Equilibrio di bilancio e vincoli europei
A seguito del Fiscal Compact, trattato internazionale stipulato tra quasi tutti i Paesi dell’Unione europea, nel 2012 è stata approvata la legge costituzionale che ha introdotto il “pareggio di bilancio” nella Costituzione. Da un lato, è stato esplicitato il principio di “equilibrio di bilancio”; dall’altro lato, anche mediante la successiva legge di attuazione, sono stati incorporati nell’ordinamento nazionale i molteplici obblighi e limiti posti dalla normativa europea e dal Fiscal Compact in materia di bilanci pubblici e di indebitamento. Tuttavia, a fronte dell’apparente rigidità dei vincoli, in sede applicativa il principio di equilibrio di bilancio dimostra intrinseca dinamicità.
In ogni caso, esso va considerato alla luce dell’intera Costituzione e soprattutto assicurando il permanente rispetto del nucleo essenziale dei diritti fondamentali.
Con il Trattato di Maastricht del 1992 si è dato avvio, tra l’altro, all’Unione economica e monetaria (UEM), obiettivo dell’integrazione europea individuato sin dal vertice dell’Aia del 1969, ma la cui realizzazione aveva incontrato non poche difficoltà1. Con l’avvento dell’euro gli Stati, non potendo più garantire il proprio debito tramite l’emissione della moneta, dovevano assumere – anche davanti ai mercati – obblighi di corretta gestione delle finanze pubbliche. Dopo il completamento della prima e della seconda fase della UEM2, la terza fase ha preso inizio con il Patto di stabilità e crescita del 1997. Si rendeva più stringente la disciplina sugli obblighi di bilancio circa l’osservanza di due soglie (il 3 % deficit/PIL e il 60 % debito/PIL) già stabilite nel “Protocollo sui disavanzi eccessivi” annesso al Trattato di Maastricht. Invero, i vincoli restavano rimessi alle scelte adottate di volta in volta in sede europea in base alla rispettiva forza degli Stati3. Proseguendo nella logica del rafforzamento, la disciplina del “Patto” del 1997 è stata modificata nel 2005, confermando le soglie quantitative, ma ridefinendo gli obiettivi di finanza pubblica a medio termine4. Dopo la crisi iniziata nel 2007 si è scelta la strada di procedere nel consolidamento degli strumenti europei di controllo e di coordinamento delle politiche di bilancio ed economiche nazionali, ritenendo che si dovesse accrescere la responsabilità dei singoli Stati nella gestione dei propri flussi finanziari. Non si è, però, stabilita la corresponsabilità – e garanzia – europea sull’indebitamento pubblico, né è stata assicurata la convergenza delle politiche fiscali, che sono rimaste appannaggio degli Stati e strumento di concorrenza economica. Soltanto con ritardo, parzialmente e subendo obiezioni anche da alcune istituzioni nazionali5, la BCE ha iniziato ad agire sui mercati finanziari non solo a difesa della stabilità dell’euro, ma anche in relazione alla promozione di condizioni più favorevoli per l’economia. Si è giunti così nel 2011 all’approvazione del “six pack”6 che ha irrobustito i vincoli già imposti, rafforzando gli strumenti a disposizione delle istituzioni europee e consolidando le procedure giurisdizionali di applicazione delle sanzioni irrogabili in caso di violazione. In particolare, è stato accentuato il coordinamento europeo delle politiche economiche degli Stati mediante il cd. “semestre europeo”, strumento di serrato confronto tra le istituzioni nazionali e quelle europee. Nel 2012 è stato sottoscritto il Fiscal Compact, che ha rafforzato gli impegni già assunti dagli Stati. Va precisato che tale Trattato, sottoscritto da tutti gli Stati membri dell’Unione con l’eccezione del Regno Unito e della Repubblica Ceca, si presenta come un trattato internazionale disgiunto dall’ordinamento dell’Unione. Si discute adesso sulla sua inserzione nell’ordinamento della UE, eventualità prevista dallo stesso trattato. Il Fiscal Compact prevede che la sua efficacia all’interno degli ordinamenti nazionali sia assicurata da «disposizioni vincolanti e di natura permanente, preferibilmente nazionale». In Italia si è proceduto ad un corposo intervento di revisione della Costituzione – cui sono seguiti atti applicativi – caratterizzato dal ripetuto ed esplicito richiamo ai vincoli di provenienza europea. Si è così scelta la strada di dare espressa copertura costituzionale alle predette discipline relative agli obblighi, divieti e limiti in materia di bilanci pubblici e di indebitamento7. Occorre allora verificare quali sia stato l’effettivo impatto delle innovazioni apportate a partire dal 2012, soprattutto in relazione al presunto assoggettamento del nostro ordinamento costituzionale rispetto a quanto prescritto, in materia di bilancio, indebitamento e politiche economiche nazionali, sia delle normative poste dall’Unione europea che dal Fiscal Compact.
Con la l. cost. 20.4.2012, n. 1, secondo quanto risulta dal titolo della legge medesima, si è inteso dettare norme per l’«Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale». Invero, il titolo, che si riferisce all’introduzione del suddetto principio con riferimento alle pubbliche amministrazioni, non corrisponde al contenuto delle modifiche effettivamente introdotte, perché negli articoli novellati la locuzione “pareggio di bilancio” non appare, essendo invece utilizzate altre espressioni che si riferiscono all’ «equilibrio del bilancio», all’ «equilibrio dei bilanci» pubblici o all’ «equilibrio tra le entrate e le spese». Insomma, la riforma non chiede né impone l’esatta parificazione tra il complesso delle voci di entrate e quello delle voci di spesa. Ben diversamente, come vedremo, si prefigura l’assoggettamento dei bilanci pubblici a limiti e vincoli collegati al diverso concetto di “equilibrio”, per di più collegato a fattori dinamici, quali “le fasi del ciclo economico”, e derogabile a determinate condizioni.
La citata legge costituzionale, novellando gli articoli 81, 97, 117 e 119 Cost., introduce il principio dell’equilibrio tra entrate e spese del bilancio correlandolo, più volte, al rispetto delle regole in materia economico-finanziaria derivanti dall’ordinamento europeo. Tale correlazione è esplicitata negli articoli 97 e 119, e, come tra poco vedremo, si è concretamente determinata anche in relazione all’art. 81 – quello che disciplina il bilancio dello Stato – in base al meccanismo attuativo previsto dal sesto comma dell’art. 81. In particolare, nel nuovo primo comma dell’art. 97 si prevede che tutte le pubbliche amministrazioni debbano assicurare l’equilibrio dei rispettivi bilanci e la sostenibilità del debito pubblico «in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea». Inoltre, nel nuovo primo comma dell’art. 119 si delimita l’autonomia finanziaria già riconosciuta a tutti gli enti del decentramento territoriale (Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni), imponendo il «rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci», e l’obbligo di concorrere «ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea». Per quanto concerne, poi, il bilancio dello Stato, si modifica in profondità l’art. 81. Innanzitutto, si stabilisce, nel nuovo primo comma, che lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico, e dunque secondo una logica intrinsecamente flessibile. Nel secondo comma, poi, si disciplinano le deroghe ammesse rispetto alla predetta regola generale dell’equilibrio di bilancio, consentendo il ricorso all’indebitamento al fine di considerare gli effetti del ciclo economico oppure, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali. Sopprimendo poi l’originario terzo comma dell’art. 81, che impediva alla legge di bilancio di stabilire nuovi tributi e nuove spese, viene sostanzialmente esteso anche alla legge di bilancio l’obbligo – presente adesso nel vigente terzo comma – secondo cui ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri, provvede ai mezzi per farvi fronte. Nel quarto e nel quinto comma, poi, si confermano il principio dell’annualità del bilancio e del rendiconto consuntivo, che devono essere presentati dal Governo e approvati dalle Camere, e la possibilità dell’esercizio provvisorio per un periodo non superiore complessivamente a quattro mesi. Nel nuovo sesto comma, infine, si precisa che spetta ad un’apposita legge – approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera «nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale» – dettare il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni. Tale legge, in ragione della particolare maggioranza richiesta per l’approvazione, è dunque una legge “rinforzata”, che non può essere dunque modificata, derogata o abrogata dalle leggi ordinarie, approvate cioè secondo le normali procedure previste dalla Costituzione.
Proprio sulla base del meccanismo previsto dal sesto comma dell’art. 81, in materia di disciplina della finanza pubblica si è prodotto un effetto per così dire “ricorsivo” tra le fonti nazionali (costituzionali e legislative) e quelle sovranazionali (cioè poste dalle fonti dell’UE) e internazionali (poste dal Fiscal Compact) che definiscono il contenuto dei vincoli apposti. In sostanza, alcuni fondamentali aspetti del principio di equilibrio di bilancio sono attribuiti alla competenza riservata di una legge ordinaria che, approvata con procedura rafforzata, deve intervenire sulla base di un’apposita disciplina da dettarsi con legge costituzionale. Tale disciplina, in realtà, è già presente nella stessa l. cost. n. 1/2012, ed esattamente nell’art. 5, ove, in sostanza, si è assegnato alla legge rinforzata il compito di definire il contenuto della legge di bilancio seguendo in modo praticamente pedissequo le procedure e gli obblighi posti dall’UE e dal Fiscal Compact in materia di finanza pubblica. Ed infatti la disciplina che poi è stata introdotta dalla legge rinforzata effettivamente approvata, la l. 24.12.2012, n. 243 (recentemente modificata dalla legge 12.8.2016, n. 164), riproduce praticamente alla lettera le disposizioni principali – a partire dalle stesse definizioni – che sono contenute dalla predetta normativa europea e dal Fiscal Compact in tema di vincoli ed obblighi posti a carico del processo nazionale di decisione sulla manovra di finanza pubblica. Il risultato finale è una sorta di gioco di specchi il cui risultato è l’incorporazione – costituzionalmente consentita e legislativamente determinata – dei vincoli provenienti dalle predette disposizioni sovranazionali ed internazionali all’interno del nostro ordinamento. Tuttavia, va ricordato che sinora il Governo ha fatto ricorso ogni anno alle deroghe che sono costituzionalmente consentite al principio dell’equilibrio di bilancio, chiedendo al Parlamento l’approvazione dei necessari atti bicamerali non legislativi a maggioranza assoluta, come prevedono l’art. 81, co. 2, Cost., e l’art. 6, co. 3, l. n. 243/20128. Pertanto, il principio di equilibrio di bilancio, già reso dinamico dal riferimento alle «condizioni del ciclo economico» (ai sensi dell’art. 81, primo comma), e dalle deroghe consentite al divieto di indebitamento (ai sensi dell’art. 81, secondo comma), è stato applicato con flessibilità dalle nostre istituzioni, e altrettanto è stato ripetutamente chiesto agli organi europei, pure dai vertici dello Stato italiano. L’Europa stessa, al di là di alcuni proclami, ha dato luogo ad una prassi attuativa alquanto diversificata, oscillante a seconda dei casi, e che ha sollevato dubbi e critiche per le oscurità presenti negli algoritmi che dovrebbero guidare in modo neutrale gli indirizzi europei. Come rilevato dalla dottrina, dall’esplicitazione costituzionale del principio di equilibrio di bilancio è scaturito essenzialmente un indurimento delle procedure di bilancio e delle ragioni che determinano le scelte di bilancio in una logica intertemporale. Non si può, dunque, isolare questo principio e renderlo capace di alterare ed irrigidire definitivamente il quadro complessivo dei principi costituzionali, sino al punto di considerare la Costituzione come un «unico sistema di fonti e mezzi, predefinito numericamente, etero diretto, e guidato dal solo bilancio pubblico»9. Tanto più che difficilmente ciò può consentirsi in dipendenza a vincoli provenienti da istituzioni tuttora prive di una connotazione propriamente costituzionale ed ancora alla ricerca di un’effettiva comunanza di solidarietà politica e di giustizia sociale.
Sin dal 1990 la Corte costituzionale ha esplicitamente dichiarato, in via generale, che l’equilibrio di bilancio è un valore di rilievo costituzionale, e ciò è stato ribadito anche in una pronuncia del 201610. Tuttavia, la l. cost. n. 1/2012 ha subito posto il cruciale problema circa il mutato rapporto tra i vincoli esterni in materia di bilancio, provenienti dall’UE e dal Fiscal Compact, e il nostro ordinamento, con particolare riferimento al rispetto dei principi costituzionali attinenti alla garanzia dell’autonomia finanziaria a favore degli enti territoriali, e, più in generale, alla tutela dei diritti costituzionali che richiedono l’apprestamento di servizi pubblici o l’erogazione di prestazioni mediante interventi di spesa e soprattutto nei settori sociali (previdenza, istruzione, salute, e così via). Sul primo versante, le modifiche costituzionali hanno certificato un indirizzo già fatto proprio – e, dunque, anticipato – dalla giurisprudenza costituzionale circa la prevalenza dell’unità economica collegata al coordinamento della finanza pubblica nei confronti dell’autonomia finanziaria attribuita, in base all’art. 119, co. 1, Cost., agli enti territoriali. L’espresso richiamo costituzionale ai vincoli esterni relativi all’equilibrio di bilancio, insomma, ha per lo più rafforzato la cornice dei principi richiamati dalla Corte in relazione alle leggi statali volte a delimitare – talora anche in modo sostanzioso – il potere di spesa degli enti territoriali, trasformandosi così «il principio di coordinamento finanziario in un principio di contenimento della spesa pubblica»11. Tanto più che a favore degli interventi statali ha giuocato l’attrazione – disposta con la l. cost. n. 1/2012 – della “armonizzazione dei bilanci pubblici” all’interno della competenza esclusiva dello Stato. Sul secondo versante, nella giurisprudenza costituzionale successiva alla l. cost. n. 1/2012 il principio di equilibrio di bilancio è stato più volte richiamato, ma non sempre con lo stesso accento. In non poche occasioni le esigenze dell’equilibrio del bilancio sono state considerate tra le ragioni giustificatrici delle disposizioni legislative che hanno ridotto gli oneri finanziari delle prestazioni pubbliche, anche a carattere sociale. Tuttavia, non sono mancati casi paradigmatici della diversità delle soluzioni apprestate. In un frangente, per evitare una «grave violazione dell’equilibro di bilancio ai sensi dell’art. 81 Cost.», la Corte ha disposto direttamente – dandosi così luogo ad un precedente inusuale – la non retroattività degli effetti della pronuncia di incostituzionalità, in modo da poter assicurare la necessaria «gradualità nell’attuazione dei valori costituzionali che imponga rilevanti oneri a carico del bilancio statale»12. Viceversa, una significativa pronuncia ha colpito disposizioni legislative considerate immotivatamente restrittive di prestazioni previdenziali, proprio in quanto non era emersa «la necessaria prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti oggetto di bilanciamento»13. E proprio in una sentenza del 2016 la Corte costituzionale ha ricordato al legislatore – in questo caso, regionale – che «è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione»14. Ne discende, in conclusione, che nelle scelte legislative di politica economica debba essere comunque salvaguardato il nucleo inviolabile dei diritti costituzionalmente protetti. Spetta al legislatore la responsabilità dell’allocazione e della distribuzione dei relativi oneri, in quanto il principio costituzionale di equilibrio di bilancio non può giustificare l’irragionevole degradazione dei diritti fondamentali. Occorre evitare lesioni inaccettabili del principio di eguaglianza sostanziale, cardine essenziale del nostro ordinamento anche nei confronti delle regole legislative che specificano e concretizzano il principio di equilibrio di bilancio in stretta correlazione con i predetti vincoli esterni.
1 Si possono ricordare, ad esempio, il fallimento del cd. “serpente monetario” nel 1972, i successivi tentativi di stabilizzazione monetaria con lo SME nel 1978 e l’Unità di conto europea, ECU, e poi il programma per il Mercato unico nel 1985.
2 La prima fase della UEM era quella relativa alla libera circolazione dei capitali realizzatasi entro il 1993, mentre la seconda, conclusasi nel 1998, concerneva soprattutto la preparazione dell’introduzione dell’euro mediante la cooperazione tra le banche centrali rese indipendenti dagli esecutivi e dai parlamenti nazionali.
3 Cfr. Caporali, G., Leggi in materia finanziaria ed ammissibilità del referendum, Milano, 2004, p. 338.
4 Si tratta, più esattamente, del cd. “indebitamento netto strutturale”, definito strutturale in quanto corretto in relazione alle condizioni del ciclo economico presente nel singolo Paese (se cioè sia considerabile più o meno favorevole, espansivo o recessivo) e senza tenere conto delle misure considerate temporanee e quelle adottate una tantum. Tale indebitamento, dunque, può anche divergere dal requisito generale del saldo di bilancio “prossimo al pareggio o in attivo”; in ogni caso, si precisa che deve garantire un cd. “adeguato margine di sicurezza” rispetto alla soglia del 3 per cento deficit/PIL ed un ritmo di “avvicinamento certo” in condizioni di sostenibilità per le finanze pubbliche.
5 Il Tribunale costituzionale tedesco, con rinvio pregiudiziale, ha chiesto alla Corte europea di giustizia (BVerfG, 2 BvR 2728/13 del 14.1.2014, pubblicata il 7.2.2014), di giudicare sulla legittimità del potere esercitato dalla BCE mediante l’acquisto sul mercato secondario di titoli di Stato in misura “illimitata”: tale potere sarebbe stato espressione di politica economica riservata alla sovranità degli Stati, e non semplice decisione di politica monetaria rientrante nella competenza della Banca centrale.
6 Si tratta dei seguenti atti: due regolamenti n. 1174 e n. 1176 del 2011 sulla creazione di una sorveglianza macroeconomica e sulla prevenzione e correzione degli squilibri; tre regolamenti n. 1173, n. 1175 e n. 117 del 2011, per consentire la più rigorosa applicazione del Patto di stabilità e crescita; e la direttiva n. 85 del 2011 sui contenuti e sulle procedure di bilancio per gli Stati membri.
7 Innovazioni dal tenore analogo, anche se diverse nel contenuto, sono state apportate anche ai testi fondamentali della Germania (art. 109 Grundgesetz) e della Spagna (art. 135 Cost. spagnola).
8 Precisamente in occasione dell’approvazione, rispettivamente, del Documento di Economia e Finanza del 2014, e delle Note di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza, presentate nell’autunno del 2014, del 2015, del 2016 e del 2017.
9 Cfr. De Ioanna, P., Tempo ed equilibrio: due dimensioni cruciali nella disciplina costituzionale del bilancio pubblico, in www.federalismi.it, 13/2016, p. 5.
10 Cfr., rispettivamente, C. cost., 25.5.1990, n. 260 e C. cost., 29.1.2016, n. 10.
11 In tal senso, Gallo, F., Attualità e prospettive del coordinamento della finanza pubblica alla luce della giurisprudenza costituzionale, in Rivista AIC, 2, 2017, p. 3.
12 Cfr. C. cost., 11.2.2015, n. 10 (punto 11 del Considerato in diritto).
13 Cfr. C. cost., 30.4.2015, n. 70 e, per alcune riflessioni, Salerno, G.M., La sentenza n. 70 del 2015: una pronuncia non a sorpresa e da rispettare integralmente, in www.federalismi.it, 10/2015, in specie p. 4; si veda anche Carlassare, L., Diritti di prestazione e vincoli di bilancio, in www.costituzionalismo.it, 3/2015, pp. 153154 circa il controllo sulla ragionevolezza della ponderazione effettuata dal legislatore tra i molteplici interessi di rilievo costituzionale.
14 Cfr. C. cost., 16.12.2016, n. 275 (punto 11 del Considerato in diritto).