EPAMINONDA ('Επαμεινώνδας, Epaminündas)
Uomo di stato beotico, nato intorno al 420-15 a. C. Figlio di Polimnide, apparteneva a una famiglia ragguardevole, ma di mediocre agiatezza, iscritta tuttavia tra la borghesia abbiente composta di quelli che potevano fornirsi d'armi proprie (ὅπλα παρεχόμενοι). Ebbe educazione liberale. Principale suo maestro fu il filosofo pitagorico Liside, che, fuggiasco dall'Italia meridionale dopo la catastrofe dei pitagorici, finì col rifugiarsi in Tebe dove il padre di E. lo ospitò fino alla morte. Questa educazione filosofica influì sulla formazione spirituale di E., il quale, per testimonianza concorde degli antichi, fu assai superiore per costumi, disinteresse e anche per senso di umanità alla maggior parte degli uomini politici greci suoi contemporanei. Di tendenze oligarchiche, come era naturale data la sua educazione pitagorica, egli, sebbene non fosse connivente col governo oligarchico stabilitosi in Tebe dopo il colpo di mano degli Spartani nel 382, non ne venne infastidito, tanto meno partecipò quindi alla congiura di Pelopida da cui furono abbattuti gli oligarchici; ma appena essi furono uccisi, si rese solidale coi democratici nel loro programma d'indipendenza da Sparta e lottò con essi per la liberazione della Cadmea dal presidio spartano e poi per la ricostruzione dell'unità beotica, che si compì in massima circa il 374. Non è dubbio che spettano in buona parte a lui il nuovo ordinamento federale, che rinnovava, rendendolo più saldo, quello esistente prima della pace di Antalcida, e il riordinamento che lo accompaguò dell'esercito beotico e dell'educazione militare al quale si debbono le vittorie degli anni successivi. A E. è attribuita anche una capitale innovazione tattica, il cosiddetto ordine obliquo, per cui l'attacco non si faceva più con eguale intensità e con masse omogenee su tutta la fronte di battaglia, ma sopra una parte della fronte, all'ala sinistra, si schierava la fanteria con una profondità assai maggiore, per servirsene nello sfondamento del nemico, mentre il resto delle forze, formato su poche linee, si contentava di tenere a bada il nemico, impegnando appena il combattimento.
Il primo atto politico di grande importanza compiuto da E. fu il suo rifiuto di firmare in nome dei soli Tebani nel 371 la pace generale proposta nel congresso di Sparta. Non avendo Agesilao ammesso che firmasse in nome dei Beoti, come richiesta contraria alle autonomie cittadine sancite nel trattato, la Beozia rimase sola esclusa dalla pace. E. non era riuscito a risparmiare alla sua patria una sconfitta diplomatica, ma fiducioso nei nuovi ordinamenti militari della Beozia e nell'appoggio promesso dal signore di Fere Giasone, che era riuscito a unificare la Tessaglia, affrontò senza paura le conseguenze di quell'insuccesso. La conseguenza fu l'invasione spartana della Beozia e la vittoria dei Beoti a Leuttra in cui si dimostrò la superiorità della nuova tattica. L'evacuazione che subito seguì della Beozia da parte degli Spartani assicurò definitivamente la piena indipendenza della lega.
I Tebani ne profittarono per costringere Orcomeno, rimasta fino allora fedele a Sparta, a entrare nella lega. E. impedì che si distruggesse la città e che s'incrudelisse contro gli Orcomenî. Tutta la Grecia centrale compresa l'Eubea aderì ai Tebani. L'assassinio di Giasone li liberò da un pericoloso rivale e sottopose anche la Tessaglia al loro influsso. Il movimento antispartano dilagò nel Peloponneso dove gli Arcadi ricostituirono la loro lega. Minacciati da Sparta si volsero a Tebe che inviò nel Peloponneso Epaminonda (inverno 370-69). E. liberò facilmente l'Arcadia e poi coi suoi collegati Argivi ed Elei e con tutti i contingenti della Grecia centrale, invase la Laconia." Mirava probabilmente a sorprendere e distruggere Sparta; ma ciò non gli venne fatto per la prontezza e l'energia con cui Agesilao organizzò la resistenza. Tuttavia l'effetto morale fu gravissimo; e più grave fu che i Messenî ne profittarono per ricuperare la loro libertà e fondare in posizione forte, sulle pendici del monte Itome sotto gli auspici di E., la loro nuova capitale Mesene di cui E. fu appunto venerato come ecista (v.). La lega che, sotto l'impressione di questi fatti, fu conclusa nel 369 fra Sparta e Atene indusse E. alla sua seconda invasione nel Peloponneso, che peraltro non mutò la situazione. Di qui, e dallo scarso successo che contemporaneamente Pelopida ebbe in Tessaglia, la vittoria tra i Tebaní, stanchi di combattere, del partito della pace e il conseguente processo di Pelopida ed E. per alto tradimento. L'accusa cra infondatissima ed E. fu assolto, ma cessò di avere per il momento parte direttiva nel governo. Sennonché poco dopo un esercito tebano spediti contro Alessandro di Fere che aveva fatto prigioniero Pelopida a tradimento, ridotto in gravi distrette da Alessandro, fu salvato da E., che vi militava come semplice cittadino. Ciò ricondusse al potere E., il quale invase la Tessaglia, liberò Pelopida e indusse Alessandro a una pace che peraltro non fu durevole; poi fece la sua terza invasione nel Peloponneso (367), dove la lega arcadica in lotta con Sparta sull'esempio di Messene aveva iniziato la fondazione della sua nuova capitale Megalopoli. E. guadagnò in questa occasione ai Tebaní l'Acaia, dove però mantenne nelle città i governi oligarchici. I Tebani, malcontenti di questa sua politica, instaurarono dappertutto governi democratici. L'effetto fu lo scoppio di torbidi tra cui l'Acaia si separò nuovamente dai Tebani. Nel 364 E. tentò di fare di Tebe una potenza navale e fece votare la costruzione di 100 triremi. ln quel tempo la seconda lega marittima ateniese si veniva dissolvendo sotto l'influsso degli stessi fattori che avevano minato la prima (v. Delio-attica, lega). E. con la flotta tebana mosse verso il Bosforo e diede alla lega ateniese un colpo grave strappando ad essa Bisanzio. Non si venne però a battaglia tra la flotta tebana e l'ateniese comandata da Carete, sicché l'impresa, che fu l'unica impresa marittima dei Bêoti, non ebbe risultati decisivi. Nello stesso anno la morte di Pelopida nella battaglia di Cinoscefale (r.) e la distruzione d'Orcomeno, invano deprecata da E., indebolirono moralmente l'egemonia beotica. Gravi torbidi scoppiarono nel Peloponneso, dove gli Elei si riaccostarono e Sparta L la lega arcadica cominciò a mostrare sintomi di dissolvimento. Un presidio fu inviato da E. in Tegea: e il comandante di esso arrestò i maggiorenti arcadi riuniti in Tegea per giurare la pace con l'Elide. Al rifiuto di E. di dare soddisfazione di questo sopruso la lega arcadica si scisse: Tegea e Megalopoli rimasero fedeli a Sparta. Ciò determinò la quarta e ultima invasione di E. nel Peloponneso (362). Un nuovo tentativo da lui fatto di sorprendere Sparta venne come il precedente frustrato dal tempestivo intervento di Agesilao. E ritenne allora di dover dare presso Mantinea la battaglia decisiva contro gli Spartani, gli Ateniesi e i loro alleati. Fu la maggior battaglia combattuta fino allora tra Greci (v. mantinea). Pareva che E., con la tattica consueta, avesse assicurato la vittoria, quando cadde mortalmente ferito. Questo fiaccò l'impeto dell'assalto tebano, e fece che la battaglia rimanesse indecisa.
Capitano genialissimo, cittadino probo e amante della patria, E. non riuscì come politico a superare gli schemi vigenti. Perciò l'egemonia tebana incontrò le difficoltà stesse per cui erano precipitate la spartana e l'ateniese; con questo in più, che queste due si erano date, almeno per qualche tempo, un contenuto ideale nella lotta contro i barbari, mentre la politica beotica fu sempre, con Pelopida ed E., filopersiana; sicché si resse unicamente sulla forza bruta e sui dissensi e gl'interessí particolari degli altri Greci. Lo sforzo di E. per fare di Tebe una potenza marittima non riuscì perché a Tebe mancava soprattutto la base finanziaria indispensabile per una grande flotta. Durevole si mostrò l'opera di E. solo nella ricostituzione della Messenia e nel nuovo impulso dato alla lega arcadica che portò alla fondazione di Megalopoli. Ma fu opera negativa. La fondazione di Messene e di Megalopoli e la lotta perenne fra queste città e Sparta impedì l'unificazione del Peloponneso fino all'età romana e rese nulla o quasi, in momenti decisivi, l'efficacia del Peloponneso nella vita della nazione.
Bibl.: Cfr. J. Beloch, Gr. Gesch., 2ª ed., III, i, p. 144 segg.; III, ii, pp. 238 segg., 247 segg., Berlino 1922-23. Inoltre E. v. Stern, Gesch. der spart. u. theb. Hegemonie, Dorpat 1884; H. Swoboda, in Pauly-Wissowa, Real-Encyclopädie, V, col. 2674 segg.