Stroheim, Erich von (propr. Stroheim, Erich Oswald)
Regista, sceneggiatore e attore cinematografico austriaco, naturalizzato statunitense, nato a Vienna il 22 settembre 1885 e morto a Maurepas (Yvelines) il 12 maggio 1957. Autore maledetto del cinema muto, può essere considerato una delle intelligenze più acute della storia del cinema per aver saputo proiettare la settima arte verso una compiuta modernità espressiva, facendone lo strumento privilegiato di un'osservazione critica e dissacrante della realtà. Mal tollerato dall'industria cinematografica hollywoodiana, nonostante l'ampio successo di pubblico, S. non riuscì quasi mai a realizzare completamente i suoi progetti. I film da lui diretti, infatti, furono irrimediabilmente mutilati dai tagli imposti da produttori e censura, che non accettarono mai l'anticonformismo e gli eccessi di un cinema totalmente al di fuori delle regole.
Figlio di un modesto cappellaio ebreo di origini prussiane, S. trascorse l'intera sua esistenza all'insegna dell'eccesso e della grandiosità, a partire dal racconto delle sue origini ‒ con cui riuscì a ingannare per anni critici, spettatori e amici ‒ affermando di chiamarsi Erich Oswald Carl Marie Stroheim von Nordenwald, e di essere il figlio di un colonnello del Reggimento dei dragoni e di una dama di corte dell'imperatrice Elisabetta d'Austria, fuggito dall'esercito austro-ungarico per raggiungere gli Stati Uniti su una nave da carico. A queste leggende pose fine nel 1966 D. Marion, dopo un'accurata ricerca negli archivi e sui documenti originali.
S. mosse i primi passi nel mondo del cinema alla scuola di David W. Griffith e John Emerson, tra il 1914 e il 1918, lavorando sul set come consigliere militare, attore e assistente e accumulando un'esperienza di cui avrebbe in seguito fatto tesoro. Nel frattempo si era conclusa la Prima guerra mondiale, con un carico di amarezze e di disillusioni che fece da sfondo agli inizi della carriera del regista. L'esordio avvenne con Blind husbands (1919; Mariti ciechi, noto anche come La legge della montagna), tratto dal dramma teatrale The pinnacle dello stesso S., semplice storia di un triangolo amoroso ambientato a Cortina d'Ampezzo, interamente concentrato sulla definizione, precisa e ricca di particolari, dei personaggi coinvolti. Il film, che contiene molti degli elementi che sarebbero stati approfonditi nelle opere successive, costituisce una fonte preziosa perché si tratta dell'unico lavoro di S. che uscì sugli schermi nella forma più vicina a quella pensata dal regista, senza i pesanti interventi censori che avrebbero invece penalizzato le opere seguenti. Meno fortunato fu il successivo The devil's passkey (1920; La chiave del diavolo), andato perduto in un incendio: vi si narrava una storia di amori, tradimenti e gelosie (liberamente tratta dal racconto Clothes and treachery della baronessa de Meyer) ambientata nel volubile mondo del teatro parigino.
Il carattere irriverente del cinema di S. emerse chiaramente con Foolish wives (1922; Femmine folli), per il quale il regista vagheggiava il progetto di un'opera molto più lunga delle precedenti, capace di coinvolgere lo spettatore in un'esperienza fino ad allora inedita. Il film era stato concepito per durare quasi otto ore, ma interventi ripetuti del produttore Carl Laemmle lo ridussero di oltre tre quarti della sua lunghezza. La vicenda è imperniata intorno alle truffe e agli inganni messi a segno da un conte russo, sedicente capitano degli ussari imperiali, e dalle sue due cugine, nella Montecarlo del primo dopoguerra, ricostruita completamente in studio. Nacquero allora le prime e più grandi frustrazioni di un regista che sognava un cinema di rigoroso realismo, disposto a spendere cifre sensazionali per l'epoca pur di ottenere la perfezione e, soprattutto, incurante delle critiche di quei benpensanti che respingevano una rappresentazione della realtà colta negli aspetti più decadenti, sullo sfondo di un'ambientazione nell'Europa del primo Novecento.
I film di S. testimoniano la volontà di andare oltre il semplice spettacolo di intrattenimento per proporre (fondendo la ricca tradizione del cinema europeo con quella tipica dell'industria cinematografica americana) un punto di vista nuovo e complesso, che, pur partendo da una certa cultura popolare e romanzesca, offrisse una visione della realtà totalmente personale e intransigente. Infatti, se da un lato la forte personalità del regista lo portava a essere 'autore' alla maniera europea, soprattutto nella sua esigenza di controllare direttamente ogni momento della lavorazione del film, dall'altra, però, non sarebbe stato possibile concepire la grandiosità del suo cinema se non all'interno di una vera e propria industria, perfettamente organizzata negli aspetti produttivi e creativi. Così, tra continue battaglie, S. riuscì a portare avanti il suo progetto, pur ridimensionandolo in parte. I successivi Merry-go-round (1923; Donne viennesi, concluso da Rupert Julian dopo il licenziamento di S. voluto da Irving Thalberg) e The merry widow (1925; La vedova allegra) sono opere più contenute nella lunghezza, ma ugualmente forti nella critica sociale che viene condotta con immutato livore. Merry-go-round, che gli venne tolto di mano a tre quarti della lavorazione, si svolge nella Vienna del 1914 dove si consuma la candida e difficile storia d'amore tra un nobile e una ragazza di umili origini; mentre in The merry widow S. seppe trasformare un soggetto non suo secondo le linee della propria inconfondibile ispirazione.
Il successo di entrambi i film permise al regista di confrontarsi nuovamente con un'opera più densa. Nacque così Greed (1924; Rapacità), tratto dal romanzo McTeague di F. Norris, ispirato a un fatto di cronaca. S., grande ammiratore dello scrittore, era stato colpito dalle spiccate possibilità cinematografiche offerte dalla storia di due personaggi, McTeague e Trina, dilaniati da una brama di denaro che li divora fino alla morte. Capolavoro di naturalismo e visionarietà, testo esemplare per l'ampiezza del contesto narrativo, il rigore stilistico e la complessità della forma espressiva, Greed resta uno dei film più sacrificati nella storia del cinema a causa dei ripetuti tagli che ne svilirono il respiro e il carattere di opera ambiziosa e debordante. Negli ultimi due film della sua carriera di regista, S. tornò a descrivere il mondo ipocrita e decadente dell'aristocrazia europea, ma neppure in questo caso dalla produzione gli fu riservato un migliore trattamento. Del materiale girato per The wedding march (1927; Sinfonia nuziale) riuscì a montare solo la prima parte, mentre la seconda fu smembrata in sala di montaggio e affidata al giovane Josef von Sternberg, che ne fece un film del tutto autonomo intitolato The honeymoon (1926; Luna di miele). Fortemente contrariato da tale operazione, S. riuscì a proibire la proiezione negli Stati Uniti di The wedding march, diffuso solo in Europa e nel Sud America, mentre un incendio avrebbe distrutto, pochi mesi dopo la morte del regista, l'unica copia di The honeymoon conservata alla Cinémathèque française. Sorte peggiore toccò, infine, a Queen Kelly (1928) e all'unico film sonoro di S., Walking down Broadway. Il primo, interrotto durante la lavorazione per il sopraggiungere del sonoro, fu montato dall'attrice Gloria Swanson (che ne era l'interprete) in un'edizione ovviamente incompleta; mentre il secondo venne interamente rifatto da Alfred Werker e in seguito distribuito con il titolo Hello, sister! (1933).
Osteggiato sempre più dal sistema hollywoodiano (fino al definitivo allontanamento dopo l'avvento del sonoro), S. dal 1930 in poi poté dedicarsi esclusivamente all'attività di attore, interpretando alcuni dei più bei film della storia del cinema, come La grande illusion (1937; La grande illusione) di Jean Renoir o Sunset Boulevard (1950; Viale del tramonto) di Billy Wilder, e definendo nell'immaginario cinematografico un modello recitativo dai caratteri di glacialità, fredda e maniacale ossessione, perversa ambiguità e barocca cerimonialità, inconfondibile come la sua opera di regista.
U. Casiraghi, Umanità di Stroheim e altri saggi, Milano 1945.
D. Marion, Erich von Stroheim, Bruxelles 1959.
B. Bergut, Erich von Stroheim, Paris 1960.
P. Noble, Fuggiasco da Hollywood. Vita e opere di E. von Stroheim, Milano 1964.
J.W. Finler, Stroheim, London 1967.
T.Q. Curtis, Erich von Stroheim, New York 1971.
Erich von Stroheim, éd. F. Buache, Paris 1972.
A. Barbera, Erich von Stroheim, Torino 1974.
A. Cappabianca, Erich von Stroheim, Firenze 1979.
R. Koszarski, The man you loved to hate: Erich von Stroheim and Hollywood, Oxford-New York 1983.
E. Comuzio, Erich von Stroheim, Roma 1998.
F. Lignon, Erich von Stroheim: du ghetto au gotha, Paris 1999.
E. Bruno, Espressione e ragione in Stroheim, Torino 2000².
A. Lenning, Stroheim, Lexington 2000.
G. Paganelli, Erich von Stroheim: lo sguardo e l'iperbole, Roma 2001.