ESTE (anticamente Ateste, nome certamente connesso con quello dell'Adige [Atesis], il quale, prima della celebre rotta della Cucca, 589 d. C., lambiva la città; A. T., 24-25-26)
Cittadina della provincia di Padova, che sorge al limite meridionale dei Colli Euganei, ai piedi del monte Cero, 13 m. sul mare, 30 km. sud-ovest di Padova. Centro della città è la Piazza Maggiore. Posta a 5 km. dalla linea ferroviaria Padova-Bologna (con cui è unita per mezzo della tranvia elettrica Este-Sant'Elena), la città è toccata dalla ferrovia secondaria Padova-Legnago e dal Naviglio Bisatto, che è deviato dal Bacchiglione e si unisce col canale Este-Monselice e col canale Pontelongo. Il comune è vasto 32,75 kmq.; contava 10.475 abitanti nel 1881, 10.962 nel 1901 e 12.818 nel 1921, di cui 8874 nel capoluogo, gli altri per la massima parte in case sparse. L'occupazione prevalente è l'agricoltura ed Este è sede di molti benestanti proprietarî. Vi sono anche fabbriche di concimi chimici, fiammiferi, saponi, attrezzi rurali. Molto frequentata è la fiera di Santa Tecla nella seconda metà di settembre. Nei dintorni si hanno molte belle ville e alcune cave di trachite.
Monumenti. - La stretta connessione fra la storia dell'antichissima civiltà atestina e i resti archeologici e artistici che la documentano, consigliano di prescindere qui da un'esposizione isolata di questi ultimi, rimandandola ai cenni storici che seguono. Dei monumenti medievali, il castello dei marchesi D'Este, costruito nel tardo Medioevo e noto nei fasti della poesia trovadorica, crollò sotto gli assalti di Ezzelino e di Can Grande della Scala. Se ne trovarono le fondazioni disposte intorno a quelle di un torrione barbarico. Il castello attuale, costituito della sola cinta fortificata di pianta poligonale col mastio e 14 torricciole aperte verso l'interno fu innalzato da Ubertino da Carrara tra il 1338 e il '39, appena ebbe presa Este. Resta anche qualche tratto delle mura che proteggevano col canale Bisatto la città. La chiesa più antica è S. Martino nella parte absidale romanico-gotica e nel campanile, che risalgono al sec. XIV. Nella cappella di S. Lorenzo v'è un vivace affresco del Trecento (Crocifisso tra Maria e S. Giovanni); sull'altare Rota frammenti lombardeschi. Nella Basilica delle Grazie si conserva una tavola con Madonna bizantina donata dal marchese Taddeo d'Este e un Gesù in croce del Magagnò; agli Zoccoli una tavola firmata di G.B. da Conegliano (Madonna, 1504) e la Missione degli Apostoli del Minorello (1653). Del 1588 è la ex-chiesa di S. Michele, architettata da Vincenzo Scamozzi. Il duomo, danneggiato da terremoto, fu ricostruito (1690-1722) nella originale forma presente su disegno del veneziano A. Gaspari. Ha pianta ovale e cappelle a raggiera. Nel soffitto è la S. Tecla di Iac. Amigoni, nella cappella del Sacramento un altare marmoreo del Corradini, e in quella del Crocifisso (buona opera lignea del sec. XVI) il gruppo in marmo delle Marie dovuto al Torresini e al Fioretti; su un altare la S. Lucia del Grassi; nell'abside S. Tecla implorante la cessazione della peste, tela firmata di G. B. Tiepolo (1759). Nella chiesa ottagonale della Salute vi sono tele dello Zanchi e del Cervelli. Nel palazzo comunale esiste una tela (S. Tecla) dello Zanchi e v'è un importante archivio della comunità. Della villa di Alvise Cornaro, autore del trattato sulla vita sobria, resta l'arco d'ingresso, probabile opera del Falconetto. Il giardino fu disegnato nel sec. XIX dallo Iappelli. Dei primi del Seicento è la Vigna Contarena (Villa Contarini), che aveva nel giardino parecchie antichità (donate al museo) e conserva un orto segreto. Del sec. XVIII sono le ville Rezzonico e Morosini; villa De Kunkler, trasformazione d'un convento di cappuccini soppresso nel 1810, ospitò (autunni 1817-18) Byron e Shelley. Il R. Museo Atestino, inaugurato in un'ala del grande palazzo Mocenigo (fine sex. XVI) nel 1902, uno dei maggiori dell'Italia settentrionale, è diviso in due sezioni: preromana e romana. Nella prima notevoli sono le raccolte di Arquà, Marendole, Lozzo, Este; le suppellettili funebri delle necropoli atestine, fra cui molte situle bronzee storiate (notissima quella Benvenuti), e una stipe votiva con chiodi iscritti e statuette di bronzo. Nella sezione romana: cippi di confine fra i territorî di Este e Padova, cippi funebri di famiglie atestine, vetri, testa bronzea di Medusa, medaglione aureo di Augusto.
Dalla seconda metà del sec. XVIII alla prima del XIX fiorirono in Este tre fabbriche di ceramica (terraglia): la Brunello poi Contiero-Apostoli, la Brinto, e, più famosa, la Franchini.
V. tavv. LI-LIII.
Storia. - Epoca antica. - Ateste fu città dei Veneti, anzi la più popolata del territorio occupato da quel popolo fino a quando, nel sec. III-II a. C., cominciò a prevalere Patavium (v. padova). Fu uno dei principali centri di civiltà dell'Italia Settentrionale durante parte della prima e della seconda età del ferro. A una popolazione poco densa, a giudicare dalle sue rare vestigia, di razza ligure (?), forse gli Euganei (v.), si sovrappose nel sec. IX a. C. una popolazione di Veneti (v.) giunta dalla sponda opposta dell'Adriatico, la quale seppe mantenersi, a quel che consta, sempre indipendente, sia dagli Etruschi, sia dai Galli, pur avendo con loro attivi rapporti commerciali e risentendo della loro civiltà notevole influsso.
La civiltà atestina viene divisa in quattro periodi, di cui i primi due corrispondono al primo e secondo periodo della prima età del ferro (v.), cioè dal sec. X alla fine del VI; il terzo periodo va dal 500 alla prima metà del sec. IV e corrisponde in gran parte a quello bolognese della Certosa; il quarto periodo arriva alla dominazione romana, cioè circa al 200 a. C. La forma e il corredo delle tombe hanno permesso di determinare questi periodi e le loro particolarità, anche perché il numero di esse, nei vasti sepolcreti che circondano l'abitato moderno, ha dato la possibilità di fare esaurienti raffronti e di stabilire la stratificazione. Gli Atestini, cioè i Veneti, abitanti il territorio di Este, praticavano la cremazione che veniva fatta con cura maggiore di quella con cui era fatta altrove.
Nel I periodo le ceneri venivano raccolte in un cinerario di forma biconica, simile a quelli di Villanova e di Pianello, cinerario che veniva deposto in una buca nella nuda terra, nel cui fondo erano stati prima gettati i resti del rogo. Qualche volta la fossa aveva un letto di lastre irregolari, e vi era aggiunto qualche piccolo vaso di argilla rozza cotta a fuoco aperto. Caratteristici della ceramica di questa età sono i vasi in forma di animale. La fibula è ad arco semplice. Rare le tombe di questo periodo; le più note sono quelle di Lozzo Atestino e del Brolo Pelà.
Nel II periodo la ceramica è quasi sempre nera e più fine; i vasi hanno forme più varie, pur conservandosi ancora nei cinerarî reminiscenze dei tipi villanoviani. Compaiono le coppe fittili ad alto piede, le situle di terracotta con disegni e greche formati da borchie di bronzo; le fibule sono a grandi coste, con l'arco in forma di animale, oppure ad arco semplice, rivestito di corno o d'ambra, molti i rasoi lunati, alcuni cinturoni e coltelli a lama serpeggiante e qualche oggetto esotico, che rivela che dovevano esistere più frequenti rapporti commerciali. Si diffonde l'uso dei vasi in bronzo o rame laminato. Il sistema di seppellimento dei cinerarî è ancora quello del periodo precedente, ma più di frequente le fosse sono rivestite di scaglie di pietra.
Il III periodo rivela in gran parte il maggiore sviluppo della civiltà atestina: a esso appartengono le situle di bronzo laminato con figurazioni a sbalzo di cui faremo cenno appresso: l'uso del metallo è più diffuso: frequenti sono le fibule serpeggianti. I vasi fittili hanno ormai forme varie proprie; caratteristica della ceramica di quel periodo è la decorazione esterna a fasce rosse e nere alternate e limitate da cordoni a rilievo: continua l'uso di tracciare cordoni, spirali e greche con borchie di bronzo sui vasi fittili.
Più numerosi sono i cinturoni di bronzo con grandi placche ovali nel mezzo, i quali erano un adornamento femminile di distinzione; frequenti sono i ganci pure per cinturoni o rettangolari o ellissoidali. Le tombe sono di regola a cassetta formate con sei lastre di trachite bene ritagliate e bene accostate. Come già nel periodo precedente i sepolcreti sono spesso limitati da muriccioli a secco, entro i quali talvolta, pure fatti con muriccioli a secco, sono altri piccoli recinti, probabilmente per delimitare aree di tombe di una famiglia.
Anche in questo periodo le tombe sono indicate da stele, le quali però si presentano accuratamente squadrate e spesso portano incise iscrizioni in carattere veneto.
Durante il IV periodo si manifesta l'influenza gallica nella ceramica e nelle forme delle fibule: pure assai numerose sono in questo periodo le statuette di bronzo, in generale poco pregevoli come oggetti artistici, le quali però forniscono dati importanti per la conoscenza dell'abbigliamento e dell'armatura.
L'abitato antico doveva estendersi dove poi sorse la città romana e moderna.
Resti di modeste capanne, talora con focolari, costituiti da un piano di argilla cotta e lastre di trachite, si sono scoperti nella contrada Settabile, in via Restara (prevalentemente del III periodo, ma con testimonianze pure del I e II), a Canevedo (I periodo) e nel fondo Cortellazzo (I periodo), cioè in una zona che costeggiando la moderna città a mezzodì, va verso la stazione ferroviaria. Nel fondo Cortellazzo si scoprirono inoltre miseri resti di un tempio dei Dioscuri, sopra una terrazza rialzata e tra essi l'interessante rilievo votivo del greco Argenidas. Questo tempio attesta come fosse notevolmente praticata la navigazione nel basso Adige, fino al sec. V a. C. La personalità sacra dei Dioscuri nell'epoca posteriore assunse una nuova funzione, quella di protettrice della giovinezza e della salute. Altro santuario più interessante è quello della dea Rhetia, nel fondo Baratela, nella cui stipe votiva vennero raccolti moltissimi chiodi e tavolette di bronzo con iscrizioni e alfabeti in carattere veneto, e numerose statuette di bronzo, di forma rozza. Questa stipe è della fine del III periodo e dell'inizio del IV, ma il santuario deve essere esistito anche prima.
Al secondo e terzo periodo deve assegnarsi il fiorire di Este; in esso attive furono le relazioni commerciali con i popoli finitimi, pur conservando, la città, come già si è detto, la sua completa indipendenza. Nulla sappiamo dei tentativi che debbono aver fatto i Galli per invadere e occupare il paese dei Veneti, ma certo l'ostilità tra quei due popoli è continuata in periodo storico e anche nelle lotte tra Roma e i Galli, i Veneti parteggiarono per Roma; così pure durante la guerra annibalica; anzi, secondo una testimonianza di Silio Italico (XII, 212), nella battaglia di Canne combatté un buon numero di essi, comandati da Asconio Pediano. Dopo la guerra dei Cimbri nella sistemazione della Gallia Cisalpina, Este seguì la sorte di questa regione, certo nella forma più benevola per la sua costante fedeltà a Roma. Non sappiamo precisamente per quali contese i proconsoli L. Caecilius e S. Atilius Saranus dovettero delimitare con cippi i confini di Este con Padova nel 141 e con Vicenza nel 135 a. C.
Dopo la guerra sociale, Ateste ebbe il diritto latino; nel 49 a. C., come la Gallia Transpadana, ottenne da Cesare il diritto di cittadinanza, e fu iscritta alla tribù Romilia. La città andò lentamente perdendo la primitiva importanza; Augusto vi mandò una colonia di veterani delle sue legioni, che formarono pure un collegio funeraticio (Collegium veteranorum Augustorum). A capo della colonia stavano i duoviri e anche i quaestores, che il Mommsen opina fossero magistrati più alti dei duoviri; vi era il senato (decuriones). Le lapidi menzionano alcuni sacerdoti: flamen Iul(ianus) e Augustalis, il pontifex, e inoltre, gli Augustales e i seviri Augustales. Delle divinità sono ricordati: Diana, Fortuna, Iupiter, Nympnae, Silvanus. In una defixionis tabella sono pure nominati Orcus pater, Proserpina e Plutone (Notizie Scavi, 1914, p. 369).
La civiltà atestina non ha avuto una vera arte: i suoi manufatti presentano assai scarse varietà di forma e di elementi decorativi, che per giunta sono spesso importati: essi però rivelano una notevole abilità e anche perfezione tecnica. Le numerosissime statuette di bronzo che da Este si sono diffuse anche nella Valle Padana e nei paesi alpini, sono rozze, spesso deformi, schematiche, quasi simboli, senza alcuna pretesa artistica. Un posto specialissimo nei prodotti della civiltà atestina hanno le situle di lamina di bronzo lavorata a sbalzo, nella maggior parte della fine del II periodo e del III. La decorazione consiste in zone in cui sono teorie di animali fantastici di sicuro carattere orientalizzante per gl'influssi penetrati a Este da Adria e da Spina, e scene di genere, come processioni sacre, serie di figure di guerrieri, sacerdoti, carri, ecc. Queste situle ebbero una grande diffusione nei paesi alpini. Non sembra accettabile l'opinione recentemente espressa che la situla della Certosa, la migliore di cosiffatti monumenti a noi pervenuti, sia di fattura etrusca, e che anche le situle siano state fatte a Fste per imitazione di prodotti etruschi. Certo anche questi prodotti sono piuttosto lavori di abili artieri che opere di veri artisti.
Medioevo ed epoca moderna. - Già decaduta politicamente ed economicamente, come si è visto, quando Padova crebbe in prestigio, Este dovette forse la sua estrema rovina alle prime invasioni barbariche. In seguito alla terribile rotta dell'Adige dell'anno 589 alla Cucca presso Albaredo, per cui il corso deviò definitivamente per Porto e Legnago, se pur qualche cosa di Este restava o risorgeva, essa, privata del ricco fiume, perdeva la sua fisionomia tradizionale, per diventare semplice città di pianura e centro agricolo. Di più, roccaforte ad essa vicina diventò Monselice. Più tardi, a poco a poco risorse e, grazie a Ottone I re di Germania, costituì il feudo di una famiglia, longobarda d'origine, che poi dal luogo si chiamò d'Este; allora la cittadina diventò centro d'un vasto territorio, che comprese anche Monselice e Montagnana. Azzo II vi costruì un castello a residenza sua o dei suoi. Padova ne fu turbata; lotte lunghe e aspre seguirono, finché, trasferitisi gli Estensi a Ferrara, Este non fu compresa entro il dominio della repubblica padovana. Da questa passò ai Carraresi e successivamente a Venezia. Sotto la repubblica veneta visse in pace e nella prosperità, sede preferita di villeggiatura di parecchie nobili famiglie veneziane. Nel 1829 l'Austria la innalzò al grado di città.
Bibl.: Oltre le opere registrate da L. Benvenuti, Bibliografia Atestina, Bologna 1881, v.: A. Ciscato, Storia di Este dalle origini al 1889, Este 1889; M. Sartori-Borotto, Guida di Este, ecc., Venezia 1907; V. Crescini, Per gli scavi del Castello di Este, in Atti e Memorie del R. Ist. Veneto di Scienze lettere e arti, LXXV (1915); E. Zorzi, Il territorio padovano nel periodo di trapasso da Comitato a Comune, in Miscellanea della R. Deputazione Veneta di Storia Patria, III; A. Callegari, Il pulpito gotico di Este, in Dedalo, V (1923-24), pp. 689-94; E. Gasparotto, Patavium Municipio Romano, in Archivio Veneto, LVII, serie v, nn. 1-4 (1927); B. Brunelli, Este, in Le Vie d'Italia, febbraio 1929, p. 117 segg.; A. Callegari, Guida dei Colli Euganei, Padova 1931.
Sull'antica Ateste, v. anche: Corp. Inscr. Lat., V, p. 240 segg.; E. Pais, Suppl. Ital., Roma 1888, p. 62 segg.; O. Montelius, La civilisation primitive en Italie, Stoccolma 1895 segg., tavv. 50-59 (testo, col. 273 e segg. con la bibliografia precedente). Numerosi articoli e note in Bull. Pal. Ital., e in Notizie degli Scavi di Antichità; Jahrbuch d. Arch. Instituts, XXXVI, Berlino 1923; Arch. Anzeiger, col. 40 segg.; Atti del Congresso storico, Roma 1904, p. 467 segg.; v. anche Ebert, Reallexikon der Vorgeschichte, Berlino 1925, III, p. 126 segg.; cfr. Hülsen, in Pauly-Wissowa, Real-Encyclopädie, II, col. 1925; E. De Ruggiero, Dizion. Epigrafico, I, Roma 1895, 741 segg.; Randall-Mac-Iver, The iron age in Italy, Oxford 1927, p. 5 segg.; Y. Sundwalls, Villanovastudien, Abo 1928, p. 84 segg.; Aberg, Bronzezeitliche und früheisenzeitliche Chronologie, Stoccolma 1930, p. 183 segg.; P. Ducati, La situla della Certosa, in Memorie della R. Accademia delle Scienze di Bologna, II, v-vii (1920-23), Bologna 1923.