CHIARAMONTE (Chiaromonte), Enrico
Fu figlio naturale di Matteo Chiaramonte, conte di Modica (morto nel 1377). Se riteniamo anche Andrea Chiaramonte figlio illegittimo di Matteo, possiamo individuare nel C., signore di Naro, quel fratello di Andrea, conte di Modica, che, trovandosi entro le mura della città di Palermo, il 18 maggio 1392 venne fatto arrestare con gli altri capi del partito chiaramontano da Martino d'Aragona duca di Montblanc. Il C. avrebbe dunque partecipato alla difesa di Palermo durante l'assedio aragonese (aprile-maggio del 1392) e al preteso complotto contro la vita del duca. Trovò poi comunque scampo nell'esilio alla rovina della casa Chiaramonte, culminata nella condanna a morte di Andrea e nella confisca di tutti i beni della famiglia. Si rifugiò infatti a Gaeta, dove era la corte del re Ladislao di Durazzo, nel cui aiuto riponeva forse qualche speranza, per l'alleanza che si era stabilita tra le due famiglie con il matrimonio tra il re e Costanza Chiaramonte e per l'interesse che i Durazzo, e il papa Bonifacio IX, loro alleato, potevano avere nell'ostacolare in funzione antiangioina e antiavignonese la dominazione aragonese in Sicilia. Ma proprio nel giugno 1392, come conseguenza diretta della disgrazia della famiglia, la regina Costanza, con la autorizzazione pontificia, venne ripudiata da Ladislao di Durazzo e il loro matrimonio sciolto.
A Gaeta il C. coltivava comunque la speranza di una riscossa dei Chiaramonte e organizzava il suo ritorno in Sicilia. Nel febbraio 1393 il duca Martino temeva uno sbarco sulle coste di Agrigento e metteva in guardia il capitano di quella città, che era stata a lungo sotto la signoria dei Chiaramonte e dove il C. poteva quindi ancora sperare di trovare dei partigiani. Ma lo sbarco avvenne invece a Palermo, un altro antico possedimento familiare, nelle cui acque il C. comparve alla fine del mese di aprile, con due galee armate a Pozzuoli. La città, dove in precedenza erano già avvenuti dei disordini a favore del Chiaramonte, fu allora investita da un moto antiaragonese, che costrinse all'abbandono le autorità regie. Il C. assunse così il governo di Palermo. Il successo dell'impresa, e soprattutto la sua durata abbastanza prolungata nel tempo, fu in buona parte dovuto alle rivolte concomitanti che avevano avuto luogo in altre parti del Regno, e principalmente a quella di Artale d'Alagona nel Val di Noto, che impedirono a Martino il Vecchio di concentrare le forze contro la capitale. Ladislao di Durazzo e Bonifacio IX offrivano frattanto aiuti alla città e inviavano loro ambasciatori. Il C., considerandosi l'erede e il restauratore della tradizione chiaramontana e il nuovo capo della famiglia, s'intitolava conte di Modica e di Chiaramonte, signore di Ragusa e di Naro e ammiraglio di Sicilia e si considerava anche vicario generale del Regno per concessione di Bonifacio IX. Ma per la Corona era soltanto un ribelle e di fatto la sua signoria non andava molto oltre il Comune di Palermo. Né mancavano gli oppositori interni al suo regime, che si esercitava con rigore su tutti gli atti del Comune.
Nella primavera del 1394 il C. difese Palermo dagli attacchi mossi dalle truppe aragonesi al comando di Bernardo Cabrera, che erano giunte dalla Catalogna in rinforzo al duca Martino. Poco dopo, lasciata una parte del suo esercito sotto le mura di Palermo, il Cabrera marciava col resto delle truppe all'assedio di Catania, anch'essa insorta contro gli Aragonesi. Il duca Martino intanto accreditava degli ambasciatori presso il C. e presso alcuni altri baroni che capeggiavano la ribellione dell'isola. Da parte sua il C. si premuniva contro la probabilità di un assedio, accumulando provviste grazie ai mercanti genovesi e nonostante l'accordo esistente tra la Repubblica e il duca di Montblanc, che vietava di portare soccorso ai ribelli siciliani. E nel novembre 1394inviava fuori dall'isola un suo ambasciatore in cerca di aiuti. Nel dicembre 1395 si rivolgeva poi a Gian Galeazzo Visconti, chiedendoglisostegno economico e militare.
Con la riconquista di Catania e la progressiva sottomissione a Martino di diversi baroni ribelli, la posizione del C. diveniva però sempre più isolata e difficile. Alla fine del 1396 era disposto a ipotecare tutti i suoi beni per procurarsi fuori dalla Sicilia uomini, navi, armi, denaro e provviste alimentari. Il 12 febbr. 1397 il Comune di Palermo decideva di aprire le trattative per la resa e nominava una rappresentanza con a capo l'arcivescovo; il 15 il C. rimetteva agli stessi ambasciatori l'incarico di trattate la resa. Ma il re Martino il Giovane si dichiarò disposto soltanto a concedergli salva la vita. Il C. si preparava perciò ad abbandonare Palermo e già il 17 febbraio aveva a questo scopo dato incarico di armare una galea. Il 4 marzo 1397 il Comune di Palermo, sottoposto dal re al blocco degli approvvigionamenti, dovette cedere; seguirono quindi disordini, provocati dai sostenitori dei Chiaramonte, mentre il C. e i suoi si chiusero nei castelli ancora in loro mano. Il Comune, temendo le rappresaglie minacciate dal C., chiese allora l'immediato ingresso in città delle truppe regie. Il C. riuscì a fuggire in tempo da Palermo, riparando nel castello di Caccamo, da dove abbandonò definitivamente la Sicilia. Finì nuovamente esule a Gaeta, dove si trovava ancora nel 1412. Non sappiamo altro delle vicende successive della sua vita, né quando lo colse la morte.
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