CENOZOICA (o Cainozoica), ERA (dal gr. καινός "recente" e ζῷον "animale", "epoca degli animali recenti")
Termine geologico proposto nel 1841 da J. Phillips per indicare una delle grandi partizioni nella storia della terra. Si considera dai più come sinonimo dell'era o epoca terziaria di Arduino e di A. Brongniart, così denominata con allusione a un'antica triplice partizione della storia stessa o meglio distinzione delle formazioni in base alla loro età. Oggi invece, questa storia si suol dividere in cinque grandi ere (agnotozoica, paleozoica o primaria, mesozoica o secondaria, cenozoica o terziaria e neozoica o quaternaria); secondo alcuni autori però essa abbraccerebbe anche i periodi più vicini a noi, corrispondenti all'era neozoica o quaternaria. Durante l'era cenozoica la terra assume a poco a poco i lineamenti e le caratteristiche attuali, sia per quanto concerne l'assetto generale dei continenti e degli oceani, con le loro principali catene montuose e taluni sistemi vulcanici, sia per quanto riguarda i caratteri generali della fauna e della flora, sia finalmente in rapporto a una differenziazione dei climi.
Assetto generale dei continenti e degli oceani. - Durante l'ultimo periodo dell'era mesozoica (Cretacico) l'emisfero boreale tutto intero si trovava in una fase di sommersione: un ampio braccio di mare metteva in comunicazione l'Oceano Artico col Golfo del Messico, che dilagava ampiamente sui territorî circostanti; un profondo solco marino s'insinuava attraverso la Russia e la Persia fino nel cuore dell'Asia Centrale: acque poco profonde avevano invaso tutto il nord dell'Africa, dall'Egitto alla Senegambia e alla Guinea; l'Europa si presentava come un frastagliatissimo arcipelago. Durante l'era cenozoica, e più segnatamente nella seconda parte di questa (periodo neogenico), a poco a poco si produce l'esondazione di queste vastissime regioni un tempo invase dal mare, e questo, pur con alterne vicende, tende a ridursi entro i confini attuali. Nell'emisfero meridionale invece sembra prevalere un fenomeno opposto, e la frammentazione del grande anello continentale del Gondwana, iniziatosi dal Mesozoico, procede ora rapidamente, con una progressiva delimitazione dei continenti africano, indo-malese, australiano e sud-americano, che già al principio del Neogenico assumono un'individualità e prima della fine del Cenozoico avranno ormai acquistato contorni poco dissimili dagli attuali. A quest'epoca rimonta anche la sommersione della maggior parte degl'ipotetici continenti di Atlantide, Tirrenide, Adria, ecc.
Fase orogenetica alpina. - A produrre questi effetti contribuisce essenzialmente il fenomeno orogenetico, il quale ha nel Cenozoico uno dei suoi momenti culminanti, la cosiddetta fase alpina. Nei riguardi della geografia attuale è questa la fase di gran lunga più importante, gli effetti morfologici delle altre (tutte molto antiche), essendo ormai praticamente cancellati da una lenta, ma prolungatissima, azione erosiva. La fase di ripiegamento alpino - anche se si voglia ammettere che sia stata seguita da risonanze pleistoceniche - è tipicamente e interamente cenozoica: s'inizia con i movimenti postluteziani, ai quali risalgono la catena pirenaica e le pieghe dell'Istria e dell'Eubea; ma culmina nella prima parte del periodo neogenico col piegamento alpino propriamente detto. Al piegamento alpino è dovuta la formazione di tutte le maggiori catene montuose; la Cordigliera Betica, le Alpi (onde il nome), gli Appennini, l'Atlante, i Carpazî, i Balcani, la catena Dinarica, il Caucaso, il Tauro, l'Arco Iranico, l'Himālaya, l'Arco Malese, le Cordigliere Americane, ecc. Come ripercussione di questi movimenti si considerano anche taluni sprofondamenti, di cui già si è fatto cenno (Tirrenide, nucleo Pannonico, nucleo delle Antille) e la formazione di grandi fratture e fosse tettoniche (fossa Renana, fossa di Limagna, primo abbozzo della fossa Eritrea).
Più o meno direttamente dipendenti da questi grandiosi fenomeni possono anche ritenersi altri fatti di somma importanza, e, in particolare, lo stabilirsi di taluni centri eruttivi.
Vulcanismo cenozoico. - Fenomeni eruttivi di notevole importanza si verificano già nella prima metà dell'era cenozoica nella Germania Centrale, in Provenza, nel Vicentino, nei Carpazî, e soprattutto nell'India e in Etiopia, dove questi non sono che la continuazione d'un processo iniziatosi nel Cretacico e continuatosi, a riprese, fino ai nostri giorni; ma è soprattutto al sollevamento delle catene "alpine" e agli sprofondamenti locali correlativi, che si accompagna e succede il formarsi di centri eruttivi marginali o periferici, alcuni dei quali sono già cenozoici; mentre generalmente quelli oggi persistenti s'iniziano solo al principio dell'era neozoica. Tra i primi sono da ricordare i centri Euganeo, e Vicentino-Veronese nelle Alpi Occidentali,. quello della Sardegna nord-occidentale, quello del Mont Dore, del Cantal e del Velay nell'Altipiano Centrale francese, quello spagnolo del Capo de Gata, quelli della Algeria, del Marocco (Melilla), di Alboran: il margine interno, ungherese, dei Carpazî è orlato di vulcani di questa età; il margine pacifico dell'America del Nord (Oregon) è pure occupato da gigantesche espansioni basaltiche del cenozoico superiore. Alla fine di questa era pare rimontino, come abbiamo accennato, anche taluni centri più recentemente estinti o tuttavia quiescenti, come gli Ernici, Rocca Monfina, i Campi Flegrei.
In luogo dei graniti, sieniti, dioriti, porfiriti e melafiri, proprî di solito delle eruzioni mesozoiche o più antiche, questi vulcani cenozoici dànno generalmente liparite, dacite, trachite, andesite, basalto, leucitite; non mancano però anche in quest'epoca graniti, microgranuliti, diabasi, peridotiti, limburgiti, ecc.
Natura e carattere dei sedimenti. - È ovvio che, se si considera un così lungo periodo di tempo, qual'è l'era cenozoica, ogni tipo di sedimenti deve trovarvisi rappresentato; però nel complesso si può dire che i sedimenti terrigeni, di ambiente litorale o sublitorale, sono qui di gran lunga prevalenti e molto più frequenti e diffusi che nel Mesozoico, in ragione appunto delle vaste e ripetute emersioni e dei sollevamenti che caratterizzano soprattutto la seconda metà di quest'era, e dell'enorme apporto di materiali effettuato dai corsi d'acqua giovani e attivi, stabilitisi sui continenti recentemente emersi. Per questo, mentre nel Paleogene sono ancora molto abbondanti, accanto ai conglomerati, alle arenarie e alle argille, i calcari puri o marnosi e perfino le radiolariti, nel Neogene invece prevalgono di gran lunga i sedimenti clastici e i calcari grossolani ed impuri, e in qualche periodo perfino i prodotti di una sedimentazione chimica lagunare: gesso, cloruri, ecc. D'altra parte è noto che nel Cenozoico le intercalazioni di depositi continentali - terrestri o d'acqua dolce - alle serie sedimentali marine sono molto più frequenti e più estese che nell'epoca precedente. In rapporto con la vicinanza delle terre emerse è anche l'abbondanza di depositi carboniosi (ligniti) in alcuni livelli del Cenozoico, talvolta accompagnati da resine fossili (ambra).
Spessore dei sedimenti e durata dell'era. - Lo spessore massimo degli strati sedimentarî cenozoici è stimato diversamente dai varî autori che si sono occupati del problema, anche in rapporto con le regioni, sul cui studio ciascuno si è basato: il De Stefani lo fa ascendere, in Italia, a circa 6000 m., il Gortani, nel Veneto, a 6800, il Sacco a 10.200; lo Schuchert, fondandosi su serie americane, attribuisce al Cenozoico uno spessore di oltre 7000 m.; il Sollas come dato medio riferibile a tutta la terra reca uno spessore di 18.000 m. Si può aggiungere, che, secondo gli studî più recenti, questo spessore è a un dipresso uguale a quello dei sedimenti paleozoici, e inferiore di circa
a quello dei mesozoici. Sul rapporto di questi spessori massimi si sono basati taluni per calcolare, in modo naturalmente molto ipotetico, e più che altro a titolo di curiosità scientifica, la durata assoluta dell'era cenozoica, trovando un valore di circa 20 milioni di anni. Periodo di tempo indubbiamente lungo, ma appena sufficiente a permetterci di spiegare una così complessa serie di mutamenti, sia nell'aspetto fisico sia nella composizione delle faune e delle flore.
Caratteri generali della fauna e della flora. - Faune e flore cenozoiche si distinguono da quelle più antiche per il loro carattere essenzialmente moderno: risalendo la serie delle formazioni fossilifere, soltanto nel Cenozoico cominciamo infatti a trovare un complesso d'organismi aventi strette analogie con quelli tuttora viventi. Venendo a particolari, se il Mesozoico è stato giustamente chiamato l'"epoca dei rettili", per l'enorme sviluppo assunto, nelle dimensioni e nel numero, da parecchie famiglie appartenenti a questa classe, altrettanto giustamente si può con l'Agassiz denominare il Cenozoico l'"epoca dei mammiferi"; poiché, sebbene questi animali siano già rappresentati timidamente con forme rare, atipiche e più o meno primitive (aplacentali), fin dal Mesozoico più antico, a partire dall'inizio del Cenozoico essi si sviluppano enormemente, con numerosi rami diversi e altamente organizzati (placentali), che sostituiscono sui continenti e nelle acque i rettili, in via di rapidissima degradazione ed estinzione. Anche gli uccelli, che nel Cenozoico si sviluppano assai copiosamente, sono del tutto diversi da quelli del Mesozoico (Ornithurae, Saururae) e rappresentano ormai tipi identici, come organizzazione, a quelli attuali. Nei pesci la differenza non è così netta; tuttavia assumono grande sviluppo da un lato i teleostei, dall'altro gli elasmobranchi, con tipi generalmente non molto dissimili da quelli oggi viventi, mentre i ganoidi si riducono a rari tipi superstiti e alcune particolari famiglie (Ichthyodectidae, Dercetidae, ecc.) si estinguono alla fine del Cretacico. Tra i molluschi è caratteristica l'estinzione di due gruppi di Cefalopodi, che, durante tutta l'era mesozoica, pullulavano d'individui e di specie e fornivano preziosi elementi per la classificazione dei terreni (ammoniti e belemniti), talché le malacofaune cenozoiche sono costituite quasi esclusivamente di Gasteropodi e di Pelecipodi e questi - scomparsi ormai gl'inocerami, le rudiste (bivalvi sociali con guscio di grande spessore), le nerinee - appartengono di regola a famiglie e a generi tuttora esistenti. Anche le faune di echinodermi e di coralli assumono con la fine del periodo cretacico un carattere moderno, cioè sostanzialmente affine a quello delle attuali, sia per la scomparsa o la rarefazione di molti tipi arcaici, mesozoici (Collyritidae, Clypeidae, Ananchytidae, Hemicidaridaei Saleniidae, Stromatoporidae), sia per lo sviluppo di tipi già timidamente apparsi nel Cretacico (Fibulariidae, Echinolampadidae, Spatangidae, Helioporidae, Gorgonidae), sia per la comparsa e lo sviluppo di tipi nuovi (Conoclypeidae, Clypeastridae, Scutellidae, ecc.). I crinoidi, molto ridotti di numero, sopravvivono quasi esclusivamente nelle grandi profondità abissali, e quindi non se ne trovano resti se non eccezionalmente, nei sedimenti cenozoici; i Brachiopodi, che nell'era mesozoica sono generalmente rappresentati da gran numero di specie e d'individui, si fanno più o meno rari e sporadici nei mari cenozoici. Invece tra i protozoi si osserva, specialmente nella prima parte del Cenozoico, una fioritura di forme caratteristiche, relativamente gigantesche, nettamente diverse da quelle odierne, e che assumono importanza litogenetica, potendo l'accumulo dei loro gusci formare depositi di grande potenza ed estensione (calcari a nummuliti, ad alveoline, ecc.). Nel mondo vegetale, a una progressiva riduzione delle crittogame vascolari e delle gimnosperme cicadee e araucariee, che avevano assunto nel Mesozoico il massimo sviluppo, corrisponde lo svolgersi di conifere di tipo più recente (Taxmee o Cupressinee, ecc.) e soprattutto di angiosperme, le quali avevano fatto la loro comparsa nel Cretacico, ma solo nel Cenozoico cominciano ad assumere quella varietà e complessità di tipi che si conserva tuttora.
Condizioni climatiche. - Questo crescente sviluppo di piante a foglie caduche e ad anelli annuali lignificati è indizio certo d'un affermarsi sempre più deciso della periodicità stagionale: la quale dunque, se già si avverte nella seconda metà del Mesozoico, diviene ora una caratteristica essenziale del clima. Anche la comparsa di piante a fiori cospicui, a impollinazione entomofila, è propria di quest'epoca e si accompagna al costituirsi di gruppi d'insetti a colori vistosi, predatori di nettare e di polline.
In pari tempo si avverte una sempre più netta differenziazione dei climi, una progressiva restrizione della zona a clima caldo, ordinariamente indicata come tropicale. Già nei periodi giurassico e cretacico la distribu̇zione geografica dei coralli costruttori e di parecchi tipi di organismi a guscio calcareo, massiccio od ornato, come le rudiste e certi foraminiferi, accenna all'esistenza di una "mesogea" (Tethys) o zona equatoriale, calda, distinta da una zona boreale e da una zona australe fredde o per lo meno temperate: la provincia equatoriale si mantiene anche nel Cenozoico, ed è contrassegnata nella prima parte di quest'era (Paleogene) dalla localizzazione in essa dei coralli costruttori, dei foraminiferi (Nummulites, Orbitoidi), di alcuni generi di molluschi (Vulsella, Spondylus, Corbis, Campanile) e di echinidi (Porocidaris, Conoclypeus, Amblypygus); nella seconda parte (Neogenico) dalla distribuzione ancora dei coralli costruttori, di certi foraminiferi (Lepidocyclina, Miogypsina), di certi achinidi (Clypeaster) e molluschi (Placuna, Clementia) oggi proprî appunto di mari caldi: nonché, sui continenti, da associazioni vegetali in cui abbondano le Palme, le Laurinee, le Myricacee, le Sapotacee, le Sapindacee, le Anacardiacee, ecc. Ma i suoi limiti si vanno via via spostando verso il Sud (nell'emisfero boreale), e il confronto delle flore che si sono succedute nei varî periodi in una stessa regione dimostra un progressivo raffreddamento. Così nei nostri paesi si doveva avere nell'Eocene (Paleogene) una media annua di circa 25°, nel Miocene (Neogenico inferiore) una di circa 20°-24°, nel Pliocene (Neogenico superiore) una di 17°-18°; onde si può dire che a partire dalla metà del Neogene la regione mediterranea resta tagliata fuori dalla provincia equatoriale, e il suo clima tende ad assumere sempre più i caratteri di un clima temperato, qual è quello che gode attualmente.
Partizione dell'era cenozoica. - Il primo tentativo serio di una classificazione dei depositi cenozoici o terziarî rimonta al 1833, ed è quello del Lyell, che suddivideva quest'epoca in quattro periodi: Eocene, Miocene, Pliocene e Pleistocene, caratterizzati principalmente dalla varia percentuale di specie di molluschi identiche a quelle attuali, che ciascuno di essi periodi contiene. Questa percentuale cresce naturalmente man mano che si avvicina ai giorni nostri, e va da 3½% nell'Eocene, a 17% nel Miocene, a 35-50% nel Pliocene, a 90-95% nel Pleistocene. A questo fenomeno alludono appunto i nomi: Eocene (da ἕως "aurora" e καινός "recente") indica l'aurora dello stato attuale delle faune; Miocene (da μεῖον "meno" e καινός) esprime una proporzione minore di specie recenti in confronto al Pliocene (da "più") che gli succede e soprattutto al Pleistócene (da πλείστον "massimo") che è il più recente e il più ricco. Successivamente (1885) il Beyrich propose il nome di Oligocene (da ολίγος "poco" e καινός) per un periodo di transizione fra l'Eocene e il Miocene, prendendo a tipoformazioni della Germania, che però corrispondono assai bene a quelle che il Lyell considerava come formanti il membro superiore del suo Eocene. Più tardi ancora lo Schimper propose il nome Paleocene (da παλαιός "antico" e καινός) per il membro inferiore di questo. Dei trattatisti moderni alcuni adoperano ancora la partizione e nomenclatura del Lyell, con la triplice divisione suddetta, ed escludendo generalmente il Pleistocene dal Terziario, per collocarlo alla base del Quaternario; altri adottano invece una divisione in due grandi periodi principali: il Paleogene (da παλαιός "antico" e γένος "nascita, età") di Naumann (1866) detto anche da altri Nummulitico, corrispondente a un dipresso, in senso largo, all'Eocene di Lyell, e il Neogene (da νέος "nuovo" e γένος) di Hoemes (1853), che abbraccia il Miocene e il Pliocene.
Questi periodi sono, poi, alla loro volta, suddivisi in numerosi sottoperiodi, piani e sottopiani, per i quali si vedano le voci paleogene e neogene.
Bibl.: Ch. Lyell, Principles of Geology, Londra 1833; E. Haug, Traité de Géologie, Parigi 1911; C.F. Parona, Trattato di Geologia, Milano 1924; W. Salomon, Grundzüge der Geologie, Stoccarda 1924-1928; U. Botti, Dei piani e sottopiani in Geologia, Reggio Calabria 1895; O. Matousek, Uniformity of Stratigraphical Terminology, Des Moines 1927; M. Gortani, La durata dei periodi geologici, in Scientia, XXVIII, Bologna 1920.