EPIDAURO ('Επίδαυρος, Epidaurus)
Antica città della Grecia. Il nome di Epidauro, che i Greci attribuivano a un omonimo fondatore leggendario, ci riporta a una primitiva popolazione pregreca. Sopra questa vennero poi a collocarsi i Dori di Argo. Dorica infatti è la lingua di Epidauro e prettamente dorica fu senza dubbio in origine l'organizzazione dello stato; sennonché nel periodo di assestamento delle tre solite tribù dei Dori (Illei, Dimani e Pamfili) la terza scomparve e se ne ebbero in cambio altre due, gl'Isminati e gli Azantii, i cui nomi paiono riferirsi all'età predorica. A capo dello stato era un certo numero di senatori, con i quali stavano in stretto rapporto speciali magistrati detti artini (ἄργυνοι; cfr. Plutarco, Quaest. gr., I, 291 e); v'erano inoltre i κατάλογοι βουλᾶς che ricordano gli ἀρητεύοντες d'Argo. Nei secoli VII e VI si alternarono per Epidauro periodi di soggezione ad Argo (certamente sotto il regno di Fidone, circa il 650) e di libertà, finché la sottomissione alla potente vicina venne troncata dall'ingresso di Epidauro nella lega delle città peloponnesiache, fatto peraltro che non escludeva assolutamente i rapporti con Argo; che difatti continuarono anche dopo l'accoglienza offerta da Epidauro agli esuli di Tirinto. Il culto di Asclepio sembra si costituisca a Epidauro nel sec. VI; ed esso affermandosi e imponendosi via via alle altre regioni greche e anche non greche, fa sì che la storia di Epidauro divenga quella del suo santuario, il quale, con i suoi monumenti e soprattutto con la larga messe delle sue iscrizioni ci fornisce quasi tutti gli elementi per ricostruirla. La vera importanza del santuario di Epidauro comincia quando Atene, adottato il culto d'Asclepio, e messolo anche in rapporto con i culti d'Eleusi, sollevò il dio risanatore all'altezza delle divinità panelleniche. Il pieno fiore di Epidauro cade nel sec. IV, e le iscrizioni rinvenute, quelle narranti i miracoli del dio e le molte altre di vario genere, ci dimostrano quanta fosse l'afluenza dei fedeli, che Asclepio guariva per mezzo dei suoi ministri e allietava con le gioconde feste Asclepiee e Apollonie. Nel sec. III dominano a Epidauro i Macedoni; mentre dal 243-2 in poi, cioè dalla presa di Corinto, Epidauro appartiene alla Lega achea. La costituzione della Grecia a provincia romana (146) non porta alcun vantaggio a Epidauro, la quale sembra conduca una vita piuttosto modesta sotto il governo degli arconti e dei sinedri. Nuovo incremento acquista il santuario con Adriano, come ci dimostra il numero assai maggiore d'iscrizioni votive; e da questo tempo in avanti accoglie via via parecchie altre divinità, anche esotiche. Sulla flne del III sec. comincia la decadenza. A metà del sec. IV il santuario è ancora in vita, ma sia per le invasioni barbariche, sia per i progressi del cristianesimo sulla religione pagana, esso va inesorabilmente incontro alla morte.
Topografia. - La parte più antica e più importante della città di Epidauro, cioè l'acropoli, sorgeva in quella stretta penisola di Akte (oggi Nisi), che sporge nella baia di Metana; mentre la parte più bassa e più recente si estendeva presso l'odierno villaggio di Palaià Epidauros. Sulla rocca fortemente munita si elevavano alcuni templi che Pausania (II, 29,1) descrive, sacri ad Asclepio, ad Epione, a Dioniso, ad Artemide, ad Afrodite, ad Atena Kissaia, dei quali solamente l'ultimo, che si trovava sulla sommità, si è potuto identificare con sicurezza in alcune rovine che tuttora vi si scorgono. Ma quello che di Epidauro soprattutto interessa l'archeologia, anzi la storia della civiltà greca, è il santuario di Asclepio (v. anche asclepieo) situato 9 km. a sud-ovest della città, alla quale lo collegava un'ampia strada orlata di monumenti. Esso era dentro terra in una valle fertile e irrigua, chiusa a N. dal M. Titthion (dove si diceva che la ninfa Coronide avesse generato Asclepio ad Apollo) e a sudest dal M. Kynortion, sacro al culto di Apollo Maleatas. Gli scavi, eseguiti in massima parte fra il 1881 e il 1898 dal Kavvadias e dallo Stais, sono fra i più importanti di tutta la Grecia, e, integrati dalla descrizione di Pausania (II, 27) e dalle notizie di altri autori, rievocano in maniera mirabile la vita di quel famoso sanatorio dell'antichità greca.
Il santuario vero e proprio, quello nel quale non era lecito né nascere né morire (Paus., II, 27,1), era segnato da un peribolo di portici e di muri, cambiati dai Bizantini in muri di fortificazione, e comprendeva i principali edifici del culto. Anzitutto il tempio di Asclepio, preceduto da una fontana sacra che serviva per le abluzioni: tempio di stile dorico, periptero, con 6 colonne nei lati brevi e 11 nei lati lunghi, costruito in calcare con ornamenti di marmo pentelico, risalente all'inizio del sec. IV. Il celebre scultore ateniese Timoteo ne aveva disegnato i frontoni rappresentanti a oriente una Centauromachia, a occidente un'Amazzonomachia, ed egli stesso aveva eseguito gli acroterì d'una delle facciate, consistenti in figure di Nikai e di Nereidi, mentre il resto delle sculture era uscito dalle mani di varî artisti, pur sempre guidati dalla mente direttiva di Timoteo; tanto che gli avanzi di quelle sculture, conservati parte nel Museo d'Atene, parte a Epidauro stessa, ci dànno un'idea unitaria dell'arte di questo scultore. Dentro il tempio sorgeva la statua crisoelefantina del dio, opera di Trasimede pario, della quale le monete di Epidauro ci hanno conservato l'effigie. Il recinto comprendeva anche un edificio rotondo, la famosa tholos o thymele (secondo l'iscrizione epidauria Inscr. Graec., IV, ed. min., 103), i cui avanzi hanno esercitato e seguiteranno a esercitare l'acume degli archeologi. Pausania ci dice che essa fu opera di Policleto il giovane e che le sue pareti interne vennero decorate con mirabili pitture da Pausia.
Costruita in tufo con ornamenti di marmo, essa misurava m. 21, 82 di diametro e presentava esternamente un porticato di 26 colonne doriche, mentre internamente la sorreggevano 14 colonne corinzie. Lo strano basamento a muri concentrici disposti a guisa di labirinto ha dato origine alle più svariate ipotesi sul carattere dell'edificio. Il problema non si può dire ancora risolto; a ogni modo è probabile che, come osserva il Noack, siano questi i residui d'un più antico edificio di culto, databile al sec. VI. La costruzione di Policleto, del sec. IV, doveva essere mirabile per la ricchezza e la squisita finezza della decorazione architettonica, i cui avanzi, notevoli per la storia dell'arte greca, eccitano la nostra ammirazione.
A nord della tholos il recinto era limitato dall'abaton o enkoimeterion, lungo portico, per un certo tratto a due piani, diviso per il lungo, e chiuso da una transenna, luogo importantissimo fra gli altri perché vi accadevano, durante il sonno dei malati, quelle famose guarigioni che le epigrafi ricordano. V'erano ancora nel recinto sacro i templi di Temi e di Artemide, sacelli, altari e doni strettamente legati al culto, edifici che vennero a mano a mano estendendosi e modificandosi attraverso l'età ellenistica e la romana. Si vedono ancora i resti d'un grande albergo (katagogion), con almeno 160 camere disposte intorno a quattro peristilî, dove prendevano alloggio i pellegrini; c'erano un ginnasio (al quale in età romana venne aggiunto un Odeon), una palestra, ambienti per il personale del santuario e, in epoca romana, un edificio termale alimentato dalle acque del monte Kynortion. Il più importante degli edifici al difuori del recinto e pervenuti sino a noi è il teatro, che Pausania esalta come opera d'armonia e di bellezza.
Adagiato sulle pendici nord-orientali del Kynortion, anch'esso è opera di Policleto il Giovane e appartiene, come il tempio di Asclepio e la tholos, a quel rinnovamento edilizio del sec. IV che corrispontle appunto al maggiore fiorire di Epidauro. La cavea (koilon), tanto ampia da poter contenere 14.000 spettatori, è divisa in due zone separate da un diazoma e tagliate, l'inferiore in 14 la superiore in 24 cunei (kerkides). Potenti muri la sostenevano nella parte arcuata e nelle parti laterali digradanti verso l'orchestra. La quale, perfettamente circolare e orlata tutto in giro da un canale per lo scolo delle acque piovane, era limitata da un proscenio, alto ben 4 m. e sporgente con due parascenî sugli accessi laterali (parodoi).
Così il santuario offriva ai suoi devoti anche il modo di assistere a grandi spettacoli teatrali; e non solo teatrali. Infatti a sud del hieron n esisteva uno stadio, edificato nel sec. V e ancora visibile con le sue lunghe file di gradini, parte costruiti parte incavati nel pendio naturale della collina, mentre a sud-ovest dello stadio doveva trovarsi un ippodromo, dove nelle feste Asclepiee correvano i buoni cavalli di Epidauro. (V. tavv. I e II).
Bibl.: P. Kavvadias, Fouilles d'Épidaure, I, Atene 1893; A. Defrasse e H. Léchat, Épidaure, Parigi 1895; A. Philippson e O. Kern, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., s. v. Epidauros; H. Blümner e Fraze, nei commenti a Pausania II, col. 26 segg.; F. Noack, in Arch. Jahrbe., LXII (1927), p. 75 segg. (per la tholos). Iscrizioni in Inscriptiones Graecae, IV, 2ª ed. min. (F. Hiller v. Gaertringen, il quale a p. 217 segg. cita una larghissima bibliografia). Per la storia, K. Latte, in Gnomon, 1931, p. 113 segg.