Enrico Ferri
Enrico Ferri è il fondatore, con Cesare Lombroso, dell'indirizzo positivista il quale, proponendo l'adozione del metodo positivo sperimentale proprio delle scienze naturali, determinò una rottura epistemologica nelle scienze criminali. Ferri intese il diritto come scienza sociale e l'ordine giuridico fondato sull'osservazione della società. Scopo del sistema penale doveva essere la neutralizzazione dei delinquenti attraverso la prevenzione dei reati.
Di origini modeste, Ferri nacque il 25 febbraio 1856 a San Benedetto Po, presso Mantova. Frequentò il liceo Virgilio di Mantova, dove seguì le lezioni del filosofo positivista Roberto Ardigò. Si laureò in giurisprudenza a Bologna nel 1877, con Pietro Ellero, discutendo la tesi La teorica dell'imputabilità e la negazione del libero arbitrio (pubblicata nel 1878). Completò la sua formazione frequentando le lezioni di Francesco Carrara a Pisa, e l'Università della Sorbona a Parigi. Seguì le lezioni di medicina legale di Cesare Lombroso, e nel 1881 entrò a far parte della redazione della rivista da questi fondata, «Archivio di psichiatria, scienze penali ed antropologia criminale per servire allo studio dell’uomo alienato e delinquente».
Ottenuta la libera docenza a Torino nel 1880, Ferri venne indicato da Ellero, nominato consigliere di Cassazione, per la cattedra di diritto penale a Bologna. Con la nota prolusione bolognese del 6 dicembre 1880 (I nuovi orizzonti del diritto e della procedura penale, stampata nel 1881), egli pose le premesse per la creazione della scuola positiva, poi annunciata formalmente dalla cattedra senese il 18 novembre 1882. Su iniziativa di Serafini, venne quindi chiamato a Pisa per succedere alla cattedra di Carrara (Pozzolini 1929); fu libero docente di diritto penale e poi ordinario all'Università di Roma, dove nel 1912 fondò la Scuola di applicazione giuridico-criminale. Dal 1895 al 1905 tenne anche corsi all’Université Nouvelle di Bruxelles e a Parigi.
Nella veste di avvocato, Ferri partecipò a numerosi processi celebri, tra cui quello di Tullio Murri nel 1905 e quello di Violet Gibson (l'attentatrice di Benito Mussolini) nel 1927, fino all'ultima arringa, nel processo a Vincenzo Saponaro del 1928. Con la difesa, nel 1886, dei contadini mantovani nel processo per il moto noto come La Boje (Passaniti, in Processo penale e opinione pubblica, 2008), Ferri «si guadagnò la fama di 'socialista'» (Sircana 1997, p. 139). Venne eletto deputato, ma aderì al Partito socialista italiano (PSI) solo nel 1893.
Come uomo politico, Ferri si caratterizzò per «capovolgimenti di posizione mirabolanti», fino a cadere «nella lusinga fascista» (Papa 2002, p. 153). In effetti, egli rifiutò lo strumento della lotta di classe, auspicando un'evoluzione che non forzasse gli assetti politici e sociali, in un'ottica di graduale progresso dell'umanità (Évolution économique et évolution sociale, 1901, p. 44). Inoltre subordinò le strategie politiche alla propaganda del metodo positivista, allo scopo di concretizzare le riforme che rispondessero alla sua idea di giustizia sociale. Anche la creazione nel 1891 della rivista «La scuola positiva nella giurisprudenza pernale» (che cambiò più volte nome) fu da lui sostenuta ai fini della propaganda del metodo.
Nel 1919 il guardasigilli Lodovico Mortara nominò Ferri presidente della commissione per la riforma del codice Zanardelli. Nominato senatore il 2 marzo 1929, Ferri morì a Roma il 12 aprile dello stesso anno, prima dell'investitura.
Dopo l'insegnamento di Ardigò, fondamentali furono per Ferri le lezioni di Ellero sullo scopo preventivo della pena. La tesi di laurea presenta infatti già le coordinate fondamentali del suo pensiero, a cominciare dalla negazione del libero arbitrio, che egli argomentò con il sostegno del magistero di Gian Domenico Romagnosi (La teorica dell'imputabilità, 1878, p. 455). Esclusa la responsabilità morale, Ferri non intese mettere al bando il diritto penale, sostenendo che «il concetto di diritto non ha nulla a che fare col libero arbitrio» (p. 408; Sociologia criminale, 1892, p. 470).
Dopo l'esperienza parigina, che lo mise in contatto con alcune dottrine all'avanguardia sul fondamento della pena, Ferri strinse con Lombroso un sodalizio che non venne mai meno (anche se fu spesso critico verso di lui) e apprezzò il suo tentativo di fondare scientificamente il nuovo concetto di responsabilità sociale.
Alle pagine della rivista lombrosiana, Ferri affidò un altro caposaldo del suo pensiero, conseguenza della negazione del libero arbitrio: la prevenzione dei delitti tramite i sostitutivi penali, ovvero le riforme di carattere sociale dirette a ridurre l'applicazione delle pene (Dei sostitutivi penali, 1880). Egli ricondusse la sua idea di prevenzione alla personale lettura di Romagnosi, cioè a un riformismo moderato e pragmatico, nell'ottica di una «evoluzione senza salti», tratto caratteristico del «canone eclettico» (Lacchè 2010). Ferri intese fondare un nuovo indirizzo all'interno della tradizione giuridica italiana, indicando le ragioni storiche dell’esistenza della scuola nella chiusura del «glorioso ciclo scientifico» della scuola classica, che ebbe «un indirizzo teorico: lo studio aprioristico del reato, come ente giuridico astratto» (La scuola positiva di diritto criminale, 1883, pp. 11-12). La nuova scuola di Ferri propose di applicare il metodo sperimentale allo studio dei delitti e delle pene. Nello studio del crimine, come fenomeno naturale e come azione concreta, egli privilegiò la dimensione praticata del diritto e la formazione di giudici che di fronte all'«uomo vivo» da giudicare ricevono poco supporto dalle nozioni «sulle qualità giuridiche del reato» (Delitti e delinquenti nella scienza e nella vita, 1889, p. 6).
Dopo la promulgazione del codice penale Zanardelli, Ferri concentrò gli sforzi sulla propaganda dei principi positivisti tra i pratici del diritto e, come detto, appoggiò l'iniziativa di Giulio Fioretti di dar vita alla rivista «La scuola positiva», avendo compreso quanto valesse «più un’oncia di pratica che un quintale di teoria, per vedere sperimentalmente che cos’è la vita del diritto» (E. Ferri, La psicologia nel processo degli studenti bolognesi, «La scuola positiva», 1891, I, p. 22).
Dopo la pausa per la stesura di Sociologia criminale (1892), terza edizione della sua opera fondamentale, I nuovi orizzonti del diritto e della procedura penale (1881), nel 1893 Ferri tornò a impegnarsi nella rivista, della quale sarà unico responsabile dal 1895, facendone un organo di propaganda del metodo sperimentale in ambito penale.
Nel 1893 aderì al Partito socialista italiano (PSI), ma non alla strategia della lotta di classe. Si definì discepolo di Karl Marx, ma si accostò alle teorie marxiste attraverso una lettura mediata da Achille Loria, suo amico dai tempi del liceo, e dall'evoluzionismo. In particolare, Ferri prospettò un'evoluzione rivolta più al progresso delle generazioni future che alla soluzione della contemporanea questione sociale. Nel 1894, a causa dell'adesione al PSI, perse la cattedra di Bologna. Ferri, tuttavia, costituiva una ῾minaccia᾿ più che altro per «il messaggio antiformalistico, antilegalistico e antiindividualistico» (Grossi 2002, p. 37; Grossi 2000, p. 16). Un messaggio che venne colto, per es., da Giacomo Venezian sul tema della responsabilità civile (Grossi 2002, pp. 38-39).
Oltre alla rivista, Ferri elesse la cattedra a luogo ideale per la propaganda del positivismo giuridico. Tuttavia la sua carriera accademica non fu priva di ostacoli, a cominciare dalla libera docenza a Torino, voluta e difesa da Ruggero Bonghi contro Terenzio Mamiani (Labriola, in Scritti in onore di Enrico Ferri, 1929, p. 263). Ferri sopperì a tali ostacoli con il proprio talento oratorio e con la tribuna offerta dai processi celebri per diffondere le teorie della scuola.
La difesa dei contadini mantovani, nel 1886, fu determinante per l'ingresso di Ferri nella vita politica attiva. Nel discorso per la candidatura elettorale, egli sostenne l'ideale «della concordia fra tutte le classi sociali», al fine di realizzare la «vera democrazia, che è la fratellanza umana» (Discorso di Enrico Ferri, 1886, s.p.).
Fedele osservatore di una società complessa, per descrivere i diversi soggetti di diritto Ferri utilizzò in più occasioni la metafora delle api e dell'alveare (Costa 2003). L'ordine giuridico
può paragonarsi ad un assieme di poliedri, tanti quanti sono gli individui, che compongono lo Stato o meglio l'umanità: e, come nel favo delle api le cellette, da esse fabbricate cilindriche, per la reciproca pressione diventano prismiche, così le sfere...si trasformano in altrettanti poliedri, per le reciproche, necessarie restrizioni nello stato di civile società. Ecco il concetto di diritto, che è una libertà fisica limitata, ed è fondato, non sul libero arbitrio, ma sulla necessità dei rapporti esterni individuali e sociali (La teorica dell'imputabilità, cit., p. 410).
Fin dalla difesa dei contadini mantovani, Ferri «indicò la strada della cooperazione, come naturale evoluzione dei movimenti di resistenza » (Salvadori 1960, pp. 514-15), e in più occasioni sostenne e promosse l'iniziativa della società civile, soprattutto nella forma della cooperazione, intesa anche come strumento di pacificazione sociale, perché
i lavoratori sono come le api; tranquilli e fecondi di bene quando hanno da lavorare, irrequieti e forse anche pericolosi quando sono condannati ad un ozio forzato (Le società cooperative di lavoratori e le opere pubbliche, 1887, p. 31).
Nel 1891 fece parte della sottocommissione per la cooperazione presieduta dal ministro del Tesoro Luigi Luzzatti.
Nel 1898, arrestato Leonida Bissolati, Ferri assunse al suo posto la direzione dell’«Avanti!», che tenne poi dal 1903 al 1908, anno in cui lasciò l’incarico per tenere un ciclo di conferenze in America latina. Il 1908 segnò anche l'anno del suo declino nel Partito socialista, ma non nel panorama giuridico. Nel 1912 egli diede vita alla Scuola di applicazione giuridico-criminale, nell'intento di dare concretezza all'idea originaria dei positivisti della necessaria «contaminazione socio-antropologica», e della necessità di occuparsi delle riforme giudiziarie e carcerarie (Miletti 2003, p. 24).
L'occasione per dimostrare le applicazioni giuridiche della dottrina positivista venne nel 1919, quando, come detto, il guardasigilli Mortara nominò Ferri presidente della commissione per la riforma del codice Zanardelli. Nel 1921 Ferri presentò con una sua relazione il progetto di codice penale italiano che, tradotto in diverse lingue, influenzò la scienza e la legislazione in Europa e in America.
Enrico De Nicola, membro della commissione con Ferri, ricordò le polemiche «acri, astiose, stizzose» che avevano accompagnato e talvolta sostituito «validi argomenti e buone ragioni» delle scuole penali, tanto che chi avesse «creduto possibile una collaborazione [...] avrebbe corso rischio di essere lapidato dagli uni e dagli altri» (in Scritti in onore di Enrico Ferri, 1929, p. 134).
Questa rappresentazione bellicosa, di lotta tra ῾scuole᾿, si accorda con l’effettivo contesto di scontro, alimentato anche dagli stili linguistici propri dell’epoca. Certamente si affrontarono «due opzioni sui contenuti di una nuova scienza della legislazione penale» (Sbriccoli 2009, p. 835). Tuttavia rischia «di apparire schematico il panorama di una contrapposizione cristallizzata tra diverse ῾scuole᾿ di diritto penale», perché il quadro fu complesso, «certo non riducibile al solo aspetto – pure esistente – della mera contrapposizione fra indirizzi diversi» (Colao 1986, p. 109).
I due schieramenti presentarono omologie di fondo, anche perché il nuovo indirizzo positivo, per la «capacità di interpretare i tempi [...] per la visione integrata della scienza penale» di cui fu portatore, rappresentò «un’espressione storicamente aggiornata della penalistica civile italiana (ed europea)» (Sbriccoli 2009, p. 551). Ovvero quella tradizione che aveva «fatto della cattedra e del foro due luoghi cruciali della funzione complessiva del riformismo penale, considerandoli momenti privilegiati del rapporto tra scienza e società (pp. 569-70).
Al di là di una visione miope del dibattito di allora, sbilanciata su problematiche interne legate alla codificazione unitaria, le questioni avevano un respiro europeo e riguardavano il fondamento stesso dell’ordine giuridico liberal-borghese: la dimensione individualistica, la centralità del legislatore, l’esclusività della fonte legislativa, il ruolo della scienza giuridica e dei giudici-interpreti.
Ferri volle chiudere la sua «vita scientifica, dimostrando le applicazioni giuridiche di quelle dottrine originalmente e schiettamente italiane» (Principii di diritto criminale, cit., p. IX), e affrontò anche la questione dell'arbitrio del giudice, che non ritenne ammissibile
perché le norme di procedura stanno a suprema garanzia dei diritti dell'uomo e del cittadino che [...] anche come delinquente ed anche come condannato, conserva pur sempre i fondamentali, intangibili diritti di persona umana (Principii di diritto criminale, cit., p. 654).
Il giudice, per Ferri, non dovrà oltrepassare i limiti della legge, ma entro i limiti legali non sarà «possibile togliere al giudice una certa larghezza di poteri, poiché altrimenti egli si ridurrebbe ad un contatore meccanico di dosimetria penale» (p. 654). Ferri auspicò giudici capaci di valutare socialmente e giuridicamente la pericolosità del delinquente e, per arginare i rischi dell'arbitrio, ovvero di «compromettere le irrevocabili garanzie di diritto individuale, conquistate dalla scuola classica criminale», non confidò più sul sistema delle pene fisse e del giudice ῾automa᾿, ma in una serie di provvedimenti, tra cui anche la responsabilità dei giudici specializzati nelle discipline criminologiche. Ferri dunque credette nella formazione del giurista e questo fu il senso della creazione della scuola di applicazione giuridico-criminale e del suo organo di stampa dal 1913, la rivista «La scuola positiva organo della scuola d'applicazione giuridico-criminale» presso la R. Università di Roma.
Ferri si collocò tra Carrara, che fu «il punto di arrivo, sebbene altissimo, di una tradizione ormai esaurita» (Sbriccoli 2009, p. 907), e la svolta tecnicistica di Arturo Rocco, secondo cui il compito principale (se non esclusivo) della scienza del diritto penale doveva essere
l’elaborazione tecnico giuridica del diritto penale positivo e vigente, la conoscenza scientifica, e non semplicemente empirica, del sistema del diritto penale quale è, in forza delle leggi che ci governano (Principii di diritto criminale, cit., p. 573).
Negli anni a cavallo tra Otto e Novecento Ferri si schierò contro i decreti liberticidi del generale Luigi Pelloux (presidente del Consiglio dal 1898 al 1900), e si dichiarò sollevato nel constatare che
gli eccessi di leggi e tribunali eccezionali per la difesa di classe sotto la parvenza della difesa sociale, si verificarono [...] senza la complicità od influenza [delle dottrine positiviste] (Difesa sociale e difesa di classe nella giustizia penale, 1899, p. 589).
Ferri credette, pur non dichiarandosi fascista, di vedere in Mussolini la possibilità di attuare le riforme positiviste e di contrastare il conflitto di classe, che in quegli anni prendeva anche forme acute, come nel caso dell'uccisione di Costantino Scimula e Mario Sonzini (avvenuta a Torino il 23 settembre 1920, nel corso dell'occupazione delle fabbriche; v. Colao, in Processo penale e opinione pubblica, 2008).
La teorica dell'imputabilità e la negazione del libero arbitrio, Firenze 1878.
Dei sostitutivi penali, «Archivio di psichiatria, antropologia criminale e scienze penali per servire allo studio dell’uomo alienato e delinquente», 1880, 2, pp. 67 e segg., pp. 214 e seguenti.
I nuovi orizzonti del diritto e della procedura penale, Bologna 1881.
Studi sulla criminalità in Francia dal 1826 al 1878, Roma 1881; rist. in Studi sulla criminalità e altri saggi, Torino 1901, pp. 17-59.
Le ragioni storiche della scuola positiva di diritto criminale, «Rivista di filosofia scientifica», 1882-83, 3, pp. 321-37.
La scuola positiva di diritto criminale: prelezione al corso di diritto e procedura penale nella R. Università di Siena, pronunciata il 18 novembre 1882, Siena 1883.
I contadini mantovani al processo di Venezia, imputati di eccitamento alla guerra civile Venezia 1886; rist. in Difese penali e studi di giurisprudenza, Torino 1899, pp. 1-62.
Discorso di Enrico Ferri (al Teatro Andreani) (Mantova 16 maggio 1886), Supplemento al n. 14 del giornale quotidiano «La Nuova Mantova. Organo del partito democratico-radicale», 20 maggio 1886, s.p..
Le società cooperative di lavoratori e le opere pubbliche: interpellanza dell’on. Enrico Ferri colle risposte degli onorevoli ministri Magliani e Saracco, tornata del 3 dicembre 1887, Roma 1887.
Delitti e delinquenti nella scienza e nella vita: conferenze tenute all’Università di Bologna, 22 e 23 marzo 1889, Milano 1889.
La psicologia nel processo degli studenti bolognesi, «La scuola positiva nella giurisprudenza civile e penale e nella vita sociale»
Sociologia criminale. Terza edizione completamente rifatta dei 'Nuovi orizzonti del diritto e della procedura penale', Torino 1892.
Ai lettori, «La scuola positiva nella giurisprudenza penale», 1893, pp. 1-2.
Difesa sociale e difesa di classe nella giustizia penale, «La scuola positiva nella giurisprudenza penale», 1899, pp. 577-91.
Difese penali e studi di giurisprudenza, Torino 1899; successive ed., con il tit. Difese penali. Studi di giurisprudenza penale. Arringhe civili, 2 voll., 19232, 3 voll., 19253.
Studi sulla criminalità e altri saggi: con tre tavole grafiche, Torino 1901.
Évolution économique et évolution sociale: conférence publique, organisée par le Groupe des étudiants collectivistes de Paris, le 19 janvier 1900, à l'Hôtel des Sociétés savantes, Paris 1901.
Giustizia penale e giustizia sociale: prolusione al corso di diritto e procedura penale, detta nell'Aula magna dell'Università di Roma il 12 gennaio 1911, Milano 1911.
In difesa di Tullio Murri (1905), in Difese penali. Studi di giurisprudenza penale. Arringhe civili, Torino 19232, 1° vol., pp. 491-561.
Documenti di criminologia: la personalità di Violetta Gibson, «La scuola positiva nella giurisprudenza penale», 1927, pp. 127-34.
Principii di diritto criminale. Delinquenti e delitto nella scienza, legislazione, giurisprudenza: in ordine al codice penale vigente, progetto 1921, progetto 1927, Torino 1928.
Scritti in onore di Enrico Ferri per il cinquantesimo anno di suo insegnamento universitario. R. Università di Roma 1879-1929, Torino 1929 (in partic.: E. De Nicola, Le due scuole penali (dissensi teorici e consensi pratici), pp. 133-66; T. Labriola, Enrico Ferri, pp. 261-65).
A. Pozzolini, Lezione commemorativa di Enrico Ferri, detta in Pisa nell'aula III della Sapienza il XVI aprile MCMXXIX, anno VII, Pisa 1929.
R. Salvadori, Enrico Ferri politico: dal radicalismo all'adesione al Partito socialista (1893), «Rivista storica del socialismo», 1960, 10, pp. 499-543.
M. Sbriccoli, Elementi per una bibliografia del socialismo giuridico italiano, «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», 1974-75, pp. 873-1035.
F. Colao, Le ideologie penalistiche fra Otto e Novecento, in I giuristi e la crisi dello Stato liberale in Italia fra Otto e Novecento, a cura di A. Mazzacane, Napoli 1986, pp. 107-123.
G. Sircana, Enrico Ferri, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 47° vol., Roma 1997, ad vocem.
P. Grossi, Scienza giuridica italiana. Un profilo storico, 1860-1950, Milano 2000, pp. 14 e seguenti.
P. Grossi, La cultura del civilista italiano. Un profilo storico, Milano 2002.
E.R. Papa, Enrico Ferri tra socialismo giuridico e riforme istituzionali, in Riforme e istituzioni fra Otto e Novecento, a cura di L. Cavazzoli, C. Lacaita, Manduria-Bari-Roma 2002, pp. 151-60.
P. Costa, Le api e l'alveare. Immagini dell'ordine fra 'antico' e 'moderno', in Ordo iuris. Storia e forme dell'esperienza giuridica, Milano 2003, pp. 373-409.
M.N. Miletti, Un processo per la terza Italia: il codice di procedura penale del 1913, 1° vol., L'attesa, Milano 2003, pp. 20-24.
R. Bisi, Enrico Ferri e gli studi sulla criminalità, Milano 2004.
C. Petit, Lombroso en Chicago. Presencias europeas en la 'modern criminal science' americana, «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», 2007, 2° vol., pp. 875-82.
Processo penale e opinione pubblica in Italia tra Otto e Novecento, a cura di F. Colao, L. Lacchè, C. Storti, Bologna 2008 (in partic.: E. D'Amico, Strategie di manipolazione dei giurati: Enrico Ferri e la coscienza popolare, pp. 265-90; P. Passaniti, Diritto, lavoro e sciopero. Il processo ai contadini mantovani de “La Boje!”, pp. 343-76F. Colao, Il processo 'Scimula Sonzini'. Politica e diritto penale alle origini del fascismo, pp. 439-70).
L. Lacchè, «Non giudicate». Antropologia della giustizia e figure dell’opinione pubblica tra Otto e Novecento, Napoli 2009.
M. Sbriccoli, Storia del diritto penale e della giustizia. Scritti editi ed inediti (1972-2007), Milano 2009 (in partic.: Il diritto penale sociale 1883-1912, pp. 819-37; La penalistica civile. Teorie e ideologie del diritto penale nell'Italia unita, pp. 493-590; Caratteri originari e tratti permanenti del sistema penale italiano (1860-1990), pp. 591-670; Il problema penale, pp. 671-715; Il diritto penale liberale. La «Rivista penale» di Luigi Lucchini (1874-1900), pp. 903-80; Le mani nella pasta e gli occhi al cielo. La penalistica italiana negli anni del fascismo, pp. 1001-34).
L. Lacchè, Il canone eclettico. Alla ricerca di uno strato profondo della cultura giuridica italiana dell’Ottocento, «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», 2010, t. 1, pp. 153 e seguenti.
F. Colao, A 'form of coercion' for the 'intermediate zone between crime and madness'. Origins of the criminal lunatic asylum, in Beyond the statute law: the 'grey' government of criminal justice systems. History and theory in the modern age, ed. L. Lacchè, M. Stronati, Macerata 2011, pp. 61-74.