esperimento
Fin dalla sua origine il concetto di esperimento è saldamente legato, anche etimologicamente, alla nozione di esperienza (➔) e solamente nel Seicento, con lo sviluppo della riflessione baconiana e galileiana, esso viene a connettersi propriamente alla tecnica, la quale permette la riproducibilità dell’esperienza in condizioni controllate. Nella sua attività razionale di conoscenza del mondo l’uomo osserva il comportamento e la regolarità della natura, ma le sue osservazioni si rivelano inadeguate a fronteggiare crescenti e profonde esigenze di carattere teorico e speculativo che impongono un nuovo rapporto tra pensiero ed esperienza. Diversamente dall’esperienza spontanea dei sensi, l’e. non opera direttamente sulla realtà perché ricorre alla mediazione di strumenti tecnici, e nemmeno si configura come un prolungamento dell’esperienza sensibile, perché, anche con l’ausilio di modelli matematici, esso produce un’esperienza teorica che si traduce in una spiegazione o interpretazione della realtà fisica. L’e. ha un carattere intrinsecamente artificiale, sistematico e selettivo, fondato su due proprietà essenziali: la controllabilità e la ripetibilità. In epoca moderna F. Bacone, in opere come Cogitata et visa (1607), Novum Organum (1620) e De dignitate et augmentis scientiarum (1623), teorizza la necessità di studiare la natura non solo mediante l’esperienza, ma anche attraverso strumenti e apparati che, sotto l’aspetto oggettivo della misura, favoriscono la collaborazione scientifica e la pubblicità dei risultati. L’e. baconiano è un connubio di esperienza e ragione: gli e. non sono delle osservazioni casuali, ma costituiscono delle precise domande che l’uomo di scienza pone alla natura. In Galilei, per cui notoriamente il mondo si trova già matematizzato, appare forte la componente matematico/astrattiva che consente di estrarre modelli e leggi matematiche dalla costruzione di e. in laboratorio. Inoltre per Galilei l’ambito dello sperimentale sconfina anche nell’immaginario e, di fatto, alcuni dei suoi e. più significativi si lasciano propriamente descrivere come mentali (➔ esperimento mentale). La concezione baconiana e galileiana dell’e. e del metodo sperimentale (➔ metodo) fu sostanzialmente condivisa sino all’Ottocento, quando le grandi evoluzioni scientifiche misero in questione il valore di innocenza osservativa dell’esperimento. Segnatamene, il fisico e filosofo Duhem sottolineò, da un lato, come i dati concreti che sono estratti dagli e. non consentano quasi mai la costruzione di una teoria univoca; dall’altro, evidenziò come i criteri della sperimentazione costituiscano già una teoria che influenza l’e. che si desidera eseguire e dunque il risultato conseguibile. In breve, i fatti sperimentali si costruiscono teoricamente. Le argomentazioni svolte da Duhem nell’opera La théorie phisique (1906; trad. it. La teoria fisica) evidenziano inoltre l’impossibilità di e. cruciali. Duhem discute il risultato di Foucault che la velocità della luce è maggiore nell’aria che nell’acqua e che Arago erroneamente aveva considerato un e. dirimente a favore della teoria ondulatoria della luce contro quella corpuscolare. La problematiche collegate al complesso rapporto tra teoria ed e. sono state riprese e analizzate anche nel contesto della fisica teorica contemporanea soprattutto grazie alla formulazione del principio di indeterminatezza di Heisenberg, il quale pone con forza il problema della impossibilità di una netta separazione tra il comportamento degli oggetti atomici e la loro interazione con l’osservatore (gli strumenti di misurazione). La fisica contemporanea ha così ispirato e motivato una nuova filosofia dell’osservazione e dell’e. i cui massimi teorici sono stati, sovente, gli stessi fisici artefici delle nuove scoperte e paradigmi: Heisenberg, N.H.D. Bohr, Einstein, Schrödinger e altri.