Ebrei, Epistola agli
I leviti, sacerdoti convertitisi dal giudaismo alla " via " di Cristo, rimpiangevano spesso lo splendore e le venerabili ricchezze spirituali del Tempio; perciò un discepolo, sembra, di s. Paolo, probabilmente prima della distruzione di Gerusalemme (70 d.C.) li volle consolare con un trattato che chiamiamo Epistola agli Ebrei, in cui mostra loro le sublimità della liturgia celeste e la superiorità del sacerdozio di Gesù.
Interrogato dall'apostolo Pietro (Pd XXIV 52-53) Dì, buon Cristiano, fatti manifesto: / fede che è?, D. sostiene con onore la prova traducendo la definizione datane da questa epistola (11,1): fede è sustanza di cose sperate / e argomento de le non parventi (vv. 64-65).
In Cv II V 1, a proposito degli angeli del terzo cielo, D. si mostra orgoglioso di saperne più degli antichi che non erano stati ammaestrati come noi dai profeti (Heb. 1, 1). In Mn II VII 5, D. cita Heb. 11, 6 (‛ senza fede è impossibile piacere a Dio '). Chi vuol conoscere il pensiero o la volontà di Dio (che talvolta sono manifesti e talaltra nascosti) può pervenirvi sia con la fede sia con la ragione. Il giudizio fu dato all'uomo perché sappia dirigersi alla luce della ragione naturale: il ruolo e la nobiltà dei filosofi sta appunto nell'aiutare l'uomo comune a riflettere. Ma esistono verità inaccessibili per l'uomo lasciato alle proprie forze; la rivelazione divina, la sacra scrittura, sono lì ad aiutarlo, e in tal caso alla ragione è necessario il soccorso della fede.
Bibl. - Teodorico da Castel S. Pietro, Epistola agli E., Roma 1952; A. Vanhoye, La structure littéraire de l'epître aux Hébreux, Parigi 1963.