Erifile
Secondo un mito testimoniato da molte fonti, tutte note a D. (Stazio Theb. II 265 ss.; Ovidio Met. IX 406 ss.; Aen. VI 445 ss.), E., moglie di Anfiarao, che non voleva partecipare all'impresa contro Tebe perché in virtù delle sue facoltà divinatorie prevedeva l'esito funesto della guerra, rivelò ad Argia, moglie di Polinice, il luogo in cui si nascondeva il proprio marito, in cambio di una collana di perle, opera di Vulcano. Anfiarao, costretto alla spedizione dei ‛ sette ' contro Tebe, morì in battaglia; e il figlio Almeone uccise la madre E. in vendetta del padre.
Il matricidio perpetrato da Almeone è ricordato due volte in D., sempre senza menzione eplicita del nome di Erifile. In Pg XII 50 come Almeon a sua madre fé caro / parer lo sventurato addornamento, il mito - che rientra negli esempi di superbia scolpiti sul pavimento del primo girone - è interpretato nei confronti di E. come peccato di superbia da lei commesso nell'aver voluto entrare in possesso di un monile divino.
Come madre di Almeone è ancora menzionata E. in Pd IV 104, al centro di una terzina in cui lo stesso mito è riportato con riferimento al gesto criminoso di Almeone, quale riprova del fatto che spesso per evitare un danno ritenuto maggiore si decide di fare, sia pure contro voglia, qualcosa che sarebbe stato meglio non fare: come Almeone, che, di ciò pregato / dal padre suo, la propria madre spense, / per non perder pietà si fé spietato.