COSENZ, Enrico
Nacque a Gaeta il 12 genn. 1820 da Luigi e da Antonia Piria.
Il padre, figlio di François Cousin, un francese stabilitosi a Napoli verso la metà del 1700, dopo aver servito durante la Repubblica del 1799 aveva iniziato la carriera militare sotto Murat. Passato dopo la Restaurazione nell'esercito borbonico, pervenne per successive promozioni fino al grado di maresciallo di campo nell'arma del genio (2 ag. 1847) e di ispettore di corpi militari.
Il C. fu avviato al mestiere delle armi con l'iscrizione, nel 1832, al prestigioso collegio della Nunziatella, dove frequentò i corsi della scuola di artiglieria, l'arma che era considerata all'avanguardia e forniva all'esercito meridionale gli ufficiali più preparati. Il magistero di stampo liberale di M. d'Ayala, inculcando nel giovane C. e nei suoi compagni di corso, tra i quali spiccava C. Pisacane, quegli interessi per un rinnovamento culturale e civile che sapevano di anticonformismo, rese più completa la sua formazione.
La storiografia sabaudistica gli avrebbe più tardi attribuito la premonitrice lettura dei saggi di Gioberti e di Balbo, e una forte ammirazione per Carlo Alberto e il suo Stato. Al contrario il C, e i suoi colleghi vissero questi anni con una crescente attenzione per la realtà meridionale e per i suoi problemi, alla cui soluzione speravano di portare il contributo delle loro energie, al punto che si può affermare che la loro insofferenza per ogni orientamento conservatore, lungi dall'assumere significati filopiemontesi, che tra l'altro in quegli anni non avrebbero avuto fondamento alcuno, si inseriva bene nella tradizione di partecipazione del ceto militare alla vita dei Regno, una tradizione consolidata dalla recente rivoluzione del 1820.
Carattere pacato e riflessivo, molto portato allo studio, immune da atteggiamenti velleitari, il C., dopo aver sempre primeggiato nei corsi, il 4 ott. 1844 superava brillantemente gli esami di primo tenente, grado che ricopriva quando fu inquadrato nel corpo di spedizione che, agli ordini di G. Pepe, partì il 4 maggio del '48 per portare il contributo dell'esercito borbonico nella guerra contro l'Austria. Quando però Ferdinando Il attuò il 15 maggio il suo colpo di Stato, una delle prime decisioni fu quella di richiamare le truppe; ma il Pepe, raggiunto a Bologna dall'ordine, preferì disobbedire e condurre i suoi tre battaglioni nel Veneto: tra i molti ufficiali che lo seguirono c'era il C., cui tale scelta sarebbe costata il 23 ag. 1848 l'espulsione dall'esercito borbonico. Tra questa data e quella della resa di Venezia, il 22 ag. 1849. il C. sarebbe pervenuto, attraverso promozioni per meriti di guerra, al grado di colonello.
Il problema della difesa di Venezia, postosi con urgenza dopo la conclusione dell'armistizio Salasco tra Piemonte e Austria e dopo il fallimento delle missioni diplomatiche inviate dal governo repubblicano di Manin in Francia e in Inghilterra, si fece addirittura drammatico quando la nuova sconfitta del Piemonte a Novara consentì a Radetzky di concentrare tutte le operazioni militari sulla città lagunare. Nell'inverno del 149 il C., promosso capitano il 4 luglio '48, vi aveva insegnato artiglieria da fortezza nella scuola militare; in precedenza aveva preso parte alle due sortite di Cavallino, presso la foce del Piave (22 ott. '48), e di Mestre (27 ottobre), colpi di mano inutili quanto dispendiosi tentati più per sollevare il morale della popolazione che per un'effettiva utilità strategica. In effetti, quando nel maggio del '49 gli Austriaci scatenarono il vero assalto, i volontari italiani, per quanto valorosi e disposti all'estremo sacrificio, non poterono opporre altro che una resistenza resa sempre più disperata dal progressivo arretramento della linea di difesa. Il 26 maggio '49 cadde il forte di Marghera, per cui lo stesso C., dal 21 maggio tenente colonnello, aveva predisposto armamenti ed opere difensive; a giugno fu investito dai bombardamenti il ponte sulla laguna ove il C. aveva organizzato la batteria di S. Antonio che gli Austriaci tentarono inutilmente di espugnare con un assalto a sorpresa nella notte tra il 6 e il 7 luglio: in questa occasione il C., già ferito in precedenza, riportò ferite al volto e alla spalla. Gli Austriaci furono costretti alla ritirata, ma un mese più tardi il governo repubblicano firmava la capitolazione. Dell'esperienza vissuta il C. avrebbe lasciato un ricordo nei brevi, asciutti rapporti per il Comando della spedizione (La difesa del ponte sulla Laguna in Venezia nel giugno-agosto 1849. Diari di Enrico Cosenz, in Riv. stor. del Risorg. ital., II [1897], pp. 496-519).
Sulla nave francese "Pluton" che il 27 agosto accolse i capi del cessato governo cuì era stato imposto l'esilio, salì anche il C. che, dopo breve permanenza a Corfù, riprendeva il mare per Malta, attivissimo centro di raccolta degli esuli e sede della cospirazione che faceva capo a N. Fabrizi. È probabile che proprio il contatto con questo ambiente, in cui da anni si studiavano soluzioni insurrezionali per il problema italiano, abbia spinto il C. a ritornare sulla primitiva decisione di stabilirsi a Marsiglia; certamente la successiva scelta di Genova come residenza fu facilitata dai legami con gli esponenti democratici della città ligure, che Fabrizi manteneva vivi in funzione della sua rete cospirativa. Quando agli inizi del '50 arrivò a Genova, il C. aveva già ricevuto da Mazzini le prime richieste di collaborazione alla stampa repubblicana su problemi precipuamente militari. Nella strategia mazziniana dello arruolamento dei neofiti l'appello alle capacità professionali doveva sempre precedere e preparare l'invito a un impegno diretto nel campo organizzativo e insurrezionale. Inoltre un movimento come quello mazziniano, tradizionalmente robusto sotto il profilo ideologico, ma molto carente nella fase del passaggio alla prassi rivoluzionaria, aveva molto bisogno, per crescere e svilupparsi, delle garanzie qualitative che, potevano venire solo da chi conoscesse a fondo la tecnica militare. La presenza nel C. di questo requisito, corroborato dalle prove di valore fornite a Venezia, ne faceva una pedina importantissima agli occhi di Mazzini che, ansioso di annoverarlo tra i suoi seguaci, non esitava a definirlo "un repubblicano perfetto ed alieno da quello spirito intrigante ed ambizioso di quasi tutti i militari" (Ediz. naz. degli scritti di G. Mazzini, XLV, p. 14). A dispetto, però, di questo giudizio il C. non fu mai mazziniano, anche se per alcuni anni fece parte di quel "comitato di militari" che ebbe i suoi più noti esponenti in A. Bertani, G. Medici, C. Pisacane, ma che già in occasione del moto milanese del 6 febbr. '53 prendeva le distanze da Mazzini.
Il dissenso del C. era emerso alla vigilia dello scoppio del moto: a gennaio, in un convegno segreto a Locarno, pur approvando la idea dell'insurrezione della Lombardia, aveva manifestato seri dubbi sulla possibilità di sfruttare il successo iniziale per la mancanza di una adeguata struttura militare di sostegno. Una riserva del genere apriva evidentemente la strada ad una ipotesi di collegamento operativo con il Piemonte e il suo esercito, cosa che, a giudizio dei democratici, comportava anche un pesante condizionamento dell'autonomia delle forze rivoluzionarie. Tale prospettiva, destinata a palesarsi con estrema chiarezza negli anni a venire, per ora era ricacciata in secondo piano dal ruolo centrale che, per il C. come per gli altri militari, e soprattutto per Pisacane, aveva assunto iI problema dello Stato borbonico, ai loro occhi anello debole della catena della reazione in Italia e quindi obiettivo primario di ogni lotta futura. Tra il '53 e il '57 il C. e Pisacane condussero tutto un lavorio segreto mirante alla raccolta di fondi e all'acquisto di armi da inviare in quel Sud col quale mantenevano precari contatti, e anzi fu appunto questa ostinata attività che consentì loro di restare come i soli interlocutori dall'Italia di un Mazzini disposto a passare sopra tutte le differenze teoriche pur di trovare un terreno d'intesa sul piano dell'azione. Del resto lo stesso rapporto del C. con Pisacane, cementato da un'amicizia di vecchia data che aveva permesso loro di superare anche una crisi intervenuta nel '50, quando Enrichetta Di Lorenzo, la compagna di Pisacane, aveva creduto di trovare breve sfogo alla sua solitudine in una storia d'amore che lo stesso C. aveva subito troncato, non implicava nessun allineamento su posizioni diverse da quella, comune a entrambi, che individuava nell'intervento militare l'unica via di soluzione al problema italiano.
Molto più tranquilla fu, in questo stesso periodo, l'attività per così dire pubblica dei C. che, libero da preoccupazioni finanziarie per le somme di denaro che riceveva puntualmente da Napoli, poté dedicarsi agli studi collaborando alle pubblicazioni della Biblioteca militare dei fratelli Mezzacapo nel cui scopo dichiarato - la preparazione tecnica degli esuli per evitare le fatali incertezze del '48 - egli si riconosceva senza riserve. Il suo prestigio nell'emigrazione meridionale uscì rinsaldato dalla dedizione con cui, al tempo dell'epidemia di colera del '54, organizzò l'assistenza a bisognosi e malati, ma l'atto politicamente più qualificante fu la firma della dichiarazione con cui i più noti esuli meridionali si schierarono contro il progetto murattista che, in caso di successo, avrebbe eliminato la dinastia borbonica facendo però del regno meridionale "una provincia francese" (Il Diritto, 25 sett. 1855) e rendendo in pratica impossibile il raggiungimento dell'unità nazionale. Proprio il pericolo costituito dalla diffusione del murattismo sottolineava l'urgenza di una ripresa dei tentativi insurrezionalì: lo insuccesso dell'iniziativa promossa in Sicilia dal barone F. Bentivegna (novembre'56) servì ad assegnare, nell'ottica del C. e Pisacane. alle campagne a Sud di Napoli quel valore strategico di cui la disorganizzazione e la divisione delle forze locali avevano fino ad allora impedito lo sfruttamento. Nacque così dalla collaborazione del C. con Pisacane e R. Pilo il disegno della spedizione di Sapri, programmata per il giugno del '57: la larga parte avuta dal C. nella fase di preparazione e di avvio del tentativo come responsabile del settore militare ne rese ancora più clamorosa la defezione all'immediata vigilia della partenza.
Dopo la tragica conclusione della spedizione non mancarono le polemiche sulla decisione del C. che i democratici criticarono aspramente, giungendo, con Mazzini, ad attribuirgli una parte di rilievo nel fallimento. Quello che a molti parve un voltafaccia aveva tuttavia la sua spiegazione nella lenta marcia d'avvicinamento, iniziata nel '56, ai moderati della Società nazionale. La stringente necessità di reperire finanziatori per i progetti militari nel Meridione, mentre lo aveva spinto a stabilire contatti con G. Pallavicino e G. La Farina, non aveva implicato una sua adesione alla linea di chi si faceva sostenitore convinto del Piemonte, verso i cui programmi conservava una forma di scetticismo; d'altro canto Pisacane gli aveva celato l'intervento diretto di Mazzini nella preparazione e nella coordinazione di quel moto che doveva coinvolgere anche Genova e Livorno e di cui la progettata spedizione era solo un elemento: perciò quando, alla scadenza fissata per la sua partenza per Napoli, il C. si vide affiancare M. Quadrio, il più fidato collaboratore di Mazzini, con funzioni di commissario politico, capì che la spedizione, nata come antiborbonica, aveva assunto un, carattere rivoluzionario e repubblicano che era ben lungi dall'approvare e si tirò indietro. La fine di Pisacane, tuttavia, lo colpì profondamente: un opprimente senso di colpa lo spinse a farsi promotore di iniziative di soccorso che assicurassero l'avvenire della figlia del caduto. Con F. Carrano e C. Mezzacapo volle curare la pubblicazione dei Saggi storici-politici-militari che Pisacane aveva lasciato manoscritti: ma quando, usciti i primi due volumi, si seppe che i curatori intendevano non pubblicare la parte finale con le riflessioni politiche dell'autore, i tre furono dalla Di Lorenzo, proprietaria dei manoscritto, sollevati dall'incarico (cfr. Mazzini, LX, pp. 136 s.).
Quasi a simboleggiare la sua evoluzione in senso moderato già da un anno il C. si era trasferito a Torino. Nel gennaio del '58, firmando la lettera con cui Bertani rinfacciava a Mazzini gli aspetti dogmatici del suo pensiero e i difetti di una strategia insurrezionale che, a suo dire, puntava sul sostegno popolare trascurando troppo il contributo e gli interessi della borghesia, il C. e Medici compivano il distacco dai repubblicani. Nel loro orizzonte c'era ormai Garibaldi, perché Garibaldi. a differenza di Mazzini, aveva come solo pensiero la guerra all'Austria e non metteva in discussione né le istituzioni monarchiche, né il ruolo del Piemonte, che anche il C. aveva finito per accettare in quanto funzionale alla sua vecchia concezione della lotta per l'indipendenza come lotta esclusivamente armata. Fu premiato con l'assegnazione del comando del 1º reggimento dei Cacciatori delle Alpi (16 marzo 1859) che, allo scoppio della guerra, portò al fuoco muovendo dal deposito di Cuneo: Casale, Varese, San Fermo, Tre Ponti furono le tappe di un'avanzata che dimostrarono il buon livello d'addestramento dei volontari e indicarono nella freddezza e nella tempestività le doti preminenti di chi li guidava. Dopo Villafranca il C. entrò nell'esercito regolare con il grqdo di colonello: al comando della brigata Ferrara di stanza a Ravenna (21 ott. 1859), tenne sempre un contegno ineccepibile, e quando Garibaldi si dimise per l'opposizione di Fanti al suo progetto di invasione dello Stato pontificio, il C. rimase al suo posto dichiarando: "...io non seguo che una condotta politica, ma non un uomo" (U. Pesci, Ilgen. C. Mezzacapo e il suo tempo, Bologna 1908, p. 105). Due mesi dopo lo stesso Fanti gli affidava, con il comando della costa dell'Adriatico, il controllo della zona tra Cervia e Comacchio.
Della massima linearità fu anche il suo atteggiamento nel '60: partito Garibaldi per la Sicilia, il C. fu invitato da Medici a contribuire all'organizzazione di altre spedizioni; subito dopo la sua brigata era sciolta d'autorità per alcuni episodi d'ammutinamento fomentati, a quanto sembra, da non ben definiti provocatori. Il richiamo della Sicilia era forte, e il C. rispose, prima con un proclama "Ai miei compagni d'armi nell'esercito del Regno delle due Sicilie" contenente l'incitamento a formare un solo esercito con gli Italiani del Nord, quindi con una domanda di dimissioni dall'esercito regolare. Tutto il mese di giugno fu impiegato poi nei preparativi della spedizione - la terza dopo quelle di Garibaldi e di Medici - che salpò da Genova il 2 luglio 1860.
Non fu facile per il C. in quel mese veder chiaro nelle tante pressioni che gli furono rivolte. Da una parte Cavour aveva capito che gli sviluppi - interni ed esteri - dell'impresa siciliana consigliavano di favorire l'azione di Garibaldi, donde un forte impegno del Fondo per il milione di fucili e della Società nazionale, organismi filogovernativi, per la raccolta di denaro e forniture militari; dall'altra Mazzini cercava di dirottare sull'Italia centrale l'intervento dei volontari nella speranza di provocare una crisi tra Francia e Piemonte. Consapevole dell'ostilità del C. e del suo perenne "timore di essere ingannato ed essere trascinato dove non vuole andare" (Ediz. naz. degli scritti di G. Mazzini, LXVII, p. 42), Mazzini preferì restare dietro le quinte delegando a Bertani l'opera di persuasione. Ma il C., anche questa volta coerente con la sua natura di militare che vedeva nel ricongiungimento delle varie forze in Sicilia la possibilità di creare "un nucleo d'esercito" (il C. a Garibaldi, 10 giugno '60, in Curatulo, Garibaldi..., p. 106), preferì lasciare a Garibaldi la responsabilità della decisione finale, cui si adeguò imbarcandosi con 1.240 uomini sul "Washington", destinazione Palermo. Notevole il fatto che poche ore prima della partenza avvertisse l'urgenza di attestare per iscritto e con stile quasi notarile la propria riconoscenza alla Società nazionale ed al Fondo per A milione di fucili (lettere del 2 luglio '60 a C. M. Buscalioni, in Bibl. Ap. Vat., Collezione Patetta;e a G. Finzi, in A. Luzio, Le spedizioni Medici-C., in Garibaldi, Cavour, Verdi, Torino 1924, p. 182).
Scortato quasi con ostentazione dalla flotta sarda, il "Washington" giunse a Palermo il 6 luglio. Il 20 il C., che il giorno prima Garibaldi aveva promosso maggiore generale affidandogli il comando della 16ª divisione, partecipò alla battaglia di Milazzo dove, bloccando l'attacco borbonico che aveva travolto la colonna Malenchini, consentì il successo della divisione Medici e sviluppò uno dei suoi temi tattici preferiti, il contrattacco. L'ennesima ferita, per quanto leggera, sottolineava una volta di più il suo coraggio, un coraggio che dimostrò anche nelle operazionì seguite allo sbarco in Calabria quando, con un'audace arrampicata sui monti, si portò alle spalle delle truppe del generale Briganti (23 agosto) completandone l'accerchiamento e determinandone la resa; venne poi la facile marcia verso Napoli, con il rapido crollo di tutte le difese borboniche e il trionfale ingresso nella città lasciata dodici anni prima. Quello stesso 7 settembre entrava come ministro della Guerra nel primo governo provvisorio costituito a Napoli da Garibaldi.
L'incarico, riconfermatogli nel ministero Conforti del 26 settembre, impegnò il C. su due fronti, quello tecnico e quello politico. Nel primo, suo obiettivo primario fu la costituzione di un forte esercito meridionale ove potessero confluire, previa adesione al nuovo ordine, i migliori elementi di quello borbonico; quanto all'azione politica, il C. seppe valersi della fiducia di Garibaldi per imporgli gradualmente, d'accordo con G. Pallavicino e R. Conforti, l'esautoramento dei democratici e il compimento dell'annessione al Piemonte. Tale politica, se riscosse il plauso di Cavour e dei suoi rappresentanti a Napoli, provocò le violente critiche di uomini come Mazzini e De Boni che accusarono il C. di lasciare senza munizioni l'esercito impegnato sul Volturno proprio per sottolineare l'urgenza della soluzione annessionistica. Il raggiungimento dello scopo collocò il C. tra i pochi ufficiali garibaldini graditi a Torino, posizione che fu riconosciuta pubblicamente con la nomina a ispettore generale della guardia nazionale nelle province napoletane e quindi con la designazione a far parte della commissione di scrutinio per l'immissione in ruolo dei volontari dell'esercito meridionale.
Dal 27 marzo 1862, giorno del suo passaggio nell'esercito regolare col grado di luogotenente generale, il C. abbandonò ogni attività che non rientrasse nella norma. I tentativi di Garibaldi per la liberazione di Roma lo lasciarono indifferente; e le cariche pubbliche, che pure non gli mancarono, gli apparvero del tutto secondarie: collocato a disposizione dopo il passaggio in ruolo, fu incaricato di reggere la prefettura di Bari ma ne chiese l'esonero appena ebbe il comando della 20ª divisione attiva (17 ag. '62). Dal 10 maggio 1860 fino al 22 genn. 1871, per cinque legislature (VII-XI), fu eletto alla Camera rispettivamente in rappresentanza dei collegi di Como I, Pesaro, Forlì, Napoli IV, Piove di Sacco, e poi nominato senatore (9 nov. 1872): ma in trentotto anni di vita parlamentare non prese mai la parola, limitandosi solo, ai suoi esordi, a votare con la Sinistra su qualche ordine del giorno o a prendere parte ai lavori di qualche commissione sul bilancio della Guerra. Da questa marginalità non uscì neppure nel '66, durante la terza guerra d'indipendenza che lo vide schierato, e quasi dimenticato, con la 6ª divisione sotto Mantova, secondo un principio di frazionamento delle forze di cui aveva previsto l'inopportunità prima ancora che fosse attuato; e quando finalmente Cialdini gli ordinò di unirsi alla divisione Medici in Valsugana, la tregua del 26 luglio lo fermò senza che avesse potuto ingaggiare un combattimento. Anche quando nel '70 ebbe occasione di mettersi in luce guidando l'11ª divisione del corpo di spedizione comandato da R. Cadorna e mobilitato il 15 agosto per la liberazione di Roma, il C., che pure ebbe un ruolo di primo piano nell'assalto al tratto di mura compreso tra porta Salaria e porta Pia, per una naturale ritrosia alla popolarità preferì, come già aveva fatto nel '49, sminuire la portata di un episodio che 17 anni dopo avrebbe giudicato francamente "modesto per la non grande resistenza fatta dai pontifici" (lettera a C. Ademollo, 11 apr. '87, in Roma, Museo centrale del Risorgimento, busta 713/19).
Il teorico che era in lui era infatti più interessato dalle questioni generali e dal ribaltamento di forze che sul piano militare si era verificato in Europa con l'affermazione della potenza prussiana a spese della Francia; al problema, che aveva cominciato ad esaminare dal '66 e che nel '68 lo aveva portato per un viaggio di studio in Prussia e in Austria, il C. dedicò una lunga serie di saggi, pubblicati sulla Rivista militare soprattutto dopo il '70. Inizialmente non fu coinvolto nella generale esaltazione prodotta nell'opinione europea dal regolare succedersi delle vittorie prussiane; tentò anzi di contenere il dilagare del modello germanico additando le cause della superiorità, più che nell'alto livello delle istituzioni militari o dell'addestramento, nell'efficiente armamento della truppa (Alcune osservazioni sulla campagna di Boemia tra Prussiani e Austro-Sassoni nel 1866, Torino 1867). Poi però il raffronto tra un meccanismo bellico perfetto, come quello tedesco del '70, e la realtà dell'esercito italiano sconfitto a Custoza lo convinse che il divario poteva essere colmato solo rivedendo l'articolarsi delle varie strutture militari italiane in funzione di una concentrazione, e non di una divisione, dei comandi. Tale esigenza si fece più pressante allorché, nel 1881, la rottura con la Francia sembrò preludere ad un conflitto armato: venne allora messo in moto il Comitato di Stato Maggiore e se ne conferì la presidenza al C., di cui erano note le idee sulla ristrutturazione dell'esercito. Con decreto del 29 luglio 1882 il C., che negli anni precedenti aveva comandato la divisione militare di Bologna (1866-70), quella di Roma (1870-77) e il I corpo d'armata di stanza a Torino (1877-81), era nominato capo di Stato Maggiore, carica allora istituita e che ricoprì fino al 3 nov. 1893.
In questi dodici anni, attraverso lo Stato Maggiore, organo tecnico svincolato dal controllo diretto dell'Esecutivo, si attuò la trasformazione dell'esercito italiano da coarcevo di corpi di varia origine in organismo compatto, preparato e razionalmente costruito. L'avvio del C. non fu facile: in una situazione generale di grande instabilità, le sue prime cure furono indirizzate all'approntamento dei piani di mobilitazione e di pronto impiego. Soprattutto agli esordi, l'ipotesi presa in considerazione fu quella di un attacco italiano alla Francia meridionale con conseguente indebolimento della sua frontiera orientale a vantaggio dei Tedeschi; solo più tardi (1885) si predisposero per il Friuli, sfruttando la linea del Piave, misure difensive contro un eventuale attacco austriaco. Con l'avvento al potere di Crispi e il rinnovo della Triplice Alleanza, in un clima di rinnovata francofobia, il C. rivide i rapporti militari con la Germania; grazie agli accordi dell'88 l'impegno itafiano, previsto come partecipazione diretta anche ad un eventuale conflitto franco-tedesco, assunse un significato chiaramente aggressivo: il mito di una grande potenza italiana, basilare per Crispi, era condiviso in pieno dal C., anche a costo di un progressivo distacco delle istituzioni militari dal resto del paese cui ogni anno furono imposte enormi spese straordinarie. Quando alla fine dei '93 il C. lasciava lo Stato Maggiore per passare in ausiliaria (e dal 1º ott. 1896 a riposo), l'esercito aveva fatto grandi progressi ed era stato dotato di modernissimi regolamenti per le varie armi, ma era anche emersa la pericolosa contrapposizione tra gli interessi generali e quelli militari. La stesso autonomia dei capo di Stato Maggiore dal ministro della Guerra non poteva non suscitare contrasti, come accadde a proposito del piano di riduzioni d'organico e di spese proposto dal ministro Ricotti, un piano che il C. cercò sempre di osteggiare. Purtuttavia molti deprecarono la conclusione della sua carriera, e il re, che nel '90 su proposta di Cialdini gli aveva conferito il collare dell'Annunziata, lo fregiò per il servizio prestato della gran croce dell'Oriente di Savoia, massima onorificenza militare italiana.
Una volta a riposo il vecchio generale rimase osservatore partecipe della vita del paese, troppo proclive tuttavia, secondo una deformazione tipica del suo ceto, a identificare le fortune della nazione con quelle del suo esercito. Se alla notizia della sconfitta di Adua non riuscì a trattenere il pianto, su una grave questione interna come quella dei fasci siciliani si disse aperto fautore del ricorso alla forza: era logico quindi che, nel '98, si congratulasse con il gen. Bava Beccaris per la fermezza con cui aveva represso i moti milanesi.
Morì a Roma il 28 sett. 1898.
Altri scritti del C. pubblicati sulla Rivista militare: Note sulla storia della campagna del 1866 (1869); Note sulla campagna del 1870 (1870); Note raccolte durante una rapida escursione in Alsazia e Lorena nel settembre 1872 (1872-73); Note sulle operazioni militari del Nord della Francia nel 1870-71 (1874); Note sopra alcuni particolari della battaglia di Gravelotte-St. Privat (1875).
Fonti e Bibl.: Le due buste di Carte Cosenz, conservate nel Museo centr. dei Risorgimento di Roma e illustrate da E. Morelli, Le carte di E. C., in Rass. stor. d. Risorg., XLV (1958), pp. 476-480, raccolgono documenti sulla carriera, e corrispondenza di varia provenienza quasi tutta relativa al periodo postunitario. Considerato che anche, le molte lettere del C. presenti in altri fondi dello tesso Museo riguardano in gran parte gli anni uccessivi al 1860, e che le numerose biografie pubbl. subito dopo la sua morte ignorano o travisano la fase in cui egli fu più vicino ai democratici, il vuoto appare alquanto sospetto. L'ipotesi più probabile è che lo stesso C., una volta entrato in carriera, abbia preferito disfarsi di materiale che documentava un passato di cospiratore. Lettere dei C. o a lui dirette, e testimonianze di contemporanei sulla sua attività sono in: D. Manin e G. Pallavicino. Epistolario polit. (1855-1857), a cura di B. E. Maineri, Milano 1878, pp. XLVII, LV, LXII, LXVI, 16, 100, 105 s., 149, 157 s., 249, 292, 379 s., 386, 397-403, 594; R. Cadorna, La liberaz. di Roma nell'anno 1870, Torino 1889, ad Indicem; Epistol. di L. C. Farini, a cura di L. Rava, III, Bologna 1914, p. 463; C. Pisacane, Epist., a cura di A. Romano, Milano-Genova 1937, ad Indicem; Epistolario di N. Bixio, a cura di E. Morelli, Roma 1939-54, ad Indicem;D. Farini, Diario di fine secolo, a cura di E. Morelli, I-II, Roma 1961, ad Indicem; Le carte di A. Bertani, Milano 1962, ad Indicem;F. Della Peruta, Democrazia e social. nel Risorg., Roma 1965, ad Indicem; Lettere di R. Pilo, a cura di G. Falzone, Roma 1972, ad Indicem;G. Greco, Le carte del Comitato segreto di Napoli (1853-1857), Napoli 1979, ad Indicem. Per la consultazione dei Carteggi di C. Cavour e dell'Edizione nazionale degli scritti di G. Mazzini si rinvia rispettiv. al volume di Indici, a cura di C. Pischedda. Bologna 1961, ad nomen,ed agli Indici, II, parte Imola 1973, ad nomen. Dati sulla carriera polit. e militare del C. in: Atti Parlam., Camera, Discussioni, VIII legislatura, I, p. 63; III, p. 295; IV, p. 1633; e Sessione 1863-64-65, XI, p. 8663; Indice gen. degli Atti Parlam., pt. II, Storia dei collegi elettorali, Roma 1898, pp. 214, 277, 425, 492, 507; e in M. Missori, Governi, alte cariche dello Stato eprefetti del Regno d'Italia, Roma 1973, ad Indicem. Tra le molte biografie del C., ben docum. è quella di F. Guardione, Ilgen. E. C., Palermo 1900; lo stesso curò poi il volume miscell. Custoza e altri scritti ined. del gen. C. e ricordi vari sullo stesso, Palermo 1913, includendovi molte lettere tratte dal materiale che poi sarebbe confluito nelle citate Carte Cosenz. Si vedano anche: L. Amadasi, E. C. Discorso, Roma 1902; E. Pedotti, E. C., Roma 1898; S. Nasalli Rocca, I seminatori: E. C., in Nuova Antol., 16dic. 1931, pp. 599-611; I capi di Stato Maggiore dell'Esercito. E. C., Roma 1935; G. Aloia, E. C., in L'Osserv. politico-letter., XVIII (1972), 12, pp. 26-36. Molte schede in A. P. Campanella, G. Garibaldi e la tradiz. garibaldina. Una bibliografia dal 1807 al 1970, I-II, Ginevra 1971, ad Indicem. Una valutaz. critica sull'attività del C. è rintracciabile in molti lavori dedicati o a temi più generali o a personaggi di vasta notorietà con cui fu in contatto. Per gli anni della formazione si vedano G. Ferrarelli, Mem. militari del Mezzogiorno d'Italia, Bari 1911, pp. 72 s., 183, 289; e G. Berti, I democratici e l'iniziativa merid. nel Risorgimento, Milano 1962, ad Indicem;Sul '48 ed il successivo periodo dell'esilio: G. B. Comello, E. C. alla difesa di Venezia, Treviso 1910; M. Mazziotti, La reazione borbonica nel Regno di Napoli (Episodi dal 1849 al 1860), Milano-Roma-Napoli 1912, ad Indicem; L'emigraz. polit. in Genova ed in Liguria dal 1848 al 1857, III, Modena 1957, ad Indicem;N. Rosselli, C. Pisacane nel Risorg. ital., Milano 1958, pp. 37, 140 ss., 151, 192, 195, 206, 228 ss., 236, 238, 253, 255, 260, 262-266, 268, 360, 367, 372, 379, 383. Sulla rottura con Mazzini e la partecipaz. alle guerre per l'Unità nelle file garibaldine: J. White Mario, A. Bertani e i suoi tempi, Firenze 1888, I, pp. 245 ss., 270-276, 280, 330, 338, 370, 374, 379, 386, 390; II, pp. 68 s., 91, 102 s., 184-187, 192-195; A. Magni, La XVI Divis. Cosenz nella guerra del 1860, Roma 1903; G. E. Curatulo, Garibaldi, Vittorio Emanuele, Cavour nei fasti della patria, Bologna 1911, ad Indicem;C. Agrati, Da Palermo al Volturno, Milano 1937, ad Indicem;G. Castellini, Eroi garibaldini, Milano 1944, ad Indicem;R. E. Righi, Sulla via dell'unificaz. it. La lega militare (1859-60), Bologna 1959, pp. 81, 112, 118, 123; Genova e l'impresa dei Mille, Roma 1961, I, pp. 46, 298, 304 s.; II, pp. 422-438, 503, 506; P. Pieri, Storia milit. del Risorg., Torino 1962, ad Indicem. Sulla carriera nell'esercito e i rapporti con altri ufficiali: G. de Félissent, Il gen. Pianell e il suo tempo, Verona 1902, pp. 105, 110 s., 368, 434; U. Pesci, Il gen. C. Mezzacapo e il suo tempo, Bologna 1908, ad Indicem;P. Pieri, Le Forze armate nell'età della Destra, Milano 1962, ad Indicem. Molto studiata la sua attività di primo capo di Stato Maggiore dell'esercito: fondamentali: F. Minniti, Esercito e polit. da Porta Pia alla Triplice Alleanza, in Storia contemp., IV (1973), pp. 36 ss.; R. Mori, La politica estera di F. Crispi (1887-1891), Roma 1973, ad Indicem; M. Mazzetti, L'esercito it. nella Triplice Alleanza. Aspetti della politica estera 1870-1914, Napoli 1974, pp. 13, 31, 33, 36, 38 ss., 43, 47, 69, 108, 120, 124, 134, 139. 142 ss., 160, 163 ss., 477, 493 ss.; G. Rochat-G. Massobrio, Breve storia dell'Esercito ital. dal 1861 al 1943, Torino 1978, ad Indicem.