ERMETISMO
. Si suole intendere per "ermetismo" quella tendenza della letteratura italiana contemporanea, quella poetica e quel gusto che, ricollegandosi alle correnti irrazionali della cultura e dello spirito europei, massime francesi, dal simbolismo al surrealismo, hanno trovato nella poesia e nella critica le loro manifestazioni preminenti.
La definizione di "ermetica" fu propriamente introdotta, intorno al 1930, da F. Flora per la poesia "pura", essenziale, affermatasi dopo il D'Annunzio (come, in Francia, dal Mallarmé in poi), quasi a sottolinearne, non senza ironia, quel carattere di difficoltà o scarsa accessibilità che le proviene dal suo analogismo estremo. Poesia "lirica", affidata piuttosto alla suggestione musicale, allitterativa della parola che non al suo significato; più al magico giuoco dei "gridi" e dei silenzî, delle "illuminazioni" e delle pause (dei "bianchi"), che non a un coordinato disegno di versi e di strofi e al canto spiegato; più alla macerazione critica e alla elaborazione tecnica che non all'ispirazione. Il termine più generale di "ermetismo" venne invece di moda alcuni anni più tardi, fra il 1938 e il 1940, col diffondersi, ad opera specialmente di scrittori dell'ultima generazione, di una singolare forma di critica "oscura": così che da molti si finì con identificare tale fenomeno con questa critica. Mentre essa non è che lo svolgimento, in sede riflessa, di quel gusto poetico ormai dominante; il secondo tempo di un processo che, del resto, nelle sue stesse differenziazioni cronologiche, rispecchia fedelmente le vicende della poesia e della critica italiane nell'ultimo quarantennio.
Quando, infatti, ai poeti della generazione postdannunziana, negli anni (press'a poco) della Voce, l'ermetismo giunse attraverso Mallarmé e Rimbaud, ma anche attraverso quanto in Pascoli e, più, in D'Annunzio è assimilazione e rielaborazione delle istanze e dei motivi del decadentismo europeo, le condizioni della poesia erano ben diverse da quelle della critica. In grande rigoglio di pensiero e di opere, questa, per il dispiegarsi trionfante dell'estetica idealista, e per la presenza di alcune vigorose personalità critiche (fra cui, eminente, quella di B. Croce); in vacanza o in crisi, invece, la poesia, per il silenzio ormai del Pascoli e dello stesso D'Annunzio dopo l'Alcyone, e d'altronde per la crescente stanchezza dei crepuscolari o la sempre più vuota smanceria dei dannunziani di stretta osservanza.
L'ermetismo, nel suo anelito all'ineffabile, nel suo misticismo estetico, fu ai giovani poeti d'allora, da G. Úngaretti a D. Campana, mezzo per reagire a quell'amplificazione retorica, a quella struttura razionale e oratoria presenti ancora in D'Annunzio, Pascoli, Carducci, e proprie in genere della tradizione poetica italiana; quanto alla sciatta discorsività dei crepuscolari e, su su, dei poeti "scapigliati" e "borghesi". Esso valse quindi a superare quella crisi; non solo: ma, attuando a suo modo quell'ideale di una poesia moderna di spiriti e di forme, usuale di lessico ma pregnante di forza lirica, che il romanticismo aveva lasciato in eredità, venne per ciò stesso a innestarsi, nonostante i suoi atteggiamenti antitradizionali e ribelli ("maledetti"), sul gran tronco della tradizione. Rinnovò, insomma, continuando: venendo a compiere per la poesia quell'ufficio che il "frammentismo" - col quale esso ha molteplici interferenze - aveva compiuto per la prosa (v. frammentismo, App. I, p. 618).
D'altra parte l'ermetismo non si restrinse solo a porre le condizioni di una nuova poesia, non si arrestò al "grido", alla impressione balenante. Ma quella rarefazione sorse via via il bisogno di un più largo respiro; da quella macerazione critica e tecnica rinacque la necessità e possibilità di un canto, vigilatissimo sempre, ma articolato e però intimamente più perspicuo. Come dalla reazione alla poesia classica rinacque a grado a grado la frequenza amorosa dei classici, massime del Leopardi e del Petrarca: sia pure intrecciata con lo studio di poeti stranieri, ermetici o sentiti tali, da García Lorca a Éluard a Eliot. E lo svolgimento dell'ermetismo poetico negli anni fra le due guerre - dal "secondo" e maggiore Ungaretti, a E. Montale, a S. Quasimodo, ai più giovani - è stato appunto nel senso di tale chiarimento spirituale e formale. Ad un autobiografismo ancora un poco stillante per quell'originario senso di naufragio nel tutto, è venuta sostituendosi una evocatività distaccata e incantata, una "memoria" carica di sortilegi, che nel vagheggiamento del "tempo perduto" ritrova le ragioni profonde delle cose presenti, e dell'essere; dell'esistere stesso. Al verso libero è succeduto l'endecasillabo, sia pure rinnovato di accenti e cesure; e l'analogia, fulcro (come si è accennato) di tale poesia, è venuta via via risciogliendosi nei termini della comparazione.
Quanto alla critica ermetica, essa ripete invece le sue origini da quella crisi dell'idealismo che, latente da lungo tempo nella dottrina e negli indirizzi dei suoi maestri e seguaci, è divenuta sempre più profonda sia per il sempre più deciso divergere delle correnti irrazionali gentiliane da quelle crociane, sia per l'urgere ansioso di nuove tendenze e nuovi problemi. E come tale essa ha reagito alla sicurezza definitoria, alla dogmatica discriminazione di poesia e non poesia, allo storicismo dei crociani, mirando a instaurare nuovi modi d'indagine e un nuovo linguaggio. Alle visioni d'insieme, agli "inquadramenti", alle ricostruzioni o ricreazioni del mondo dell'artista, postulati da quell'estetica e da quella critica, ha contrapposto una sorta di poetica empirica, sperimentale, che fa largo posto ai problemi particolari, ai singoli fatti o elementi tecnici, espressivi, al valore formale delle parole e della pagina. A quei motivi psicologici, morali, culturali essa ha inteso sostituire un senso quasi magico di immediatezza interpretativa, di adeguazione del critico, anzi del "lettore di poesia" alla cosa letta. Perché se l'idolo di questa poetica è, appunto, l'irrazionale, l'inconscio che tuttavia perviene alla coscienza di sé mediante la magia della parola; l'idolo di questa critica è lo "stile". Uno stile cui vengono assegnati e natura e ufficio ben più importanti che nella vecchia retorica, in quanto non solo è considerato indipendentemente da quel sentimento e pensiero di cui pur è sintesi; ma addirittura come principio e fine di ogni cosa, come forza creatrice, demiurgica, trascendente. Non per nulla i giovani critici ermetici, da C. Bo a O. Macrì, si sono sempre richiamati, come ad antecedente o modello, a quella critica "sensibile", "di gusto", che, affermatasi negli anni fra la Voce e la Ronda, portò nell'ambito del crocianesimo, con certi accenti bergsoniani, le esigenze ed i fermenti della novissima letteratura, stemperando quel rigore estetico in un tono di impressionismo lirico o di elegiaca evasività (G. De Robertis); e anche alla critica delle altre arti, specie della pittura e della musica, come quella che più è rimasta ligia ad un certo empirismo.
Senonché cotesta ansia di nuove esplorazioni ed espressioni non ha conseguito i suoi fini, non essendo riuscita a chiarirsi in una idea ordinatrice, ad articolarsi in un pensiero effettivamente superatore di quello cui intendeva opporsi. Né d'altra parte è giunta a sublimare in misticismo quegli spunti o conati di cattolicesimo che pur racchiude. La posizione delle critica ermetica è pertanto confusa, contradittoria: vecchio e nuovo, "puntualità" e astrattezza, accademia e spregiudicatezza in lei si rincontrano e fanno gorgo. Come provano l'andamento dei suoi saggi, i modi della sua scrittura: quell'aura rarefatta, a momenti surrealista, tra di memoria e di subcosciente (vene freudiane corrono per l'ermetismo), nella quale il Leopardi "retore" si mescola col Valéry teorico, quella lingua ibrida, quella prosa a mosaico, laboriosissima, frequente di virgolette contrassegnanti i particolari sensi o sovrasensi di questo o quel vocabolo; quella sintassi fittizia, in quanto le parole nella proposizione e le proposizioni nel periodo si tengono insieme, più che altro, in virtù di un parallelismo ritmico o analogico.
Tuttavia non si può disconoscere che l'ermetismo critico abbia dato i suoi frutti. Il suo travaglio è indice di una crisi, non solo di un'estetica e di una filosofia, ma del pensiero, della sensibilità, del gusto e insomma della spiritualità contemporanea. E però, come nella lirica l'ermetismo è ormai acquisito alla coscienza poetica d'oggi, al punto che ogni nuova poesia deve pur fare i conti con esso; così l'ermetismo critico, con i suoi brancolamenti e sondaggi penosi, si ritrova al fondo di molte delle nuove istanze critiche e filosofiche, a cominciare dalle esistenzialiste.
Bibl.: F. Flora, La poesia ermetica, Bari 1936; n. ed., ivi 1942; id., Poetica surrealista ed ermetica, in Aretusa, n. 1, marzo-aprile 1944; W. Binni, La poetica del decadentismo italiano, Firenze 1936; L. Anceschi, Autonomia ed eteronomia dell'arte, ivi 1936 (cfr. anche introduzione all'antologia dei Lirici nuovi, Milano 1943); A. Gatto, in Il Bargello, 18 settembre 1938, 16 aprile 1939; S. Solmi, La poesia ital. contemp., in Circoli, gennaio 1939 (cfr. anche Il libro ital. nel mondo, luglio 1941); A. Bocelli, in La Stampa, 8 e 29 luglio 1939; id., in Il libro ital. nel mondo, agosto-settembre 1941, pp. 29-38; P. Bigongiari, in Corrente, 30 settembre 1939; C. Bo, Otto studi, Firenze 1939; id., Di Éluard, della poesia, in Letteratura, n. 13, gennaio 1940 (cfr. anche Antologia del surrealismo [francese], Milano 1944); G. De Robertis, Scrittori del Novecento, Firenze 1940, pp. 348-50, 403-6; Il surrealismo e l'Italia, n. speciale di Prospettive, 15 gennaio 1940; inchiesta su L'ermetismo e gli ermetici, in Primato, 1° e 15 giugno, 1° luglio 1940 (scritti di C. Alvaro, E. Cecchi, E. Montale, ecc.); O. Macrì, Esemplari del sentimento poetico contemp., Firenze 1941; id., Fogli per i compagni, in Letteratura, n. 17, gennaio-marzo 1941; G. Contini, Un anno di letteratura, Firenze 1942, pp. 145-50; id., Introduction à l'étude de la litt. ital. contemp., in Lettres, n. 4 (Ginevra), ottobre 1944; S. F. Romano, Poetica dell'ermetismo, Firenze 1942; L. Russo, La critica lett. contemp., III, Bari 1943, pp. 241-57; A. Russi, Discorso sulla poesia contemp., in Aretusa, n. 1, marzo-aprile 1944; M. Apollonio, Ermetismo, Padova 1945; P. Pancrazi, Scrittori d'oggi, I, Bari 1946, pp. XIX-XXX. Cfr. inoltre i periodici: Campo di Marte (Firenze 1938-39); Corrente (Milano 1938 segg.); Incontro, (Firenze 1940); Letteratura (ivi, dal 1937); Prospettive (Roma 1937-43). Altre indicazioni bibl. in E. Falqui, Pezze d'appoggio, 2ª ed., Firenze 1940. Per gli affini atteggiamenti e sviluppi della poesia francese, v. M. Raymond, De Baudelaire au surréalisme, Parigi 1934; n. ed., ivi 1947; trad. ital., Torino 1948.