epistemologia della psicoanalisi
Vengono qui affrontati i problemi legati alla conoscenza scientifica in psicoanalisi, alla sua produzione e ai criteri di validazione. Questo approccio più ristretto si distingue quindi dall’uso corrente del termine epistemologia, derivato dalla cultura anglosassone, per il quale questa disciplina si identifica frequentemente con la teoria della conoscenza e, in altri ambiti, con la stessa filosofia della scienza. Se la psicoanalisi vuole essere considerata una disciplina scientifica, deve assoggettarsi ai criteri metodologici che regolano le altre discipline scientifiche per ciò che riguarda la ricerca e lo scrutinio oggettivo dei suoi dati. È certamente possibile domandarsi quale classe di ricerca debba essere individuata, ma non è possibile, se si vuole annoverare la psicoanalisi tra le scienze, fare a meno della ricerca come motore essenziale della crescita della disciplina. Molti ricercatori nel campo della psicoanalisi concordano oggi nel promuovere qualsiasi metodologia di ricerca che, nel rispetto della specificità dell’oggetto psicoanalitico, consenta di migliorare la teoria e la pratica clinica aumentandone i criteri di evidenza. [➔ psicoanalisi; psicoterapie]
Il termine epistemologia è qui adoperato con il significato di disciplina che si occupa dei problemi legati alla conoscenza scientifica, alle circostanze che contribuiscono alla sua produzione e ai criteri utilizzati per confermarla o invalidarla. In tale definizione si distingue implicitamente tra la produzione di conoscenza scientifica e la conferma o la smentita di questa conoscenza. Il filosofo Hans Reichenbach nel 1938 separò il contesto nel quale si producono le conoscenze scientifiche da quello in cui esse vengono messe alla prova. Diede al primo il nome di contesto della scoperta e al secondo quello di contesto della giustificazione. Molti epistemologi mettono in discussione questa radicale separazione e nella psicoanalisi essa può rivelarsi particolarmente inadeguata. Le teorie psicoanalitiche sono, in buona misura, il risultato delle esperienze mentali, anche inconsce, dell’analista nella sua pratica clinica: isolare la produzione della teoria dalla giustificazione della stessa impoverisce la comprensione del processo globale. Nell’epistemologia contemporanea si fa strada l’idea che la considerazione della modalità con la quale una teoria è stata costruita sia decisiva per valutare i suoi meriti scientifici. Ciò implica che la teoria viene definita come un insieme di teoria ed euristica, dove con il termine di euristica si intende il procedimento che consente di giungere a nuove conoscenze.
Se l’epistemologia si applica allo studio della conoscenza scientifica, parlare di e. della p. implica, necessariamente, aderire all’idea che la psicoanalisi sia una scienza. Questa è sempre stata la convinzione del suo fondatore, Sigmund Freud, per il quale era evidente che la disciplina fosse una scienza della mente basata sulla teoria evolutiva darwiniana, una scienza della mente nel corpo biologico. Se consideriamo la ricezione che la psicoanalisi ha avuto da parte dei più noti epistemologi del 20° sec., la certezza di Freud circa la sua natura scientifica non ha ricevuto un’accettazione universale. Per alcuni epistemologi, tra i quali Karl R. Popper, la psicoanalisi è una pseudoscienza; per altri, come per es. Adolf Grünbaum, è sì una scienza, ma una cattiva scienza. Le obiezioni sollevate da queste due scuole di pensiero contro la possibilità di considerare la psicoanalisi come una scienza sono state contrastate da altri epistemologi e da psicoanalisti, che hanno rilevato a loro volta le scarse e datate conoscenze specifiche degli obiettori. Nel controbattere le affermazioni dei critici, psicoanalisti ed epistemologi hanno affermato che la psicoanalisi è in grado di sviluppare leggi generali sul funzionamento della mente umana, così come di personalizzare tali leggi nell’affrontare i casi individuali dei pazienti in cura. Tutto ciò – insieme alla crescente possibilità di migliorare la verifica delle ipotesi e di incrementare la quantità e la qualità dei progetti di ricerca, e al sostegno della ricerca interdisciplinare ad alcune tesi centrali della teoria psicoanalitica – sembra ragionevolmente supportare l’affermazione sul carattere scientifico della disciplina.
Se la natura scientifica della psicoanalisi viene accettata, un’ulteriore decisione tuttavia s’impone: a quale categoria scientifica appartiene? Ogni affermazione di scientificità comporta implicitamente una certa definizione di scienza. Un contemporaneo di Freud, Wilhelm Dilthey, introdusse una divisione molto nota nell’universo della scienza: un regno che corrispondeva alle scienze della natura (Naturwissenschaften), le cosiddette scienze dure e un altro alle scienze dello spirito (Geisteswissenschaften), le scienze sociali, ossia umane. Sembrava scontata l’appartenenza della psicoanalisi al secondo regno. Ma in realtà anche questa divisione, come la precedente tra contesto della scoperta e contesto della giustificazione, vacilla ed è contestata da molti studiosi. Le frontiere disciplinari, che sembravano molto precise quando fu enunciata, sono rese sempre più confuse dal procedere stesso della scienza, nella misura in cui l’inevitabile interdisciplinarietà implica la costante intersezione non solo di teorie, domini, oggetti, linguaggi, ma anche di metodologie, orientamenti e persino di visioni del mondo (Weltanschauungen). Il risultato è frequentemente la nascita di discipline ‘meticce’. Un’alternativa a questa divisione del regno delle scienze fu proposta prendendo in considerazione il carattere nomotetico o ideografico della disciplina in questione. Le discipline nomotetiche dovrebbero produrre leggi generali, astratte, quelle ideografiche leggi individuali e specifiche per casi singolari. Anche questa divisione non si rivela molto utile e, per quanto detto prima, è in contraddizione con la precipua caratteristica della psicoanalisi di disegnare modelli generali sul funzionamento della mente con attenzione specifica alla particolarità del singolo individuo. L’empirismo logico, corrente predominante nell’epistemologia durante buona parte del secolo scorso, prese due decisioni teoriche che si rivelarono cruciali: definire la scienza come scienza del calcolo, il che significava applicare il modello scientifico sviluppato da Galileo Galilei e Isaac Newton, e concepire l’unicità dell’universo scientifico come ideale teorico, nonostante l’evidenza di una molteplicità disciplinare in costante aumento. Un’alternativa che può rivelarsi valida per certe aree del sapere è quella di privilegiare una concezione aristotelica-darwiniana, non fondata sul calcolo, ma piuttosto sulla descrizione. Questa alternativa è più aderente alla specificità della psicoanalisi, anche se non è consigliabile renderla esclusiva (per es., nella ricerca empirica). L’ap;partenenza a una certa classe di scienza incide decisivamente sulla costruzione della teoria, sulla tecnica adottata per raccogliere e processare i dati e sui criteri che utilizziamo per affermare la validità o la plausibilità degli stessi e delle ipotesi che ne derivano. Determina con altrettanta incisività il tipo di ricerca a cui affidare l’onere della prova e, quindi, della consistenza delle ipotesi.
È assodato che i ‘dati’ o i ‘fatti’ di cui qualunque disciplina si occupa sono in buona misura costruiti. La raccolta e la lettura dei dati o dei fatti implicano infatti l’esistenza di uno strumento e di una teoria che dirige l’osservazione. L’uso di un microscopio presuppone la conoscenza delle leggi dell’ottica; sono esse che consentono di differenziare una cellula da una macchia di luce. Lo strumento con il quale lo psicoanalista legge i ‘fatti psicoanalitici’ è la sua propria mente, ed essa ubbidisce a leggi ben precise. Variazioni nel contenuto concettuale delle leggi che regolano lo strumento condizionano variazioni nei fatti psicoanalitici stessi. Ogni disciplina, inoltre, decide a priori qual è il dominio dei fatti che considera pertinenti. Un terremoto è pertinente e specifico per la geologia, non lo è per la psicoanalisi. Il traumatismo psichico che esso può provocare sul soggetto è un fatto psicologico, ma non è un fatto della geologia. Si può concludere che il fatto, o dato che dir si voglia, non è il semplice ‘stare lì’ della cosa o dell’accadere, ma dal punto di vista epistemologico è ciò che è pertinente alla delimitazione attuata dalla disciplina per definire il proprio dominio. La possibilità di raccogliere ed esplicare un fatto dipende dallo strumento utilizzato e presuppone una teoria – nel nostro caso, una teoria generale sulla mente e sul suo funzionamento – da applicare al dominio dei fatti pertinenti.
Se si prende in considerazione la pratica reale della psicoanalisi, si può osservare che in essa esistono e si applicano teorie ‘ufficiali’, ma anche teorie ‘private’ o ‘implicite’ di ogni psicoanalista. Esse giocano un ruolo importante nella pratica clinica, ma possono anche avere valore euristico. Come è stato anticipato sopra, la costruzione della teoria, in certe correnti del pensiero epistemologico contemporaneo, fa parte integrante della valutazione dei suoi meriti scientifici. Le teorie private o implicite sono un insieme concettuale variegato che include la visione del mondo dello scienziato, le ideologie, le modalità con le quali sono state internalizzate le teorie ufficiali, le influenze che attraversano le generazioni, lo ‘spirito’ dell’epoca, i condizionamenti inconsci, ecc. Il filosofo francese Louis Althusser lavorò sulla cosiddetta filosofia spontanea dello scienziato, quella che lo scienziato applica, solitamente a sua insaputa, nel lavoro scientifico e nella costruzione delle teorie. Nella psicoanalisi è stato Joseph Sandler a occuparsi particolarmente delle teorie implicite, preconsce, dello psicoanalista al lavoro, dando loro una dignità epistemologica nel considerarle di grande interesse per la ricerca sulla ‘fabbrica’ del pensiero psicoanalitico. Egli inaugurò un filone di ricerca che oggi continua a svilupparsi e diede consistenza all’obiezione già menzionata, contro la rigida divisione tra contesto della scoperta e contesto della giustificazione.
La psicoanalisi, se deve essere considerata disciplina scientifica, deve assoggettarsi ai criteri metodologici che regolano le altre discipline scientifiche per ciò che riguarda la ricerca e lo scrutinio oggettivo dei suoi dati. È certamente possibile domandarsi quale classe di ricerca caratterizzi la psicoanalisi, ma non è possibile, se si vuole annoverare tra le scienze, fare a meno della ricerca come motore essenziale della crescita della disciplina. È anche possibile escludere la psicoanalisi dall’universo scientifico e, quindi, non imporle i valori della ricerca e i suoi criteri di validazione. Ma è necessario prendere una decisione netta al riguardo. Freud, che considerava certamente la psicoanalisi una scienza, attribuiva automaticamente un valore di ricerca alla pratica clinica. Diede a questa congiunzione il nome di Junktim ed essa fu il modello canonico di ricerca psicoanalitica – per alcuni ancora l’unico accettabile – prevalente per molti anni. Oggi non si accetta che la pratica clinica abbia automaticamente il significato di ricerca. La ricerca clinica, praticata secondo criteri congruenti con i canoni riconosciuti della ricerca, occupa un luogo privilegiato nella disciplina, ma non è più considerata l’unica possibilità di ricerca in psicoanalisi. Quali modalità può assumere la ricerca in psicoanalisi? Una possibile classificazione differenzia la ricerca in clinica ed extraclinica, empirica, concettuale e interdisciplinare. Le divisioni tra queste categorie non sono rigide, in quanto esiste ricerca clinica che è empirica e altra che è concettuale o interdisciplinare.
La ricerca clinica. Proviene dall’applicazione del metodo psicoanalitico nella situazione psicoanalitica (nel cosiddetto setting). Le conoscenze ottenute in questo contesto sono successivamente trattate dallo stesso analista o da altri, cercando di ridurre – attraverso la supervisione dei casi clinici, i gruppi di discussione, ecc. – gli elementi soggettivi che potrebbero inficiare la validità della ricerca. È questo secondo passo che merita il nome di ricerca propriamente detta. Esso è già extraclinico, perché avviene a posteriori e fuori dal momento clinico stesso. La denominazione deriva piuttosto dal luogo della provenienza dei dati che, come detto sopra, è la situazione analitica. Diversi ricercatori hanno cercato di rendere i dati provenienti dagli incontri analitici più ‘oggettivi’: da lì l’uso di registratori, videocamere, ecc. Molti psicoanalisti obiettano che l’impiego di queste risorse tecniche, a loro parere, snaturerebbe l’essenza dell’esperienza analitica. Altri contestano che si possono facilmente oggettivare certi aspetti dell’incontro (per es., le esatte parole del discorso), ma certamente non le emozioni intercorse tra i due partecipanti o le fantasie che essi producono, che sono fatti analitici di cui tenere assolutamente conto. Alla ricerca clinica si possono applicare convincenti criteri di qualità: l’utilità che deve dimostrare di possedere per l’uso clinico, la vicinanza con l’esperienza, la capacità di rendere il materiale comunicabile ad altri analisti o studiosi, ecc.
La ricerca extraclinica. Questa modalità di ricerca utilizza solitamente il materiale che proviene dall’esperienza clinica. La differenza con la ricerca clinica risiede principalmente nelle procedure che vengono usate per testare le ipotesi, che possono includere disegni sperimentali, simulazioni fatte al computer e ricerche interdisciplinari. Altra caratteristica distintiva di questo tipo di ricerca è quella di essere sistematicamente pianificata e di essere basata su procedure molto precise, soprattutto se si prevede di includere in esse esperimenti o studi interdisciplinari, come nelle ricerche sul sogno o sugli effetti della terapia studiati con imaging cerebrale funzionale.
La ricerca interdisciplinare. Questo tipo di indagine ha un’area di interessi molto ampia; un breve esame della letteratura consente di menzionare studi interdisciplinari tra psicoanalisi e letteratura, filosofia, arte, neuroscienze, antropologia, sociologia, etica, ecc. In alcune occasioni si tratta di una applicazione della teoria psicoanalitica a materiali o concetti di altre discipline. In altre, al contrario, si tratta di utilizzare concetti, o vere e proprie metodologie di ricerca, di altre discipline, con l’obiettivo di mettere alla prova postulati psicoanalitici. Come diversi ricercatori hanno sottolineato, questi incroci, a volte proficui, devono essere accuratamente controllati: il rischio sempre presente è quello del riduzionismo che, in questo caso, significa ridurre un linguaggio a un altro, sostituire una metodologia a un’altra, appiattire un concetto su un altro basandosi su false omonimie. La qualità della ricerca interdisciplinare è molto legata alla consapevolezza di chi la conduce circa le differenze e le specificità delle discipline in gioco.
La ricerca concettuale.
La ricerca concettuale. Nella ricerca concettuale l’obiettivo è quello di studiare sistematicamente il significato e l’uso dei concetti psicoanalitici in contesti clinici ed extraclinici. L’attenzione è rivolta all’esplorazione delle modifiche che questi concetti subiscono nel tempo, così come alle cause di questo variare. La ricerca concettuale può utilizzare numerose metodologie qualitative e quantitative. La distinzione tra esse, d’altronde abbastanza evidente, è stata talvolta accentuata assegnando, per es., le metodologie quantitative a fenomeni la cui natura suggeriva l’impiego del calcolo statistico, e riservando quelle qualitative alle scienze ‘umane’. Questa differenza procedurale non rispecchia necessariamente le possibilità che offre la ricerca. Tutto un insieme di metodologie statistiche e di modelli probabilistici può essere infatti applicato senza difficoltà a problemi concettuali. Vi è una necessaria interazione tra ricerca empirica e ricerca concettuale. La prima ha bisogno di utilizzare concetti ben definiti, la seconda include frequentemente, come base di partenza dei suoi studi, risultati derivati da ricerche empiriche. Si può avere un ventaglio di tipi di ricerca concettuale: quella destinata a sviluppare concetti nuovi, quella che ha ambizioni storiche, quella che cerca di integrare conoscenze interdisciplinari alla psicoanalisi o viceversa, quella che analizza il ruolo di condizionamenti personali, consci o inconsci, nella costruzione di concetti o teorie, ecc.