ERCOLE
Nome romano del greco Eracle, figlio di Zeus e Alcmena, semidio, accolto in cielo dal rogo che doveva incenerirlo e perciò immortale, E. è celebre per le dodici fatiche (dodekáthlos) compiute al servizio di Euristeo re di Micene: lottò e vinse, strozzandolo, il leone nemeo dalla pelle invulnerabile; uccise con il fuoco l'idra di Lerna, serpente a nove teste risorgenti e geminantisi; vinse la cerva di Cerinea dalle corna d'oro; uccise con le frecce gli uccelli antropofagi della palude di Stinfalo; portò vivo il cinghiale di Erimanto a Euristeo, che, per lo spavento, si nascose in un píthos; pulì le stalle di Augia deviando il fiume Alfeo; catturò vivo il toro di Creta; domò le cavalle antropofaghe di Diomede; lottò con le Amazzoni e si impadronì della cintura della loro regina Ippolita; combatté contro il mostro a tre corpi, Gerione; si impadronì dei pomi d'oro delle Esperidi lottando contro il serpente che faceva loro da guardiano; vinse infine Cerbero, il cane degli inferi. E. fu inoltre il protagonista di molte altre azioni, i c.d. párerga.Nel Medioevo, come già nell'Antichità, le gesta del dodeká thlos e dei párerga non comportarono un ordine fisso: spesso furono rappresentate alcune avventure isolate, fra le quali occupò un posto di rilievo la lotta con il leone, sia perché forniva all'eroe uno dei due attributi caratterizzanti, la pelle dell'animale che gli fa da svolazzante mantello (l'altro è la clava), sia perché era un tema assimilabile agli episodi biblici di Sansone e di Davide in lotta con il leone, simboli a loro volta di Cristo che riscattò l'umanità dall'antica schiavitù del peccato scendendo agli inferi. Questo tema viene rappresentato, per es., in un capitello della galleria orientale del chiostro di Moissac (1085-1100), dove accanto a E. con la clava è posto Sansone che spacca la mascella del leone, mentre in un capitello del triforio del coro della cattedrale di Langres (secc. 12°-13°) un unico leone è tenuto contemporaneamente da Sansone che brandisce una mascella e da E. con la clava (Adhémar, 1939, p. 222, fig. 72); un manoscritto del sec. 10° si intitola De duodecim virtutibus Herculis et de Sansone fortissimo (Adhémar, 1939, p. 222).E., benefattore dell'umanità nella filosofia stoica e cinica, ben presto cristianizzato come trasparente simbolo del Redentore che dalla terra risale al cielo (Simon, 1955), era considerato l'eroe salvatore per eccellenza: riportò infatti dagli inferi Alcesti al marito Admeto che l'attendeva; la scena, paradigma della discesa di Cristo agli inferi, è rappresentata nella catacomba di via Latina a Roma (prima o seconda metà del sec. 4°), dove agli episodi biblici fanno riscontro le Storie del ciclo di E. (Grabar, 1968, p. 15, fig. 35). Modello di virtù per l'apologo di E. al bivio, noto e citato in tutta l'Antichità (Panofsky, 1930), l'eroe è spesso accostato, in programmi di origine bizantina di glorificazione e di vittoria, ad Alessandro Magno nella sua trionfale ascesa al cielo sui grifoni, come si osserva, per es., in un cofanetto d'avorio del sec. 10°-11° (Darmstadt, Hessisches Landesmus.; Settis Frugoni, 1973, pp. 183-186).Sulla facciata principale della basilica di S. Marco a Venezia le fatiche di E. sono unite alle lotte dei santi guerrieri Demetrio e Giorgio, temibili guardiani dell'ingresso dell'edificio sacro; sul lato settentrionale, peraltro, è murato un bassorilievo di origine bizantina con l'Ascensione di Alessandro Magno (Settis Frugoni, 1973, p. 167). Si tratta in particolare di due bassorilievi: il primo, del sec. 3°, giunto presumibilmente in Occidente nel 1204, a seguito del grande bottino della quarta crociata, raffigura E. che porta al re Euristeo il cinghiale di Erimanto; l'altro, prodotto veneziano del 1230 ca., con E. che reca la cerva sulle spalle e schiaccia sotto ai piedi l'idra, fu realizzato in concomitanza con la messa in opera del rilievo precedente: un drappo fluttuante si è sostituito alla pelle del leone, un serpente-drago all'atterrito re, un cervo al cinghiale. È qui in vigore il principio di 'disgiunzione', operante a partire dal sec. 11° (Panofsky, 19622, trad. it. p. 22), fra 'motivi' classici (immagine antica conosciuta), ma investiti di un significato nuovo, medievale e non antico - è questo il caso -, e 'temi' classici, espressi mediante figure non classiche in disposizioni non classiche. Si tratta cioè di fonti letterarie antiche tradotte in immagini medievali, senza che si conoscesse l'immagine classica corrispondente (per es. Didone ed Enea rappresentati come una coppia medievale che gioca a scacchi). È un intervento deliberato: l'Antichità era insieme troppo remota e troppo energicamente presente per venire concepita come fenomeno storico (si pensi all'imperatore, germanico ma nello stesso tempo successore di quello dell'Impero romano, alla sinagoga simbolo dei perfidi ebrei uccisori di Cristo, mentre contemporaneamente i personaggi dell'Antico Testamento sono i profeti di Cristo). La disgiunzione operava per dare all'immagine un significato consono a una interpretazione cristiana del soggetto: l'artista medievale "ha trasformato il racconto mitologico in un racconto di salvezza" (Panofsky, 19622, trad. it. p. 22). Nel caso del rilievo veneziano l'immagine risente del paragone con Sansone-Cristo agli inferi; il serpente è il demonio, mentre è anche da ricordare che nei bestiari medievali il cervo, simbolo di Cristo, vince e uccide il suo antagonista per eccellenza, il serpente-diavolo.Altre immagini di E. con leonté mentre schiaccia il drago sotto ai piedi sono per es. in una gemma del sec. 13° (Parigi, Coll. Juritzky; Panofsky, 1960, trad. it. pp. 84-86, fig. 44) e in diversi manoscritti del 12° e 13° secolo. È inoltre da ricordare la miniatura del 1023 che illustra il De Universo di Rabano Mauro (Montecassino, Bibl., 132), dove E. con clava e pelle di leone tiene un serpente la cui coda si avvolge intorno alle caviglie dell'eroe (Frugoni, 1976-1977, p. 77; Reuter, 1984, p. 116, fig. 61). A Fidenza, fra i rilievi della facciata della cattedrale di S. Donnino - che svolgono i temi del Peccato e della Salvezza, assicurata anche dal pellegrinaggio purificatore, sotto la guida e la protezione angelica -, sulla lunetta interna dell'arco del protiro di destra è rappresentato appunto l'arcangelo Michele che schiaccia il maligno, mentre nell'intradosso del medesimo arco si fronteggiano due rilievi antelamici, un grifo che ha ghermito un cervo e, come chiarisce con sicurezza la scritta, il fortis Hercules mentre, già con la pelle sulle spalle, tiene per la coda il leone di Nemea a testa in giù percuotendolo con la clava; i due rilievi sono simboli dell'assalto del Male e della sua sconfitta (sul campanile a fianco è rappresentata l'Ascensione di Alessandro Magno con i grifoni; Saporetti, 1973, p. 58; Settis Frugoni, 1973, p. 315ss.). Tiene ugualmente un leone a testa in giù, questa volta per una zampa, la Fortezza del pulpito di Giovanni Pisano del 1302-1310 (Pisa, cattedrale), nel cui complesso programma iconografico è presente anche E. stante con clava e leonté scolpito a tutto tondo (Carli, 1975, figg. 21, 29-31); E. come Fortezza era già stato scolpito da Nicola Pisano nel pulpito del battistero della medesima città nel 1260 ca. (Panofsky, 1960, trad. it. pp. 87-88, fig. 48). Ancora in lotta con il leone, di cui afferra una zampa, compare E. - l'interpretazione è stata contestata ingiustamente (Adhémar, 1939, p. 222) - in un bassorilievo della facciata di Saint-Trophime ad Arles.È da ricordare la connessione di E. - anche per la presenza di vasellame classico nel c.d. tesoro di S. Desiderio conservato ad Auxerre (Trésor de la Cathédrale) - con Giuseppe calato nel pozzo (Gn. 37, 24-36), rappresentati entrambi, nel 1280 ca., sulla facciata occidentale della cattedrale di Auxerre (Panofsky, 1960, trad. it. p. 114, fig. 51). E. come simbolo di potenza associato a s. Giovanni Battista compare nel sigillo municipale di Firenze (prima menzione nel 1277; Davidsohn, 1960, p. 169) e ancora, rappresentato come vincitore di Caco e dunque simbolo della Virtù in lotta vittoriosa contro il Male, in una delle formelle esagonali di Andrea Pisano inserite nel campanile di Giotto a Firenze (1334-1342): "kakòn enim graece malum dicimus" avvertiva Fulgenzio, fortunato mitografo citato dall'epoca carolingia fino a tutto il Rinascimento (Mythologiarum libri tres, II, 3-4).Nel trono eburneo di Carlo il Calvo - portato presumibilmente a Roma nell'876 e conservato in S. Pietro - sono rappresentate, su formelle in avorio arricchite d'oro e paste vitree colorate, le dodici fatiche di E. (le lotte contro le Amazzoni e contro Gerione sono state sostituite dai due párerga delle lotte contro Anteo e Acheloo), eroe virtuoso per eccellenza e ideale modello di Carlo il Calvo, come mostra la letteratura encomiastica coeva, perché l'eroe offre nella propria vicenda lo specchio di una vita parallela, deus-homo come l'imperatore carolingio, entrambi minacciati da forze ostili su cui riuscirono a trionfare (Weitzmann, 1973). L'interesse della civiltà carolingia per E. è ulteriormente confermato da una serie di disegni raffiguranti le fatiche dell'eroe conservati a Yale (Univ. Lib., Beinecke Lib., 413, cc. 1v, 105r; Nees, 1988). Anche nel mantello di Enrico II (1014-1024; Bamberga, Diözesanmus.), dov'è rappresentato l'intero universo simbolo della potenza senza limiti dell'imperatore, come già nello spiovente del trono di Carlo il Calvo (la zona dedicata al cielo), E. compare in varie costellazioni identificato, nella stoffa, dalla scritta "Hercules serpentem occidit aurea mala servantem" (Frugoni, 1976-1977, p. 61; Nees, 1991).
Bibl.: E. Rupin, L'abbaye et les cloîtres de Moissac, Paris 1897, p. 247; E. Panofsky, Hercules am Scheidewege, Leipzig-Berlin 1930; J. Adhémar, Influences antiques dans l'art du Moyen Age français (Studies of the Warburg Institute, 7), London 1939; F. Benoît, La légende d'Hercule à Saint-Trophime d'Arles, Latomus 9, 1950, pp. 67-71; J. Seznec, The Survival of the Pagan Gods, New York 19532 (trad. it. La sopravvivenza degli antichi dei, Torino 1981); M. Simon, Hercule et le christianisme, Paris 1955; R. Davidsohn, Storia di Firenze, III, Le ultime lotte contro l'Impero, Firenze 1960; E. Panofsky, Renaissance and Renaissances in Western Art, Stockholm 1960 (trad. it. Rinascimento e rinascenze nell'arte occidentale, Milano 1971); id., Studies in Iconology. Humanistic Themes in the Art of the Renaissance, New York-Evanston 19622 (New York 1939, trad. it. Studi di iconologia, Torino 1975); A. Grabar, Christian Iconography. A Study of its Origins (Bollingen Series, 35, 10), New York 1968; C. Saporetti, La chiesa di San Donnino, Firenze 1973; C. Settis Frugoni, Historia Alexandri elevati per griphos ad aerem. Origine, iconografia e fortuna di un tema (Studi storici, 80-82), Roma 1973; K. Weitzmann, The Heracles Plaques of St. Peter's Cathedra, ArtB 55, 1973, pp. 1-37; E. Carli, Il pergamo di Pisa, Pisa 1975; C. Frugoni, L'Ideologia del potere imperiale nella ''Cattedra di S. Pietro'', BISI 86, 1976-1977, pp. 1-104; M. Reuter, Text und Bild im Codex 132 der Bibliothek von Montecassino: ''Liber Rabani de originibus rerum'', München 1984; L. Nees, Unknown Carolingian Drawings of Hercules from the Scriptorium of Reims and the ''Cathedra Petri'' Ivoiries, JWaltersAG 46, 1988, pp. 37-54; L. Nees, A Tainted Mantle, Hercules and the Classical Tradition at the Carolingian Court, Philadelphia 1991.C. Frugoni