Enrico VIII, re d'Inghilterra
Il re che si mise a capo della Chiesa inglese
Nel 1534 il re d'Inghilterra Enrico VIII uscì dalla Chiesa di Roma e diede vita alla Chiesa anglicana, di cui si fece proclamare capo. Grazie a questo distacco, in Inghilterra si rinsaldarono il prestigio e la forza della monarchia che andò acquisendo sempre più potere in campo politico, religioso ed economico
All'inizio del Cinquecento anche in Inghilterra, come nel resto d'Europa, serpeggiava una certa ostilità verso la Chiesa di Roma. I mali della Chiesa erano ovunque gli stessi: la corruzione e l'ignoranza del clero, lo stile di vita lussuoso dei cardinali e dei vescovi, le ricchezze esagerate delle diverse Chiese nazionali (inglese, francese, tedesca, fra le altre), accumulate esigendo tasse dalla popolazione. In questo clima di malcontento, lo strappo operato da Enrico VIII contro il papato fu accolto con favore da una parte del popolo inglese.
Ma all'origine della rottura con Roma vi erano anche le vicende matrimoniali di Enrico VIII, un uomo molto volubile nei sentimenti che fece del matrimonio uno strumento per stringere e disfare alleanze: ebbe infatti sei mogli.
Salito al trono nel 1509, Enrico VIII non aveva avuto eredi maschi dal suo matrimonio con Caterina d'Aragona. Innamoratosi di Anna Bolena, nel 1533 decise di sposarla nonostante il papa Clemente VII non avesse concesso l'annullamento del suo matrimonio con Caterina. Da Roma partì immediata la scomunica per il re e la sua nuova sposa che era già incinta della futura regina d'Inghilterra Elisabetta I.
A partire dal 1533 Enrico VIII promulgò una serie di editti per sancire la nascita di una Chiesa inglese autonoma dall'autorità del papa e sottomessa invece al potere assoluto dei sovrani inglesi. Questo processo culminò nell'Atto di supremazia (1534): con tale legge il re si arrogò il diritto di scomunicare e perseguitare coloro che venivano giudicati eretici, di requisire tutti i beni della Chiesa e di rivenderli a sua discrezione, di abolire i monasteri, di designare i futuri vescovi. Grazie all'Atto di supremazia, dunque, la corona acquisiva il totale controllo di tutte le proprietà precedentemente appartenute alla Chiesa e ne disponeva a suo piacimento per arricchire le finanze dello Stato.
In questo modo il potere politico del sovrano si rafforzava. Nello stesso tempo rinsaldava il sentimento di unità e indipendenza nazionale inglese e si apriva la strada all'assolutismo regio che alcuni decenni più tardi troverà nella regina Elisabetta I la sua piena affermazione.
Nonostante la rottura con il papato, Enrico VIII non accolse la fede protestante; anzi, perseguitò e giustiziò molti luterani e calvinisti. Come si è detto, il suo strappo aveva avuto motivazioni personali e soprattutto politiche, ma non religiose, e di conseguenza la Chiesa anglicana continuò a seguire la dottrina cattolica. Dopo la morte di Enrico VIII, nel 1547, furono i suoi successori, prima il figlio Edoardo VI, avuto dalla terza moglie, e poi Elisabetta I, a introdurre la Riforma in Inghilterra.
Tra le vittime dell'intolleranza dell'epoca va ricordato l'inglese Tommaso Moro, cancelliere di Enrico VIII, uno dei grandi intellettuali europei del Cinquecento, amico di Erasmo da Rotterdam, che rifiutò di aderire all'Atto di supremazia e fu per questo condannato a morte.
Nel 1534 il parlamento inglese vota l'Atto di supremazia, la legge che decreta sciolta la Chiesa inglese da qualsiasi vincolo di subordinazione con il papato. Nel testo si enuncia che il re viene riconosciuto da tutto il clero del regno "capo supremo della Chiesa d'Inghilterra" e tutti i suoi eredi e successori vengono "considerati i soli capi supremi nel territorio della Chiesa d'Inghilterra, chiamata Anglicana Ecclesia; e avranno e godranno, annessi e uniti alla corona reale e imperiale di questo reame, gli onori, dignità, prerogative, giurisdizioni, privilegi, autorità, immunità, profitti, vantaggi, connessi al nome e al titolo di capo supremo della Chiesa suddetta".