Fermi, Enrico
Un geniale maestro della fisica moderna
Enrico Fermi ha lasciato un segno profondo nella fisica del Novecento, occupandosi sia di problemi teorici sia di questioni sperimentali. Ha studiato la radioattività naturale formulando la teoria del decadimento β e la radioattività indotta dai neutroni lenti, una ricerca che gli è valsa il premio Nobel. Emigrato negli Stati Uniti, ha lì realizzato il primo reattore nucleare a uranio, la pila di Fermi, e ha preso parte al progetto Manhattan per la costruzione della bomba atomica, passando, dopo la guerra, a occuparsi di particelle elementari. Ma Fermi non è stato solo un fisico dalle intuizioni geniali, si è anche dimostrato un grande insegnante e molti suoi studenti hanno dato contributi fondamentali alla fisica con le loro ricerche
Enrico Fermi nacque a Roma nel 1901. Fu uno studente esemplare e la fisica rappresentò per lui, sin dagli anni del liceo, una vera passione, coltivata poi alla Scuola Normale di Pisa dove si laureò con una tesi sulla riflessione dei raggi X.
Dopo la laurea lavorò a Gottinga e a Leida, dove entrò in contatto con la rivoluzione che stava dando origine alla meccanica quantistica. Durante un viaggio a Roma conobbe Orso Mario Corbino, direttore dell'Istituto di fisica dell'università di Roma, che intuì il talento di Fermi e lo aiutò da allora con ogni mezzo fino a quando morì nel 1937. Tornato a Roma nel 1926, Fermi si impegnò a creare attorno a sé un gruppo di ricerca fatto da collaboratori tutti molto giovani, i cosiddetti ragazzi di via Panisperna, che raccolse per anni i migliori fisici italiani: da Emilio Segré a Edoardo Amaldi, da Bruno Pontecorvo a Ettore Majorana e Giancarlo Wick.
La prima grande scoperta di Fermi avvenne tra il 1925 e il 1926, quando descrisse il comportamento di un gas di elettroni in funzione della temperatura riuscendo a riprodurre accuratamente i dati sperimentali. La sua scoperta fu perfezionata in seguito da un altro grande fisico, Paul Dirac, per cui la teoria nella sua forma attuale è chiamata statistica di Fermi-Dirac. Tra il 1926 e il 1930, Fermi si impegnò per riscrivere in forma chiara e comprensibile la complessa teoria della elettrodinamica quantistica, che studia le interazioni tra gli elettroni, dotati di carica elettrica, e i fotoni, cioè i quanti della luce.
Lo studio dell'elettrodinamica quantistica portò Fermi a occuparsi anche di radioattività naturale. Questa è una proprietà caratteristica di alcuni nuclei atomici che si trasformano spontaneamente in elementi diversi emettendo particelle subatomiche o radiazioni molto penetranti. Il fenomeno è noto in tre forme: α, in cui un nucleo pesante emette un nucleo di elio; β, caratterizzata dall'emissione di un elettrone; γ, che consiste nell'emissione di un fotone di energia elevata.
Dei tre processi il più oscuro ai tempi di Fermi era la radioattività β perché in questo caso l'energia dell'elettrone varia in maniera casuale, da evento a evento, tra zero e un valore massimo.
Per spiegare il fenomeno, il fisico tedesco Wolfgang Pauli suppose che nel nucleo ci fossero, oltre a neutroni e protoni, altre particelle molto leggere, prive di carica, che venivano emesse insieme all'elettrone. Fermi chiamò scherzosamente "neutrini" queste particelle durante una discussione con Pauli.
E fu sempre Fermi a dare una descrizione completa e convincente del fenomeno. Nel decadimento β vengono simultaneamente prodotti un elettrone (e−) e un neutrino (ν); contemporaneamente un neutrone (n) si trasforma in un protone (p), secondo la reazione n→p+e−+ν.
Alla conclusione del processo sono presenti tre corpi e l'energia di ciascuno può essere diversa di volta in volta, purché la somma totale sia sempre uguale alla differenza tra la massa del neutrone e quella del protone, moltiplicata per c2 (il quadrato della velocità della luce) secondo la relazione di equivalenza tra massa ed energia prevista da Einstein. Dopo il decadimento, il neutrino scompare nello spazio senza essere rivelato, perché la sua massa è piccola o addirittura nulla, e non possiede carica elettrica. Per giustificare il decadimento β fu necessario supporre l'esistenza di un nuovo tipo di interazione tra protoni, neutroni, elettroni e neutrini che fu chiamata debole ‒ una delle forze fondamentali ‒ a causa del piccolo valore della costante G (detta costante di Fermi) che ne misura la forza. Secondo un giudizio unanime, la teoria di Fermi della interazione debole rappresenta il maggior contributo dello scienziato alla fisica teorica.
Nel 1934 Fermi venne a conoscenza del fatto che irradiando un materiale con particelle α esso diventa radioattivo. Comprese rapidamente che il fenomeno poteva essere indotto più facilmente da neutroni che, non essendo carichi, non subivano alcuna repulsione da parte del nucleo bersaglio, che ha carica positiva, come invece avveniva alle particelle α, anch'esse di carica positiva. Insieme al suo gruppo, Fermi condusse misure sistematiche su moltissimi elementi e in questo lavoro osservò che l'attività indotta era molto maggiore se frapponeva un blocco di paraffina tra sorgente e bersaglio. Egli intuì che l'effetto era dovuto alla presenza dell'idrogeno nelle molecole di paraffina (un idrocarburo): un neutrone, infatti, ha all'incirca la stessa massa del protone che costituisce il nucleo di idrogeno e quindi nell'urto si realizza il massimo trasferimento di energia, come quando si urtano due biglie aventi circa la stessa massa. Il risultato del passaggio nella paraffina era che i neutroni erano efficacemente rallentati e le misure effettuate mostrarono che la radioattività indotta raggiunge il suo massimo con questi neutroni 'lenti', detti termici.
I risultati furono pubblicati nel 1936 e brevettati dai fisici del gruppo di via Panisperna, e per queste ricerche Fermi fu insignito del premio Nobel per la Fisica nel 1938. Tutta la famiglia lo seguì a Stoccolma: qui gli fu consegnato il riconoscimento e qui si imbarcò per gli Stati Uniti senza tornare in Italia dove le leggi razziali introdotte in quell'anno dal fascismo mettevano in pericolo la moglie, di origine ebraica.
Appena arrivato negli Stati Uniti Fermi venne a conoscenza della reazione nucleare di fissione, da poco scoperta. In questo processo i nuclei degli elementi più pesanti, come l'uranio, bombardati con neutroni, si dividono in due frammenti approssimativamente uguali tra loro e la rottura è accompagnata dall'emissione di un piccolo numero di neutroni e di energia sotto forma di fotoni.
Vari fisici, tra i quali Fermi, compresero immediatamente che in un blocco abbastanza grande di uranio ogni fissione avrebbe generato altre fissioni producendo una reazione a catena che poteva essere usata per produrre energia utile, se il processo fosse stato controllato, oppure avere un andamento esplosivo se lasciato libero di evolvere.
Di tutto questo il presidente degli Stati Uniti fu informato dai fisici coinvolti nelle ricerche sulle reazioni di fissione. Nacque così l'attività che culminò nel progetto Manhattan e nella costruzione della bomba atomica (armi atomiche e nucleari). All'inizio Fermi partecipò a questo lavoro febbrile solo come consulente in quanto non aveva ancora la nazionalità americana.
A Chicago, dove insegnava, si concentrò nello studio dei meccanismi di controllo della reazione a catena e nel 1942 mise in funzione il primo reattore nucleare a uranio. Nel 1943 si trasferì a Los Alamos, il principale laboratorio del progetto Manhattan, ove rimase fino alla fine della guerra.
Tornato a Chicago, Fermi si concentrò sulla nascente fisica delle particelle elementari a cui contribuì in maniera rilevante, sia direttamente sia attraverso i suoi molti studenti (quasi tutti vincitori del premio Nobel) fino alla morte avvenuta nel 1954.
Fermi fu l'ultimo fisico che ottenne importanti risultati sia nella fisica sperimentale sia in quella teorica. Le scoperte che fece con mezzi modesti in Italia prima della guerra e quelle che compì in seguito negli Stati Uniti con strumentazioni molto più sofisticate testimoniano di un'intelligenza straordinaria e di una capacità unica nel semplificare un problema, dandone poi la soluzione in termini chiari.
Le sue riflessioni nascevano sempre di fronte ai suoi allievi, ad alta voce, nelle riunioni che teneva la sera, alla fine del lavoro. Molti fisici statunitensi di grande fama, quando si sentono chiedere come sono riusciti a vincere il premio Nobel, rispondono con modestia: "È stato facile, ero uno studente di Fermi".
Prova del ruolo riconosciuto a Fermi è che l'istituto di Chicago dove lo scienziato italiano lavorò per un decennio si chiama oggi Fermi Institute e il più grande laboratorio americano per le particelle elementari, costruito negli anni Settanta vicino a Chicago, è stato battezzato Fermi National Accelerator Laboratory.