Epaminonda
Uomo politico e generale tebano (420/415 - 362 a.C.). In Discorsi I xvii 13 la decadenza di Tebe alla morte di E., sotto il cui governo la città era stata potente e «potette tenere forma di republica», è citata a sostegno dell’idea secondo cui uno Stato corrotto, quando per l’eccezionale virtù di un capo riesce a risollevarsi, precipita nel disordine alla morte di questi (cfr. Polibio, Storie VI xliii). In coppia con Pelopida (420 circa - 364 a.C.), uomo di Stato che collaborò con E., è menzionato in Discorsi I xxi 9 (passo poi richiamato in Discorsi III xiii 15 e xxxviii 7): i due generali sono lodati per essere riusciti, dopo aver liberato Tebe dall’egemonia spartana, a trasformarne i cittadini, resi effeminati dalla servitù, in ottimi soldati. La loro virtù fu tale da indurre «chi ne scrive» (Plutarco, Vite parallele: Pelopida XVII 13) ad affermare che uomini atti alla guerra nascono ovunque, non solo a Sparta, purché ci sia chi sappia indirizzarli alla milizia (quest’ultima è precisazione machiavelliana). Come virtuoso capitano, E. è ricordato in Discorsi III xviii, che si apre con la citazione di un suo detto: nessuna cosa è più utile a un comandante che conoscere le mosse dei nemici. Negli pseudoplutarchei Regum et imperatorum Apophthegmata 187 C, dove comunque compaiono molte sentenze di E., il detto in realtà viene attribuito al generale ateniese Cabria. Insieme con Pelopida e con altri famosi re e condottieri, sempre per la virtuosa impresa di aver creato ex novo una milizia, E. è menzionato anche in Arte della guerra VII 204. Nello stesso libro, più avanti (VII 243), sulla scorta di Plutarco (Pelopida XXVI 7), E. diventa modello imitato da Filippo II di Macedonia nell’ordinare l’esercito, mentre in III 130 è ricordato per l’utile stratagemma (narrato da Frontino, Strategemata II ii 12) di «impedire la vista al nemico», grazie alla polvere alzata dai suoi cavalli (l’episodio si verificò nella battaglia di Mantinea del 362 a.C., dove E. perse la vita).