sistema di dispositivi automatici (sistema di protezione) che ha la funzione di togliere dal servizio l'elemento guasto nel più breve tempo possibile, cercando anche di ridurre al minimo il numero di utenti disalimentati, e che pertanto deve essere il più tempestivo e selettivo possibile (v. Warrington, 1962).
La tempestività del sistema di protezione non è solo necessaria per ridurre gli effetti distruttivi delle correnti di corto circuito sugli elementi del sistema, ma anche per evitare il permanere di una situazione di funzionamento anormale, che potrebbe portare alla perdita del sincronismo delle diverse macchine sincrone (in particolare generatori) e quindi a una disfunzione totale o parziale del sistema.
A questo proposito, sia il progettista che l'esercente dovranno assicurarsi che il rischio di un tale fenomeno (usualmente noto come instabilità dinamica del sistema) sia estremamente ridotto, utilizzando le moderne tecniche di calcolo, che consentono di simulare il funzionamento del sistema e verificare la stabilità in condizioni estreme (v. Wilson, 1964).
Anche la selettività della protezione è a questi effetti molto importante, perché, limitando il numero degli elementi messi fuori servizio, assicura un migliore collegamento tra le macchine sincrone e quindi un minor rischio di instabilità.
d) Le applicazioni della trasmissione in corrente continua.
Come già osservato, la trasmissione in corrente continua è stata soppiantata da quella in corrente alternata, in quanto non consente, come quest'ultima, la realizzazione di sistemi complessi, specialmente per l'impossibilità di effettuare in modo altrettanto semplice ed economico la trasformazione e l'interruzione dei flussi di potenza. Vi sono tuttavia alcuni campi di impiego nei quali la trasmissione in corrente continua presenta indubbio interesse o risulta addirittura indispensabile (v. sotto, cap. 5; v. Taschini, 1968). Essi sono: a) trasmissione tramite cavo sottomarino su distanze maggiori di 50 km; in questo caso le necessità di compensazione dell'energia reattiva prodotta dal cavo (v. sopra, cap. 2) sono tali da rendere la trasmissione in corrente alternata praticamente impossibile; b) trasmissione tramite linea aerea su grandi distanze.
A questi, che sono i campi tradizionali di impiego della trasmissione in corrente continua, taluni vorrebbero oggi aggiungere gli impieghi seguenti: c) la realizzazione di interconnessione asincrona fra i grandi sistemi funzionanti in corrente alternata. L'interconnessione in corrente continua consente lo scambio di potenza senza imporre il sincronismo ai gruppi appartenenti ai sistemi collegati che, al limite, possono funzionare anche a frequenza diversa. Il vantaggio di una tale interconnessione, che viene denominata ‛elastica', in contrapposizione alla interconnessione in corrente alternata che viene detta ‛rigida', è che una perturbazione transitoria che si origini in un sistema non si propaga agli altri sistemi interconnessi. Un altro vantaggio è quello di contenere entro limiti più ridotti il livello delle correnti di corto circuito; d) l'alimentazione di grandi aree urbane, all'interno delle quali l'energia potrebbe essere più facilmente trasferita via cavo in corrente continua e ivi riconvertita e quindi distribuita in corrente alternata, così come è stato fatto nel collegamento Kingsnorth-Londra. I principali collegamenti in corrente continua oggi esistenti, insieme alla funzione prevalente che essi assolvono, sono riportati nella tab. V.
4. Caratteristiche delle linee di trasmissione aeree e in cavo.
a) Struttura tipica delle linee aeree.
In una linea aerea i conduttori di energia sono privi di ricopertura isolante e sono mantenuti sollevati dal suolo da sostegni tramite elementi isolanti detti isolatori. Spesso le linee aeree sono munite di conduttori di terra che, posti al di sopra dei conduttori di energia, hanno, come funzione prevalente, quella di schermarli dal fulmine e vengono pertanto denominati conduttori di guardia. Tutte le linee aeree hanno questa struttura tipica, anche se le caratteristiche dei singoli elementi variano notevolmente al variare della tensione di esercizio, come illustrato nella tav. III.
Si analizzano brevemente nel paragrafo seguente le caratteristiche degli elementi costituenti le linee aeree in funzione della tensione.
b) Caratteristiche dei conduttori per linee aeree.
I materiali di comune impiego per i conduttori nudi sono il rame, l'alluminio e le leghe di alluminio (v. Pramaggiore, 1956). Nello sviluppo della trasmissione dell'energia elettrica, il rame, che ha la conducibilità più elevata, è stato il primo a essere impiegato, ma l'alluminio, inizialmente introdotto sulle linee AT per la necessità di realizzare conduttori di maggior diametro al fine di ridurre l'effetto corona, è oggi preferito in moltissimi paesi anche per le linee MT e BT in ragione del minor costo e anche del minor peso specifico. Solo le sezioni più piccole, fino a 16 mm2, vengono realizzate con un unico filo, mentre le sezioni maggiori, al fine di ottenere una sufficiente flessibilità, vengono realizzate con fili cordati (v. fig. 19A). Poiché la resistenza meccanica del conduttore di alluminio è relativamente bassa, si usa, soprattutto nel campo delle linee AT, rinforzare questi conduttori con anima di acciaio (v. fig. 19A). Si usano anche in alternativa conduttori in lega di alluminio.
La resistenza elettrica produce una dissipazione di energia e di conseguenza un aumento della temperatura del conduttore che, oltre certi limiti, può danneggiare il materiale costituente il conduttore stesso. In pratica si possono ammettere temperature massime dell'ordine dei 100 °C, le quali peraltro corrispondono a densità di corrente molto variabili in relazione al diametro del conduttore e soprattutto alle condizioni atmosferiche. Come ordine di grandezza si può ritenere che 2 A/mm2 costituiscano la densità limite nell'alluminio, 4 A/mm2 la densità limite nel rame. Peraltro tale limite può avere rilievo solo in condizioni di emergenza, in quanto i valori di densità di corrente economicamente ammissibili in funzionamento normale sono in genere assai minori dei precedenti (v. sotto, cap. 5).
In corrente alternata, per effetto del campo elettromagnetico all'interno del conduttore, la corrente tende ad addensarsi alla superficie dello stesso (effetto pelle). Tale effetto aumenta le perdite nel conduttore e quindi la resistenza in corrente alternata rispetto a quella in corrente continua (v. Paris e Sforzini, 1964). Esso ha maggiore importanza per il rame che per l'alluminio. Con conduttori di alluminio-acciaio l'aumento di resistenza è di circa il 5% con un diametro di 30 mm.
Un'altra causa di perdite è data dall'effetto corona (ibid.). Il campo elettrico alla superficie del conduttore produce la ionizzazione dell'aria contigua. Le particelle ionizzate si muovono sotto l'influenza del campo elettrico dissipando energia sotto forma luminosa, elettromagnetica, termica e acustica e producendo di conseguenza un disturbo alla ricezione radio (v. Paris e Sforzini, 1968) e un disturbo udibile nell'intorno della linea (v. Coquard e Gary, 1972).
Per limitare perdite e disturbi occorre limitare il campo elettrico alla superficie del conduttore, il che è stato ottenuto nelle prime linee oltre i 100 kV impiegando conduttori di alluminio invece che di rame e successivamente nelle linee oltre 300 kV adottando fasci di più conduttori per fase invece che un solo conduttore. La configurazione di questi fasci è mantenuta da appositi elementi distanziatori dislocati lungo la campata a 60÷80 m l'uno dall'altro (v. fig. 19C). In qualche caso, per ridurre il numero dei conduttori per fase si ricorre a conduttori di grande diametro (50 mm÷60 mm) i quali, per mantenere la sezione in limiti economicamente accettabili e per contenere le perdite addizionali dovute all'effetto pelle, sono allora realizzati cavi (v. fig. 19B).
I conduttori di una linea aerea sono evidentemente soggetti a carichi meccanici, quali l'azione permanente del tiro nel conduttore e l'azione accidentale del vento e del ghiaccio, in alcuni casi anche concomitanti. Naturalmente l'azione del vento e del ghiaccio, così come le variazioni di temperatura, influenzano a loro volta anche il tiro nel conduttore. Si è soliti assumere, come valore di riferimento, il tiro nel conduttore in assenza di azioni accidentali e a temperatura uguale al valore medio nell'ambiente attraversato dalla linea, solitamente 15 °C nelle regioni temperate.
In sede di progetto, il tiro nella condizione di riferimento viene scelto in modo tale da evitare lo stabilirsi di vibrazioni eoliche pericolose per il conduttore, da consentire con temperatura massima un'altezza sufficiente del conduttore sul terreno e sulle altre opere attraversate, e da consentire al tempo stesso un margine sufficiente rispetto al tiro di rottura con temperatura minima e nelle condizioni più gravose prevedibili per i sovraccarichi di vento e di ghiaccio (v. List e Pochop, 1963).
Le vibrazioni di frequenza maggiore di 5 Hz, eccitate da venti deboli (vibrazioni eoliche), cui si è accennato, possono essere facilmente controllate in linee a conduttore singolo, a meno di non adottare valori di tiro eccessivi, impiegando smorzatori di vibrazioni (v. fig. 19D), che vengono applicati al conduttore nelle zone più pericolose, in prossimità dei punti di sospensione (v. Claren e Diana, 1968). Il problema diventa di più difficile soluzione nelle linee con conduttori a fascio per la tendenza di ogni subcampata, compresa fra due distanziatori consecutivi, a vibrare indipendentemente dalle altre. Per questo motivo si utilizzano distanziatori flessibili dotati di proprietà smorzanti. Oscillazioni di frequenza minore di 5 Hz e di ampiezza notevole (galoppo), eccitate da venti di velocità più elevata, possono instaurarsi sia in linee con conduttore singolo, per formazioni di ghiaccio aerodinamicamente instabili (v. Winants e Riez, 1970), sia in linee con conduttori a fascio per effetto della scia prodotta da un conduttore sull'altro (v. Claren e altri, 1974); questi fenomeni sono assai più difficilmente controllabili.
c) Isolatori e isolamento.
L'isolamento dei conduttori di una linea aerea è costituito dagli isolatori veri e propri e dagli spazi d'aria interposti tra conduttori e altre parti dei sostegni e dell'ambiente esterno.
Gli isolatori per linee aeree (v. Pramaggiore, 1956), ormai tradizionali, sono fondamentalmente di due tipi: l'isolatore rigido a perno (v. fig. 20, A e B) e l'isolatore sospeso a cappa e perno (v. fig. 20C). In ambedue i tipi la struttura dell'isolatore nasce dalla necessità di far lavorare prevalentemente a compressione il materiale isolante (porcellana, vetro ricotto o temperato).
Il progresso tecnologico nella realizzazione di porcellana a elevata resistenza meccanica ha poi fatto sì che venissero introdotti isolatori a bastone sospesi (v. fig. 20D), nei quali la porcellana è soggetta a sforzo di trazione (ibid.).
Lo stesso risultato si ottiene con isolatori in plastica che presentano inoltre il vantaggio di una maggior leggerezza e di dimensioni più ridotte (v. fig. 20E).
L'isolatore rigido a perno è utilizzato nelle linee BT e MT (v. fig. 21, A e B) con dimensioni e forme diverse; per le linee a tensione superiore, anziché aumentare progressivamente la dimensione dell'isolatore rigido (come fu fatto nelle prime linee fino a 70 kV), si preferisce passare al cosiddetto armamento in sospensione, con isolatori connessi a catena nel numero necessario a realizzare l'isolamento voluto (v. fig. 20F).
L'armamento in sospensione lascia il punto di sospensione del conduttore libero di muoversi su di una porzione della superficie sferica avente per centro il punto di attacco della catena al sostegno e per raggio la catena di isolatori. La mobilità del punto di sospensione, nel piano parallelo alla direzione della linea, è un vantaggio poiché, se anche causa un qualche incremento di freccia del conduttore e richiede quindi un modesto aumento dell'altezza del sostegno, riduce però gli squilibri di tiro che possono manifestarsi sul sostegno stesso per effetto di diverse situazioni di carico sulle due campate adiacenti (v. Comellini e Paris, 1966).
La mobilità del punto di sospensione, nel piano perpendicolare alla direzione della linea, è invece uno svantaggio, in quanto il conduttore, sotto l'azione del vento, può avvicinarsi al sostegno, il che richiede un aumento dello sbraccio della mensola e in molti casi anche dell'interasse fra i conduttori e quindi dello spazio occupato dalla linea. Nel campo delle altissime tensioni si evita questo inconveniente utilizzando due equipaggi di sospensione disposti a V (v. fig. 200), con che si fissa sul piano trasversale il punto di sospensione del conduttore, pur lasciandolo libero di muoversi nel piano longitudinale.
Recentemente, per alleggerire la struttura metallica di sostegno si è fatto ricorso a mensole isolanti (v. fig. 20H) costituite da un elemento isolante teso e da un elemento isolante compresso (ibid.). Anche in questo caso la posizione del punto di sospensione è fissata nel piano trasversale.
In tutti i casi in cui il punto di sospensione è libero di muoversi sul piano trasversale, le distanze conduttore-sostegno sono determinate in modo da assicurare la tenuta alle previste sovratensioni massime con conduttore spostato da un vento moderato, e la tenuta alla tensione di esercizio con conduttore spostato da un vento eccezionale trascurando la probabilità di concomitanze tra sovratensioni massime e venti eccezionali (v. Paris, 1970).
In relazione al loro comportamento nei riguardi delle scariche superficiali gli isolatori si distinguono in ‛normali' e ‛antisale'; questi ultimi sono particolarmente concepiti per le zone aventi atmosfera inquinata da nebbia salma (vicinanza al mare) o da fumi industriali. La lunghezza della catena di isolatori, o la dimensione dell'isolatore rigido, viene in genere stabilita in base alla tensione di esercizio in modo che, con isolatori normali, si possa realizza- re la tenuta in ambiente leggermente inquinato e con isolatori antisale in zone pesantemente inquinate.
d) Sostegni.
I sostegni di linea aerea sono tradizionalmente realizzati secondo due tipiche soluzioni strutturali (v. Bianchi di Castelbianco, 1960): il sostegno a parete piena detto anche ‛palo' (v. fig. 21B) e il sostegno a struttura reticolare detto anche ‛traliccio' (v. fig. 21C). Più di recente è stato introdotto il sostegno strallato costituito da pochi elementi rigidi incernierati fra loro, tenuti in posto da funi tese (v. fig. 21, I). Un'ulteriore evoluzione del sostegno strallato è costituita dal sostegno autostrallato che è tenuto da apposite funi solo nel piano trasversale mentre nel piano longitudinale resta libero di ruotare ed è tenuto dai conduttori di energia e dalle funi di guardia (v. fig. 21, L e N; v. Comellini e Paris, 1966).
I pali sono usati per le basse (v. fig. 21A) e medie (v. fig. 21B) tensioni, sono costruiti in legno, in cemento armato (centrifugato o precompresso) o in tubo di acciaio. I pali sono anche usati per le alte tensioni, sia nella versione a portale, spesso realizzata in legno, sia, più di recente, nella versione a stelo unico in tubo di acciaio (v. fig. 21M) che, anche se largamente più costosa del traliccio, viene tuttavia considerata di più gradevole aspetto e perciò di miglior inserimento nell'ambiente naturale.
I tralicci sono realizzati con aste in profilato angolare a lati uguali, collegate tra loro mediante bulloni; la costruzione è particolarmente economica e si è largamente affermata su strutture di altro tipo, come la struttura reticolare con aste tubolari che risulta notevolmente più costosa. Recentemente sono stati introdotti profili diversi che consentono la realizzazione di pali e di tralicci a sezione triangolare che generalmente hanno un aspetto più gradevole (v. fig. 21 H).
La forma dei sostegni è dettata dalla disposizione dei conduttori; le disposizioni più classiche per linee a semplice terna sono quelle a triangolo (v. fig. 21C) e in piano (v. fig. 21G). La disposizione in piano è la più affidabile nelle zone soggette a formazioni di ghiaccio sui conduttori, che, per disuniforme distribuzione o per fenomeni di galoppo, possono determinare contatti tra conduttori sovrapposti. Nella disposizione in piano sono state adottate diverse soluzioni strutturali; le più comuni sono quelle dette a delta (v. fig. 21G), a portale rigido e a portale strallato (v. fig. 21L). La disposizione classica per le linee a doppia tema è quella a conduttori sovrapposti (v. fig. 21 E), anche se non mancano esempi più rari di disposizione a ombrello (v. fig. 21F).
L'altezza media dei sostegni dipende dal livello di isolamento e dalla freccia del conduttore. Quest'ultima dipende a sua volta dalla lunghezza di campata e dal tiro e quindi dalla resistenza meccanica del conduttore.
La lunghezza di campata è il risultato di un'ottimizzazione economica e cresce in genere col crescere della tensione di esercizio da circa 50÷70 m per le linee BT a 70÷150 m per le linee MT e a 300÷500 m per le linee AT. Le altezze dei sostegni variano da 9 a 14 m per le linee BT e MT e da 20 m a 40 m per le linee AT a semplice terna in piano passando da 130 kV a 765 kV.
e) Le linee aeree e l'ambiente.
Nei paesi a elevata densità di consumo di energia, come l'Italia settentrionale, la superficie del suolo asservita per il passaggio delle linee aeree è dell'ordine dell'l%. È una cifra che da sola dà un'idea dei problemi ambientali posti dalle linee aeree. Si deve osservare però che la linea aerea è costruita in modo tale da non interferire con le attività umane, se non per quanto riguarda lo spazio occupato dai sostegni e i limiti di altezza imposti alla fabbricabilità, diversamente da autostrade e ferrovie che costituiscono vere e proprie barriere. Per contro, proprio per la loro altezza, le linee aeree sono visibili a distanza notevole e si inseriscono così nel paesaggio in modo piuttosto evidente. È questa indubbiamente la forma di interferenza più grave della linea aerea con l'ambiente, a cui si può porre solo in parte rimedio, migliorando l'estetica dei sostegni, riducendo lo spazio occupato e, nei limiti del possibile, l'altezza (v. Paris e altri, 1974).
Al secondo posto in ordine di importanza possiamo porre poi il fatto che la linea aerea impone il taglio delle piante nei boschi (a meno di non aumentarne ulteriormente l'altezza), creando una turbativa all'ambiente naturale, che può peraltro essere limitata quando si taglino solo le piante che possono costituire un effettivo rischio per l'esercizio della linea e si eviti il taglio secondo striscie di larghezza costante.
Vengono poi gli effetti legati ai fenomeni corona: i radiodisturbi e il rumore percettibili all'udito nelle zone circostanti. Questi fenomeni sono stati studiati a lungo e si è oggi in condizione di mantenerli entro limiti di tollerabilità, almeno fino alla tensione di 765 kV, cioè in tutto il campo delle tensioni fino a oggi in uso.
f) Struttura tipica dei cavi.
In una linea elettrica in cavo i conduttori di energia sono uniformemente isolati su tutta la loro lunghezza da un apposito materiale isolante e racchiusi entro un'unica guaina, così che si ha un solo cavo per tutta la linea (cavi multipolari), o ciascuno entro una guaina distinta, così che si hanno tanti cavi quanti sono i conduttori di energia (cavi unipolari).
Gli elementi costitutivi di un cavo (v. fig. 22, A e B) sono i seguenti (v. Rose, 1970; v. Morello e Palmieri, 1966).
1. I conduttori di energia: possono essere di rame o di alluminio (il sodio è stato sinora utilizzato solo a titolo sperimentale), in un unico filo solo per le sezioni piu piccole, ma generalmente in corda costituita da più fili su diversi strati. Nei cavi tripolari o tetrapolari per BT e anchè nei cavi tripolari per MT, fino a tensioni di 15 kV, i conduttori, per guadagnare spazio, possono essere realizzati in forma settoriale (v. fig. 22C). A tensioni superiori, invece, viene usata solo la forma rotonda (v. fig. 22A) per evitare i valori di campo elettrico particolarmente intensi, in corrispondenza dei punti a raggio di curvatura ridotto, che si hanno con la forma settoriale.
Il conduttore di neutro dei cavi sia trifase che monofase può essere cordato insieme ai conduttori di fase, oppure sagomato come un tubo racchiudente al suo interno i conduttori o il conduttore di fase (cavo concentrico). Quando il conduttore di neutro è di tipo concentrico ed è realizzato in alluminio, esso può svolgere insieme le funzioni di conduttore, di guaina e di rivestimento protettivo del cavo. Si ottiene una soluzione particolarmente compatta ed economica.
2. L'isolante: riveste direttamente ciascun conduttore e, nei cavi tripolari per sistemi con neutro isolato, nei quali in qualche particolare situazione si può avere una tensione omopolare importante verso terra, può essere disposto, oltre che direttamente sui conduttori, anche sul complesso dei tre conduttori isolati cordati fra loro (cavi con cintura).
3. I riempitivi: sono utilizzati nei cavi multipolari per riempire gli spazi vuoti fra gli isolanti dei diversi conduttori. I riempitivi possono essere costituiti da materiali fibrosi come cotone, raion, iuta, vetro, oppure da materiali elastici o plastici quali mescole di gomma vulcanizzata oppure no.
4. Gli schermi: sono realizzati con nastri semiconduttori o con carta metallizzata e possono essere applicati su ogni conduttore allo scopo di rendere il campo elettrico radiale.
5. Una o più guaine: possono essere isolanti o conduttrici e sono disposte al di sopra dell'isolante e degli schermi, in modo da racchiudere tutti i conduttori del cavo, ad eccezione che nei cavi del tipo detto a tre piombi, nei quali si ha una guaina per ogni conduttore. I cavi isolati in carta impregnata debbono avere sempre una guaina metallica: essa può essere in piombo o in alluminio. In generale tali guaine metalliche sono protette da una guaina esterna isolante. La guaina non metallica può essere realizzata in gomma o in materiale termoplastico e può anche penetrare all'interno del cavo (guaine penetranti) sostituendo i riempitivi.
6. Un'armatura metallica: può essere realizzata da uno strato di fili o piattine, da nastri metallici o da una treccia di acciaio. Nei cavi con guaina d'alluminio la funzione protettiva svolta dall'armatura metallica può essere assunta dalla guaina di alluminio.
L'elemento più importante e che maggiormente distingue i vari tipi di cavo è certamente l'isolante, per cui i diversi tipi di cavo sono qui descritti con riferimento all'isolante. I campi di impiego dei diversi tipi di cavo al variare della tensione di esercizio sono sommariamente descritti nella tav. IV
g) Il cavo in carta impregnata.
Il cavo in carta impregnata (v. fig. 22C) è stato il primo in ordine storico a essere utilizzato e rappresenta tuttora una delle soluzioni più valide e impiegate dalla BT fino a tensioni dell'ordine dei 60 kV in corrente alternata, dell'ordine dei 200 kV in corrente continua.
L'isolante è costituito da nastri di carta di pura cellulosa, avvolti a elica sul conduttore, successivamente essiccati e poi impregnati con miscela di olii minerali ai quali viene aggiunta una certa quantità di colofonia.
Un cavo in carta può essere a campo elettrico radiale o a campo elettrico non radiale. Sono a campo elettrico radiale quei cavi nei quali le linee di forza del campo elettrico sono dovunque praticamente ortogonali alla stratificazione dell'isolante: sono tali i cavi unipolari, i cavi multipolari formati da cavi unipolari cordati fra loro (cavi a tre piombi) e i cavi multipolari schermati. Sono a campo elettrico non radiale quei cavi nei quali le linee di forza hanno anche delle componenti tangenziali alla stratificazione dell'isolante: sono tali i cavi multipolari con cintura.
I cavi per tensioni superiori a 15 kV sono in genere a campo radiale.
h) il cavo in carta impregnata a olio fluido.
È merito dell'ing. L. Emanueli (v., 1928) aver riconosciuto fin dal 1911 che il limite ai valori di tensione, per i quali si può utilizzare il cavo in carta impregnata, è costituito dal fenomeno della ionizzazione delle occlusioni gassose e avere indicato e percorso quella che resta una delle vie maestre per la realizzazione di cavi a tensioni superiori: l'eliminazione di tali occlusioni col riempimento in olio.
Nel cavo in olio fluido (v. fig. 22, A e D) occlusioni gassose non possono sussistere, in quanto l'olio, in virtù della sua fluidità e di opportune canalizzazioni longitudinali all'interno del cavo, penetra ovunque nello spazio occupato dall'isolante e i movimenti dell'olio, in conseguenza dei diversi regimi termici che si instaurano nel cavo, sono permessi da serbatoi di compensazione opportunamente disposti lungo il percorso del cavo.
I cavi a olio fluido di tipo classico sono costruiti nel tipo a bassa pressione (2,5 atmosfere) e nel tipo ad alta pressione (14 atmosfere).
In corrente alternata questi cavi vengono oggi costruiti per gradienti massimi di esercizio di 18 kV/mm nella versione ad alta pressione, di 14÷16 kV/mm nella versione a bassa pressione (valori efficaci). In corrente continua gli stessi cavi possono sopportare gradienti massimi di esercizio di 35÷40 kV/mm, trasportando correnti sensibilmente maggiori che nel caso della corrente alternata, per cui si può mediamente ritenere che, a pari dimensioni, una coppia di cavi in corrente continua sia in grado di trasportare una potenza doppia di una terna di cavi in corrente alternata. Negli Stati Uniti si utilizza anche il cavo ‛oliostatic', costituito da tre conduttori di energia isolati e fasciati con nastri plastici alternati a nastri metallici schermanti, infilati entro una tubazione di acciaio che viene successivamente riempita di olio sotto pressione, di solito a 14÷15 atmosfere (v. fig. 22D). Questo cavo è simile al cavo a olio fluido, perché l'olio penetra col tempo nell'isolante sciogliendo le bollicine di gas presenti, però l'impregnamento iniziale non è così perfetto come nei cavi di tipo classico e per di più il cavo viene infilato nella tubazione in presenza di aria e umidità, per cui i gradienti massimi di esercizio debbono essere più ridotti.
i) Il cavo in carta impregnata a pressione di gas.
Gli inconvenienti inerenti alle occlusioni gassose si possono eliminare anche aumentando la tensione di scarica di tali occlusioni, riempiendole con gas ad alta pressione (v. fig. 22B). È questa la tecnica adottata nei cavi a pressione di gas. Il gas impiegato è in generale l'azoto che viene compresso a 14÷15 atmosfere.
l) Cavi con isolamento in elastomeri.
L'isolante di questi cavi è ottenuto mediante un opportuno trattamento termico (vulcanizzazione o reticolazione) a partire da mescole di diverse sostanze fra le quali il caucciù naturale oppure un materiale sintetico avente proprietà similari (v. fig. 22E).
I cavi isolati con elastomeri hanno un impiego diffusissimo nel campo delle basse tensioni. Essi sono però costruiti e impiegati anche per medie tensioni, fino a tensioni dell'ordine dei 60 kV. In quest'ultimo caso assume particolare importanza il fatto che l'isolante abbia basse perdite dielettriche e un'elevata resistenza all'ozono che si sviluppa per ionizzazione delle occlusioni gassose contenute nel cavo. Alcuni elastomeri sintetici, quali la gomma butilica e più recentemente le gomme etilenpropileniche, presentano sotto questo aspetto caratteristiche particolarmente favorevoli.
m) Cavi con isolamento in materiale termoplastico.
Sono cavi aventi l'isolamento in materiali a base di cloruro di polivinile o PVC. Il campo di applicazione di questi cavi è circa lo stesso dei cavi isolati in elastomeri.
Per BT si impiegano mescole poco costose che ne rendono assai attraente l'impiego sotto l'aspetto economico, per MT si impiegano mescole che forniscono isolanti a basse perdite dielettriche e particolarmente resistenti all'ozono.
All'abbassarsi della temperatura, questi materiali tendono a divenire fragili, per cui è sconsigliabile effettuare la posa del cavo a temperature inferiori a O °C, a meno che il cavo non sia preventivamente riscaldato e venga quindi posato in opera quando la sua temperatura è ancora abbastanza elevata.
n) Cenni alla struttura dei nodi delle reti elettriche.
Dopo aver considerato le linee, che costituiscono gli elementi essenziali per la trasmissione dell'energia elettrica, esamineremo qui brevemente la costituzione dei nodi, che sono pure un elemento importante del sistema elettrico (v. sopra, cap. 3; v. tav. I).
Si chiamano stazioni elettriche tutti i nodi della rete di trasmissione, in particolare quelli dai quali è alimentata la rete di distribuzione primaria.
Si chiamano cabine primarie i nodi della rete di distribuzione primaria dai quali è alimentata la rete di distribuzione MT.
Si chiamano cabine secondarie i nodi della rete MT dai quali è alimentata la rete di distribuzione BT.
Le linee e i trasformatori si collegano alle sbarre delle stazioni con apparati di manovra i cui costituenti fondamentali sono l'interruttore e il sezionatore. La funzione essenziale dell'interruttore è quella di interrompere il flusso di corrente, sul ramo sul quale è inserito, non solo in esercizio normale, ma anche in caso di guasto. La funzione del sezionatore è invece quella di variare lo stato di connessione della rete, di norma a vuoto, anche se si usano in qualche caso ‛sezionatori sotto carico' in grado di aprire le correnti di esercizio.
Il sezionatore è un organo di costo molto minore e di affidabilità molto maggiore dell'interruttore. Questo spiega l'uso combinato di interruttori e sezionatori in corrispondenza dei punti di connessione dei rami della rete ai nodi. Agli effetti di tali connessioni, i nodi della rete si materializzano in sistemi di sbarre, uno a ogni livello di tensione presente nel nodo. In relazione al modo in cui si realizza la connessione delle linee e dei trasformatori ai sistemi di sbarre, questi si distinguono in (v. Davenport e altri, 1969): a) sistemi a semplice sbarra (v. flg. 23A); b) sistemi a doppia sbarra (v. fig. 23B); c) sistemi a semplice sbarra con sbarra di traslazione (v. fig. 23C); d) sistemi a doppia sbarra con sbarra di traslazione (v. fig. 23D).
Il sistema a doppia sbarra consente, agli effetti dell'esercizio, di spezzare il nodo in due distinti che possono funzionare a valori di tensione diversi, nell'ambito degli scostamenti tollerati dal valore nominale (servizi separati).
Il sistema a semplice sbarra con sbarra di traslazione consente, nel caso di disservizio a un interruttore, di funzionare ugualmente col ramo (linea o trasformatore) facente capo a tale interruttore, connesso al nodo per il tramite della sbarra di traslazione e dell'interruttore di parallelo sbarre. Questo non è evidentemente possibile con il sistema a doppia sbarra, da cui il sistema a doppia sbarra con sbarra di traslazione.
L'adozione dei sistemi a doppia sbarra e a doppia sbarra con traslazione è in genere limitata alle stazioni, mentre nelle cabine primarie e secondarie si utilizza il sistema a semplice sbarra e, al più nelle cabine primarie, il sistema a semplice sbarra con sbarra di traslazione.
Il sistema di sbarre è spesso suddiviso, anche nelle cabine primarie e secondarie, in più sistemi collegabili fra loro ma funzionanti in genere indipendentemente. Si ottengono così servizi separati, senza però la possibilità di trasferire linee o trasformatori dall'uno all'altro servizio. Ai sistemi suddetti, che sono quelli tradizionalmente usati in Italia, sono poi da aggiungere quelli della fig. 24, in uso in altri paesi.
Dal punto di vista del materiale utilizzato, le stazioni e le cabine possono poi essere realizzate con isolamento in aria ambiente (v. fig. 25) o con isolamento protetto, oggi prevalentemente in esafluoruro di zolfo (v. fig. 26); queste ultime sono soprattutto utilizzate per installazioni in grandi centri urbani, ove è imperativa la riduzione al minimo degli ingombri, spesso in stazioni o cabine sotterranee.
5. Problemi economici inerenti alla trasmissione dell'energia elettrica.
a) Costi delle linee elettriche aeree e in cavo in funzione dei parametri fondamentali.
Nei capitoli precedenti si è osservato come la grandezza caratteristica di una qualsiasi trasmissione di energia sia la potenza alla quale la trasmissione si effettua e come tale potenza sia sempre esprimibile come prodotto di due grandezze che, nel caso della trasmissione per via elettrica, sono la tensione e la corrente. I valori massimi di tensione e corrente determinano quindi la potenzialità dell'elettrodotto. Essi ne determinano anche il costo in quanto alla tensione di esercizio è legato l'isolamento della linea, mentre alla corrente è legata la sezione del conduttore. Salvo alcune eccezioni, fra fasi diverse di una stessa linea è in genere interposto un elemento a terra (v. sopra, cap. 4), per cui si può ritenere che l'isolamento fase-terra sia quello che pone la condizione più severa su tutto l'isolamento di linea e quindi sia in definitiva il parametro che lo individua. L'isolamento fase-terra si può esprimere con lo spessore e il tipo di isolante in una linea in cavo, con la distanza conduttore sostegno in una linea aerea.
Il costo C di una linea di trasmissione, sia aerea che in cavo, è quindi direttamente funzione di due parametri geometrici: un parametro lineare d che rappresenta lo spessore dell'isolante per le linee in cavo e la distanza conduttore sostegno per le linee aeree, un parametro superficiale S che rappresenta la sezione del conduttore per fase in entrambi i casi:
C = C (d, S). (15)
Naturalmente la forma della funzione che lega il costo ai due parametri suddetti dipende dal tipo di linea in esame. Così, nel caso delle linee in cavo, si avranno funzioni diverse per i diversi tipi di cavo in carta impregnata, in olio fluido, in gomma, ecc., nel caso delle linee aeree per i diversi tipi di linea a semplice o a doppia terna, con armamento di sospensione classico o realizzato con catene a V, con pali rigidi o strallati, ecc.
b) Ottimizzazione dei parametri.
La relazione fra il parametro geometrico d e il parametro elettrico V è il primo risultato di un'ottimizzazione economica. Di tale ottimizzazione già si è detto al cap. 4.
In pratica la relazione fra V e d, nell'ambito di un determinato sistema elettrico, come ad esempio il sistema italiano, viene fissata una volta per tutte all'atto del progetto di ogni nuovo livello di tensione. Per questa ragione la funzione costo viene spesso assegnata nella forma
C = C (V, S) (16)
anziché nella forma C = C (d, S).
Una volta assegnata la funzione (16), il problema di ottimizzazione economica, nel suo aspetto più generale, consiste nel determinare, per una linea di potenzialità P, i valori di tensione V e di sezione S per cui è minimo il valore attuale della somma dei costi di installazione e dei costi di esercizio.
I costi di installazione sono dati dalla (16), mentre i costi di esercizio sono sostanzialmente assegnati dai costi delle perdite.
Le perdite sono somma delle perdite prodotte dalla tensione (perdite dielettriche nelle linee in cavo e corona nelle linee aeree), che possono ritenersi costanti nel tempo, e delle perdite prodotte dalla corrente (perdite Joule nel conduttore), che sono proporzionali al quadrato della corrente.
Nel valutare le perdite prodotte dalla corrente si deve perciò tener conto della variabilità della corrente nel tempo. Nel caso più semplice, in cui la linea trasmette l'energia prodotta da un centro di produzione o assorbita da un centro di consumo che non si sviluppano nel tempo, la variabilità della corrente è di tipo periodico, con la periodicità di un anno. Si determina allora, per ogni anno, il valore delle perdite di potenza ΔP, in corrispondenza al valore massimo annuo della corrente, e il valore delle perdite di energia ΔE, come integrale delle perdite di potenza in tutti gli istanti dell'anno. Si può, in prima approssimazione, ritenere che le perdite di potenza, in corrispondenza al valore massimo della corrente, siano causa di un sovradimensionamento di tutta la catena di impianti che stanno a monte della linea considerata e ne assicurano l'alimentazione. A queste perdite viene di conseguenza assegnato il costo unitario cp, il quale a sua volta è commisurato al valore di tali impianti.
Si può anche ritenere che le perdite di energia determinino un maggior onere in combustibile bruciato nelle centrali termiche: ad esse viene quindi assegnato un costo unitario ce, pari al costo del combustibile necessario per produrre l'unità di energia.
In definitiva quindi il costo delle perdite è dato da un'espressione binomia del tipo:
cp ΔP+ce ΔE. (17)
Si determina il valore attuale dei costi delle perdite, riferito all'anno di costruzione della linea, sulla base del tasso di interesse sul capitale per tutti gli anni di vita della linea e si somma il valore così ottenuto al costo di impianto della linea, ottenendo il valore attuale della somma dei costi di impianto e delle perdite (v. Paris e Sforzini, 1964).
Per valutare qualitativamente l'influenza dei diversi fattori sulla determinazione dell'ottimo, nel diagramma della fig. 27 sono riportati, sia per linee aeree che per linee in cavo, i costi di trasmissione, per unità di potenza trasmessa, in funzione della potenza da trasmettere, per alcuni valori della tensione di esercizio, in tutto il campo dalla BT all'AT e per alcuni valori della sezione dei conduttori, a partire dalla sezione minima compatibile con l'effetto corona. Per ogni coppia di valori di tensione e di sezione si ha un certo costo di installazione della linea, che, diviso per il valore della potenza P, fornisce un costo unitario di installazione, che si riduce all'aumentare di P. Al contrario, le perdite dovute alla corrente aumentano con legge quadratica all'aumentare di P, per cui il costo unitario delle perdite aumenta all'aumentare di P. Dalla fig. 27 risulta che le curve del costo unitario delle linee aeree presentano un minimo in corrispondenza a un determinato valore di potenza, dopo di che risalgono fino a raggiungere il valore al limite termico per potenze anche del 100% superiori a quelle corrispondenti al minimo economico, mentre le curve di costo delle linee in cavo, almeno nel campo della media e alta tensione, sono interrotte dal limite termico molto prima di aver raggiunto il minimo economico. Ne segue che sono le situazioni di servizio normale, per le quali ha rilievo il funzionamento economico, quelle che in genere determinano il dimensionamento delle linee aeree, mentre sono le situazioni di emergenza, per le quali ha rilievo il limite termico, quelle che in genere determinano il dimensionamento delle linee in cavo.
Si può rilevare ancora dal diagramma della fig. 27 come per le linee aeree le curve di costo relative a una data tensione di esercizio tendano a spostarsi, all'aumentare della sezione del conduttore, verso valori di potenza maggiori e verso costi minori. Ciò vale anche per le curve di costo delle linee in cavo solo entro un certo limite, oltre il quale i costi aumentano, rendendo più conveniente dividere la potenza su due cavi distinti di sezione più piccola, piuttosto che concentrarla su di un unico cavo di grande sezione.
Sul diagramma della fig. 27, la curva inviluppo della famiglia di curve a sezione costante, relative al valore di tensione considerato, fornisce, per ogni potenza da trasmettere, il costo minimo con sezione ottima, che è il valore di sezione relativo alla curva a sezione costante tangente alla curva inviluppo nel punto considerato. Si noti che il punto di tangenza è superiore al minimo per cui, una volta costruita la linea, il costo di trasmissione si riduce ulteriormente, nel caso la potenza da trasmettere aumenti. Per quanto riguarda le linee in cavo, però, la curva degli ottimi coincide quasi sempre con la curva al limite termico.
Le curve di costo unitario con sezione ottima, relative ai diversi valori di tensione, si dispongono, sul diagramma della fig. 27, in modo tale da determinare, con le loro intersezioni, i campi di potenza relativi all'impiego più economico di ogni livello di tensione.
È bene però tener presente che le curve della fig. 27 comprendono solo i costi delle linee di trasmissione, mentre, per formulare conclusioni circa i livelli ottimi di tensione, occorre tener conto anche dei costi della trasformazione e delle apparecchiature terminali, costi che tendono a spostare il campo di economico impiego dei diversi livelli di tensione verso valori più elevati della potenza. Si può comunque rilevare come le curve dei costi unitari delle linee decrescano all'aumentare della potenza e della tensione. Si noti anche come, a pari potenza da trasmettere, il costo della trasmissione in cavo sia di 2÷3 volte superiore al costo della trasmissione aerea nel campo BT e MT, e di 10÷12 volte superiore al costo della trasmissione aerea nel campo AT. Questo fatto, insieme al limite tecnico imposto alla circolazione della potenza reattiva, ha in pratica limitato l'adozione del cavo interrato alle aree urbane.
Si osservi peraltro come, nel diagramma della fig. 27, si sia considerato l'impiego di cavi a olio fluido a partire dalla tensione di 60 kV. Questo spiega la discontinuità nelle curve di costo della fig. 27 nel passaggio dalla tensione di 20 kV alla tensione di 60 kV, discontinuità dovuta soprattutto agli oneri di messa in opera, che risultano maggiori per i cavi a olio fluido. L'uso di cavi con isolamento solido, che va ora estendendosi anche alle tensioni di 60 e 130 kV, potrebbe rendere più continuo il passaggio dal 20 kV al 60 kV e al 130 kV e spostare verso le tensioni più elevate tale discontinuità.
c) Ottimizzazione del sistema di trasmissione in corrente alternata.
Si è già osservato come, nel funzionamento in corrente alternata, l'intera rete di trasmissione debba considerarsi come un unico sistema. Di più, si è anche ricordato (v. sopra, cap. 3) come l'interconnessione serva a ridurre le necessità di riserva di generazione e a migliorare la forma del diagramma di carico. Se ne conclude che non ha senso ottimizzare i parametri di una linea di trasmissione considerata a sé stante, ma che l'aggiunta di ogni linea deve essere studiata nei suoi riflessi sull'intero sistema di produzione, trasmissione e carico, tenendo conto dei costi di installazione, delle perdite e dell'affidabilità.
La ricerca della soluzione ottima presuppone l'esistenza di una scala di valutazione con la quale confrontare fra loro le diverse possibili soluzioni. Poiché sia gli oneri di installazione che quelli derivanti dalle perdite si traducono in termini economici, si è cercato di tradurre in termini economici anche l'affidabilità, assegnando un costo al disservizio. A tale scopo sono state sviluppate metodologie che consentono di calcolare indici di rischio di non far fronte al carico da parte dell'intero sistema di produzione e trasmissione e che consentono altresì di associare un valore economico a tali indici di rischio (v. Noferi e Paris, 1971).
Il costo complessivo del sistema di produzione e trasmissione risulta allora la somma del costo di installazione dei singoli elementi, del costo delle perdite di potenza e di energia e del costo del rischio.
Le decisioni ottime per il potenziamento dell'intero sistema di produzione e trasmissione sono dunque quelle che rendono minimo il costo complessivo del sistema.
La ricerca di queste soluzioni ottime è per altro un esercizio in pratica molto complesso per il grandissimo numero di parametri che chiama in gioco, tanto più che non si tratta in genere di costruire ex novo un sistema, per un' assegnata condizione di funzionamento, ma di sviluppare un sistema esistente per carichi che si incrementano via via nel tempo e nel quale la decisione presa a un dato istante ha dei riflessi importanti anche sull'evoluzione futura del sistema.
Proprio per questa ragione gli studi debbono essere spinti molto avanti nel futuro, ben oltre il periodo che direttamente coinvolge le decisioni da prendere, il che, d'altra parte, pone difficili problemi di previsione sullo sviluppo dei carichi e sull'evoluzione tecnologica.
d) Confronto economico fra trasmissione in corrente continua e trasmissione in corrente alternata.
In prima approssimazione si può ritenere che il livello di isolamento di una linea aerea in corrente continua sia il medesimo della linea in corrente alternata che ha un valore di picco della tensione di esercizio fase-terra Ep uguale al valore della tensione di esercizio della linea in corrente continua Ec:
Ep = Ec, (18)
da cui si ha che, a pari livello di isolamento, il valore efficace della tensione di esercizio fase-terra della linea in corrente alternata Ec si può ritenere legato alla tensione in corrente continua dalla relazione seguente:
A pari sezione dei conduttori, la potenza dissipata per fase per effetto Joule e, di conseguenza, il riscaldamento dei conduttori sono evidentemente gli stessi, quando il valore efficace della corrente di fase in corrente alternata Ie è uguale al valore della corrente continua Ic:
Ie = Ic. (20)
A pari livello di isolamento e a pari sezione dei conduttori di fase, la potenza trasmessa dalla linea trifase in corrente alternata è data da:
la potenza trasmessa dalla linea in corrente continua avente una fase a tensione +Ec e l'altra a tensione − Ec è data da:
2EcIc (22)
e quindi, a pari livello di isolamento e a pari sezione dei conduttori di fase, la potenza trasmissibile dalla linea in corrente alternata è pari a 1,05 volte la potenza corrispondente in corrente continua.
Peraltro la linea trifase in corrente alternata ha tre fasi, mentre la linea in corrente continua ne ha due. Si può quindi ritenere che il costo dei conduttori della linea in corrente alternata sia 1,5 volte quello della linea in corrente continua e, tenuto conto che il livello di isolamento è lo stesso, il rapporto 1,5 si può ritenere valido anche per gli isolatori e, in prima approssimazione, anche per i sostegni.
A pari valore della sezione di fase e a pari valore efficace della corrente, anche le perdite Joule sulla linea in corrente alternata sono 1,5 volte le perdite Joule sulla linea in corrente continua.
In definitiva si può quindi ritenere che, a pari sezione di fase e a pari livello di isolamento, la somma dei costi di impianto e delle perdite per la linea in corrente alternata sia 1,5 volte quella della linea in corrente continua, mentre la potenza trasmessa dalla linea in corrente alternata è solo 1,05 volte quella trasmessa dalla linea in corrente continua. Il costo della trasmissione in corrente alternata per unità di potenza trasmessa, quando venga messa in conto solo la linea, è quindi pari a 1,43 volte il costo della trasmissione in corrente continua ossia, inversamente, il costo della trasmissione in corrente continua è pari al 70% del costo della trasmissione in corrente alternata.
Per rendere il confronto equo, però, al costo della trasmissione in corrente continua si deve aggiungere anche il costo dei terminali di conversione continua-alternata.
Poiché quest'ultimo costo è ovviamente indipendente dalla lunghezza della linea di trasmissione, esso incide tanto più quanto minore è la lunghezza. Si può quindi affermare in generale che la trasmissione in corrente continua diviene economicamente conveniente solo per lunghezze di linea superiori a un determinato valore, detto lunghezza critica, valore che varia in funzione delle potenze da trasmettere (v. Casson, 1968).
La letteratura riporta diverse stime della lunghezza critica ed esse sono piuttosto variabili dall'uno all'altro autore. Per le linee aeree e per potenze da trasmettere dell'ordine di 800 MW la lunghezza critica si può ritenere dell'ordine di 1.000 km.
Su tali lunghezze, d'altro lato, divengono rilevanti anche gli oneri per la compensazione serie delle linee in corrente alternata (v. sopra, cap. 2), che quindi debbono essere messi in conto nel confronto economico.
C'è però un altro elemento di notevole importanza nel definire la lunghezza critica: esso è l'affidabilità delle apparecchiature di conversione. Tale affidabilità non è oggi elevata e tende quindi ad aumentare in modo notevole l'indisponibilità della connessione.
Il problema si pone in termini assai più favorevoli alla corrente continua quando si debba eseguire la linea in cavo.
Per quanto riguarda il cavo, a parità di ogni altra condizione, la linea in corrente continua trasmette una potenzà circa doppia della linea in corrente alternata (v. sopra, cap. 4) ed è composta da due conduttori invece di tre e quindi il suo costo unitario di trasmissione è pari a circa un terzo del costo unitario di trasmissione in corrente alternata, quando si prescinda dal costo delle apparecchiature di estremità.
Se si tiene conto del fatto che il costo della linea in cavo si può ritenere approssimativamente 10 volte superiore al costo della linea aerea, è chiaro anche come il costo della linea pesi molto di più, rispetto al costo delle apparecchiature terminali, per linee in cavo che non per linee aeree.
Di conseguenza la lunghezza critica per linee in cavo è dell'ordine di 50 km soltanto. Per lunghezze maggiori poi si dovrebbe tener conto anche, nel costo della trasmissione in corrente alternata, del costo della compensazione della potenza reattiva prodotta dal cavo e, d'altra parte, l'inserzione di stazioni di compensazione della potenza reattiva può in certi casi risultare impossibile, come ad esempio nel caso di cavi sottomarini.
e) Confronto tra i costi di trasmissione dell'energia elettrica e quelli di trasporto dei combustibili.
Come già detto nel cap. 1, la trasmissione di energia elettrica può essere utilizzata in alternativa al trasporto dell'energia contenuta in forma potenziale nei combustibili.
Almeno in linea di principio si può porre quindi l'alternativa se sia più conveniente costruire una centrale termica in corrispondenza del baricentro dei carichi oppure a bocca di pozzo o a bocca di miniera o in prossimità del punto di sbarco del combustibile (v. Falono, 1960).
Nel primo caso l'energia viene trasportata col combustibile, sotto forma potenziale, fino al baricentro dei carichi e viene ivi trasformata in energia elettrica, nel secondo caso l'energia potenziale contenuta nei combustibili viene trasformata in energia elettrica direttamente nel punto di reperimento del combustibile e viene poi trasmessa sotto tale forma al baricentro dei carichi.
A titolo indicativo si riporta nella fig. 28 un confronto di costi fra la trasmissione elettrica e il trasporto della nafta tramite oleodotto e del gas tramite metanodotto. Il confronto è effettuato per una distanza di 150 km, a parità di potenza elettrica prodotta, assumendo un rendimento della conversione termoelettrica pari a 0,39 e supponendo un'utilizzazione annua della potenzialità della trasmissione di 5.500 ore (detta P la potenzialità della trasmissione, E l'energia trasmessa nell'anno; le ore di utilizzazione H sono definite da: H = E/P).
La fig. 28 mostra come il costo della trasmissione dell'energia elettrica risulti compreso, sotto le ipotesi suddette, fra il costo di trasporto della nafta e il costo di trasporto del gas.
Il trasporto della nafta con mezzi discontinui (ferrovia) non è stato considerato, perché il suo costo risulta più di una volta e mezza superiore a quello relativo all'oleodotto. Inoltre, nel campo di potenze considerato, che è quello delle moderne centrali termoelettriche, la frequenza dei convogli ferroviari dovrebbe essere tale da richiedere in pratica la costruzione di una sede apposita e di ampi parchi di carico e scarico alle estremità con un conseguente notevolissimo disturbo ambientale.
Lo stesso può ripetersi per il trasporto del carbone, per il quale sono stati di recente studiati mezzi di trasporto continui (carbodotti), il cui onere di impianto e di esercizio è però nettamente superiore a quello degli oleodotti.
Vi sono poi altre considerazioni che debbono essere tenute presenti nel confronto fra il costo di trasmissione dell'energia elettrica e il costo di trasporto dei combustibili. L'interesse per il trasporto dei combustibili diviene prevalente quando essi debbano essere, almeno in parte, utilizzati per usi diversi dalla produzione di energia elettrica, come usi termici, chimici, ecc., che sono oggi gli usi che hanno la maggiore incidenza sul complesso del consumo nazionale.
Gioca invece a sfavore del combustibile la specializzazione del mezzo di trasporto. Così, ad esempio, se si costruisce una centrale elettrica in prossimità di un porto di sbarco, la si può alimentare in alternativa con nafta o carbone, mentre se la si costruisce in corrispondenza del baricentro dei carichi, occorre rinunciare a una delle due alternative; se le si vogliono mantenere entrambe, il confronto economico è allora nettamente a favore della trasmissione dell'energia elettrica. Occorre poi considerare che le possibilità di raffreddamento della centrale, quando essa sia situata sul mare, sono nettamente migliori e gli oneri relativi minori, il che dal punto di vista pratico fa sì che la maggior parte delle grandi centrali termiche, almeno in un paese circondato dal mare come l'Italia, vengano oggi costruite sul mare.
Dal punto di vista dell'inserimento ambientale si deve tener conto poi che il metanodotto e l'oleodotto sono costituiti da tubi interrati del diametro di 0,3÷0,8 m e quindi, sotto questo aspetto, meglio paragonabili con le linee in cavo piuttosto che con le linee aeree, il cui costo è invece stato assunto nel confronto economico della fig. 28.
Si deve tener conto però che i danni all'ambiente provocati da un guasto, irrilevanti nel caso della trasmissione elettrica, possono essere disastrosi nel caso di un oleodotto.
Per quanto riguarda poi il combustibile nucleare, il costo del trasporto può ritenersi trascurabile a fronte dei costi di trasporto degli altri tipi di combustibile e della trasmissione elettrica, riportati nella fig. 28. L'ubicazione di una centrale nucleare viene dunque decisa in base a considerazioni di tutt'altro genere che non quelle relative ai costi di trasporto e di trasmissione.
Quando poi si voglia allargare il confronto anche ai grandi trasporti di combustibile, effettuati oggi prevalentemente via mare a mezzo di grandi navi, anche a prescindere dalle variazioni dei costi dei noli che sono molto ampie, ci si imbatte in difficoltà pressoché insormontabili per stabilire, da un punto di vista generale, i termini del confronto.
Si può affermare in generale che, data l'incidenza del costo delle operazioni di carico e scarico, il trasporto per nave risulta particolarmente conveniente sulle grandissime distanze.
Si consideri tuttavia, per fissare le idee, il caso del trasporto del petrolio dal Medio Oriente all'Europa. Mentre le grandi navi cisterna sono costrette a circumnavigare l'Africa, un oleodotto può raggiungere l'Europa con un percorso molto più breve e non si può quindi escludere la sua competitività su di un piano puramente economico. Tuttavia vi sono altre considerazioni di natura politica che debbono essere tenute presenti, prima fra tutte quella che il trasporto per oleodotto stabilisce un vincolo rigido fra fornitore e acquirente, mentre il trasporto via nave consente alle parti maggiore elasticità nello stabilire i rapporti commerciali.
Molto più attraente è invece l'utilizzazione di impianti di trasporto fissi quando si consideri il trasporto del gas, poiché il trasporto via nave richiede la preventiva liquefazione del gas tramite un processo relativamente oneroso.
6. Sviluppi futuri della trasmissione dell'energia.
a) Possibilità di sviluppo delle tecniche tradizionali.
I principali problemi che pone la trasmissione dell'energia nel futuro nascono insieme dalla sempre maggiore sensibilità dell'opinione pubblica ai problemi ambientali e dagli incrementi delle capacità di trasporto delle singole linee, incrementi che seguono naturalmente (v. sopra, cap. 3) quelli relativi alle densità dei consumi.
Gli aumenti di potenzialità si realizzeranno verosimilmente incrementando le tensioni del sistema di trasmissione; la più alta tensione oggi in uso è il 765 kV, ma si stanno già studiando per il prossimo decennio tensioni tra 1.000 e 1.200 kV, mentre si giudicano realizzabili tensioni fino a 1.500 kV.
Valutazioni eseguite di recente portano a concludere che sistemi aerei di trasmissione con potenzialità di 7.000-15.000 MW per linea sono economicamente realizzabili, impiegando livelli di tensione compresi tra 1.000 e 1.500 kV; sul piano strettamente tecnico i più rilevanti problemi si presentano per il controllo delle sovratensioni oltre i 1.200 kV, sempre che non si vogliano accrescere le distanze di isolamento in misura maggiore di quella corrispondente alla legge di proporzionalità con la tensione di esercizio.
Per mantenere la legge di proporzionalità anche oltre i 1.500 kV, occorrerebbe contenere le sovratensioni di manovra al di sotto di 1,5 volte la tensione di esercizio, cosa che per diverse ragioni pare irrealizzabile. Di conseguenza le dimensioni delle linee, dovendo aumentare più che proporzionalmente con la tensione di esercizio, oltre i 1.500 kV raggiungono ben presto valori proibitivi.
Non vi è dubbio che le grandi dimensioni delle linee aeree e l'aumentata sensibilità ai problemi ambientali pongano in primo piano per il futuro il problema del paesaggio (v. sopra, cap. 4, È e).
Si ricordi però che il problema ambientale non nasce dall'aumento delle tensioni in sé, ma dall'aumento delle potenze da trasportare. L'aumento delle tensioni deve essere visto anzi come un mezzo per aumentare la concentrazione del flusso di potenza e quindi per risolvere problemi ambientali che diventerebbero altrimenti gravissimi.
Nella fig. 29 sono indicate le potenze trasportabili ai diversi livelli di tensione per unità di larghezza di striscia asservita e per unità di superficie o di ingombro del sostegno. Si noti come la potenza per unità di larghezza di striscia asservita aumenti di più che 30 volte nel passare dalla tensione di 145 kV alla tensione di 1.050 kV.
Si noti inoltre che l'introduzione di forme strutturali nuove potrebbe consentire di ridurre sia la larghezza di striscia asservita che l'ingombro del sostegno agli altissimi livelli di tensione, rispetto alle soluzioni tradizionali. Nella fig. 30 sono illustrate alcune soluzioni proposte a questo scopo per le linee a 1.500 kV (v. Paris, 1969).
Ancora aperti restano tuttavia, a questi livelli di tensione, i problemi del rumore acustico dovuto all'effetto corona e quelli legati all'influenza del campo elettrico su persone o animali che transitino sotto la linea, fattori che possono porre limitazioni alla disposizione e all'altezza dei conduttori sul suolo.
Come per le linee aeree, anche per i trasformatori e gli interruttori la fattibilità economica è assicurata fino a 1.500 kV; oltre i 1.200 kV sorge però qualche problema per la trasportabilità dei trasformatori, in relazione anche alla necessità di realizzare taglie di potenzialità adeguate.
Per quanto riguarda le stazioni è molto probabile che, a questi livelli di tensione, risulti più economica la soluzione a isolamento protetto in gas anziché quella tradizionale in aria.
Per quanto riguarda le linee in cavo di tipo tradizionale, fino a pochi anni or sono la tecnologia esistente non era in grado di fornire cavi di diametro esterno superiore a 12 cm. Con tale limitazione, e con la limitazione sui gradienti specificata nel cap. 4, la massima potenzialità ottenibile da una linea trifase in corrente alternata era di circa 1.000 MW alla tensione di 500 kV.
Il limite di 12 cm sul diametro esterno pareva difficilmente superabile in relazione ai problemi di maneggiabilità del cavo durante la sua messa in opera e in relazione alla possibilità di avvolgerlo su bobine di dimensioni accettabili durante il trasporto.
Oggi però, davanti alle necessità imposte dalla trasmissione di quantità di energia sempre maggiori, si è cercato di rimuovere queste limitazioni, anche a costo di un qualche incremento del diametro esterno sopra i 12 cm, ma soprattutto sfruttando l'incremento dei gradienti alla tensione di esercizio ottenibile in cavi a pressione d'olio elevata. Anche se questo aumento nella tenuta alle tensioni di esercizio non è accompagnato da un aumento paragonabile nelle tensioni a impulso, si ritiene tuttavia di poter aumentare in proporzione la tensione di esercizio del cavo, riducendo quindi il rapporto fra tenuta a impulso e tenuta alla tensione di esercizio, secondo la filosofia del proporzionamento degli isolamenti descritta nel cap. 3. Ciò è possibile in virtù del maggior controllo delle sovratensioni di manovra da un lato e della minore importanza delle sovratensioni atmosferiche alle altissime tensioni dall'altro, quando per di più il livello delle sovratensioni può essere limitato da scaricatori disposti alle estremità del cavo. Con pressioni d'olio di 15 kg/cm2 si possono ammettere gradienti massimi di esercizio di 30 kV/mm in corrente alternata. Naturalmente con tali gradienti di esercizio acquistano notevole importanza le perdite nel dielettrico. Per poter raggiungere le elevate potenzialità di trasmissione richieste, tenuto conto anche delle elevate perdite Joule, è allora necessario adottare sistemi di raffreddamento forzato del cavo. Questi possono essere sostanzialmente di tre tipi: a) per circolazione forzata dell'olio isolante all'interno del cavo. Questo sistema richiede però un aumento delle dimensioni del canale dell'olio e quindi della sezione del cavo. A parità di pressione sopportabile dal cavo, la tenuta dielettrica risulta inoltre diminuita a causa delle cadute di pressione prodotte dalla circolazione dell'olio; b) per circolazione forzata di acqua disposta in tubi situati lateralmente al cavo (v. fig. 31A): questa soluzione consente l'utilizzazione di cavi di tipo classico; c) per circolazione. forzata di acqua entro tubi che contengono il cavo (v. fig. 31B): questa soluzione si accoppia bene soprattutto con la tecnica americana di posa del cavo che ne prevede già lo stendimento entro un tubo di acciaio che funge da protezione.
Con raffreddamento di tipo b) è stato costruito e provato con successo un cavo per tensione di esercizio di 765 kV, avente una potenzialità di 2.000 MW e diametro esterno di 14 cm. È stato inoltre progettato un cavo per tensione di esercizio di 1.100 kV avente potenzialità di 5.000 MW.
Nuove possibilità, poi, si aprono quando si abbandoni- no le tecniche tradizionali per rivolgersi a tecniche nuove, quali quelle elencate nel cap. 2 come corollario delle relazioni che governano la trasmissione dell'energia elettrica. Tali possibilità vengono brevemente considerate nei successivi paragrafi.
b) Cavi in gas.
Sono stati di recente costruiti e impiegati cavi in gas di nuovo tipo, per risolvere problemi particolari come il sottopasso di linee AT preesistenti (v. Johnson e altri, 1969). Essi sono realizzati da due tubi concentrici di alluminio, di cui quello interno funge da conduttore e quello esterno da guaina, con rapporto fra i diametri dei due tubi uguale circa a e (la base dei logaritmi neperiani), rapporto al quale corrisponde, a pari tensione applicata, il valore minimo del gradiente sul conduttore.
Il dielettrico è costituito da gas compresso, in genere esafluoruro di zolfo, alla pressione di 3 atmosfere, gas che accoppia a ottime proprietà dielettriche elevate caratteristiche di conducibilità termica.
Il conduttore è mantenuto alla voluta distanza dalla guaina da distanziatori isolanti realizzati in resina epossidica.
Il cavo della fig. 32 è previsto per tensione di esercizio di 345 kV e ha una potenzialità di circa 1.200 MW, che corrisponde a una densità di energia media di circa 4 kW/mm2.
La tecnologia relativa a questo tipo di cavo è oggi assai complessa e costosa e ne ha impedito la diffusione se non, come già detto, su brevissimi tratti di linea per risolvere problemi particolari. Le linee sono prefabbricate in sezioni lunghe circa 12 m e le guaine delle diverse sezioni sono saldate fra loro in opera. I conduttori sono invece collegati da giunti che consentono la dilatazione termica delle sezioni.
Poiché la costante dielettrica dell'esafluoruro è circa uguale a quella dell'aria, mentre la costante dielettrica della carta-olio è circa 3,5 volte quella dell'aria, la capacità del cavo in gas è circa 1/3,5 di quella del cavo in carta-olio, l'impedenza caratteristica è 1,9 volte maggiore e la potenza caratteristica 1,9 volte minore.
Le possibilità di smaltimento del calore sono poi nettamente migliori che nel cavo di tipo tradizionale, il che consente di realizzare cavi di potenzialità assai più elevata.
Ne segue che, pur essendo la potenzialità del cavo in genere ancora assai minore della sua potenza caratteristica, essa le è tuttavia molto più vicina di quanto lo sia per un cavo di tipo tradizionale, elemento certamente vantaggioso, specialmente nel caso di linee di trasmissione di una certa lunghezza.
c) Cavi criogenici e superconduttivi.
Una classe di cavi di tipo non convenzionale che potrebbe consentire la trasmissione di elevate potenze anche su lunghe distanze è quella dei cavi criogenici o superconduttivi (v. Graneau, 1970).
Come noto, la resistenza elettrica dei materiali conduttori si riduce al ridursi della temperatura di funzionamento fino a valori molto bassi a temperature prossime allo zero assoluto.
In particolare alcuni tipi di materiali, come lo stagno e il piombo, presentano il fenomeno della superconduttività, vale a dire una caduta brusca della resistenza a valori praticamente nulli, quando la temperatura si abbassi al di sotto di un determinato valore critico.
I cavi realizzati con conduttori di tipo tradizionale, rame o alluminio, ma che vengono raffreddati a temperature molto basse per trarre vantaggio dalla riduzione di resistenza che si verifica a tali temperature, sono detti criogenici, mentre i cavi costruiti con conduttori speciali, per sfruttare il fenomeno della superconduttività, sono detti superconduttivi.
Con entrambi i tipi di cavo si possono trasmettere grandi potenze con tensioni relativamente modeste, ad esempio 20 kV, in virtù delle elevate intensità di corrente ammissibili a seguito della riduzione della resistenza elettrica. Essendo la tensione limitata, anche la potenza reattiva prodotta è modesta ed è quindi possibile la trasmissione in corrente alternata anche su lunghe distanze.
La fig. 33 mostra la variazione di resistività dell'alluminio quando venga raffreddato a temperature criogeniche. Rispetto al valore a 0 °C (273 °K), la resistività dell'alluminio si riduce a 1/10 alla temperatura dell'azoto liquido (77 °K), a 1/1.000 alla temperatura dell'idrogeno liquido (20 °K), a 1/10.000 alla temperatura dell'elio liquido (4,2 °K).
In corrente continua si può trarre pieno vantaggio da queste riduzioni di resistività, non così in corrente alternata ove la riduzione della resistività esalta l'effetto pelle, limitando la trasmissione a una parte più ristretta della sezione del conduttore. Alla frequenza di 50 Hz si può approssimativamente ritenere che le riduzioni di resistenza, al ridursi della temperatura, siano pari alla radice quadrata dei fattori validi per la resistività.
Per quanto concerne il fenomeno della superconduttività in corrente, esso riguarda un sottilissimo strato, dello spessore di 500 Å, alla superficie del conduttore.
Il fenomeno della superconduttività si verifica fino a un dato valore critico del campo magnetico, oltre il quale scompare. Per materiali superconduttori di primo tipo, come il piombo o lo stagno, questo valore del campo magnetico è relativamente basso (500 gauss alla temperatura dell'elio liquido per il piombo), il che limita severamente la potenza trasmissibile. In materiali superconduttori di secondo tipo, scoperti più di recente, come il Nb3 Sn, il campo critico alla temperatura dell'elio liquido è 200 volte superiore al precedente e toglie quindi ogni importanza al limite di potenzialità.
Il funzionamento dei cavi superconduttivi in corrente continua avviene praticamente senza perdite, non così incorrente alternata, nel qual caso l'entità delle perdite, pur essendo molto piccola in confronto a quella relativa ai conduttori tradizionali, è tuttavia sensibile e dipende da numerosi fattori, come la rugosità superficiale, le impurezze, l'incrudimento del materiale. Sia i cavi criogenici che i superconduttivi sono tuttora allo stadio sperimentale.
d) Trasmissione dell'energia per microonde.
In linea di principio la trasmissione dell'energia per microonde si può effettuare sia per via radio, attraverso una serie di antenne e di riflettori, sia con una linea a un solo conduttore o linea di Goubau, sia canalizzando le onde entro tubi cilindrici cavi o guide d'onda (v. Weiss, 1969).
Quest'ultimo sistema sembra il più promettente, in quanto in linea teorica consente la trasmissione, a frequenze dell'ordine dei 3-10 GHz, di potenze dell'ordine dei 10.000 MW, con rendimenti accettabili. Le guide d'onda sarebbero costituite da tubi aventi diametro di circa 1,50 m, ricoperti al loro interno da uno strato di materiale conduttore sottilissimo, in quanto la profondità di penetrazione, a frequenze così elevate, è dell'ordine del micron. Il rendimento della trasmissione può in teoria essere pari a quello delle linee aeree di altissima tensione, a patto che la linea sia perfettamente rettilinea e la sezione del tubo si mantenga ovunque uguale a quella di progetto, con asperità interne ridottissime. Ogni scostamento da queste condizioni ideali è causa di maggiori perdite. Gravi problemi d'ordine tecnico ed economico pongono inoltre le apparecchiature di conversione alle estremità.
La trasmissione per microonde via radio è ora studiata per trasmettere a terra l'energia solare raccolta nello spazio da celle solari estese su superfici di un centinaio di km2 (v. Brown, 1973). È stato varato negli Stati Uniti un progetto sperimentale che prevede la produzione e trasmissione di 5.000÷10.000 MW entro la fine del secolo (v. fig. 34).
La trasmissione di energia per microonde è anche stata suggerita per alimentare da terra un veicolo spaziale. A questi effetti è stato anche proposto l'impiego di laser.
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Utilizzazione dell'energia
SOMMARIO: 1. Introduzione. □ 2. I limiti dell'energia: a) il duplice ruolo dei prodotti alimentari; b) il caso del coke metallurgico; c) il caso delle fonti naturali di energia; d) considerazione sui bisogni non energetici; e) esclusione dei combustibili non commerciali; f) consumi finali. □ 3. Il carattere imperativo dei bisogni di energia e il rischio di penuria: a) considerazioni generali; b) difficoltà di qualsiasi forma di razionamento dell'energia; c) la permanenza del servizio. □ 4. Aspetti quantitativi: a) le misure comuni a differenti forme di energia; b) le differenti forme di energia paragonate sotto l'aspetto economico; c) l'esempio della pompa di calore; d) la scuola della conservazione dell'energia; e) la scuola della misura comune mediante sostituzione; f) la scuola della suddivisione dell'energia in due settori; g) l'illusione del rendimento finale. □ 5. I bisogni classificati a seconda dell'uso: a) la possibilità di soddisfacimento dei diversi bisogni di energia mediante l'energia nucleare; b) classificazione dei bisogni di energia; c) petrolchimica; d) trasporti; e) siderurgia; f) l'industria non siderurgica; g) il settore domestico e terziario; h) la desalinizzazione dell'acqua del mare. □ 6. La previsione dei bisogni: a) la scala temporale delle previsioni; b) i rischi delle previsioni; c) l'estrapolazione diretta dei bisogni passati; d) la previsione con il metodo delle variabili esplicative; e) la previsione per settori; f) la natura delle previsioni possibili in presenza di fattori nuovi; g) l'interazione fra la domanda e il prezzo; h) elasticità della domanda e diminuzione dei costi in funzione della quantità da produrre; i) la reazione del consumo all'azione commerciale; l) prospettiva energetica a termine molto lungo. □ Bibliografia.
1. Introduzione.
L'energia è diventata un bisogno essenziale dell'uomo. La sua importanza si è rivelata anzitutto nell'industria e la rivoluzione industriale ebbe inizio proprio in quei paesi che avevano larghe disponibilità di carbon fossile e di ‛carbone bianco'. Dopo l'avvento delle ferrovie e delle automobili, l'energia ha invaso progressivamente il campo dell'agricoltura, fino al punto che la maggior parte dei paesi sviluppati non sarebbe oggi in grado di nutrire i propri abitanti se i trattori e le macchine agricole cessassero di essere riforniti di carburante. L'energia è anche penetrata in ogni abitazione per alimentare gli impianti di illuminazione, gli apparecchi elettrodomestici, il riscaldamento o il condizionamento dell'aria, ecc. L'energia come ‛bene di consumo' acquista dunque un'importanza sempre maggiore accanto all'energia come ‛mezzo di produzione', e questo è proprio uno degli aspetti della società dei consumi.
Forme primarie e forme secondarie di energia. - Se gli usi dell'energia sono svariati, altrettanto svariate sono le forme sotto le quali essa si presenta per l'utilizzazione finale, e cioè essenzialmente i prodotti petroliferi, il carbone, il gas e l'elettricità. Il consumatore finale riceve raramente la sua energia da una fonte primaria: il più delle volte la riceve in forma secondaria, come l'elettricità o come i prodotti provenienti dalla raffinazione del petrolio.
Per lungo tempo le forme secondarie di energia sono state considerate più nobili perché in effetti l'elettricità e il gas prodotto industrialmente si presentavano come forme superiori di energia rispetto al carbone. In verità, però, il gas naturale è una sostanza almeno altrettanto nobile quanto quello prodotto industrialmente e non si può dire che l'olio combustibile sia meno nobile della benzina. Oggi la distinzione tra energia primaria ed energia secondaria ha perduto ogni connotazione di valore e rimane soltanto per distinguere le forme che stanno a monte da quelle che stanno a valle di una trasformazione assai radicale dell'energia (centrale elettrica, cokeria, raffineria).
2. I limiti dell'energia.
Nelle teorie economiche il termine ‛energia' non è univocamente definito, tuttavia il suo significato economico è oggi assai ben delimitato dall'uso corrente.
a) Il duplice ruolo dei prodotti alimentari.
Normalmente si è soliti considerare come due settori distinti quello dell'energia e quello dell'alimentazione. Tuttavia gli alimenti hanno un importante valore energetico e infatti le razioni alimentari umane sono dell'ordine delle 2.000 chilocalorie giornaliere, il che equivale a 100 kg di carbone all'anno per abitante e a 5 milioni di tonnellate annuali per un paese di 50 milioni di abitanti, senza contare l'alimentazione degli animali. Dal punto di vista fisico, ciò corrisponde al fatto che un uomo a riposo emette in continuazione circa 100 watt di calore, cioè una potenza non trascurabile rispetto a quella necessaria per il riscaldamento di un'abitazione: è questo il motivo per cui normalmente un'aula scolastica non ha bisogno di essere riscaldata dopo l'ingresso degli alunni.
Quando l'uomo o gli animali compiono un lavoro fisico, il loro rendimento è compreso fra il 10% e il 30%, poiché si tratta di una trasformazione diretta di energia chimica in energia meccanica, che non richiede il passaggio attraverso quella forma di energia disordinata costituita dal calore e che quindi non è soggetta alla limitazione espressa dal principio di Carnot. Un lavoratore manuale può fornire regolarmente da 50 a 100 watt sotto forma di energia meccanica, pari a circa 0,1 Hp. In certi paesi ancora poco sviluppati la potenza muscolare complessiva dell'uomo e degli animali supera la potenza utilizzata delle centrali elettriche disponibili.
Per quanto riguarda la produzione alimentare, citiamo, a titolo di esempio, i seguenti dati che si riferiscono a tre paesi dell'Europa occidentale: la produzione media di cereali dal 1968 al 1970 è stata di 15 milioni di tonnellate/anno in Italia; di 18 milioni di tonnellate/anno in Germania; di 32 milioni di tonnellate/anno in Francia; ora, poiché il potere calorifico dei cereali è dell'ordine della metà di quello del carbone, essi, potrebbero avere una parte non trascurabile se il settore dell'alimentazione e quello dell'energia fossero integrati in un settore unico. Questa integrazione non avrebbe però alcun interesse e impedirebbe di vedere chiaramente i problemi specifici dell'alimentazione da una parte e quelli dell'energia dall'altra. Anche in una civiltà dei consumi i bisogni alimentari dell'uomo sono ancora prioritari rispetto alla richiesta di energia e i prodotti alimentari sono assai più costosi delle materie prime energetiche. Tuttavia, in futuro potrà porsi un nuovo problema di confine tra l'alimentazione e l'energia perché già oggi le proteine ricavate dal petrolio cominciano a servire per l'alimentazione animale.
b) Il caso del coke metallurgico.
Si tratta di una situazione peculiare: il coke metallurgico svolge negli altiforni non soltanto il ruolo di combustibile ma anche quello di ‛riduttore degli ossidi di ferro, per cui il suo uso riguarda in parte anche la chimica industriale. Se i carboni da cui si ricava il coke fossero dei prodotti rari, non verrebbero utilizzati come combustibili semplici, non sarebbero certamente inclusi tra i prodotti energetici e gli economisti li avrebbero considerati fin dall'inizio come una materia prima e non come un combustibile. Di fatto, il mercato metallurgico non attribuisce ad essi un valore apprezzabilmente diverso da quello dei combustibili da cui non si può ricavare il coke e quindi, benché servano a bisogni specifici della siderurgica, il coke e i carboni coke vengono generalmente considerati come prodotti energetici.
c) Il caso delle fonti naturali di energia.
Si tratta della situazione opposta a quella precedente: non vengono cioè catalogati tra i consumi energetici gli impieghi diretti di energie naturali quando esse non siano state prese in considerazione, in una forma più o meno commercializzabile, prima della loro utilizzazione. Questo è per esempio il caso delle saline per l'evaporazione dell'acqua marina, le quali richiedono potenze considerevoli, dell'ordine di migliaia di chilowatt per ettaro di superficie salata. Queste potenze vengono fornite direttamente dalla radiazione solare e non sono incluse tra i consumi energetici. Analogamente avviene per le serre che si sono sviluppate su grandissime superfici, per es. in Belgio e in Olanda, e che assorbono delle considerevoli potenze provenienti dal sole: queste non vengono incluse nelle statistiche dell'energia consumata dall'agricoltura nonostante che vi vengano invece incluse quelle necessarie per il riscaldamento adoperato in dati periodi per integrare l'azione solare. Inoltre, non viene considerato neppure quel piccolo contributo, purtroppo assai irregolare, dato dal sole al riscaldamento dei locali sia attraverso una disposizione appropriata delle finestre sia attraverso accorgimenti più elaborati.
d) Considerazione sui bisogni non energetici.
Ci si può domandare se sia opportuno tenere conto, nelle statistiche e negli studi sull'energia, anche di quei bisogni che non sono in se stessi energetici, ma che dipendono dalle stesse materie prime impiegate per gli usi energetici propriamente detti. Importanti quantità di idrocarburi sono utilizzate dalla chimica industriale come materie prime per la formazione di numerosi prodotti, in particolare delle materie plastiche e, grazie alle loro proprietà fisiche, essi vengono anche consumati sotto forma di oli lubrificanti, di bitume, ecc.
La parte dei prodotti petroliferi e del gas destinata a tali usi non energetici è considerevole, come dimostra la loro percentuale rispetto al totale dei consumi interni lordi per l'anno 1972 (dati tratti dai bilanci energetici della Commissione Economica per l'Europa pubblicati nel 1973):
Tali percentuali aumentano di anno in anno, e d'altra parte in questo campo l'energia nucleare non potrà certo sostituire il petrolio. L'importanza di questi consumi rispetto al mercato dei prodotti energetici continuerà a crescere; già da molto tempo si è diagnosticato, prematuramente, che i combustibili fossili dovrebbero essere riservati soltanto agli usi della chimica industriale. Con l'andar del tempo, tale diagnosi si rivelerà del tutto corretta.
Le statistiche possono includere o no questi usi non energetici del petrolio e del gas, ma tutti gli studi sull'energia devono necessariamente tenerne conto.
e) Esclusione dei combustibili non commerciali.
Oggi si è soliti escludere dagli studi sull'energia i combustibili per i quali non esiste un mercato esteso e cioè essenzialmente la legna da riscaldamento. L'importanza di questo combustibile era ancora considerevole all'inizio del secolo, quando esso alimentava, sia direttamente sia trasformato in carbone di legna, i riscaldamenti domestici, le panetterie e alcune industrie artigianali. Il suo rapido declino, in seguito alla diffusione dei combustibili liquidi e gassosi, induce oggi a non tenerne più conto, ma è bene notare che la legna da riscaldamento rimane un importante risorsa potenziale la quale ha potuto rendere importanti servizi in circostanze anormali come, per esempio, durante la guerra. Il suo ruolo non è ancora divenuto trascurabile nei paesi scarsamente sviluppati, come non lo è divenuto quello di alcuni combustibili tradizionali quali lo sterco di vacca seccato al sole, che è tuttora usato in Italia.
f) Consumi finali.
Il consumo si analizza all'atto dell'acquisto da parte del consumatore finale, cioè di chi usa l'energia non per rivenderla, ma per i propri bisogni industriali e domestici. Quindi una ferrovia che utilizza locomotive diesel-elettriche è considerata come consumatrice di un prodotto petrolifero, nonostante che essa compia oggi la trasformazione in elettricità per azionare i motori della locomotiva. Analogamente, se le automobili funzionassero con motori elettrici alimentati da pile a combustibile, come potrebbe verificarsi in futuro, il loro consumo sarebbe considerato come consumo di combustibile e non di elettricità.
3. Il carattere imperativo dei bisogni di energia e il rischio di penuria.
a) Considerazioni generali.
Prima di affrontare sotto l'aspetto quantitativo gli impieghi dell'energia, conviene mettere in evidenza il carattere imperativo dei bisogni di energia.
Il singolo considera bisogni sempre più essenziali il poter disporre, ad esempio, dell'illuminazione, dell'ascensore, dell'automobile, ecc. Egli tollera già con difficoltà di esserne privato per un breve periodo a causa di un guasto, ma non ammette più la possibilità di doverne fare a meno per un periodo prolungato a causa della mancanza di rifornimento di energia primaria. Al contrario, il singolo è ormai talmente abituato a poter contare con certezza sul suo approvvigionamento di energia da rifiutare ogni ipotesi di penuria, fino al punto di essere talvolta indotto a prendere posizioni suscettibili di creare proprio una tale penuria, come accade, per esempio, quando il timore di inquinamento viene esteso ai campi in cui esso è pressoché immaginario.
Tuttavia, il verificarsi di una tale penuria non è più, oggi, interamente da escludersi, perché sia la diminuzione delle risorse naturali del petrolio sia il completamento degli impianti idroelettrici in molte regioni, che non prevede successivi ampliamenti, potrebbero rendere impossibile il soddisfacimento di bisogni crescenti. I consumi globali di energia e in particolare quelli di elettricità si sono sviluppati in passato con una regolarità tale che si è quasi costretti a prevedere, dopo la crisi attuale, la ripresa di uno sviluppo esponenziale, benché a un ritmo forse più ridotto. L'aspirazione degli uomini a lavorare meno, a spostarsi di più e ad approfittare di tutte le innovazioni tecniche e lo sviluppo dei paesi tuttora poco progrediti fanno prevedere che l'espansione non rallenterà ancora per molto tempo, anche nel caso in cui si inverta la tendenza demografica, cosa, questa, che non si verificherà entro breve tempo. Una crisi brutale dell'approvvigionamento di prodotti petroliferi non può quindi essere interamente esclusa.
I pericoli di una penuria cominciano appena a essere avvertiti dai consumatori che provano una certa inquietudine anche se non si rendono ben conto delle sue possibili conseguenze e delle difficoltà di porvi rimedio qualora non venissero prese per tempo le misure necessarie.
Per fronteggiare la penuria progressiva che potrebbe risultare da un'insufficienza di energia, i poteri pubblici potrebbero anzitutto fare appello al buon senso dei consumatori chiedendo loro di evitare ogni spreco. Spegnere con cura le luci elettriche quando non sono necessarie rappresenterebbe un risparmio insignificante, mentre sarebbe invece molto più efficace moderare il riscaldamento e il condizionamento dei locali e ridurre quegli spostamenti in automobile che non corrispondono a bisogni reali. Purtroppo, le esperienze fatte durante e dopo la guerra e al momento di crisi passeggere dimostrano che i risparmi volontari comportano soltanto riduzioni esigue e di breve durata. Al contrario, l'elasticità dei consumi rispetto ai prezzi può permettere di alleviare la situazione a lungo termine, a condizione, però, che l'aumento del prezzo sia applicato tempestivamente. Ovviamente, se si prevede che determinate forme di energia diverranno scarse mentre altre non lo saranno, il tentativo di comprimere il consumo attraverso il prezzo deve riguardare soltanto le prime e va anzi incoraggiato il consumo di quelle altre forme che restano disponibili in maniera illimitata.
Il razionamento dell'energia non può certamente essere imposto per periodi troppo lunghi poiché, come ha ampiamente dimostrato in molti paesi l'esperienza della guerra, anche nei momenti critici in cui si può più facilmente fare appello alla disciplina nazionale, esso crea disuguaglianze intollerabili e dà origine rapidamente a un mercato nero molto attivo, con effetti demoralizzanti. Lo sviluppo progressivo del consumo può quindi essere frenato solo in maniera trascurabile con gli inviti al risparmio, in maniera lenta con aumenti dei prezzi e a costo di conseguenze gravissime con il razionamento.
b) Difficoltà di qualsiasi forma di razionamento dell'energia.
Tuttavia, in caso di grossa crisi, il razionamento si rende inevitabile quando le previsioni di durata della crisi superino l'entità delle scorte. Mentre però il cibo è assai facile da razionare in base a criteri fisiologici validi per tutti gli uomini, i bisogni individuali di luce, di riscaldamento e di trasporto variano in maniera considerevole da un individuo all'altro e nella ripartizione è quindi assolutamente impossibile tenere conto di tutti i parametri in gioco. Ne consegue l'impossibilità di assegnare delle razioni di benzina ai singoli, il che porta alla soluzione pura e semplice di vietare la circolazione di tutti i veicoli privati non muniti di un'autorizzazione speciale.
Il problema è analizzabile soltanto nel caso delle grosse industrie, mentre per quelle piccole e medie accade che l'ente preposto al razionamento viene subissato da reclami più o meno giustificati sul carattere indispensabile delle produzioni e, qualsiasi cosa si faccia, lo scontento generale cresce rapidamente e si diffonde il mercato nero. Si arriva così alla decisione che è più importante assicurare il lavoro alla popolazione facendo funzionare le fabbriche che fornire il riscaldamento alle abitazioni (quale che sia il sistema di riscaldamento), con l'eccezione di un minimo quando fa molto freddo.
Per l'elettricità e il gas le difficoltà sono ancora maggiori, poiché i consumatori vi attingono direttamente senza che sia possibile un controllo preventivo mediante tagliandi, e quindi il razionamento si può far rispettare solo applicando delle sanzioni. D'altra parte, le sanzioni devono essere molto pesanti per risultare efficaci, e quindi anche molto impopolari. L'esperienza ha dimostrato che una compressione dei consumi elettrici ottenuta facendo ricorso ad appelli al pubblico, ad abbassamenti di tensione e a un contingentamento flessibile non riesce a ridurre i consumi di più del 15-20%. Per riduzioni di maggiore entità si rendono necessari dei tagli sistematici che, per risultare veramente efficaci, devono essere molto più drastici di quanto non si possa supporre. Quando l'inadeguatezza di altri modi di restrizione portò, durante certi periodi della guerra, a fornire a rotazione ai consumatori energia elettrica soltanto per due giorni alla settimana, la riduzione del consumo totale fu sorprendentemente bassa: gli utenti concentravano infatti nelle ore in cui veniva loro fornita l'elettricità buona parte dei consumi di energia che avrebbero fatto nel corso della settimana e, nel resto del tempo, occupavano il loro personale in impieghi che non richiedevano elettricità e nella preparazione accelerata di quelle attività che avrebbero potuto essere esplicate al ritorno della corrente. Così, i tagli a rotazione di una certa frazione di utenti riducono la potenza consumata soltanto di una frazione minima.
Un problema di natura totalmente diversa è posto invece dall'esistenza di consumi prioritari che non si vogliono interrompere. Se tali consumi prioritari fossero poco numerosi, sarebbe sufficiente mantenere in servizio soltanto quei settori che li alimentano, tollerando che tutti gli altri utenti serviti dallo stesso settore si alimentano come ‛parassiti' sulle linee non tagliate. In effetti, però, quando le difficoltà energetiche si prolungano, il numero degli impieghi prioritari tende ad aumentare per comprendere gli ospedali, alcune amministrazioni privilegiate (alle quali, naturalmente, tentano di aggiungersene altre), le produzioni considerate come particolarmente urgenti (la cui lista cresce continuamente), ecc. Ogni volta che un settore supplementare viene attivato per servire un nuovo utente prioritario, aumenta anche il numero dei ‛parassiti'. In questo modo, è difficile evitare che l'efficacia dei tagli risulti molto limitata e, d'altra parte, dotare tutti gli utenti prioritari di alimentazioni distinte comporterebbe lavori lunghi e costosi.
Ogni insufficienza di risorse energetiche che superi l'ordine di grandezza del 15-20% comporta quindi gravissime perturbazioni dell'economia e cioè ingiustizie inevitabili, mercato nero, incidenti, diffuso malcontento e disoccupazione in vari settori. Bisogna dunque tenere ben presente queste esperienze del tempo di guerra per non sottovalutare i problemi che verrebbero creati da una grave crisi dell'approvvigionamento di petrolio.
Le conseguenze di una crisi energetica riguardano tutti gli aspetti della vita e potrebbe forse essere rimessa in questione l'etica corrente nei rapporti internazionali. Come in certe gravi circostanze viene facilmente rimessa in discussione la proprietà privata, allo stesso modo il diritto di un paese a disporre arbitrariamente, a favore di un numero di abitanti spesso molto ristretto, di risorse naturali che esso non solo non ha creato, ma certe volte non ha neppure scoperto, potrebbe sembrare un abuso intollerabile alla moltitudine di coloro che soffrirebbero di una penuria energetica, e si correrebbe allora il rischio di ritornare alle soluzioni di forza che erano comuni nel passato. Per evitare un'evenienza del genere è indispensabile che sia ben compresa la gravità delle grosse crisi energetiche, poiché la consapevolezza del pericolo può mobilitare gli sforzi per scongiurarlo. Tutto ciò non impedisce di rimanere ottimisti: infatti, a parte il lento evolversi di una ‛coscienza planetaria', è chiaro che a ogni paese produttore conviene utilizzare prudentemente e senza scosse le proprie riserve naturali per poter finanziare regolarmente la propria economia.
c) La permanenza del servizio.
Indipendentemente dalle penurie di energia e dalle crisi gravi, che finora sono state eccezionali e generalmente limitate ai casi di guerra, l'approvvigionamento di energia è ben più sovente influenzato da accidenti locali risultanti sia da guasti sia da ritardi nei rifornimenti e da inadeguatezza delle scorte.
Per i prodotti di cui possono essere costituite scorte, come ad esempio il petrolio, al momento della distribuzione accade generalmente che tali scorte siano di fatto sufficienti ad assicurare un rifornimento regolare. Soltanto in casi di evoluzione brusca delle situazioni energetiche possono aversi dei problemi. Così, per esempio, gli automobilisti possono essere costretti a fermarsi più volte prima di trovare benzina ed è possibile che gli impianti di riscaldamento debbano essere spenti o fatti funzionare a basso regime a causa di ritardi nei rifornimenti di combustibile domestico, come è accaduto negli Stati Uniti all'inizio della crisi del petrolio. La situazione non è grave ma conferma solamente che le raffinerie e gli impianti che devono accogliere le grandi petroliere sono in arretrato, il che generalmente è dovuto a discussioni troppo lunghe sulla loro collocazione migliore dal punto di vista dell'inquinamento.
Nel caso dell'elettricità il problema è invece assai diverso, in quanto l'utente non ha la possibilità di scegliersi il fornitore come può invece fare l'automobilista che, trovando un distributore di benzina chiuso, può rivolgersi a un altro distributore. Inoltre, le reti elettriche sono inevitabilmente esposte ad avarie sia per cause naturali (fulmini, brina, tempeste eccezionali) sia per cause di altro tipo (collisioni di veicoli contro i pali, manovre errate degli automezzi dei lavori pubblici, ecc.). È evidentemente possibile aumentare molto la sicurezza per mezzo di alimentazioni doppie, di reti circolari, di relè che isolino istantaneamente soltanto le parti colpite, di materiali di riserva nei depositi ecc., ma tutte queste installazioni costano e il prezzo finale della corrente distribuita all'utente aumenta tanto più quanto maggiore è la permanenza del servizio che gli si vuole assicurare. Le reti non sono i soli elementi in gioco, dal momento che anche i mezzi di produzione non possono mai fornire una sicurezza assoluta. Può presentarsi un'annata straordinariamente secca e, per quanto alta sia la capacità dei serbatoi degli impianti idraulici, il rischio che si esaurisca la riserva non è mai interamente nullo. Analogamente, non può essere nulla la probabilità che si verifichino guasti a un numero di unità termiche sufficiente perché la capacità delle unità rimanenti cada al di sotto di quella richiesta dal consumo. Quindi, un servizio pubblico di distribuzione dell'energia rischia sempre di non avere un approvvigionamento sufficiente.
Per lungo tempo il problema non è stato ben compreso in quanto, probabilmente secondo lo spirito del diritto romano, si respingeva ogni considerazione sulla probabilità delle possibili inadempienze: il concessionario si assumeva l'impegno formale e illimitato di assicurare il servizio pubblico e non aveva quindi il diritto di calcolare i rischi, in quanto ciò significava predisporre le misure contro i possibili guasti e quindi ammettere la possibilità di guasti. Per fortuna l'arsenale del diritto è ricco di molte nozioni e quella di forza maggiore non è altro che la traduzione inconscia del fatto che è necessario prendere provvedimenti soltanto per le ipotesi ‛ragionevoli' mentre tutto ciò che va oltre viene classificato nella categoria della forza maggiore. Secondo questo modo di vedere del vecchio diritto veniva considerato di cattivo gusto il fatto che il concessionario calcolasse la probabilità di guasto, e anzi questo calcolo poteva anche essere usato come elemento contro di lui nel caso si rendesse necessario stabilire a posteriori il verificarsi della forza maggiore, in quanto altrimenti sarebbe stato possibile sostenere che la forza maggiore consisteva nel fatto che l'eventualità non era stata prevista.
Questo stadio è stato ora abbondantemente superato e in tutto il mondo si fa il calcolo delle probabilità d'inadempienza attraverso la combinazione delle probabilità di tutti gli eventi che possono verificarsi; oggi si progettano impianti in modo tale da ottenere che un guasto abbia una certa probabilità ben determinata di accadere, oppure in modo tale che la probabilità che abbia luogo un guasto in un impianto potenziato rimanga uguale a quella che si aveva in precedenza per il soddisfacimento di bisogni meno alti.
La riduzione della probabilità di guasti, così come generalmente di qualunque tipo di inadempienza da parte del fornitore, risulta ovviamente in un maggior onere finanziario cui occorre far fronte.
È evidentemente necessario assicurare una coerenza tra lo sforzo finanziario inteso a ridurre la frequenza dei guasti dovuti a un'insufficienza di mezzi di produzione e quello inteso a ridurre i guasti dovuti agli incidenti della rete; se uno stesso miglioramento della permanenza probabile del servizio per gli utenti venisse a costare molto di più mediante il potenziamento delle centrali anziché quello della rete, ciò significherebbe che a parità di spese totali converrebbe ridurre gli sforzi sulla produzione e aumentare quelli sulla distribuzione. Si vede così che la regolarità del servizio per gli utenti è legata all'insieme degli sforzi finanziari concentrati sulla produzione e sulla distribuzione sotto forma di riserve e di residui, per cui il prezzo di costo dell'energia fornita agli utenti, che dovrà essere pagato da costoro sotto forma di tariffe, dipende dalla permanenza del servizio che essi richiedono.
Nel caso dei grandi utenti industriali, le spese per assicurare la regolarità dell'alimentazione sono in certa misura individualizzabili ed è quindi possibile offrire a ciascun utente la scelta tra una regolarità normale, associata alla tariffa normale, o invece una più elevata permanenza del servizio con costi supplementari, quali per esempio il rimborso delle spese per una linea di alimentazione ausiliaria o per un trasformatore di riserva. Per la massa degli utenti, invece, il livello medio dei prezzi è collegato al livello medio della qualità del servizio ed è perciò molto difficile individuare la combinazione ottimale tra costo dell'energia e permanenza del servizio. Si può soltanto dire che un'analisi statistica di diverse reti di distribuzione mostra che la regolarità del servizio è piuttosto strettamente correlata alla densità del consumo. Ciò è dovuto al fatto che un'interruzione nell'erogazione è molto meno fastidiosa nelle campagne che nelle città, dove il tipo di vita e la concentrazione delle persone negli edifici in condizioni molto diverse da quelle naturali rendono assai più gravi le conseguenze dei guasti, ma dove, nello stesso tempo, il maggior numero di utenti per chilometro permette di rinforzare le reti con nuovi allacciamenti a condizioni tanto più economiche quanto più alta è la densità del consumo. Poiché, a parità di regolarità del servizio, l'energia elettrica distribuita nelle campagne sarebbe molto più costosa di quella distribuita nelle città, si ammette una minore regolarità nelle campagne che consente un avvicinamento dei prezzi finali a quelli della distribuzione urbana, facilitando l'unificazione delle tariffe, com'è desiderabile dal punto di vista socio-economico. In prima approssimazione, la durata delle sospensioni dell'erogazione di energia elettrica dovute a guasti sembra variare secondo l'inverso della radice quadrata della densità superficiale del consumo: questo sta cioè a significare che, se in una regione si consumano 100 volte più chilowattora per chilometro quadrato che in un'altra, le interruzioni del servizio nella prima regione saranno in generale 10 volte minori che nella seconda.
Questa correlazione osservata nello spazio, che in pratica si verifica in parziale accordo con una giustificazione di principio, è evidentemente molto approssimativa ed ha delle probabilità di manifestarsi anche nel tempo, poiché lo sviluppo dei consumi rende la situazione delle campagne più simile a quella che si aveva un tempo nelle piccole città, e quella delle città piccole si avvicina a quella delle città grandi di una volta. Questo conferma dunque l'impressione che, secondo valutazioni di opportunità economica generale, converrà aumentare nel tempo la regolarità del servizio anche se ciò farà diminuire più lentamente, a prescindere dalle variazioni della valuta, il prezzo di vendita dell'elettricità.
4. Aspetti quantitativi.
a) Le misure comuni a differenti forme di energia.
Per precisare questi concetti occorre anzitutto intendersi sul modo di definire quantitativamente il valore delle energie in gioco. Al fine di avere una misura comune per le differenti forme di energia è spontaneo riferirsi al principio di conservazione dell'energia.
Tale principio esprime un'equivalenza che vale rigorosamente per l'energia meccanica e l'energia elettrica in quanto entrambe le forme di energia sono trasformabili l'una nell'altra in maniera reversibile. Purtroppo, invece, i processi in cui sono coinvolte l'energia meccanica e quella elettrica, da una parte, e l'energia termica, dall'altra, sono più complicati in quanto non sono reversibili.
Se si vuole produrre calore partendo dalle forme superiori (meccanica ed elettrica) attraverso la degradazione mediante strofinamenti meccanici o resistenze elettriche, la trasformazione è facile da realizzare e si ottengono 860 chilocalorie per chilowattora. Nel senso inverso, cioè per il passaggio dall'energia termica a quella meccanica o elettrica, il principio di conservazione dell'energia viene integrato da quello di Carnot secondo cui una determinata quantità di calore non può essere trasformata interamente in energia meccanica o elettrica, in quanto è necessario che allo stesso tempo venga degradata una certa quantità di calore che appare sotto forma di calore a una temperatura più bassa. La frazione di calore ad alta temperatura che potrà essere trasformata in energia meccanica o elettrica è tanto più alta quanto più alta è la temperatura iniziale rispetto a quella della sorgente fredda in cui si riversa l'energia degradata in calore.
Se una sorgente calda libera una quantità di calore Qc alla temperatura assoluta Tc, la massima energia meccanica o elettrica che si può ottenere è data dall'espressione
dove Tf è la temperatura della sorgente fredda in cui si riversa inevitabilmente il calore. Il calore degradato Qf ceduto a questa sorgente fredda è uguale almeno a
Il totale di queste due quantità dà nuovamente il calore di partenza Q, come previsto dal principio di conservazione dell'energia. Quindi, nel caso di una macchina perfetta, la frazione che può essere trasformata in energia meccanica o elettrica è uguale a
mentre, nei casi pratici, è sensibilmente inferiore a questo valore.
Per una temperatura della sorgente calda pari a 560 °C (cioè quella normale delle attuali centrali termiche classiche), che equivale a 560+273 = 833 °K, e una temperatura della sorgente fredda di 15 °C, ossia 288 °K, il rendimento termico massimo risulta così essere
In pratica, però, anche nelle centrali termiche a più alto rendimento esso non raggiunge neppure il 40% a causa delle perdite attraverso il camino, delle imperfezioni dei macchinari, delle perdite per effetto Joule nei circuiti elettrici, ecc.
Il ‛rendimento' così inteso caratterizza la proporzione di calore trasformabile in energia superiore, ma evidentemente il resto del calore non risulta ‛perso' agli effetti della conservazione dell'energia. Esso è trasferito alla sorgente fredda di cui tende a elevare la temperatura, con effetti che possono essere nocivi, come quando si parla di ‛inquinamento termico' dei fiumi, oppure invece utili se viene impiegato, per esempio, per l'allevamento di granchi o di pesci. Ma, in effetti, il danno o le possibili utilizzazioni che possono derivare dall'acqua tiepida ottenuta in questo modo hanno un'importanza minima rispetto al valore dell'energia così trasformata. Ciò significa che, con i migliori rendimenti pratici, una medesima quantità di energie vale 2,5 volte di più sotto forma elettromeccanica che sotto forma di calore alla temperatura più alta a cui sia oggi possibile far funzionare caldaie e turbine. I bilanci che si possono fare basando i valori di un'energia sul calore che può dare la sua degradazione (1 kWh ‛varrebbe' allora 860 chilocalorie) per il principio di Carnot non possono dare un immagine corretta delle trasformazioni energetiche.
b) Le differenti forme di energia paragonate sotto l'aspetto economico.
Dal punto di vista economico l'anomalia sarebbe assai maggiore: mentre infatti è facile trasformare l'elettricità in calore mediante semplici resistenze, cioè degli apparecchi poco costosi e a rendimento perfetto, la trasformazione inversa non soltanto è possibile solo in maniera parziale secondo il principio di Carnot, ma esige degli investimenti elevati e dà rendimenti pratici ancora di gran lunga inferiori ai rendimenti termodinamici teorici. Quindi economicamente l'energia in forma meccanica o elettrica vale molto di più rispetto a quella in forma calorifica anche a temperature assai alte. Per questo occorre diffidare dei bilanci energetici in cui le equivalenze economiche tra energie sono basate su una grandezza fisica scelta arbitrariamente in virtù del suo carattere elementare.
c) L'esempio della pompa di calore.
La difficoltà di fare dei bilanci energetici appare ancora più chiaramente se si considera il passaggio dall'energia meccanica o elettrica al calore non più attraverso la degradazione con uno strofinamento o una resistenza, ma con una pompa di calore che funziona secondo il ciclo termodinamico comunemente impiegato nei frigoriferi o nei condizionatori d'aria.
Una caloria sotto forma elettrica (equivalente a 4,18 joules degradati in calore) produce in questo caso 2 frigorie utili e nello stesso tempo anche 3 calorie che, in un frigorifero, vengono restituite all'atmosfera. Dal punto di vista della conservazione dell'energia il bilancio è semplice: 1 caloria elettrica dà 3 calorie di calore + 2 frigorie. Dal punto di vista del suo impiego economico in un frigorifero la caloria elettrica produce due frigorie, ossia due calorie per il raffreddamento. La stessa macchina può essere utilizzata anche per il riscaldamento mediante la pompa di calore: anche in questo caso la caloria elettrica produce 2 frigorie le quali, però, vengono restituite all'esterno, e 3 calorie utili le quali vengono impiegate per il riscaldamento. L'utilità economica della caloria elettrica è in questo caso di 3 calorie di calore.
In certi casi vengono utilizzate contemporaneamente sia le frigorie che le calorie, come quando, per esempio, si scalda una piscina e si raffredda una pista di pattinaggio. In questo caso con 1 caloria in forma elettrica si ottengono insieme 2 frigorie per il raffreddamento e 3 calorie per il riscaldamento. Per questo motivo i bilanci fisici non possono servire come base per quelli economici, tranne che nei due casi seguenti: a) quando vengono prese in considerazione trasformazioni reversibili tra energia meccanica ed energia elettrica (esse possono essere misurate sia in joule, cioè l'unità del sistema SI, che in chilowattora, di cui normalmente si adoperano i multipli, il megawattora, il gigawattora e il terawattora); b) nel caso delle equivalenze tra le possibilità calorifiche di diversi combustibili (carbone, petrolio, gas) capaci di erogare calore a temperatura elevata. In questo caso l'unità di misura generalmente usata è la chilocaloria e i suoi multipli (la megacaloria detta anche termia), ma in certi casi vengono adoperate anche le tec (tonnellate equivalenti di carbone) prendendo come base un carbone di potere calorifico definito (da 6.000 a 8.000 calorie PSI° a seconda degli organismi che utilizzano questa unità). Applicato al caso della degradazione che si ha in una resistenza (e non a quello della degradazione che avviene nel funzionamento di una pompa di calore) il principio fisico della conservazione dell'energia nelle trasformazioni dalla prima alla seconda forma di energia darebbe l'equivalenza tra due unità normali la quale corrisponde all'equivalenza fisica: 1 caloria = 4,18 joule;
Questa equivalenza, valida nella degradazione diretta in calore, non corrisponde però assolutamente ai valori economici nel caso di una pompa di calore o, il che è assai più importante, di una centrale termica.
Nella ricerca di una misura comune tra le due forme di energia si sono avute finora due scuole, e cioè quella della conservazione dell'energia e quella della misura comune mediante sostituzione.
d) La scuola della conservazione dell'energia.
L'energia viene valutata secondo la quantità di calore che essa è in grado di fornire in una degradazione completa. Questo è il principio adottato dalle statistiche dell'ONU (v., 1961, n. 15, p. 4): in esse si legge, infatti, che ‟non tutto il combustibile è utilizzato per la produzione di energia meccanica ed elettrica; in quanto una gran parte di esso va nella produzione di calore. Inoltre tutte le fonti di energia, a eccezione di quella idroelettrica, producono normalmente calore nel corso del procedimento di produzione dell'elettricità ed è per questo motivo che il confronto tra tutte le fonti di energia, compresa quella idraulica e quella nucleare, viene fatto ricorrendo al calore che esse potrebbero produrre in condizioni ideali". Così, secondo questa scuola, il kWh nucleare, idraulico o geotermico vale soltanto 860 chilocalorie ed è quindi equivalente a 0,125 kg di carbone (il cui potere calorifero è valutato dall'ONU in 6.800 chilocalorie per kg). Una tec corrisponderebbe quindi a
In effetti le tabelle delle statistiche dell'ONU calcolano i valori dei combustibili (petrolio, gas e carbone) in tec e riportano separatamente i valori dell'elettricità in kWh senza utilizzare il coefficiente di conversione per la somma totale.
Dal punto di vista economico l'impiego di questa misura comune per il valore dell'energia dopo la degradazione porta ad anomalie difficilmente accettabili: quando per esempio si costruisce una centrale idroelettrica o nucleare al posto di una centrale termica classica si risparmia non quello 0,125 kg ma almeno 2,5 volte di più.
e) La scuola della misura comune mediante sostituzione.
Proprio queste anomalie hanno spinto l'altra scuola a basare la misura comune per i confronti tra le due categorie d'energia sulla sostituibilità dei combustibili con l'energia idraulica (e in certi casi geotermica), che fu cosa consueta per un certo periodo, e sul fatto che occorreva costantemente operare una scelta tra la costruzione di centrali termiche e quella di centrali elettriche per fronteggiare lo sviluppo del consumo di elettricità. Il funzionamento di una centrale idroelettrica permette di risparmiare una certa quantità di combustibile, rispetto a quello di una centrale termoelettrica, ed è per questo che l'OCDE e la Commissione Economica per l'Europa attualmente considerano che 1 kWh prodotto in una centrale idroelettrica nuova permette il risparmio di 2.222 chilocalorie (2,22 termie) in confronto a quello prodotto in una centrale termica nuova. Questi stessi organismi usano come unità di misura la tec con valore di 6.666 megacalorie (termie), da cui si ricava l'equivalenza:
1 tec = 3.000 kWh.
I valori dei combustibili sono evidentemente calcolati in base al potere calorifico e, poiché quello del petrolio è all'incirca di 10.000 chilocalorie per kg, ossia 1,5 volte quello del carbone, ne deriva che la tonnellata equivalente di petrolio (tep) vale 1,5 tec. Analogamente, il gas naturale, quando è costituito quasi esclusivamente di metano, vale 1,5 tec per 1.000 m3. Certi organismi utilizzano cifre leggermente diverse: in Francia, per esempio, il Commissariat au Plan considera 1.000 kWh equivalenti a 0,350 tec invece che a 0,333.
Da una ventina di anni il principio di questa equivalenza dei combustibili calcolata attraverso la possibilità della loro sostituzione nelle centrali è stato ampiamente accettato, anche se ha avuto un significato assai variabile durante il periodo in cui il rendimento delle centrali termiche evolveva molto rapidamente. Nelle statistiche della Comunità Economica Europea, in cui giustamente il rapporto tra kWh e tec veniva fatto evolvere per mantenerlo aderente ai rendimenti effettivi, nel 1950 1.000 kWh erano equivalenti a 0,61 tec, mentre nel 1970 erano equivalenti soltanto a 0,32 tec, ossia pressappoco alla metà.
È difficile rendersi conto di quale sia stata l'effettiva utilità dell'equivalenza tra kWh e tec dal momento che essa veniva utilizzata soprattutto in presentazioni il cui significato reale è difficile da precisare. Essa permetteva di determinare la proporzione del consumo di elettricità da parte dei consumatori finali rispetto al loro consumo totale di energia.
Questo abbassamento progressivo del coefficiente di equivalenza faceva sì che la crescita della quota di energia usata per produrre elettricità fosse considerevolmente minore della crescita del consumo totale di energia: infatti questa frazione aumentava soltanto di circa il 25% mentre la crescita annuale dei consumi di elettricità era all'incirca il doppio della crescita annuale degli altri consumi energetici. In seguito, però, la crescita relativamente rapida dei rendimenti delle centrali si è arrestata: essa infatti era dovuta principalmente all'aumento delle temperature del vapore che crescevano in media di 7 °C all'anno; tali temperature, però, raggiunto il livello di circa 565 °C, hanno cessato di crescere in quanto le quantità di acciaio austenitico necessarie per elevare ulteriormente la temperatura erano tali da non giustificare più i risparmi corrispondenti di combustibile. In questo modo è venuta meno la principale difficoltà di stabilire una relazione tra il kWh e i combustibili.
Fino a quando le centrali nucleari saranno in concorrenza con quelle a olio combustibile, come lo erano già le centrali idroelettriche, non vi è alcuna difficoltà a calcolare i kWh nucleari secondo il risparmio di olio combustibile che può essere realizzato attraverso la sostituzione di un impianto nucleare a uno termico classico. Il problema cambierà a partire dal momento in cui cesserà ogni motivo di concorrenza, e cioè quando l'energia nucleare sostituirà completamente l'olio combustibile nelle nuove centrali di base. Ciò si verificherà indubbiamente in molti paesi; del resto, quando viene irrevocabilmente presa la decisione di costruire solo un numero molto limitato di centrali classiche, ciò ha un immediato risvolto anche dal punto di vista economico, in quanto cessa di esistere un mercato concorrenziale tra centrali classiche e centrali nucleari. Non essendo più necessario decidere sulla sostituzione di centrali classiche, viene a mancare la base per una misurazione comune tra consumo di combustibile e produzione di kWh mediante uranio.
I timori sia di aumento progressivo, ma forte, del prezzo del petrolio sia addirittura di penuria in caso di difficoltà negli approvvigionamenti porteranno senza dubbio a far cessare totalmente la costruzione di nuove centrali di base a olio combustibile. D'altra parte, poiché il carbone non è più in grado di risolvere altro che i problemi di regioni limitate, il tramite per la sostituzione si trova frazionato tra i kWh nucleari e idroelettrici da una parte e i combustibili (carbone, petrolio e gas) dall'altra. È ovviamente possibile continuare a fare delle statistiche energetiche raggruppando insieme i combustibili con i kWh idroelettrici e nucleari sulla base dei coefficienti usati attualmente ma, poiché tali coefficienti hanno perduto il loro significato iniziale, non si vede quale possa essere il significato reale delle statistiche globali fatte in questa maniera.
In che modo è allora possibile continuare a fare un bilancio energetico raggruppando insieme i combustibili e l'elettricità? Si potrebbe essere tentati di collegare l'uranio ai combustibili cercando un mercato in cui sia possibile una sostituzione dell'uno agli altri. Ciò potrebbe avvenire se l'uranio, che viene già adoperato in misura considerevole per produrre elettricità, fosse adoperato in quantità paragonabile per la produzione di calore per impieghi chimici o siderurgici, permettendo così di stabilire una relazione tra l'uranio e la termia, così come le centrali nuove la stabiliscono tra l'uranio e il kwh. Affinché si possa definire una misura comune sono però necessarie tre condizioni.
1. Anzitutto occorre che le produzioni siano su scala molto grande. Ci si può chiedere allora quale sia la probabilità di sviluppo, almeno negli insediamenti dell'industria pesante, di reattori nucleari che forniscano contemporaneamente l'elettricità e il vapore a contropressione, in modo da ricavare i vantaggi termodinamici di questa combinazione adattandosi alle temperature del vapore richieste dai consumatori. Il fatto che la produzione di elettricità, che si accompagna a quella di vapore, sia eventualmente sproporzionata rispetto ai bisogni dell'industria locale ha poca importanza, in quanto la rete di interconnessione elettrica, oltre ad assicurare il soddisfacimento dei bisogni di elettricità, permette anche di importare o di esportare potenza elettrica. Purtroppo, il trasporto a distanza del calore, per es. sotto forma di vapore, è invece molto costoso. Ora, poiché per le grandi concentrazioni di impianti è necessario mantenere disponibili delle superfici per l'espansione delle diverse industrie, e poiché le esigenze urbanistiche richiedono che le zone di abitazione non siano troppo lontane da quelle di lavoro, il costo di questo tipo di trasporto diverrebbe ben presto proibitivo. Per questo motivo è quindi impossibile assicurare la distribuzione di vapore allo stesso modo in cui si assicura, invece, quella di elettricità; da ciò deriva che è impossibile l'alimentazione di calore mediante un solo reattore, e d'altra parte l'alimentazione per mezzo di due o tre reattori più piccoli sarebbe assai più costosa. Tutto ciò induce generalmente a pensare che le realizzazioni di questo genere saranno poco numerose e ciò anche quando non vi saranno più inquietudini circa la presenza di un reattore nucleare proprio nel centro di una zona densamente industrializzata. Al momento attuale l'unico esempio di impianto di questo tipo è la Badische Anilin und Soda Fabrik (BASF).
2. In secondo luogo, è necessario che i coefficienti per la conversione di uranio in calorie non subiscano variazioni rilevanti a seconda delle utilizzazioni, cosa che però non può verificarsi se la chimica impiega calorie a bassa temperatura all'uscita dalle turbine a contropressione mentre, al contrario, la siderurgia richiede calorie a temperature altissime.
3. Infine, occorre che i diversi tipi di reattori utilizzino il medesimo tipo di uranio, in quanto l'unità di misura comune avrà un significato ancora meno chiaro se si tratterà di paragonare urani sottoposti a arricchimenti diversi: in particolare, il surrigeneratore non faciliterà l'equivalenza tra il chilogrammo di uranio e la caloria.
Da quanto detto sopra, si deduce che vi è una probabilità molto bassa che queste tre condizioni si possano verificare contemporaneamente.
Non essendo dunque possibile operare un confronto tra le diverse energie all'atto della produzione, si può allora tentare di operarlo al momento del consumo, in quanto in molti campi il combustibile e l'elettricità continueranno a farsi concorrenza e il consumatore potrà usare combustibile risparmiando elettricità, o viceversa. Economizzando una quantità dC di calore prodotto con combustibile egli farà crescere il consumo di elettricità di dE.
Purtroppo il valore del rapporto dC/dE è molto variabile a seconda del tipo di sostituzione impiegato. Nel caso di una sostituzione dell'elettricità al combustibile e in condizioni di equivalenza (cioè con assenza di perdite dal camino, uguale isolamento termico e uguale precisione di regolazione, ecc.), il rapporto sarà quello che si ricava dal principio di conservazione dell'energia, ossia 860 chilocalorie/kWh. Nel caso di impiego diretto dell'elettricità, invece, si evitano perdite consistenti dal camino, si ottiene un valore più alto della calorifugazione economica ottimale e, grazie alla regolazione più accurata del processo, si risparmia elettricità: in tal caso, il rapporto dC/dE, nella sostituzione, diviene sensibilmente più elevato.
Nel caso di produzione di calore a bassa temperatura mediante una pompa di calore anziché per combustione, il rapporto può essere da 3 a 4 volte superiore a seconda della temperatura che si vuole ottenere. Evidentemente, quando si tratta di sostituire un combustibile utilizzato in un motore diesel si ritorna a equivalenze analoghe a quelle usuali.
La grande varietà di casi possibili non consente di determinare a priori un fattore di sostituzione e anche la media di tutte le sostituzioni effettuate nel corso di uno stesso anno non è stabile ma può variare in maniera molto considerevole a seconda del tipo di sostituzioni impiegate. Ovviamente, è interessante seguire tali variazioni, ma è impossibile darne una stima fissa per fare nuovi bilanci energetici.
f) La scuola della suddivisione dell'energia in due settori.
In questa nuova situazione ci si può dunque domandare se non sarebbe meglio abbandonare ogni idea di misura comune tra combustibili ed energia elettrica e considerare quindi due settori distinti e cioè: da una parte i combustibili, carbone, petrolio e gas naturale, tutti in grado di produrre energia termica ad alta temperatura, di essere misurati in calorie (o termie o tec) e di essere fra loro addizionati; dall'altra l'energia idroelettrica e quella prodotta con centrali nucleari, misurate ambedue in kWh e addizionabili tra loro.
I due settori di energia non vengono considerati come sommabili tra loro e se si presenta veramente la necessità di calcolare la loro somma totale occorre trovare un'unità di misura comune adeguata in ciascun caso specifico. È ben vero che nei consumi delle centrali elettriche figurano anche dei combustibili e che dei kWh vengono usati dalle raffinerie, ma ciò non richiede una misura comune. Si può dunque calcolare separatamente il tasso di crescita annuale del kWh e delle calorie o tec finali forniti al consumatore. Tuttavia, non avrebbe senso parlare del tasso di crescita del totale, poiché ogni sua possibile definizione non troverebbe alcuna giustificazione nei problemi concreti.
La proposta d'istituire due settori indipendenti per l'energia potrà apparire sorprendente, ma in effetti noi ci guardiamo bene, per esempio, dal mescolare l'alimentazione all'energia facendo uso di una medesima unità di misura, e questo nonostante che il grano abbia un potere calorifero pari alla metà di quello del carbone e il petrolio fornisca delle proteine con le quali si è già cominciato a nutrire gli animali. Si possono quindi paragonare benissimo i tassi di crescita, dicendo per esempio che in Francia i bisogni alimentari crescono quattro volte più lentamente di quelli di elettricità, ma non è possibile fare un confronto in assoluto che abbia un significato economicamente valido.
g) L'illusione del rendimento finale.
Prima di abbandonare la questione delle misure comuni può essere utile rivolgere l'attenzione al ‛rendimento finale' nel quale si può essere tentati, attraverso una concezione erronea dal punto di vista fisico, di cercare una misura comune per forme diverse di energia. Questa concezione, utilizzando il fatto che l'energia meccanica è impiegata generalmente soltanto con un rendimento assai mediocre (mentre un radiatore elettrico ha un rendimento uguale all'unità), cerca di rivalutare l'energia meccanica rispetto a quella termica confrontando l'uguaglianza di ‛effetto finale', e di sfuggire così all'assurdità troppo evidente della comune misura per equivalenza nella degradazione dell'energia.
Purtroppo il ‛rendimento finale' non è un concetto suscettibile di essere precisato in maniera generale. Esso è abbastanza facile da comprendere quando si tratta per esempio di riempire un serbatoio di acqua, in quanto, in questo caso, esso è dato dal quoziente tra l'energia potenziale, misurabile in base al livello raggiunto dall'acqua nel serbatoio, e l'energia elettrica consumata dalla motopompa. Lo scarto tra questo quoziente e l'unità è dovuta al rendimento del motore elettrico, al rendimento della pompa, alle perdite di carica nelle condutture dell'acqua e all'energia cinetica residua dell'acqua al momento in cui viene immessa nel serbatoio.
Consideriamo, invece, il caso della trazione elettrica. È possibile calcolare il rendimento ‛alla ruota' della locomotiva e si vede che la reazione delle rotaie che spinge avanti la locomotiva dà già una potenza inferiore a quella presa sulla linea di alimentazione. La locomotiva deve far fronte anche alla resistenza dell'aria e inoltre si deve tenere conto di tutte le resistenze passive del treno. Non c'è alcun motivo per cui tali resistenze debbano essere quelle della locomotiva.
Prendiamo un altro esempio, tratto dal campo dell'illuminazione. L'energia elettrica destinata all'illuminazione sarebbe valorizzata molto di più rispetto a quella destinata al riscaldamento se si tenesse conto del fatto che soltanto una piccola parte della potenza di una lampada viene irradiata all'interno dello spettro visibile all'occhio umano (per es., all'incirca il 10% in una lampada a incandescenza, mentre il 70% è irradiato nell'infrarosso e il resto è disperso in calore per convezione). Ma anche questa frazione della potenza della lampada non viene interamente utilizzata. La maggior parte di essa, infatti, raggiunge oggetti che nessuno vuole guardare e viene semplicemente perduta, oltre a essere, in qualche caso, perfino nociva a causa dell'abbagliamento che comporta. Inoltre, solo una parte della luce che illumina gli oggetti effettivamente osservati penetra nelle pupille dell'osservatore e rappresenta una frazione veramente minima del totale emesso. Per avere un'idea dell'esiguità della potenza effettivamente utilizzata, basta pensare che l'occhio umano è sensibile a 10-15 watt.
Nella maggior parte dei casi, dunque, il rendimento finale non ha alcun significato pratico e non può servire come base per alcuna considerazione economica; tuttavia, esso può servire a mostrare che i bisogni di energia non sono bisogni reali dell'uomo e che sono possibili progressi di ogni genere per diminuire i consumi specifici e per soddisfare i bisogni umani con quantità di energia molto minori di quelle attualmente impiegate. Ciò è vero anche per il riscaldamento. Chiunque, per esempio, morirebbe di caldo anche in pieno inverno se vivesse in un vaso Dewar, e ciò dimostra che la calorifugazione degli edifici sarebbe in grado di risolvere il problema del riscaldamento sostituendo il combustibile. Si tratta quindi soltanto di sapere fino a che punto la calorifugazione possa dare un contributo economicamente valido alla riduzione delle spese di combustibile.
5. I bisogni classificati a seconda dell'uso.
a) La possibilità di soddisfacimento dei diversi bisogni di energia mediante l'energia nucleare.
Il fatto che la sostituzione parziale dell'energia nucleare al petrolio sia a lungo termine indispensabile giustifica il tentativo di fare una classificazione dei bisogni energetici in base alle possibilità di effettuare, nei singoli casi tale sostituzione. Anzitutto occorre notare che allo stato attuale l'energia nucleare può contribuire al soddisfacimento del bisogno di energia soltanto attraverso l'intermediazione dell'elettricità. Infatti, come abbiamo già osservato in precedenza, è difficile che i reattori nucleari siano in grado di sopperire al fabbisogno di calore delle industrie pesanti, in quanto queste necessitano di forniture regolari, ottenibili solo mediante un frazionamento della produzione di vapore tra diversi reattori, in modo da poter costituire sul posto una riserva sufficiente. Purtroppo, però, i reattori economici sono soltanto quelli molto potenti e quindi il frazionamento delle potenze sarebbe assai costoso. Per evitare un tale frazionamento occorrerebbe stabilire un'interconnessione tra i reattori che forniscono il vapore alle varie industrie, ma anche questo comporterebbe delle grosse difficoltà a causa degli alti costi del trasporto del calore.
Quindi, salvo rarissime eccezioni, l'energia nucleare può svolgere un ruolo energetico solo passando attraverso l'elettricità. L'elettricità, però, non è il solo vettore possibile, ed è stata suggerita la possibilità che un giorno i reattori nucleari producano idrogeno senza passare attraverso l'elettricità. In tal caso, l'idrogeno potrebbe essere trasportato mediante pipe-lines e essere immagazzinato come il gas naturale, ma per far ciò sono necessarie due condizioni.
La prima condizione è che i reattori possano fornire temperature assai più elevate di quelle attuali: il reattore a grafite, detto ‛ad alta temperatura' offre qualche speranza in questo senso, ma il reattore da 330 MW elettrici, finito di costruire solo adesso, e il modello da 1.160 MW elettrici, ancora in ordinazione, saranno in grado di fornire soltanto la temperatura necessaria per alimentare le turbine delle centrali classiche, ma assolutamente non sufficiente per la produzione di idrogeno. Dovrà passare ancora molto tempo prima che si riescano a raggiungere temperature abbastanza elevate ed è anche difficile prevedere se ciò sarà possibile senza investimenti supplementari molto consistenti.
La seconda condizione è data dal fatto che anche quando in un circuito di elio si dispone delle calorie necessarie, per ottenere l'idrogeno occorre ancora passare attraverso dei cicli chimici i quali sono tanto più complicati quanto meno elevata è la temperatura disponibile. Anche per tali cicli, i costi economici non possono ancora essere determinati con precisione.
È quindi possibile che in un futuro lontano l'idrogeno così prodotto svolga un ruolo analogo a quello attuale del gas naturale, sia nel caso che funga da vettore dell'energia nucleare, come l'elettricità, sia che sostituisca i prodotti petroliferi negli impieghi inaccessibili all'elettricità, come se, per esempio, gli aeroplani fossero alimentati a idrogeno liquido.
In conclusione, si tratta di idee molto stimolanti per ricerche approfondite, ma la cui realizzazione industriale è ancora incerta e richiederà in ogni caso più tempo di quanto il petrolio non ci conceda. Attualmente, dunque, con l'eccezione di alcuni impianti in grado di sfruttare direttamente il calore di origine nucleare, la sostituzione del petrolio con l'energia nucleare deve passare attraverso l'elettricità.
b) Classificazione dei bisogni di energia.
Passiamo ora a esaminare i grandi gruppi di bisogni energetici, cominciando da quelli che sono più difficili da soddisfare mediante l'elettricità (e quindi mediante l'energia nucleare) per finire invece con quelli soddisfatti quasi interamente mediante l'elettricità. Per determinare l'importanza relativa di questi bisogni ci si può servire dei bilanci energetici delle Comunità europee, che si riferiscono ai consumatori finali del mercato interno e includono gli impieghi non energetici della petrolchimica, tralasciando però i consumi di olio combustibile e di carbone delle centrali elettriche e della navigazione. Inoltre, qui non prenderemo in considerazione neppure i consumi propri delle industrie energetiche, in particolare le perdite di distribuzione e di trasporto, anche se la maggior parte delle statistiche energetiche li considerano tra i consumi finali.
Per il 1971 questi bilanci indicano i seguenti dati per l'insieme dei nove paesi della Comunità, compresa quindi l'Inghilterra che ha una parte importante per il consumo di carbone.
Il totale dei combustibili in tec (1 tec = 6.666 103 chilocalorie) e il totale in TWh, considerati separatamente, hanno entrambi un significato reale indiscutibile. Per poter fare dei confronti tra i due tipi di energia, le Comunità considerano la tec di combustibili equivalente a 3.000 kWh sulla base della sostituzione attuale nelle centrali nuove. Mediante tale equivalenza è possibile stabilire un rapporto convenzionale tra l'importanza dell'elettricità e quella dei combustibili che risulta essere di 252 a 828. Dai rapporti fra queste due cifre e la loro somma, 1.080, si ottiene rispettivamente che l'elettricità rappresenta il 24% e i combustibili il 76% dei consumi finali. Occorre tener presente che questi dati tengono conto degli impieghi non energetici ma si riferiscono al mercato interno e non comprendono quindi i combustibili per i trasporti per mare, dei quali parleremo in seguito.
c) Petrolchimica.
Come s'è già visto, una frazione dei prodotti petroliferi, che raggiunge già l'80%, viene assorbita da usi non energetici, il principale dei quali è la petrolchimica. Anche per il gas si ha una proporzione analoga. Questi usi diverranno certamente prioritari per i prodotti petroliferi, la cui sostituzione mediante l'energia nucleare dovrà essere effettuata in altri campi. Lo stesso vale per la carbochimica, anche se essa è assai meno importante e il suo sviluppo meno rapido.
d) Trasporti.
Su strada. - Nel settore dei trasporti il consumo di energia di gran lunga più importante è quello dei trasporti su strada (si tratta essenzialmente di benzina e di gasolio). Riportiamo a titolo d'esempio i consumi della Germania, della Francia e dell'Italia, per l'anno 1972, espressi in milioni di tonnellate (dalla distribuzione dei consumatori finali dei Bilans énergétiques della Comunità):
Ciò rappresenta un totale di circa 60 milioni di tonnellate di prodotti petroliferi pari al 20% del consumo di petrolio complessivo dei tre paesi.
Il consumo dei trasporti su strada continua a crescere rapidamente e non è seriamente ostacolato dalla carenza di infrastrutture stradali poiché, sia pure con deplorevole ritardo, si finisce sempre per prendere i necessari provvedimenti affinché la strada non si saturi troppo frequentemente né troppo a lungo. Se, da una parte, la crescente velocità dei veicoli tende a farne aumentare i consumi, dall'altra anche il rendimento va migliorando. Tuttavia, a un certo punto, dovrà verificarsi una saturazione e, inoltre, il turismo automobilistico potrà raggiungere un tetto massimo a causa della concorrenza dei viaggi in aereo: questa saturazione, benché ancora lontana in Europa, comincia già a manifestarsi negli Stati Uniti. La strada appare come il feudo del petrolio, anche se attualmente sono in corso sia ricerche sperimentali sia realizzazioni commerciali miranti a trovare degli sbocchi per i veicoli ad accumulatori, il cui sviluppo dall'inizio del secolo è stato piuttosto limitato. L'elettricità non potrà sostituire estesamente il petrolio fino a quando non sarà stato inventato un tipo di accumulatore che sia molto più efficiente di quello al piombo. Nonostante tutte le ricerche fatte in questo campo non si è ancora ottenuto alcun risultato decisivo. Si sono fatti molti progressi per quanto riguarda la robustezza, la durata della carica e la velocità di ricarica dell'accumulatore al piombo il quale però non consente ancora altro che limitati raggi d'azione e basse velocità.
Il veicolo elettrico può tuttavia sperare di inserirsi in determinati settori, come ad esempio in quello dei veicoli che devono effettuare fermate frequenti per consegne o prelievi (per es. per la raccolta dei rifiuti domestici), delle vetture leggere che non escono dall'area urbana, dei taxi, ecc. I vantaggi della vettura elettrica dal punto di vista dell'inquinamento fanno sperare che essa non verrà tassata alla stessa stregua dei veicoli a benzina, il che le permetterebbe di raggiungere un certo grado di sviluppo, ma non si può pensare che arrivi a costituire una parte sufficientemente importante del traffico stradale da permettere entro breve tempo una sostanziale sostituzione dell'energia nucleare ai combustibili stradali.
Aviazione. - Essa consuma tonnellaggi sensibilmente inferiori sotto forma di carboreattori e combustibile per aerei (quest'ultimo va perdendo sempre più terreno rispetto al carboreattore): questi infatti rappresentano soltanto un decimo dei consumi dei trasporti stradali, come mostrano i seguenti dati del 1972:
I tassi di incremento sono però molto più elevati per l'aviazione. Infatti, dal 1971 al 1972 l'aumento globale del traffico per le compagnie appartenenti all'Associazione Internazionale dei Trasporti Aerei (IATA) è stato del 13% per i passeggeri e del 18% per le merci. Il tasso di incremento dei bisogni energetici dell'aviazione è cresciuto in misura leggermente inferiore perché un aumento delle dimensioni degli aerei fa crescere la loro capacità di trasporto più velocemente delle loro dimensioni areali e quindi della forza di propulsione necessaria. Tenuto conto dell'aumento delle velocità, ma anche dei vantaggi resi possibili dalle quote di volo più alte, il consumo di energia cresce meno rapidamente del traffico. D'altra parte le statistiche relative ai rifornimenti di carburante agli aerei in ogni paese presentano delle irregolarità da un anno all'altro a causa dei cambiamenti delle politiche delle compagnie: queste, infatti, tendono a trasportare la minima quantità possibile di carburante per poter trasportare più merce, ma ciò nonostante gli scarti tra i prezzi del petrolio nei diversi aeroporti li inducono talvolta a caricare quantità maggiori di combustibile per evitare di servirsi di punti di rifornimento troppo costosi.
Navigazione. - La navigazione interna ha un'importanza assai scarsa e ovviamente molto variabile a seconda dei paesi. Nel 1971 essa ha consumato 0,9 milioni di tonnellate in Germania, 0,22 in Francia e 0,17 in Italia.
Per contro, i combustibili per il rifornimento sia delle navi nazionali sia di quelle straniere costituiscono dei tonnellaggi molto importanti i quali non vengono considerati dalle statistiche dei consumi interni. La loro importanza varia molto da un paese all'altro a seconda dell'organizzazione e del modo di sfruttamento dei trasporti marittimi, come si può giudicare dai dati seguenti, tratti dalle statistiche delle Nazioni Unite per il 1971:
Il totale di questo tipo di combustibile per i nove paesi della Comunità raggiunge all'incirca il 6% del loro consumo interno di prodotti petroliferi e può essere paragonato ai 14,6 milioni di tonnellate di prodotti pesanti impiegati a questo scopo negli Stati Uniti nel 1971. L'evoluzione nel tempo di tale tipo di consumo non sembra debba essere rapida per i prossimi anni: infatti, confrontando con i dati statistici del 1971 le previsioni per il 1973, fatte sulla base dei bilanci del gennaio 1973 della Comunità Europea per la Germania, la Francia e l'Italia, il tasso annuale medio di incremento non supera quasi l'1%, e ciò è spiegabile con l'aumento delle dimensioni medie delle petroliere e delle navi che trasportano minerali.
Ferrovie. - Si è ormai abbandonato il vapore e la trazione viene assicurata sia elettricamente che con motori diesel e, nella moderna tecnica dei turbotreni, con turbine a gas. Poiché la trazione elettrica richiede impianti fissi assai costosi per le linee di alimentazione e per le sottostazioni, sono elettrificate in prevalenza le linee sfruttate intensamente mentre il resto del traffico avviene mediante trazione diesel. Nella maggior parte dei paesi europei l'elettrificazione è oggi molto avanzata e su di essa si basa la parte più rilevante del traffico ferroviario: per esempio, mentre in Francia soltanto un quarto della lunghezza delle linee è elettrificato, su questa parte si svolgono i tre quarti del traffico. Negli Stati Uniti, invece, la situazione è diversa, poiché vi sono tuttora alcune linee intensamente sfruttate ma non ancora elettrificate.
In Europa sia la lunghezza delle linee elettrificate che l'entità del traffico assicurato mediante trazione elettrica sono destinate a variare solo in maniera molto lenta.
La lunghezza delle linee non elettrificate diminuirà leggermente perché fra di esse si trovano alcune linee che non sono più giustificate economicamente, anche senza tenere conto del capitale inizialmente investitovi, e in alcuni casi è ancora prevista la costruzione di linee elettriche, soprattutto per stabilire collegamenti ad altissime velocità. Sono anche previste delle linee periferiche ad alta velocità secondo diversi sistemi a cuscino d'aria o a sospensione magnetica e delle reti di ferrovie metropolitane; d'altra parte la velocità dei treni continuerà ad aumentare, facendo così crescere anche il consumo di energia. Il consumo energetico totale delle ferrovie è destinato ad aumentare piuttosto lentamente perché lo stesso ritmo di crescita dei trasporti è lento: nei 6 paesi della iniziale Comunità Europea il prodotto tonnellate per chilometri di merce trasportata è aumentato in media solo del 2,6% all'anno nel periodo 1960-1970.
La percentuale di trasporti ferroviari assicurati dalla trazione elettrica tenderà a crescere ancora per qualche tempo, ma la sua sostituzione al diesel sarà piuttosto lenta. Infatti, a parità di sforzo di trazione misurato alla ruota delle locomotive, si ha un coefficiente di equivalenza di 224 grammi di gasolio consumato per kWh misurato all'uscita dalle sottostazioni. Il vantaggio quindi è minore di quello che si aveva un tempo quando esistevano linee sulle quali la trazione era assicurata da locomotive a vapore, il cui scappamento avveniva direttamente nell'atmosfera e il cui rendimento termodinamico era di conseguenza estremamente basso, mentre oggi l'elevata temperatura del ciclo diesel determina un rendimento dello stesso ordine di quello delle grandi centrali termiche classiche.
e) Siderurgia.
Conviene considerare la siderurgia separatamente dalle altre industrie in quanto essa rappresenta la parte più importante del totale dei consumi energetici industriali (il 27% nell'insieme della Comunità Economica Europea, il 25% in Francia e Gran Bretagna, il 20% in Italia e il 30% in Germania) e inoltre essa è una delle industrie nelle quali il costo dell'energia incide maggiormente sul prezzo finale (per circa il 30%). La ghisa è ancora oggi prodotta mediante la riduzione del minerale di ferro negli altiforni, il che richiede coke metallurgico di resistenza meccanica sufficiente a impedirne lo schiacciamento per effetto della pressione di carica degli altiforni. Questo coke svolge due ruoli: il primo è quello chimico di riduttore degli ossidi di ferro e il secondo quello di produttore di calore per assicurare la temperatura necessaria per la fusione della ghisa e delle scorie. La ‛messa a mille', cioè il numero di kg di coke necessari per ottenere un kg di ghisa, si è mantenuta vicina al valore 1.000 fino al 1960 circa, ma per vari motivi da allora si è considerevolmente abbassata. Anzitutto, infatti, vengono utilizzati minerali a tenore di ferro più forte, cosa che è in parte dovuta alla diminuzione dei prezzi del trasporto marittimo mediante navi molto più grandi. Ciò ha avuto come conseguenza un forte sviluppo della siderurgia nei porti in grado di accogliere navi di alto tonnellaggio, anziché nelle vicinanze delle miniere di ferro o dei bacini carboniferi, come avveniva un tempo. Il più forte tenore di ferro del minerale fa diminuire la quantità di scorie e riduce di conseguenza il consumo energetico. Inoltre, oggi si procede sempre piu spesso a una preparazione preventiva del minerale mescolandolo con polvere di coke o carboni magri. Infine, a causa del prezzo relativamente alto del coke metallurgico, se ne riduce il consumo iniettando olio combustibile negli altiforni. In questo modo la messa a mille ha potuto essere ridotta da 1.000 a 600 circa, ma in questo bilancio energetico occorre tener conto della ‛diminuzione della produzione di gas dall'altoforno. Questo gas a basso potere calorifico non serve soltanto a riscaldare, mediante dispositivi di recupero, l'aria iniettata nell'altoforno, ma serve anche a scaldare le fornaci e le quantità eccedenti vengono utilizzate, anche se in misura minore di una volta, per la produzione di elettricità. Aggiungendo alla messa a mille relativa al solo coke le spese del carbone mescolato al minerale e quelle dell'olio combustibile iniettato e sottraendone il valore energetico del gas degli altiforni che può essere adoperato per altri usi, si ottiene un consumo energetico totale di poco superiore a 0,6 tec per tonnellata di ghisa prodotta.
Il consumo di energia necessario per la produzione di acciaio a partire dalla ghisa e dai rottami di ferro varia a seconda del tipo di acciaieria. Le acciaierie Martin, che ormai non vengono più costruite, e le acciaierie elettriche trattano un'alta proporzione di rottami di ferro e per questo motivo hanno un consumo meno elevato di energia, mentre un consumo maggiore l'hanno le acciaierie Thomas e soprattutto i procedimenti all'ossigeno che vanno acquistando maggiore diffusione. Tra l'altro, anche l'ossigeno rappresenta un consumo indiretto di energia sotto forma di elettricità, sia che esso venga prodotto dall'acciaieria stessa, sia che venga acquistato da fornitori esterni. Normalmente alla produzione dell'acciaio è associata la laminazione, la quale consuma combustibile nei forni di riscaldamento e elettricità come forza motrice. Attualmente il consumo totale di energia per tonnellata di prodotto per l'acciaieria e la laminazione sembra essere in media 0,18 tec, al quale occorre aggiungere 400 kwh. Se si considera anche la produzione di ghisa, si arriva a circa 0,8 tec + 400 kWh e, convertendo i kWh in tec mediante la misura comune tratta dalle centrali comuni, si ottiene un totale di poco inferiore a 1 tec per tonnellata di acciaio.
È però possibile che in futuro le cose cambino, qualora si riescano a ottenere dei risultati concreti dalle ricerche sulla riduzione diretta del materiale senza il passaggio attraverso l'altoforno e si sviluppino forni elettrici di grosso tonnellaggio. Può anche darsi che il consumo di acciaio diminuisca leggermente per effetto della concorrenza dell'alluminio e delle plastiche. Inoltre, si spera che un giorno la tecnica dei reattori a grafite e a elio ad alta temperatura sia in grado di offrire energia calorifica a temperature interessanti per la siderurgia, anche se per il momento i reattori sono soltanto in grado di poter alimentare turbine a vapore alla temperatura classica di circa 565 °C. Non è ancora chiaro se sarà possibile ottenere un aumento considerevole della temperatura dell'elio senza importanti investimenti supplementari e inoltre resterebbero ancora da mettere a punto le tecniche di scambiatori per permettere l'utilizzazione del calore disponibile in un circuito di elio in una forma adatta ai bisogni della siderurgia.
f) L'industria non siderurgica.
Se si esclude la siderurgia, l'industria si suddivide in vari settori molto diversi, i tre più importanti dei quali sono, sotto l'aspetto energetico, la meccanica, la chimica e l'industria delle calci e dei cementi: insieme esse rappresentano circa la metà del consumo energetico di tutte le industrie, mentre il resto si ripartisce fra un gran numero di settori classificati in maniera assai diversa a seconda dei paesi. Questo consumo di energia può essere suddiviso in tre grandi classi: a) la forza motrice e i suoi annessi; b) il calore e gli effetti chimici a esso legati; c) l'elettrolisi. Tratteremo separatamente queste tre grandi classi.
Forza motrice. - È ottenuta essenzialmente mediante motori elettrici e costituisce una frazione importante, leggermente superiore al 50%, del consumo di energia elettrica nelle industrie suddette. In questi ultimi anni le macchine elettriche hanno continuato a compiere importanti progressi, in particolare grazie ai perfezionamenti dei materiali isolanti e magnetici e anche perché l'elettronica permette di aumentare considerevolmente l'elasticità dei motori elettrici soprattutto consentendo una regolazione della velocità mediante tiristori. Con l'eccezione dei movimenti di autocarri all'interno delle fabbriche, le lavorazioni vengono fatte mediante motori elettrici i quali sono in grado di offrire nuove interessanti soluzioni. Le tecniche di automatismo si basano sempre più sull'elettricità dal momento che i comandi idraulici e pneumatici vengono riservati a casi speciali e oggi nella regolazione dei procedimenti si comincia ad avere un'interpenetrazione tra automatismo e trattamento dell'informazione; benché le energie consumate da questi impieghi ausiliari siano ancora relativamente modeste, i progressi compiuti dalla tecnica favoriscono la diffusione delle soluzioni elettriche.
Un nuovo tipo di impiego che consuma grandi quantità di forza motrice è la separazione degli isotopi, che deve necessariamente essere programmata in modo da poter fronteggiare i bisogni di combustibile delle centrali nucleari, le quali sono a loro volta indispensabili per fare fronte con sufficiente sicurezza alla crescita dell'insieme dei consumi energetici. Fino a oggi la separazione degli isotopi è stata sempre ottenuta mediante il procedimento di diffusione gassosa basato sulla differenza tra le velocità di diffusione attraverso barriere dell'esafluoruro di uranio 235 o dell'esafluoruro di uranio 238, differenza dovuta al fatto che le molecole di quest'ultimo, essendo leggermente più pesanti, passano con maggiore difficoltà attraverso le membrane. Questi passaggi successivi attraverso un gran numero di barriere richiedono una serie di compressioni che consumano forti quantità di energia elettrica e proprio per tale motivo il costo dell'energia rappresenta circa la metà del costo totale della produzione dell'uranio leggermente arricchito impiegato nei reattori ad acqua leggera. Questa quantità di energia dovrà essere sottratta dalla produzione totale delle centrali nucleari e conseguentemente ciò ridurrà la possibilità di queste ultime di far fronte alla domanda di elettricità. Non bisogna però esagerare l'importanza del carico sulle centrali nucleari costituito dall'alimentazione degli impianti per la separazione degli isotopi; esso, infatti, costituisce solo circa il 4% della produzione in regime permanente.
È stato osservato che, al livello delle industrie per la produzione di elettricità, l'arricchimento dell'uranio rappresenta un carico dello stesso ordine di grandezza di quello rappresentato dai servizi ausiliari delle centrali termiche. Questi servizi ausiliari sono però per la loro stessa natura integrati in tutte le unità di produzione e non permettono di trarre vantaggio dagli aumenti di dimensione che deriverebbero dalla loro concentrazione in grossi complessi. La fabbricazione di uranio arricchito, invece, richiede tanto più questa concentrazione quanto più è considerevole l'effetto delle dimensioni in un impianto di diffusione gassosa. Per approfittarne sarebbe però necessario costruire un impianto a livello di più paesi dell'Europa occidentale e non di uno solo di essi. Nel periodo in cui s'imponeva la costruzione di un impianto europeo di questo tipo a breve scadenza, gli studi su un altro procedimento di separazione degli isotopi basato sulla centrifugazione hanno fatto nascere la speranza di trovare una soluzione diversa, nella quale il consumo di energia sarebbe stato almeno dieci volte minore, anche se avrebbe richiesto un investimento più forte. Questo tipo d'impianto non dovrebbe necessariamente essere a livello dei bisogni europei e potrebbe anche essere costruito per tappe successive. D'altra parte, il numero di centrifughe necessarie sarebbe dell'ordine delle centinaia di migliaia e imporrebbe quindi la creazione di una grandissima fabbrica di centrifughe, d'importanza paragonabile a quella delle fabbriche per la produzione di automobili. Purtroppo è ancora difficile rendersi conto del tempo richiesto per la messa a punto di questa tecnica su una scala veramente industriale e del suo costo finale. Gli inventori del procedimento hanno molta fiducia nella possibilità di arrivare a prezzi inferiori a quelli della diffusione gassosa, ma il segreto che viene mantenuto sul progetto non permette di fare previsioni attendibili. In ogni caso, questo è un uso della forza motrice che può essere molto importante per la sua concentrazione, ma di cui non bisogna esagerare troppo l'importanza se lo si mette in relazione al complesso di paesi che ne utilizzeranno la produzione.
Calore. - Gli impieghi di energia sotto forma di calore nelle industrie diverse dalla siderurgia comprendono principalmente due settori, cioè le caldaie per la produzione di vapore per il riscaldamento industriale e i forni. Mentre le caldaie sono alimentate essenzialmente mediante combustibili solidi e liquidi, i forni sono alimentati per lo più mediante olio combustibile, ma in parte anche mediante elettricità e proprio per questo motivo il settore si presta alla penetrazione dell'energia nucleare attraverso il vettore costituito dall'elettricità. Ai vantaggi propri delle soluzioni elettriche costituiti dalla semplicità di regolazione e d'isolamento termico, nella concorrenza esistente in questo campo tra le due fonti di energia si vanno ad aggiungere la tendenza all'aumento del prezzo dell'olio combustibile e la diminuzione, in moneta costante, di quello dell'elettricità.
Oltre alle caldaie e ai forni vi sono numerosi bisogni industriali di riscaldamento localizzato (saldatura, essiccazione, procedimenti di fabbricazione, ecc.) per i quali l'elettricità fornisce dei mezzi che le assicurano già una parte rilevante del mercato (essiccazione in infrarosso, forni a induzione magnetica che scaldano i pezzi dell'indotto, induzione elettrostatica, ecc.).
Dalle statistiche non appare quale sia, nelle industrie dei diversi paesi (e sempre con l'esclusione della siderurgia), l'importanza relativa della forza motrice da una parte e degli usi calorifici dall'altra, ma sembra che in generale i consumi per la forza motrice siano superiori a quelli per il calore, anche se il confronto può non essere del tutto esatto dato che, essendo la forza motrice prodotta prevalentemente mediante l'elettricità, mentre il calore è al momento attuale prodotto soprattutto mediante combustibili, occorre servirsi dell'equivalenza tra una tec e 3.000 kwh. I confronti statistici tra diversi paesi sono inoltre resi più difficili dalla diversa incidenza del riscaldamento delle fabbriche e dei locali industriali, il quale viene spesso calcolato insieme ai consumi industriali propriamente detti; la tendenza a migliorare le condizioni di lavoro nelle fabbriche porta a un sensibile aumento di questo consumo, almeno in quei paesi in cui tale tipo di riscaldamento è giustificato.
Elettrolisi. - Il terzo impiego dell'energia nell'industria è l'elettrolisi. Poiché l'alluminio è essenziale per l'elettrolisi, ciò potrebbe indurre a scindere completamente questo uso dagli altri usi industriali. D'altra parte, basta pensare ai mutamenti che si potrebbero verificare per rendersi conto che alcune fabbricazioni per elettrolisi potrebbero cominciare a fare concorrenza ai procedimenti basati sul calore. A dire il vero, anche per lo stesso alluminio sono stati compiuti, alcuni anni fa, dei tentativi su scala industriale per sostituire l'elettrolisi con la fabbricazione attraverso l'intermedio del carburo d'alluminio, anch'esso prodotto mediante un forno elettrico, ma il procedimento non si è poi rivelato concorrenziale; l'esistenza di questa possibilità mostra tuttavia che vi può essere concorrenza tra i procedimenti termici e quelli per elettrolisi. Così, infatti, per lo zinco si tende oggi ad abbandonare i processi elettrotermici in favore dell'elettrolisi: tale evoluzione è dovuta da una parte al fatto che si richiede una maggiore purezza dello zinco e dall'altra al fatto che con tale procedimento è più facile la separazione del cadmio, divenuto ormai un sottoprodotto pregiato.
Nel complesso dei procedimenti industriali, i mutamenti vengono assai spesso provocati da un'evoluzione della domanda. Così, per esempio, fino ad alcuni anni fa una delle più importanti applicazioni del forno elettrico era la produzione di carburo di calcio, la maggior parte del quale serviva per ottenere l'acetilene e l'etilene i quali vengono oggi prodotti più economicamente come derivati del petrolio. La maggior parte di tali forni a carburo sono stati riconvertiti in forni a lega di ferro. Un esempio molto più antico di fabbricazione che è stata sostituita da un procedimento più economico è quella dell'azoto mediante l'arco: un arco voltaico produceva dei vapori di azoto che venivano immediatamente messi in contatto con dell'acqua o della calce. Questa industria poteva vivere soltanto in un regime di prezzi dell'energia elettrica molto bassi, quali si potevano ottenere in Norvegia e in certe valli alpine, e la possibilità di trasportare l'energia elettrica per impieghi più remunerativi ne ha decretato la fine.
Molte industrie evolvono in maniera tale che spesso si presenta l'occasione di sostituire un procedimento più economico a quello precedente. Basterebbe, per esempio, che il prezzo del petrolio crescesse del 5% all'anno in moneta costante mentre il prezzo dell'elettricità nucleare diminuisse di circa il 2% all'anno, perché la concorrenza tra i procedimenti a base di olio combustibile e quelli a base di elettricità portasse a delle sostituzioni anche nelle industrie pesanti. Le innovazioni e l'obsolescenza dei vecchi procedimenti rendono così relativamente più facile la sostituzione della fonte energetica nell'industria che nel riscaldamento domestico perché gli edifici sono soggetti solo molto lentamente all'obsolescenza e alla vecchiaia.
Il problema della sostituzione dell'olio combustibile con l'elettricità è semplicemente il proseguimento della sostituzione del carbone col petrolio verificatasi negli ultimi decenni, quando lo sviluppo dei prodotti petroliferi era dovuto sia all'aumento degli impieghi propri del petrolio sia alla loro penetrazione in quei settori che erano precedentemente alimentati dal carbone. Analogamente, la scarsità di petrolio e l'aumento del suo prezzo rispetto a quello dell'energia nucleare porteranno a una sostituzione, necessariamente assai lenta, dell'olio combustibile con l'elettricità. È così probabile che l'estendersi del consumo dell'elettricità nel proprio campo sarà accompagnato dalla sostituzione del petrolio con l'elettricità nei campi una volta serviti dal petrolio. Ciò porterà a un più elevato incremento del consumo di energia elettrica o per lo meno impedirà quella saturazione dei consumi elettrici che ci si sarebbe potuto attendere nei paesi sviluppati. La previsione dell'andamento di tali sostituzioni non è facile a causa della grande varietà delle industrie. Inoltre, il coefficiente di sostituzione dei kWh alle tonnellate di petrolio varia da un'industria all'altra. Per seguire questa evoluzione è dunque necessario basarsi su statistiche che tengano separati i consumi di combustibili, anziché darne prematuramente soltanto il totale espresso in tec.
I poteri pubblici possono sia accelerare tale tendenza alla sostituzione mediante misure fiscali, sia frenarla mediante quei divieti di aumenti dei prezzi in moneta corrente ai quali la lotta contro l'inflazione ci sta abituando. Si dice spesso che le difficoltà che gli Stati Uniti stanno attraversando in campo energetico sono dovute in parte al controllo dei prezzi il quale ha fatto sì che le forniture di gas siano avvenute a livelli corrispondenti a quelli del tempo in cui il gas era soltanto un sottoprodotto della produzione di petrolio, con la conseguenza che esso si è sviluppato in una serie di consumi per i quali diventa difficile far fronte alla crescita dei bisogni. Inversamente, delle imposte che avessero lo scopo di accelerare le conversioni avrebbero pesanti ripercussioni sulle industrie. Sembra quindi che le conversioni da una forma di energia a un'altra debbano essere facilitate con altri mezzi, in particolare con informazioni statistiche precise e mediante l'analisi delle equivalenze possibili in ciascun settore.
g) Il settore domestico e terziario.
Sotto questo titolo classifichiamo le abitazioni, gli uffici, il commercio, l'artigianato, gli ospedali, le piscine, ecc., ma non includiamo gli impieghi agricoli i quali consumano esclusivamente prodotti petroliferi. I consumi così definiti, rispetto al totale dei consumi interni (comprese le perdite e i consumi propri delle centrali e delle raffinerie), sono dati dalla tabella seguente compilata sulla base dell'equivalenza tra i tec e 3.000 kWh:
Questa statistica, fatta secondo i criteri tradizionali, sottovaluta leggermente l'importanza del consumo domestico perché a questo è da attribuire anche una parte delle perdite e dei consumi propri delle centrali e delle raffinerie.
Per determinare il livello di vita di un paese conviene considerare, come dato assai indicativo, il consumo per abitante. I consumi per abitante nel 1970 e il loro tasso d'incremento, calcolato questa volta sul periodo 1950-1970, sono indicati nella seguente tabella.
Si constata una tendenza assai irregolare al raggiungimento dei livelli più alti da parte di quei paesi il cui livello attuale è meno elevato; il debole tasso d'incremento del Regno Unito è dovuto al fatto che esso aveva iniziato prima lo sviluppo del suo consumo domestico. La spesa per abitante per il consumo privato mostra una buona correlazione con tale consumo di energia nel settore domestico e terziario e il rapporto tra i due è pressappoco di 1.000 dollari/tec.
Se si considera anzitutto il solo consumo di combustibili, lasciando da parte quello di elettricità, si nota che la proporzione di calore prodotto da ciascuna categoria di combustibile varia da un paese all'altro in relazione alle sue risorse naturali di carbone (dati tratti dalle statistiche della Comunità Europea per il 1972).
Questi rapporti sono evidentemente assai meno stabili di quelli intercorrenti tra il consumo domestico e il totale dei consumi finali perché essi non soltanto variano al variare delle strutture del consumo domestico, ma dipendono anche dai mezzi di produzione e d'importazione dei diversi combustibili.
L'evoluzione dei rapporti tra i diversi combustibili dipende dalle condizioni particolari di ciascun paese, ma il rapporto tra il consumo di elettricità e quello degli altri consumi domestici ha un carattere più generale e dev'essere considerato molto attentamente in vista del futuro, poiché, almeno fino alla fine del XX secolo, è essenzialmente mediante l'elettricità che si può pensare di sostituire l'energia nucleare al petrolio. Nella Comunità dei 9 paesi europei il consumo domestico terziario per il 1971 è stato di 297 M. tec per l'insieme dei combustibili (carbone, petrolio, gas) e di 370 Terawatt-ora per l'elettricità. Trasformando i kilowattora in tec al tasso di 1 tec per 3.000 kWh (ossia di 1 M. tec per 3 TWh), il consumo di elettricità equivale a 123 M. tec e le percentuali dei combustibili e dell'elettricità rispetto al totale sono
Ciò significa che se fosse necessario soddisfare questo consumo di elettricità mediante centrali termiche a carbone, la spesa corrispondente di combustibile sarebbe pari ai 123/297 della spesa diretta di combustibile nel settore domestico. Ci si può anche limitare a constatare che un consumo di 297 M.tec è stato accompagnato da un consumo di 370 TWh, ossia che parallelamente al consumo di 1 M.tec si è avuto un consumo di 1,246 TWh il che equivale anche a dire che per ogni tec sono stati consumati 1.246 kwh.
I dati appena riportati riguardano l'insieme della Comunità Europea dei 9 paesi, ma il rapporto tra kWh e tec varia considerevolmente da un paese all'altro, come è dimostrato dalla seguente tabella.
La cifra elevata per la Gran Bretagna è dovuta all'importanza che il riscaldamento elettrico ha già acquistato in quel paese e alla diffusione delle cucine elettriche.
È interessante seguire l'evoluzione nel tempo del consumo di combustibile da una parte e di quello di elettricità dall'altra ed è possibile rendersi conto di essa attraverso un confronto tra i valori dei consumi domestici relativi alla Comunità dei 9 per il 1971 e quelli per il 1973 (i dati per questo anno sono solo una stima provvisoria). A causa della ristretta base temporale e del carattere provvisorio dei dati per il 1973, i tassi medi d'incremento che se ne deducono, pur avendo soltanto un valore alquanto approssimativo, hanno però il vantaggio di illustrare l'evoluzione più recente.
Già da questi dati è possibile constatare una progressione più rapida dell'elettricità che dei combustibili, ma l'aumento dei prezzi dei prodotti petroliferi è destinato ad accentuare ulteriormente questa tendenza e probabilmente, fra breve, farà persino regredire i combustibili e accelerare lo sviluppo dell'elettricità.
Il riscaldamento. - Costituisce una parte importante dei consumi domestici, almeno per le regioni in cui il clima è abbastanza rigido. Da una decina di anni a questa parte l'elettricità ha cominciato a far concorrenza all'olio combustibile e al gas anche in questo campo. Con il rincaro dei prezzi del petrolio e grazie a una maggiore esperienza della tecnica del riscaldamento elettrico, tale concorrenza diviene più agevole. Infatti, il mercato di questo tipo di riscaldamento si va sviluppando in vari paesi, in particolare in quelli scandinavi, negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Germania, in Francia e in Belgio.
Dal punto di vista delle condizioni tecniche, l'installazione del riscaldamento elettrico in una costruzione nuova si presenta in maniera assai diversa da quella del riscaldamento per combustibile, in quanto essa è considerevolmente meno costosa perché evita la necessità di costruire la caldaia, il camino e il deposito di combustibile. D'altra parte, se le condizioni di funzionamento fossero identiche, la spesa per unità di calore sarebbe maggiore. Il bilancio, però, comprende un terzo elemento, ossia l'isolamento termico dei locali: conoscendo il prezzo di tale isolamento in funzione della sua efficacia, se ne possono determinare le caratteristiche ottimali e si trova che, fino a quando i prezzi restano a un certo livello, con il riscaldamento a combustibile non vi è motivo di rinforzare l'isolamento naturale costituito dai materiali di costruzione dell'edificio, cioè i muri e i vetri. Un forte aumento di questi prezzi rimette però in discussione tale conclusione. Nel caso del riscaldamento elettrico, invece, l'isolamento ottimale supera considerevolmente quello naturale dell'edificio, ma il capitale necessario per ottenere tale isolamento supplementare rimane inferiore al risparmio che si realizza sopprimendo la caldaia, il camino e il deposito di combustibile. Inoltre, con il riscaldamento elettrico è più facile regolare la temperatura stanza per stanza ed è così possibile eliminare il calore consumato nel surriscaldamento inutile di alcune stanze, per esempio delle camere da letto. Tenuto conto di questi elementi, negli edifici nuovi, in cui è facile isolare i muri e in cui si possono usare doppi vetri, il riscaldamento elettrico è concorrenziale con quello per combustibile.
La penetrazione del riscaldamento elettrico negli edifici vecchi è invece un problema più complesso. Quando un impianto di riscaldamento esiste già, ma è insufficiente, l'elettricità può costituire un mezzo comodo per completarlo, mentre nel caso di edifici vecchi non ancora riscaldati essa consente una installazione assai più semplice. Quando invece esiste già un sistema di riscaldamento efficace, non vi è praticamente alcuna possibilità di sostituirlo con un sistema elettrico, salvo che si tratti di rinnovare completamente l'edificio.
Fino a quando ogni aumento del consumo di elettricità si traduceva in un consumo supplementare di olio combustibile nelle centrali elettriche, il fatto che il riscaldamento fosse assicurato dal combustibile o dall'elettricità non influiva praticamente sul consumo totale di prodotti petroliferi. Infatti, l'elettricità supplementare veniva prodotta con un consumo da parte delle centrali elettriche di una quantità di combustibile corrispondente a un rendimento di solo il 40% circa, mentre il riscaldamento mediante combustibile, tenuto conto delle varie perdite, in particolare di quelle dal camino, ha un rendimento del 60% circa. D'altra parte, per le ragioni esposte in precedenza, i locali destinati al riscaldamento elettrico sono meglio isolati e la regolazione della temperatura è complessivamente migliore. Dal bilancio totale appare quindi che in media il consumo finale di combustibile, in un caso alla centrale e nell'altro sul posto, è approssimativamente lo stesso. Dal punto di vista dell'approvvigionamento dei prodotti energetici, il problema della concorrenza tra riscaldamento elettrico e per combustibile sarebbe dunque privo d'importanza, ma la situazione muterebbe in maniera radicale al momento in cui ogni nuova domanda di elettricità venisse soddisfatta dallo sviluppo delle centrali nucleari e non più da quelle a olio combustibile.
Così la penetrazione del riscaldamento elettrico avviene soprattutto negli edifici nuovi ed è quindi assai lenta, dato che le costruzioni hanno in generale una vita piuttosto lunga prima di richiedere revisioni profonde. In definitiva, la sostituzione del petrolio con l'energia nucleare attraverso l'elettricità avverrà senza dubbio in questo campo, a causa dell'aumento relativo del prezzo del petrolio rispetto a quello dell'elettricità, ma essa avverrà solo progressivamente e lentamente a seconda dello sviluppo dell'edilizia. Questo è uno dei motivi per cui occorre incoraggiare uno sviluppo il più rapido possibile di tale tipo di riscaldamento: infatti, ciò è nell'interesse degli utenti, in vista del probabile aumento del prezzo dei prodotti petroliferi, e l'economia generale ne trae il vantaggio di assicurare la sostituzione del petrolio mediante l'energia nucleare. Queste considerazioni valgono tanto per gli uffici e gli stabilimenti commerciali quanto per le abitazioni, e si applicano anche a una gran parte dei consumi terziari.
Se si considera ora il problema del riscaldamento sul periodo lungo, dell'ordine di due o tre decenni, esso è destinato, se non a sparire, almeno a trasformarsi. Infatti tutti gli apparecchi domestici all'interno degli edifici producono calore e il loro uso contribuisce a scaldare l'ambiente in cui vengono adoperati. Le calorie dell'acqua calda vanno in parte perdute negli scarichi, ma l'illuminazione contribuisce direttamente al riscaldamento delle stanze; il problema è invece più complesso per la cucina perché in essa spesso l'aria viene cambiata mediante un sistema di aereazione. Non è però escluso che si possano sviluppare dei sistemi di recupero, in cui una pompa di calore, per esempio, sfrutta la temperatura dell'aria espulsa dall'abitazione per riscaldare quella che entra. Comunque sia, lo sviluppo costante degli apparecchi domestici libera negli edifici quantità sempre maggiori di calore che possono essere considerate gratuite dal momento che la spesa viene compiuta per altri scopi (da qui l'espressione free heat che viene ormai usata internazionalmente senza essere tradotta). Già in certe abitazioni dei paesi scandinavi, nelle quali vi è un alto grado di comfort e che sono molto bene isolate, il riscaldamento è necessario solo in casi eccezionali. Questo fenomeno andrà generalizzandosi e l'intensità del riscaldamento è destinata a decrescere con il passare del tempo, dal momento che la temperatura di 22 o 23 gradi appare come un massimo che non sarebbe nè gradevole nè salubre superare; la tendenza ad aumentare la temperatura interna delle abitazioni sta dunque arrivando al punto di saturazione.
Il consumo domestico tenderà così a raggiungere un livello massimo, in quanto la parte destinata al riscaldamento diminuirà a mano a mano che gli altri consumi continueranno a crescere: in particolare, le illuminazioni giudicate necessarie e piacevoli aumentano progressivamente e sono ancora lungi dall'avere raggiunto il livello massimo, perché l'occhio umano è abituato alla luce solare molto più intensa di quella ottenibile nei locali chiusi. Anche l'uso di acqua calda, che in parte contribuisce a riscaldare le case, è in costante aumento. Ma con il diminuire dei bisogni di riscaldamento, si faranno sentire bisogni di condizionamento dell'aria, in particolare per eliminare, con l'eccezione dei periodi di freddo, il calore prodotto dall'illuminazione. Per il momento i bisogni di condizionamento sono ancora limitati agli uffici e agli edifici commerciali situati a nord di una linea leggermente al di sotto del 45° parallelo, ma bisogna notare che gli edifici di volume molto grande hanno sempre bisogno, anche in inverno, di pompe di calore che ne raffreddino la parte centrale e respingano il calore verso i muri esterni.
Il problema del prossimo decennio è quindi quello del riscaldamento: la sostituzione del riscaldamento elettrico a quello a combustibile permetterebbe la sostituzione, in misura considerevole, dell'energia nucleare al petrolio, ma purtroppo questo processo può attuarsi soltanto in modo assai lento perché l'installazione di un certo tipo d'impianto di riscaldamento in un edificio determina per un tempo molto lungo anche il tipo di combustibile che dovrà essere utilizzato. Questo è un motivo in più per adottare su scala sempre più vasta e al più presto possibile il riscaldamento elettrico nelle nuove costruzioni: infatti la posta in gioco è grossa, dato che, come si è visto, la proporzione dei consumi finali rappresentata dai consumi domestici e terziari è in media pari a circa un terzo del totale.
h) La desalinizzazione dell'acqua del mare.
Gli agglomerati urbani consumano quantità sempre maggiori di acqua per abitante: attualmente circa 100 litri per abitante in Europa e 200 negli Stati Uniti. Senza dubbio già ai tempi dell'antica Roma l'acqua poteva essere trasportata a distanze assai grandi mediante acquedotti; oggi il prezzo di tale trasporto è considerevolmente ridotto dalla tecnica delle pipe-lines. Tuttavia, con il tempo è destinato ad aumentare sempre di più il numero di quegli agglomerati che potranno procurarsi acqua dolce soltanto attingendo a fonti di rifornimento situate a grande distanza. In questo modo, se tali agglomerati urbani non sono troppo lontani dal mare, potrà divenire concorrenziale la desalinizzazione dell'acqua marina. Il campo aperto alla desalinizzazione sarebbe ancora più vasto se questa potesse essere sfruttata anche nell'agricoltura per l'irrigazione di terre fertili e assolate, ma aride per insufficienza di pioggia. Purtroppo, però, mentre i costi sono fin d'ora di un ordine di grandezza tale da poter rispondere ai bisogni impellenti delle città che si trovano in situazione sfavorevole dal punto di vista dell'approvvigionamento di acqua dolce naturale, essi sono tuttora lontani da quelli che occorrerebbero per rendere redditizia un'agricoltura di questo tipo. Poiché tuttavia le quantità di energia teoricamente necessarie per la desalinizzazione dell'acqua sono assai piccole, si può sperare che un giorno questa nuova tecnica raggiunga prezzi finali sufficientemente bassi da consentirne l'impiego nell'agricoltura, alla quale potrebbe dare un apporto considerevole. Inoltre, mediante la desalinizzazione con il procedimento multiflash, che è quello più diffuso, si ottiene acqua estremamente pura (da 3 a 5 ppm, cioè parti per milione) che corrisponde ai bisogni delle industrie chimiche e che può anche servire per migliorare la miscela delle acque destinate al consumo urbano, contenenti una proporzione un po' troppo elevata di sali: in questo caso è possibile ricondurle, mediante aggiunta di acqua molto pura, al valore di 100-200 ppm richiesto per gli impieghi urbani.
Vi sono dunque sbocchi considerevoli aperti alla desalinizzazione quando questa tecnica si sarà ben affermata e a mano a mano che i suoi prezzi finali diminuiranno. Attualmente sembra che il costo di 1 m3 di acqua dolce prodotto a partire dall'acqua marina si possa valutare intorno a 0,3 dollari. Esistono numerosi procedimenti per la desalinizzazione, alcuni dei quali si adattano bene alla grande varietà della composizione delle acque salmastre o residue, ma quello che si diffonde maggiormente per il trattamento dell'acqua di mare è il procedimento multiflash di distillazione per passaggi successivi in camere in serie. A causa dei depositi che si formano, è possibile partire al massimo da vapore con temperature di 100 o 120 °C, cioè da pressioni da 1 a 2 bar. La produzione di tale vapore in una caldaia porterebbe a spese d'energia proibitive fuorché in quelle regioni in cui viene prodotto il petrolio o in cui il gas viene lasciato bruciare liberamente all'uscita dai pozzi. Invece esso può essere ottenuto a costo molto inferiore per contropressione all'uscita di un turboalternatore alimentato da una caldaia ad altissima pressione, il che ovviamente presuppone che vi sia modo di utilizzare l'energia elettrica prodotta: questo avverrà normalmente nel caso delle forniture di acqua dolce a grandi agglomerati dei paesi sviluppati (per es. in California) i quali devono fronteggiare anche bisogni industriali e domestici di energia elettrica. L'associazione della produzione di acqua dolce a quella di elettricità è allora imposta da motivi di economia.
A parità di spesa di combustibile, il fatto di arrestare l'espansione del vapore a una temperatura di 100-120 0C sopprime la produzione di energia elettrica negli stadi di bassa pressione ai quali sarebbe possibile sfruttare il vapore alla temperatura di un condensatore, il che fa perdere circa 10 kWh per m3 di acqua prodotto. La produzione di 1 m3 di acqua sottrae quindi 10 kWh al medesimo consumo di combustibile sia classico che nucleare, per cui i m3 di acqua costa almeno 10 kwh. A questo occorre aggiungere un investimento supplementare perché gli stadi di bassa pressione di una turbina vengono sostituiti da una linea di desalinizzazione notevolmente più costosa. Così, non desta sorpresa il fatto che il prezzo effettivo di 1 m3 d'acqua sia all'incirca doppio di quello dei 10 kWh che esso è costato per la mancata produzione di energia da un'eguale quantità di combustibile. Se però si guarda il problema non sotto l'aspetto dell'equivalenza economica ma sotto quello dell'equivalenza puramente energetica, si trova un'equivalenza tra la produzione di i ma di acqua e quella di 10 kwh.
Così il rifornimento di acqua di un insediamento urbano che richiede 0,150 m3 di acqua al giorno per abitante influisce sul consumo di combustibile fossile o nucleare nella stessa misura del consumo di 1,5 kWh al giorno per abitante, ossia di 550 kWh all'anno per abitante, il che rappresenta un ordine di grandezza vicino a quello dei consumi domestici di elettricità della medesima città. Ciò dimostra quale potrà essere l'importanza di questo consumo supplementare quando un gran numero di città sufficientemente vicine agli oceani saranno costrette a ricorrere alla desalinizzazione dell'acqua marina.
Per apprezzare il parallelismo tra la produzione di elettricità mediante turbine a contropressione e la produzione di acqua dolce mediante linee di desalinizzazione da esse alimentate occorre distinguere tra le centrali moderne a olio combustibile e quelle nucleari ad acqua leggera. In una centrale classica a combustibile fossile funzionante alla temperatura di 565 0C, la produzione di 1 m3 di acqua è accompagnata dalla produzione effettiva di 25 kwh. La produzione di 1 m3/giorno di acqua è quindi accompagnata da quella di circa 1 kW. In una centrale nucleare ad acqua leggera, invece, essendo più bassa la temperatura del vapore prodotto, la produzione di energia elettrica che accompagna quella di 1 m3 d'acqua si riduce a circa 10 kwh. In altri termini, la portata di 1 m3/giorno è accompagnata dalla produzione di 10/24≃0,4 chilowatt di elettricità. La possibilità di costituzione di scorte d'acqua permette un certo adattamento della produzione giornaliera di elettricità ai bisogni d'acqua.
È stato spesso detto che la desalinizzazione diventerebbe redditizia soltanto con impianti di dimensioni molto grandi e oggi sembra che l'effetto della dimensione raggiunga un valore di saturazione intorno a una produzione compresa tra i 30.000 e i 40.000 m3 giornalieri. Se si supera in maniera sensibile questa portata diviene necessario mettere in parallelo più linee di desalinizzazione, le quali possono, beninteso, essere alimentate da un solo turboalternatore a contropressione. Per fare in modo che si possa disporre sempre di un minimo di alimentazione in caso di guasto o durante i periodi di manutenzione, occorre che vengano previsti dei frazionamenti sia per la produzione dell'acqua che per quella dell'elettricità.
Fino a oggi non si hanno ancora casi di produzione di acqua dolce per l'alimentazione di città o di regioni che consumino grandi quantità di energia elettrica. I primi esperimenti pratici riguardano sia isole che hanno bisogni elettrici sufficienti per assorbire la potenza corrispondente ai loro bisogni di acqua, ma che non sono però abbastanza grandi da trarre pieno vantaggio dall'effetto di dimensione, sia regioni aride del Medio Oriente le quali hanno molto più bisogno di acqua che di elettricità e dispongono di petrolio a prezzi molto bassi o addirittura di gas che attualmente viene lasciato bruciare all'uscita dai pozzi. In questo caso è ovviamente più conveniente alimentare la linea di produzione dell'acqua mediante turbine a contropressione alquanto semplici che funzionano a temperature poco elevate e in certi casi conviene perfino utilizzare caldaie dirette. La capacità totale degli impianti in servizio nel mondo all'inizio del 1973 era dell'ordine dei 2 milioni di m3 d'acqua al giorno, ma il suo sviluppo da un anno all'altro è assai irregolare: la capacità totale comunque è raddoppiata negli ultimi cinque anni. Le prospettive a lungo termine sono comunque importanti a causa della crescita continua dei bisogni di acqua e della scarsezza delle risorse locali in grado di farvi fronte in avvenire.
Prospettive ancora più ampie si potrebbero aprire se i costi diminuissero fino a un livello tale da rendere redditizia l'agricoltura basata sull'acqua proveniente dalla desalinizzazione, ma per il momento questa eventualità è ancora assai lontana e aleatoria. Conviene tuttavia valutare l'importanza che essa potrebbe avere. I bisogni di acqua per l'irrigazione delle zone aride sono assai variabili e dipendono dal grado di aridità e dalle colture previste. Per condizioni medie in zone relativamente aride e per un'irrigazione con il sistema dell'aspersione, oggi diffuso, occorre fare in modo da portare ogni giorno una quantità d'acqua corrispondente all'altezza di circa un centimetro su tutta la superficie da irrigare.
Questa è la portata da preventivare se si ammette che un immagazzinamento dell'acqua possa compensare le fluttuazioni giornaliere della domanda da parte degli utenti e se non si prevede la creazione di scorte per una scala temporale più lunga. Essa rappresenterebbe quindi 10.000 m3 d'acqua per km2 al giorno. Il fattore di carica annuale varierebbe considerevolmente a seconda della coltura e del clima e sarebbe alto soltanto nelle zone aride molto assolate per le quali si possono prevedere fino a tre raccolti all'anno.
Questa produzione di 10.000 m3 d'acqua giornalieri ottenuta mediante centrali ad acqua leggera sarebbe accompagnata dalla produzione di 100.000 kWh al giorno, ossia da 4.000 kW permanenti, il che rappresenta una potenza per km2 estremamente elevata corrispondente a una densità di potenza dell'ordine di quella consumata negli agglomerati urbani dell'Europa occidentale. Tale valore è sufficiente a illustrare la difficoltà insita nel rendere i bisogni d'acqua proporzionali alla produzione di energia elettrica, cioè la difficoltà di coordinare lo sviluppo dell'irrigazione così alimentata con lo sviluppo dei consumi energetici sia industriali sia domestici. Non è perciò affatto semplice sviluppare dei consumi industriali a distanze ragionevoli dalle zone di produzione di acqua e anche la soluzione che viene in mente per prima, quella di produrre alluminio in un porto, non può essere estesa indefinitamente. Anche la petrolchimica potrebbe fornire delle soluzioni dal momento che essa richiede vapore ad alta pressione e sarebbe quindi in grado di fornirne a bassa pressione alle linee di desalinizzazione. Infine anche dei processi termodinamici potrebbero permettere, attraverso la compressione di vapore, di utilizzare una parte dell'energia elettrica eccedente per aumentare la portata d'acqua prodotta, ma questo procedimento sarebbe più costoso di quello con cui è possibile sfruttare l'energia elettrica disponibile.
Da tutto ciò risulta evidente l'importanza economica che potrà assumere la desalinizzazione in un avvenire che, se se ne eccettuano gli impieghi per l'alimentazione delle grandi città costiere, nelle quali presto comincerà a scarseggiare l'acqua, appare ancora molto lontano.
6. La previsione dei bisogni.
a) La scala temporale delle previsioni.
Le previsioni dei consumi possono anzitutto essere classificate in base alla scala temporale secondo cui si considera l'avvenire. Lo sfruttamento corrente, l'amministrazione delle scorte, l'organizzazione dei trasporti, e così via, richiedono previsioni a breve termine le quali pongono soltanto problemi correnti di gestione simili a quelli delle altre industrie. Al contrario, per gli impianti (per es. le centrali, le raffinerie, le pipe-lines, le linee ad altissima tensione) occorrono tempi di previsione di parecchi anni ai quali si devono poi aggiungere tempi di preparazione, accordi amministrativi, ecc. Per esempio, attualmente si preventivano 6 o 7 anni tra il momento in cui viene decisa la costruzione di una centrale nucleare e quello in cui essa diviene operativa. Trattandosi di investimenti enormi, non è assolutamente possibile anticiparli prima che ne sia stata chiaramente stabilita la necessità e occorre quindi stimare i consumi futuri 6 o 7 anni prima che essi si manifestino. Le previsioni a più lungo termine hanno un'importanza minore se non sussistono incertezze circa il tipo di centrale da costruire, perché esse possono influire soltanto in misura leggera sui carichi supplementari di sfruttamento. Se invece si esita, per esempio, tra la costruzione di una centrale nucleare e di una idroelettrica, le previsioni diventano indispensabili perché in questo caso occorre poter confrontare tra loro le conseguenze economiche che tale scelta avrà sullo sfruttamento congiunto, nel corso di tutti gli anni seguenti, di mezzi di produzione dalle caratteristiche molto diverse.
È comunque certo che, dal punto di vista economico, la previsione più importante è quella che riguarda il periodo dei primi 6 o 7 anni ed è quindi a questo termine che è importante stimare il più accuratamente possibile i bisogni futuri. I problemi sono analoghi anche per altri impianti: nel caso delle raffinerie, per esempio, il tempo di costruzione è più breve mentre ha invece un'importanza maggiore la necessità di prevedere i bisogni futuri dei diversi prodotti.
b) I rischi delle previsioni.
Conviene tenere ben presente che le previsioni sono sempre rischiose, essendo molto facile sconfinare nella futurologia. In effetti, anche i consumi elettrici e la produzione di petrolio sono stati oggetto, talvolta anche da parte di persone altamente qualificate, di previsioni, circa la loro saturazione o il loro esaurimento, che sono state in seguito completamente smentite dai fatti.
Le industrie di elettrolisi acquosa dell'anteguerra non avevano certo previsto i guadagni che avrebbero potuto ricavare dalla vendita dell'acqua pesante che ottenevano come sottoprodotto, e qualche anno dopo la scoperta del petrolio era impossibile immaginare che esso sarebbe servito anche per altri impieghi oltre che per l'illuminazione e che ben presto sarebbe stato alla base dell'arresto dello sviluppo delle ferrovie. Inversamente, scoperte come quella della conversione di energia mediante pile termoelettriche fatta da Peltier nel 1834 che, viste con la mentalità di oggi, sarebbero state considerate destinate a rivoluzionare la produzione di energia elettrica, in pratica sono state adoperate appena per alimentare apparecchi di misurazione.
Il futuro è quindi caratterizzato da una fondamentale incertezza e non bisogna cedere alla tentazione di prendere le previsioni tanto più alla lettera quanto più esse sono il risultato di calcoli complicati: spesso sono proprio i meccanismi di previsione più semplici e più diretti che inducono meno in errore.
c) L'estrapolazione diretta dei bisogni passati.
L'andamento dei consumi annuali presenta caratteristiche assai variabili a seconda delle industrie. Indipendentemente dalle variazioni stagionali che si possono facilmente correggere ‛destagionalizzando' i dati lordi e indipendentemente dal ‛rumore di fondo' di debole entità che è la conseguenza della libertà di cui dispone ciascun utente, alcune industrie subiscono grandi variazioni e perfino forti oscillazioni dovute alle condizioni del mercato, talvolta amplificate da un'errata politica delle scorte. Per fare l'esempio d'industrie vicine a quelle energetiche, questo si verifica per il consumo di acciaio e ancora di più per quello dei metalli non ferrosi.
Nel campo dell'energia, invece, la domanda, soprattutto quella di elettricità, è più regolare. Già nel periodo tra le due guerre mondiali la produzione di petrolio, di gas naturale e di elettricità cresceva in tutto il mondo a un ritmo costante che si avvicinava a una progressione geometrica, mentre la produzione di carbone mostrava al contrario la tendenza a rimanere a livelli costanti, ma ciò sembrava potesse essere dovuto agli effetti della guerra, come pareva confermare anche la crisi del 1936. Tuttavia il grafico dei consumi di elettricità era molto più rettilineo in scala logaritmica che non in scala lineare e, d'altra parte, subito dopo l'ultima guerra apparve chiaro che non mancavano rilanci dei consumi elettrici e che si sarebbero presentate delle nuove opportunità anche per quei consumi che si pensava avrebbero presto raggiunto il livello di saturazione. D'altra parte, il fatto che tutti i paesi altamente sviluppati avevano tassi di crescita piuttosto simili faceva sperare che a questa regolarità nello spazio corrispondesse un'analoga regolarità nel tempo: in particolare gli Stati Uniti, dove il consumo per abitante era (ed è tuttora) assai più alto che in Europa, non lasciavano intravedere alcun segno di saturazione. Per questo motivo apparve ben presto opportuno basare lo studio dei grandi programmi d'investimenti necessari dopo il conflitto mondiale su una progressione esponenziale dei consumi che li avrebbe fatti raddoppiare ogni dieci anni. Secondo coloro che suggerivano l'impiego di tale modello, non si trattava di proporre una legge empirica, ma soltanto di fornire uno schema sul quale potesse basarsi un'azione rapida di sviluppo, ed essi pensavano che tale previsione avesse una buona probabilità di essere valida per un decennio e forse di fornire ancora utili indicazioni sull'evoluzione per il decennio successivo.
In effetti questa previsione è stata confermata dalla realtà e sia per la sostituzione degli impieghi che raggiungevano il livello di saturazione, sia per le compensazioni tra gli sviluppi dei diversi settori dei consumi, la crescita è stata estremamente regolare ed è avvenuta allo stesso ritmo in tutti i paesi di sufficiente livello di sviluppo e di dimensioni tali che al loro interno potessero verificarsi compensazioni tra regioni. Ci si può rendere conto di ciò analizzando la fig. 1, in cui è rappresentato lo sviluppo dei consumi elettrici in vari paesi nel corso degli ultimi 20 anni prima della crisi del petrolio. La fig. 2 mostra, invece, una parte del grafico dello sviluppo del consumo francese a una scala tale da permettere di giudicare il ‛rumore di fondo' (la sua accuratezza è limitata alla scala dei consumi settimanali). Tutti i grafici sono ‛destagionalizzati', ossia non riflettono le influenze sistematiche delle stagioni.
La regolarità dello sviluppo può essere giudicata anche dalla seguente tabella che dà il rapporto tra i consumi di due anni separati tra loro dall'intervallo di dieci anni; essa parte dal 1950, cioè da un anno sufficientemente lontano dalla fine delle ostilità da poter essere considerato come normale.
La costanza della crescita sia nello spazio sia nel tempo è sorprendente ed è dovuta al fatto che il periodo considerato è stato relativamente calmo e che durante tale periodo anche gli indici generali dello sviluppo economico si sono evoluti con un andamento prossimo a quello esponenziale. Inoltre vi sono state delle sostituzioni, come per es. quella tra i consumi domestici e terziari, la cui crescita è accelerata, e la grande industria, la cui crescita è invece rallentata. Il consumo totale si è sviluppato a un ritmo esponenziale costante corrispondente al raddoppio ogni dieci anni non soltanto nei tre paesi per i quali sono stati riportati i dati, ma anche in tutti i grandi paesi sviluppati.
I paesi sviluppati più piccoli hanno un ritmo medio di sviluppo analogo, che è però soggetto, da un anno all'altro, a irregolarità più forti dovute alla maggiore importanza che rivestono per essi gli scambi con l'estero, i quali sono sempre meno stabili delle attività interne e portano di conseguenza a uno sviluppo meno regolare. Per i paesi in via di sviluppo il problema è invece diverso, in quanto il tasso di crescita del loro consumo è tanto più alto, ma tanto meno costante da un paese all'altro e da un anno all'altro, quanto più in ritardo è il loro sviluppo. Con l'aumentare del livello di sviluppo il tasso di crescita dei loro consumi si regolarizza intorno al 10-12% all'anno e scende progressivamente verso il 7% a mano a mano che essi si avvicinano ai paesi molto più sviluppati. Quanto a questi ultimi, non vi sono differenze apprezzabili tra quelli che sono al livello di sviluppo dei paesi del Mercato Comune e gli Stati Uniti stessi, nonostante che i consumi di elettricità per abitante nei paesi della Comunità siano da 2 a 3 volte inferiori a quelli degli Stati Uniti.
Le curve e le tabelle riportate sopra mostrano come sia assai limitata la dispersione delle crescite intorno alla linea che rappresenta un tasso d'incremento pari al raddoppio dei consumi ogni dieci anni.
Tali dispersioni possono essere misurate mediante vari procedimenti, ma i risultati ottenuti si prestano a determinare l'incertezza delle previsioni solo nell'ipotesi che si possa essere sicuri che il futuro si situerà in un contesto tecnico ed economico dello stesso ordine di quello del passato. Sarebbe quindi molto azzardato basare su questi deboli valori di dispersione la valutazione dell'incertezza su un futuro che è già stato sconvolto dalla crisi petrolifera e da quella industriale e che può, in seguito, essere fortemente influenzato sia dalle spinte verso la crescita zero, sia, soprattutto, dalle ripercussioni che avranno sul prezzo dell'elettricità i forti aumenti del prezzo del petrolio che con tutta probabilità si verificheranno nei prossimi anni.
d) La previsione con il metodo delle variabili esplicative.
La progressione dei consumi energetici dipende senza dubbio dall'attività economica, che può essere caratterizzata mediante diversi indici economici, come, per esempio, il prodotto nazionale lordo in moneta costante. È facile misurare per il passato la correlazione tra lo sviluppo di un consumo energetico, come quello dell'elettricità, e un indice economico come il prodotto nazionale lordo, e non presenta quindi difficoltà la creazione di un modello che esprima il consumo di elettricità in funzione da una parte del tempo e dall'altra di questo indice di attività.
Se si potesse conoscere in anticipo l'evoluzione di questo indice di attività, sarebbe possibile prevedere il consumo di elettricità, a condizione che si considerasse, per il futuro, la correlazione tra l'elettricità e l'indice generale dell'economia uguale a quella del passato. Purtroppo non si conosce mai con certezza l'evoluzione futura dell'indice economico considerato, ma in certi casi ci si può basare, a torto o a ragione, sulle previsioni dei governi o su piani ben definiti. Quanto più è grande la fiducia che si nutre in essi, tanto più si potrà considerare di aver fatto per il futuro una previsione migliore di quella che si sarebbe fatta se ci si fosse semplicemente limitati a estrapolare l'evoluzione passata dell'attività elettrica. Comunque sia, la previsione avrà un maggior grado di accuratezza se terrà conto delle previsioni fatte in un campo economico più vasto.
Il metodo delle variabili esplicative è quindi più raffinato dell'estrapolazione diretta, anche se comporta due estrapolazioni, una sullo sviluppo futuro dell'indice considerato e l'altra sulla permanenza della correlazione messa in evidenza per il passato. Anche lo studio delle dispersioni potrà dare un'idea delle incertezze del futuro, ma questo soltanto nel caso in cui si verifichi una serie di perturbazioni casuali dello stesso ordine di grandezza di quella relativa al periodo precedente. Invece, nel caso in cui la situazione energetica sia necessariamente soggetta a perturbazioni sistematiche di tipo nuovo, il riferimento alla dispersione passata non darà altro che indicazioni errate circa i rischi del futuro.
e) La previsione per settori.
I consumi possono essere suddivisi in settori ciascuno dei quali presenta un'omogeneità sufficiente a permettere di fare delle ipotesi sulle sue probabilità di evoluzione. I consumi energetici possono per esempio essere suddivisi fra: consumi del settore agricolo, consumi della siderurgia, consumi delle altre industrie, consumi del settore domestico e terziario, consumi dei trasporti; per ciascuno di essi è possibile considerare, allo stesso tempo, come variabili esplicative sia un indice economico generale, sia degli indici particolari quali, per esempio, nel caso della siderurgia, il consumo di acciaio. Nella misura in cui i piani o le previsioni delle industrie in questione forniscono dati attendibili sull'evoluzione futura, sarà possibile ottenere una migliore previsione globale sommando le previsioni per settore. L'interesse di questo tipo di analisi sussiste anche per previsioni relative a periodi non tranquilli, perché, se le incertezze sono grandi in tutti i casi, è tuttavia più facile prevedere l'evoluzione futura considerando uno per uno grandi settori omogenei.
Evidentemente questa scomposizione può essere spinta più lontano fino ad arrivare alla previsione analitica per consumatore esistente o previsto, ma ciò è possibile solo a distanza di uno o due anni e può servire, per esempio, per determinare i potenziamenti locali necessari nelle reti di distribuzione. Inoltre, la valutazione globale delle analisi così ottenute omette sempre un certo numero di abbonati nuovi e sottovaluta moltissimo i consumi futuri.
f) La natura delle previsioni possibili in presenza di fattori nuovi.
In un periodo di evoluzione regolare la previsione per estrapolazione semplice fornisce una prima approssimazione valida, mentre il metodo delle variabili esplicative permette di ottenere un'accuratezza maggiore e di rendersi conto dell'ordine di grandezza delle dispersioni che si possono verificare fino a quando si rimarrà in un periodo di evoluzione continua. È però possibile che insorgano fatti nuovi capaci di influenzare fortemente i consumi. Questa è la situazione attuale: la crisi del petrolio ha provocato un abbassamento del consumo dei prodotti petroliferi e, dopo poco più di un anno, una crisi economica mondiale che ha bloccato il precedente progresso nel consumo di elettricità. Ci si può domandare se le esortazioni alla crescita zero, le critiche alla società dei consumi, l'azione di certi ecologi, i suggerimenti, paradossali sotto l'aspetto dei livelli economici ottimali, di sostituire le tariffe decrescenti con tariffe crescenti e così via siano destinati a esercitare un'influenza solo temporanea oppure duratura sul ritmo di sviluppo dei consumi. In senso inverso, i prezzi dei prodotti petroliferi, stabilizzatisi su alti valori, e lo stesso timore di scarsità di petrolio in certe parti del mondo provocheranno un passaggio dagli idrocarburi all'elettricità, il quale accelererà considerevolmente la crescita dei consumi elettrici. Di fronte a tali incertezze le raffinate analisi delle crescite passate e delle loro dispersioni non sono particolarmente utili: ci si trova, in questo caso, in presenza di un problema di prospettiva per il quale occorre, tuttavia, disporre di una base di riferimento chiara che può essere fornita dalla semplice estrapolazione del passato. Si cerca, quindi, di valutare sulla base del passato i cambiamenti probabili, senza potersi però fondare su elementi molto più concreti delle analisi approssimative e intuitive delle conseguenze che possono derivare dai fatti nuovi.
All'inizio, l'asse di riferimento è semplice perché, per nostra fortuna, il raddoppio dei consumi ogni dieci anni è continuato molto regolarmente dalla fine della guerra mondiale. Ma dopo che l'attuale crisi mondiale avrà prodotto una deviazione molto seria dalla retta che fino ad oggi rappresentava il consumo in scala logaritmica in funzione del tempo, ci si potrà domandare come vada fatta l'estrapolazione: se, cioè, occorra prendere la tangente all'estremità della curva o si debba invece tenere conto delle tendenze precedenti considerando come inclinazione probabile una media tra l'ultima inclinazione e quella che si aveva in periodo di calma. A questa domanda non è certamente possibile dare una risposta teorica quantitativa. La lezione del passato è tanto meno valida quanto più esso è lontano: sembra quasi si possa parlare di una costante che esprime il tempo dopo il quale il suo valore utile per la previsione del futuro va diminuendo. Non bisogna d'altra parte neanche lasciarsi troppo impressionare dalle variazioni brusche, le quali possono essere presto controbilanciate da reazioni di equilibrio. Soltanto il buon senso e l'intuizione permettono in ciascun caso di valutare correttamente questi due ordini di considerazioni.
g) L'interazione fra la domanda e il prezzo.
L'elasticità della domanda rispetto al prezzo è definita dal quoziente (dD/D)/(dP/P) tra la variazione relativa alla domanda D e quella relativa al prezzo P. Il problema è alquanto complesso, perché in caso di variazione del prezzo la domanda vi si adegua talvolta in un tempo molto breve, come quando, per esempio, esiste la possibilità di sostituire un prodotto largamente disponibile sul mercato a un prezzo stabile, e talvolta, invece, in un tempo molto lungo, come quando l'utente ha bisogno di attrezzature speciali per utilizzare il prodotto in questione. Per esempio, una variazione anche considerevole dei rapporti tra i prezzi del gas e dell'elettricità non sarà sufficiente a indurre le casalinghe a cambiare il loro modo di cottura del cibo ed esse lo faranno soltanto quando il loro fornello dovrà essere sostituito per vecchiaia o in seguito a un trasloco. Analogamente, l'installazione del riscaldamento in un'abitazione lega per lungo tempo il consumatore al sistema di riscaldamento inizialmente installato, per cui l'evoluzione del tipo di riscaldamento può essere rapida soltanto per gli edifici di nuova costruzione. Per quelli già esistenti, invece, le costanti di adattamento a una situazione nuova sono necessariamente molto lunghe.
Per poter veramente definire l'elasticità sarebbe quindi necessario precisare la scala temporale; per di più essa è molto difficile da misurare perché è raro, soprattutto nel caso dei servizi pubblici, che le tariffe subiscano variazioni sufficientemente brusche (espresse in moneta costante) da rendere possibile la valutazione del loro effetto su un consumo evolutivo e soggetto a un rumore di fondo non trascurabile. I confronti tra un'impresa o un paese a tariffa bassa e uno a tariffa alta potrebbero forse fornire delle informazioni più accurate, ma in pratica le tariffe non differiscono sostanzialmente da un'impresa o un paese all'altro, mentre esistono invece differenze ben altrimenti importanti tra i tenori di vita dei loro consumatori. In definitiva, quindi, l'elasticità non è quasi conosciuta; è però certo che essa entra in gioco soltanto con costanti temporali assai lunghe, per cui un'improvvisa e forte penuria non può essere corretta attraverso un aumento istantaneo dei prezzi. Se invece le difficoltà di approvvigionamento vengono previste con largo anticipo, una politica tariffaria è in grado di consentire una riduzione progressiva del consumo o della sua crescita che permetta di fronteggiare più facilmente l'eventuale penuria.
h) Elasticità della domanda e diminuzione dei costi in funzione della quantità da produrre.
La domanda è legata al prezzo di vendita dalla sua elasticità e il prezzo di vendita è legato a quello di costo dalla politica tariffaria: per esempio, quando vi si comprenda tutto, il prezzo di vendita è uguale a quello di costo. Inoltre, il prezzo di costo è legato all'importanza della quantità da produrre. Nell'industria elettrica, per esempio, l'aumento delle quantità da produrre permette di utilizzare delle unità di produzione più potenti; l'ordine di grandezza del costo di queste unità non è proporzionale alla loro potenza unitaria P, ma piuttosto a P2/3 fino a quando si raggiunge un livello di saturazione a cui ci si sta ora avvicinando per le unità termiche classiche, ma non ancora per quelle nucleari. Allo stesso modo il costo di una rete di distribuzione è ben lontano dal raddoppiare quando raddoppia la quantità di energia da distribuire, e infatti il suo ordine di grandezza varia come la radice quadrata dell'energia da distribuire.
Questi tre legami costituiti dall'elasticità della domanda, dalla relazione tra prezzo di vendita e prezzo di costo e dalla sensibilità del costo all'aumento della domanda per- mettono di rappresentare schematicamente il problema dell'espansione; restando inteso che uno schema dinamico esige che si tenga conto delle costanti del tempo di adattamento. In qualche modo l'aumento della domanda comporta una diminuzione di prezzo la quale, a sua volta, provoca un aumento supplementare della domanda, secondo una specie di reazione a catena o di amplificazione per reazione che segue una legge esponenziale se l'elasticità della domanda (cioè il quoziente tra l'aumento relativo della domanda e l'aumento relativo del prezzo) è uguale alla sensibilità del costo all'entità della domanda (quoziente tra la diminuzione relativa del prezzo di costo e l'aumento relativo della domanda che l'ha provocata). Tali calcoli non sono da prendere alla lettera, ma permettono di stupirsi meno quando in molti fenomeni, e in particolare nella domanda di elettricità, si constatano espansioni in progressione geometrica. Beninteso, queste curve esponenziali valgono soltanto per un certo tempo perché, da una parte, l'espansione è limitata dalla sostituzione negli effetti di dimensione che riducono il quoziente tra l'aumento relativo della domanda e la diminuzione del prezzo di costo che ne risulta. D'altra parte, se l'espansione sembra essere troppo forte, la relazione precedente tra il prezzo di vendita e quello di costo tende ad essere modificata da azioni fiscali. Tuttavia l'argomento indiscutibile secondo cui una crescita esponenziale non può continuare all'infinito, perché le grandezze in questione supererebbero tutte le possibilità mondiali, ha carattere soltanto teorico: infatti, non soltanto esso non ha mai permesso di stabilire la data di una saturazione, ma ha portato anche ad annunciare molto prematuramente sia l'arresto probabile dell'espansione della crescita di elettricità, sia quello dello sviluppo della produzione petrolifera; bisogna quindi diffidarne altamente ogni volta che esso non è basato su una limitazione fisica (se, per esempio, ci si limita a un solo impiego dell'elettricità, si può effettivamente prevedere che si giungerà a un limite massimo nel numero delle lavatrici che sarà uguale al numero di comunità domestiche). Bisogna anche guardarsi dalla formulazione di leggi logistiche.
Evidentemente alle espansioni fanno spesso seguito una saturazione e poi una diminuzione, ma vi sono infinite formule in grado di esprimere un'evoluzione di questo tipo: quanto maggiore è il numero di parametri che esse comportano, tanto più è possibile farle concordare con i valori conosciuti nel passato, ma questa non è una ragione sufficiente perché esse siano in alcun modo rispettate dall'evoluzione reale nell'avvenire. La formula più semplice tra quelle che portano a una saturazione dopo un iniziale andamento esponenziale è
dove C∞ è il valore di saturazione per t infinito e θ rappresenta la costante temporale nella fase esponenziale del passato. In verità, l'unico pregio di questa formula è la sua semplicità e non esiste a priori alcun motivo perché la realtà vi si debba conformare. In particolare, occorre evitare di cadere nell'errore di adattare i punti precisi di uno sviluppo sensibilmente esponenziale per dedurne un asintoto, quando invece la dispersione di questi punti priva di ogni significato una tale estrapolazione. D'altra parte, bisogna anche guardarsi dalla tentazione di postulare che un fenomeno reale abbia la tendenza a seguire una legge esponenziale. Vi sono soltanto alcune circostanze in cui è conveniente usare gli schemi esponenziali, ma anche in questo caso bisogna servirsene senza dimenticare che la loro perennità non è assolutamente assicurata e, nello stesso tempo, senza sopravvalutare l'idea generale che è inevitabile che un giorno o l'altro si raggiunga un livello massimo e quindi senza cadere nell'errore opposto di considerare l'ultimo punto, quando esso si trovi per caso più in basso, come un segno di saturazione.
i) La reazione del consumo all'azione commerciale.
Il consumo di energia non è influenzato soltanto dalle tariffe, ma anche dall'attività commerciale che fa conoscere mediante la pubblicità i vantaggi delle sue varie applicazioni: per questo motivo qualsiasi previsione sull'andamento futuro dei consumi comporta anche delle valutazioni sull'attività commerciale. Bisogna inoltre dire che i servizi commerciali perderebbero ogni fiducia in loro stessi se le previsioni riguardanti i consumi venissero fatte del tutto indipendentemente dalle ipotesi sull'attività commerciale.
Per i servizi pubblici, ai quali è affidata la fornitura di energia, il problema si presenta in maniera assai diversa da come si presenta per il commercio ordinario. Da una parte, infatti, l'obbligo di rifornire la clientela è assai più severo per i servizi pubblici: una pubblicità, che spingesse a consumi tali da far diventare insufficienti i mezzi di produzione, comporterebbe per essi degli effetti assai più gravi di quelli che avrebbe per il commercio l'impossibilità di assicurarsi in tempo i rifornimenti nel caso che la vendita di un prodotto subisse improvvisamente un forte aumento. D'altra parte, il commercio conosce esattamente l'andamento delle vendite di ciascun prodotto, mentre per un fornitore di gas o di elettricità è più difficile verificare se un aumento del consumo è dovuto allo sviluppo degli usi di cucina o del riscaldamento degli edifici. Inoltre, l'accrescimento globale del consumo determinato da una propaganda generale è difficile da valutare, perché esso non è immediato e perché non può essere facilmente distinto dallo sviluppo generale dei bisogni e dal rumore di fondo permanente nel livello dei consumi.
Una propaganda generale per tutte le applicazioni, la quale sola sarebbe in grado di produrre effetti di portata tale da essere facilmente misurabili, è raramente discontinua, non fosse altro che a causa dell'assenza di brusche e forti variazioni nei servizi commerciali. Ciò nonostante alcune occasioni hanno permesso di osservare delle discontinuità di propaganda piuttosto improvvise: per esempio, in certe città, il cambiamento della bassa tensione da 127/ 220 a 220/380 è stato oggetto di una propaganda molto intensa che è consistita anche nel fornire agli utenti, a condizioni molto vantaggiose, apparecchi funzionanti alla tensione nuova. Terminato il cambiamento di tensione questo brusco impatto della propaganda è cessato.
Dalle esperienze di questo tipo sembra si possa ricavare il seguente schema, che va però considerato soltanto come un'approssimazione qualitativa. Supponiamo che a una certa data si dia inizio a uno sforzo permanente di propaganda, che viene fatto durare per un determinato periodo ed è poi interrotto completamente. Se il consumo crescesse, per esempio, secondo una legge esponenziale e fosse quindi rappresentato, mediante un grafico semilogaritmico, da una retta in funzione del tempo, allora lo sforzo costante di propaganda farebbe decollare progressivamente il consumo dalla retta che avrebbe seguito in assenza dell'attività commerciale, ma esso tenderebbe allora a situarsi su una retta parallela alla prima: uno sforzo permanente costante fa aumentare il consumo di un certo rapporto, ma esso poi si stabilizza e il consumo riprende il medesimo tasso di crescita che aveva in assenza di ogni attività commerciale fino a quando la propaganda non si intensifica o non rallenta. Se la propaganda viene interrotta, il suo effetto sparisce progressivamente e il consumo raggiunge asintoticamente il livello che avrebbe avuto se non vi fosse mai stata propaganda. In definitiva, quindi, l'effetto della propaganda consiste soprattutto nell'anticipare gli sviluppi che si avrebbero in un tempo successivo. Senza volere attribuire a questo schema (v. fig. 3) un reale valore quantitativo, sembra, però, che esso possa contribuire alla valutazione degli effetti della propaganda nei servizi pubblici di distribuzione dell'energia, e in particolare dell'elettricità.
l) Prospettiva energetica a termine molto lungo.
I problemi ecologici a lungo termine e quelli costituiti dall'avvicinarsi delle condizioni dei paesi in via di sviluppo a quelle dei paesi in uno stadio di sviluppo più avanzato inducono a chiedersi quale potrà essere il consumo di energia al di là del periodo sopra considerato. Questi calcoli energetici dipendono ovviamente in certa misura dalle previsioni che si possono fare sulla popolazione del globo i cui tassi di incremento attuali variano da una regione all'altra: talvolta inferiori all'1% all'anno nei paesi sviluppati, essi superano il 2% in quelli meno sviluppati. L'evoluzione dei costumi, la possibilità materiale di una pianificazione delle nascite e i regimi di sicurezza sociale che sopprimono la spinta ad accrescere la propria discendenza per assicurarsi la sicurezza nella vecchiaia penetreranno a poco a poco nei paesi meno sviluppati di modo che la popolazione mondiale tenderà a raggiungere un livello massimo, il cui valore è però ancora molto incerto. È possibile che esso sia inferiore a 10 miliardi di abitanti, ma c'è anche chi lo ha valutato intorno ai 15 miliardi, nel qual caso lo si raggiungerebbe solo dopo il 2050.
Un'incertezza ancora maggiore circonda da una parte il valore al quale il consumo può raggiungere la saturazione nei paesi maggiormente sviluppati, come gli Stati Uniti che possono essere considerati il prototipo di questa categoria, e dall'altra il tempo necessario perché i consumi energetici per abitante nei paesi in via di sviluppo si avvicinino a quelli dei paesi più sviluppati. Per quanto riguarda la saturazione, si dice spesso che negli Stati Uniti vi è uno spreco non trascurabile di energia e infatti questo paese ha sempre associato una tendenza allo spreco a una grande efficienza industriale. La scarsa densità media della popolazione spiega in parte l'intensissimo traffico automobilistico, ma a questo va aggiunto anche un grande sviluppo di trasporti assai poco necessari e l'impiego di veicoli inutilmente potenti che hanno un valore di simbolo di status. Anche il condizionamento dell'aria dà luogo a un visibile spreco di energia. La proporzione di risparmi che si possono fare non è tuttavia molto alta, ma essa può essere considerata l'indice del fatto che il tasso di crescita dei consumi non riprenderà, dopo la crisi attuale, lo stesso valore che aveva prima della crisi, se il costo dei prodotti petroliferi per il consumatore finale rispecchia il mercato internazionale. Ci si può domandare se sia ragionevole la congettura secondo cui il prossimo raddoppio dei consumi negli Stati Uniti si attuerà in un intervallo di tempo triplo di quello precedente. Si tratta di un ordine di grandezza abbastanza realistico, che porterebbe al raddoppiamento rispetto alla situazione attuale verso la fine del secolo. La situazione negli altri paesi sviluppati tende a seguire quella degli Stati Uniti con un ritardo di uno o due decenni, ma il problema principale è quello dei paesi in via di sviluppo che presenta incertezze ancora maggiori.
Tutti concordano nel riconoscere agli abitanti di tali paesi il diritto di raggiungere il livello di vita degli altri, ma il ritmo al quale ciò avverrà dipenderà anche dalla loro efficienza ed è assai difficile da valutare. Il loro consumo per abitante è attualmente molto scarso rispetto a quello dei paesi sviluppati.
La statistica dell'ONU fornisce i consumi per il 1970 suddividendoli tra 3 categorie di paesi, e cioè: 1) i paesi sviluppati: USA, Europa occidentale, Giappone, Canada, Austria, Sudafrica, Israele, Nuova Zelanda; 2) i paesi in via di sviluppo: Africa (senza il Sudafrica), America (senza gli Stati Uniti e il Canada), Medio Oriente, Estremo Oriente con l'eccezione dei ‛paesi a pianificazione centrale'; 3) i paesi a ‛pianificazione centrale': URSS, Europa orientale, Cina, Corea del Nord e del Sud, Vietnam del Nord e del Sud. Se si lasciano da parte i paesi a pianificazione centrale tra i quali sono comprese, insieme a regioni fortemente sviluppate, altre che lo sono ancora poco, il resto del mondo era suddiviso, nell'anno 1970, secondo la seguente tabella.
Pertanto, i rapporti tra i dati relativi ai paesi in via di sviluppo e quelli dei paesi sviluppati sono:
rapporto di popolazione: 2,37
rapporto dei consumi energetici totali: 0,132
rapporto dei consumi di energia: 0,095.
Invece i tassi di sviluppo dei consumi energetici sono più elevati nei paesi in via di sviluppo che in quelli sviluppati e il confronto fra le cifre dell'ONU tra il 1965 e il 1970 indica un tasso annuale di crescita del 7,3% per i primi e del 5,6% per i secondi. Partendo dai consumi attuali dei paesi in via di sviluppo, si può ipotizzare che il loro tasso d'incremento futuro sarà superiore a quello passato del 7,3% all'anno e che, per esempio, dalla fine dell'attuale crisi mondiale, il loro consumo aumenterà regolarmente del 10% all'anno. Diviene allora possibile calcolare quale dovrebbe essere la saturazione dei paesi sviluppati che consentirebbe al consumo energetico totale di continuare a svilupparsi esattamente allo stesso tasso di oggi e si trova così che per ottenere questo risultato la saturazione nei paesi sviluppati deve ridurre progressivamente i tassi d'incremento di questi ultimi dall'attuale 5,6% all'anno al 3,3% all'anno alla fine del secolo. Questo esempio di calcolo mostra solamente che un effetto di saturazione nei paesi sviluppati può effettivamente compensare uno sviluppo più rapido del consumo nei paesi in via di sviluppo, dato che questo rappresenta inizialmente solo una parte assai piccola del consumo totale. Naturalmente, se l'ipotesi fosse spinta più in là della fine del secolo, l'effetto di crescita dei paesi poco sviluppati non potrebbe essere compensato da un effetto di saturazione nei soli paesi che ora sono sviluppati, ma tutto induce a credere che a quel momento la saturazione avrà progressivamente raggiunto tutta una serie di paesi attualmente classificati come in via di sviluppo nella statistica dell'ONU. È quindi poco probabile che lo sviluppo dei paesi nuovi possa far evolvere il consumo totale del mondo a un ritmo più rapido di quello esponenziale anteriore alla crisi, ma esso tenderà certamente a compensare l'effetto di saturazione ed è difficile prevedere quale dei due effetti prevarrà sull'altro.
Poiché il consumo energetico mondiale tra 25 anni sarà probabilmente dell'ordine di 4 volte quello attuale, ci si domanda se esso sia compatibile con le possibilità di produzione da una parte, e con i problemi dell'ambiente e delle scorie dall'altra. Per quanto riguarda le possibilità di produzione dell'energia corrispondente, non esiste evidentemente un problema globale, perché le risorse di carbone e le possibilità d'impiego dell'energia nucleare, anche senza surrigeneratore, permetteranno di far fronte ai bisogni se risultassero confermate le ipotesi pessimistiche sui risultati delle ricerche petrolifere combinate con una politica di conservazione dei prodotti petroliferi per quegli impieghi in cui è meno facile la loro sostituzione, cioè l'automobile, l'aviazione e l'industria chimica. Inoltre, è molto probabile che, prima della fine del secolo, il surrigeneratore possa essere usato su scala industriale, e dopo il 2000 vi sono speranze fondate che all'energia nucleare si venga ad affiancare una delle altre risorse attualmente allo studio (la fusione, le sabbie bituminose, il sole, l'energia geotermica, il vento, ecc.) o addirittura, tenuto conto dei progressi che compie la scienza, che appaia una nuova forma di energia oggi tanto insospettata quanto lo era quella nucleare nel 1938.
Non sembra neppure che vi possano essere delle limitazioni da parte dell'ambiente, se si eccettua il riscaldamento termico globale, e in particolare le limitazioni dovute al problema delle scorie. Senza dubbio la produzione e il trasporto dell'energia comportano delle conseguenze per l'ambiente, ma gli inconvenienti per la popolazione sono così piccoli, rispetto ai vantaggi legati ai consumi di energia, che sarà certamente possibile trovare un equilibrio, soprattutto se si tiene conto delle possibilità tecniche di ridurre in misura considerevole certe forme d'inquinamento. Anche il problema delle scorie nucleari può essere risolto, dal momento che, dopo la concentrazione e la vitrificazione, quella parte di esse che ha una vita abbastanza lunga da giustificarne il controllo per alcuni secoli è relativamente ridotta: il suo volume rappresenta soltanto una piccola frazione della capacità delle miniere di sale le quali, d'altra parte, non costituiscono il solo mezzo di conservazione sicuro. Quindi, anche per il periodo che va ben oltre la fine del secolo non si vede come il consumo possa essere limitato da problemi di produzione, di scorie o di ambiente.
Rimane però la questione del riscaldamento termico globale: infatti, l'impiego di combustibili fossili, tra i quali occorre qui includere l'uranio, produce un'energia, sia nei consumi finali stessi, sia nelle perdite e nei rifiuti termici delle centrali, che tende a riscaldare la Terra. La temperatura di equilibrio del pianeta corrisponde all'uguaglianza tra il calore ricavato dal Sole e quello irradiato dalla Terra, il quale è proporzionale alla quarta potenza della sua temperatura assoluta. L'apporto di calore supplementare che può risultare dall'impiego di tutti i combustibili rappresenta soltanto una frazione minima del calore proveniente dal Sole, ma lo squilibrio rispetto al calore irradiato dalla Terra comporterà un piccolo aumento della temperatura nella misura necessaria perché l'irradiazione terrestre supplementare compensi l'apporto di calore dovuto ai combustibili fossili. Un innalzamento della temperatura di alcuni gradi potrebbe avere degli effetti gravi e, in particolare, potrebbe provocare la fusione delle calotte di ghiaccio ai poli facendo così salire il livello degli oceani in misura sufficiente a sommergere tutte le città costiere. Il calcolo della quantità di calore liberato dai consumi che si possono prevedere fino alla prima metà del XXI secolo sembra indicare che esso potrà avere soltanto un effetto insignificante sulla temperatura media del pianeta e sul livello degli oceani, ma che potrebbe avere già qualche ripercussione sui microclimi. Un problema serio potrebbe porsi solo in un'epoca successiva. L'aumento della temperatura avrebbe però delle conseguenze positive se, come è stato previsto, sebbene su basi non molto sicure, noi stessimo per entrare in una nuova glaciazione la quale farebbe incombere su di noi la minaccia di un'evoluzione verso un clima simile a quello che vi era al momento della grande estensione dei ghiacciai delle Alpi. Salvo però il verificarsi di questa fortunata eventualità, i consumi potrebbero essere fronteggiati soltanto sfruttando l'energia solare, malgrado la sua irregolarità e la sua bassa densità che ci costringerebbe a utilizzare delle superfici enormi. Anche così non è sicuro che non si modificherebbe l'albedo della Terra e non si ridurrebbe quindi l'energia irradiata da essa nello spazio, nel qual caso rimarrebbe la soluzione di accrescere sistematicamente l'albedo mediante superfici che irradiano maggiormente. Complessivamente sembra dunque che i consumi che potranno essere raggiunti, tenendo conto sia delle saturazioni probabili che dello sviluppo dei paesi arretrati, non saranno limitati né dalla possibilità di produrre l'energia corrispondente, né dai problemi dell'ambiente e delle scorie e neppure dal rischio di riscaldamento della Terra, almeno per tutto il periodo per il quale ha un senso fare delle previsioni.
In effetti non bisogna dimenticare che il ritmo dello sviluppo aumenta e che quindi si vanno accorciando i periodi per i quali è possibile fare delle previsioni valide. È senza dubbio vero che i mezzi per effettuare queste previsioni, cioè l'analisi dei sistemi e i calcolatori, hanno raggiunto un considerevole grado di perfezione, ma essi perdono ogni valore quando si superano i periodi per i quali sono veramente conosciute le leggi dei fenomeni e i valori dei loro parametri. I nostri tempi di previsione si vanno quindi accorciando, così come accade anche, e forse può trattarsi soltanto di una coincidenza, per le costanti dei tempi di attuazione e per quelle di certe espansioni. Bisogna quindi reagire contro la tendenza a preoccuparsi per le incertezze a lungo termine: la futurologia può, infatti, essere causa di ansia se la ricerca del sensazionale porta a presentare prematuramente all'opinione pubblica dei problemi la cui realtà è ancora ben lontana dall'essere determinata.
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