Abstract
L'estradizione è uno strumento di cooperazione internazionale nel settore penale al quale si fa ricorso allorquando uno Stato intende ottenere da un altro Stato la consegna di un soggetto, per sottoporlo a processo penale o per eseguire nei suoi confronti una sentenza di condanna a pena detentiva o un altro provvedimento restrittivo della libertà personale.
Nel procedimento di estradizione, ciascuno Stato può assumere il ruolo di Stato “richiesto” o di Stato “richiedente”: da qui, la distinzione tra estradizione “passiva o per l’estero” ed estradizione “attiva o dall’estero”.
L’istituto dell’estradizione non trova applicazione nei rapporti tra gli Stati facenti parte dell’Unione europea, i quali, avendo dato attuazione alla decisione quadro sul «mandato d’arresto europeo» (2002/584/GAI), si avvalgono, per le stesse finalità, di una diversa – e più celere – procedura di consegna delle persone ricercate.
Indispensabile strumento di collaborazione tra Stati in materia di giustizia penale, l’estradizione è regolata, principalmente, dalle norme internazionali pattizie (convenzioni bilaterali o plurilaterali), nonché dalle norme di diritto internazionale generale e, solo in via residuale, dal diritto interno di ciascuno Stato (v. anche Estradizione - dir. int.).
Nel nostro ordinamento è l’art. 696 c.p.p. a prevedere che le norme del codice di rito penale in tema di estradizione (artt. da 697 a 722) trovino applicazione solo quando manchi una fonte normativa sovranazionale o quando quest’ultima non disponga diversamente, così sancendo la prevalenza – oltre che del diritto internazionale generale – della normativa sovranazionale convenzionale, che, per quanto riguarda l’Italia, si rinviene sia nella Convenzione europea di estradizione, firmata a Parigi il 13 dicembre 1957 e ratificata dall’Italia con la l. 30.1.1963, n.300, sia nei numerosi trattati bilaterali, stipulati dall’Italia con Stati diversi da quelli facenti parte del Consiglio d’Europa, quali, ad esempio, gli Stati Uniti, l’Argentina, il Brasile, la Polonia e il Libano.
Nei rapporti di cooperazione giudiziaria tra i Paesi membri dell’Unione europea, le tradizionali procedure di estradizione sono state sostituite dall’istituto del mandato di arresto europeo, che si fonda sul principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie e che, per quanto riguarda l’Italia, trova la sua fonte di disciplina nella l. 22.4.2005, n. 69, di attuazione della decisione quadro (2002/584/GAI), adottata dal Consiglio dell’Unione europea il 13.6.2002.
Diversi sono i principi che informano la disciplina dell’estradizione.
In primo luogo, il principio della “doppia punibilità”, in forza del quale l’estradizione è ammessa solo quando la domanda abbia ad oggetto un fatto previsto come reato sia dalla legge dello Stato richiedente che da quella dello Stato richiesto (art. 2 l. n. 300/1963).
In secondo luogo, dal “principio di specialità”, in forza del quale uno Stato che ha ottenuto l’estradizione di un soggetto, può procedere nei confronti di quest’ultimo solo per il fatto oggetto della domanda di estradizione e non anche per fatti diversi, anteriori rispetto a quello per il quale l’estradizione è stata concessa. Il principio non trova applicazione solo quando vi sia il consenso dello Stato che ha concesso l’estradizione ad estendere l’ambito di efficacia della stessa e quando il soggetto estradato, pur avendone avuta la possibilità, non abbia lasciato, trascorsi quarantacinque giorni dalla sua remissione in libertà, il territorio dello Stato al quale era stato consegnato, oppure quando, pur avendo lasciato il territorio di quello Stato, vi abbia fatto volontariamente ritorno (artt. 699 c.p.p. e 14 l. n. 300/1963).
Infine, in forza del principio del “ne bis in idem”, chiunque sia stato già giudicato in uno Stato non può essere estradato in un altro Stato per essere ivi processato per lo stesso fatto (art. 9 l. n. 300/1963).
L’estradizione si dice “passiva” (o per l’estero) quando al nostro Stato viene richiesta, da uno Stato non appartenente all’Unione europea, la consegna di una persona per le finalità in epigrafe indicate.
Il nostro ordinamento giuridico, ispirato ai principi liberaldemocratici, riconosce al soggetto al quale si riferisce la richiesta di estradizione la tutela dei diritti fondamentali della persona, anche mediante la previsione di una serie di limiti alla concessione dell’estradizione.
Innanzitutto, l’estradizione non può essere concessa per un reato politico (artt. 10, co. 4, e 26, co. 2 Cost., art. 698, co. 1 c.p.p. e art. 3 l. n. 300/1963) e cioè per un reato posto in essere per opporsi a regimi illiberali o al fine di affermare un diritto fondamentale della persona, nonché in tutti i casi in cui si abbia fondato motivo di ritenere che il giudizio a carico dell’estradato possa essere influenzato da fattori ideologici, politici o anche da finalità meramente persecutorie.
L’estradizione è vietata, altresì, ogni qualvolta vi sia ragione di ritenere che la persona da consegnare possa essere sottoposta, nello Stato richiedente, ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche o di condizioni personali e sociali (c.d. “clausola di non discriminazione”), oppure a trattamenti crudeli, disumani o degradanti.
Sussiste, infine, un divieto assoluto alla concessione dell’estradizione quando quest’ultima si riferisca ad un reato punito, secondo la legislazione dello Stato richiedente, con la pena di morte (C. cost., 27.6.1996, n. 223), a meno che la disciplina pattizia non preveda una commutazione automatica della pena capitale nella corrispondente pena prevista dall’ordinamento dello Stato richiedente, oppure, quando la pena sia già stata inflitta, nella più grave pena detentiva prevista da quello stesso ordinamento.
Il procedimento di estradizione passiva prende il via con la ricezione di una domanda – cui deve essere allegata la copia del provvedimento restrittivo della libertà personale (in caso di estradizione processuale) o la copia della sentenza di condanna a pena detentiva divenuta esecutiva (in caso di estradizione esecutiva) – inoltrata dallo Stato richiedente al ministro della giustizia.
Al fine di consentire la verifica dell’assenza di condizioni ostative all’estradizione, alla domanda devono essere allegati sia una relazione sui fatti addebitati alla persona della quale è chiesta la consegna, con indicazione del tempo e del luogo di commissione dei fatti e della loro qualificazione giuridica, sia il testo delle disposizioni di legge applicabili. Ancora, lo Stato richiedente deve indicare i dati segnaletici e ogni altra informazione utile a determinare l’identità e la nazionalità del soggetto e deve specificare se il fatto per il quale è domandata l’estradizione sia punito con la pena di morte, indicando, in tal caso, quali siano le assicurazioni fornite affinché tale pena non venga inflitta o, se già inflitta, non venga eseguita. Sia la domanda che la documentazione ad essa allegata devono essere tradotte, a cura dello Stato richiedente, nella lingua italiana (artt. 700 c.p.p., 12 e 13 l. n. 300/1963).
Il ministro della giustizia, nella prima fase della procedura di estradizione, avente natura meramente amministrativa, ha un ampio potere discrezionale – incentrato su valutazioni di carattere esclusivamente politico – potendo non concedere l’estradizione di un proprio cittadino o, anche, respingere una domanda di estradizione, senza investirne l’autorità giudiziaria, a meno che la fonte pattizia di riferimento non preveda l’obbligo di estradare in presenza delle condizioni previste dalla convenzione stessa, il cui accertamento è rimesso alla autorità giudiziaria. Allo stesso modo, allorquando vi siano, da parte di più Stati richiedenti, plurime domande di estradizione, relative allo stesso soggetto, per lo stesso fatto o anche per fatti diversi, spetta al ministro della giustizia non solo valutarne la ricevibilità ma anche stabilirne l’ordine di precedenza, alla luce dei criteri individuati sia dalla normativa pattizia che da quella codicistica (artt. 697 c.p.p., 6 e 17 l. n. 300/1963).
Se ritiene di non dover, ab origine, rigettare la richiesta di estradizione, il ministro della giustizia la trasmette al procuratore generale presso la corte di appello competente, dando così avvio alla seconda fase della procedura di estradizione, avente natura giurisdizionale e connotata dal riconoscimento, alla persona da estradare, di una serie di garanzie tipiche dell’accertamento giurisdizionale.
La corte territorialmente competente è quella del luogo in cui l’imputato o il condannato abbia la residenza, la dimora o il domicilio nel momento in cui perviene al ministro la richiesta di estradizione, ovvero la corte di appello che, nelle more della decisione, abbia ordinato l’arresto provvisorio dell’estradando o quella il cui presidente abbia proceduto alla convalida dell’arresto disposto, in via di urgenza, dalla polizia giudiziaria. Se non è possibile individuare il giudice competente alla luce dei richiamati criteri, la competenza spetterà alla corte di appello di Roma. Quando il soggetto richiesto è minorenne, la competenza a pronunciarsi sulla richiesta di estradizione è della sezione per i minorenni della corte d’appello individuata in base ai criteri in epigrafe richiamati (art. 701 c.p.p. e C. cost., 31.07.2008, n. 310).
Ricevuta la domanda, il procuratore generale convoca la persona richiesta – con l’assistenza di un difensore di fiducia o, in sua mancanza, di un difensore di ufficio, avvisato almeno ventiquattro ore prima – per identificarla e per raccoglierne, eventualmente, il consenso all’estradizione, a meno che – in occasione dell’interrogatorio di garanzia reso a seguito dell’applicazione di una misura coercitiva o in sede di convalida dell’arresto disposto, in via di urgenza, dalla polizia giudiziaria – non sia stata già identificata e interrogata in ordine alla disponibilità ad esprimere il consenso all’estradizione.
Se vi è consenso, la procedura di estradizione si semplifica sensibilmente, diventando superflua l’intera fase giurisdizionale innanzi alla corte di appello (estradizione consensuale). Il consenso, ritualmente verbalizzato, deve essere trasmesso, altresì, al ministro della giustizia, che deve decidere sull’estradizione, atteso che la presenza del consenso non deroga alla necessità del rispetto dei presupposti per la concessione dell’estradizione.
Se manca il consenso, il procuratore generale, entro tre mesi dalla ricezione della domanda, dopo aver raccolto, se necessario, la documentazione e le informazioni necessarie, deposita, nella cancelleria della corte di appello, la sua requisitoria in uno agli atti compiuti e alle cose sequestrate, dandone avviso – perché possano prenderne visione, estrarne copia e depositare memorie – alla persona da estradare, al suo difensore e all’eventuale rappresentante dello Stato richiedente, che si sia avvalso della facoltà di intervento nella procedura di estradizione (art. 703 c.p.p.)
Il presidente della corte di appello, decorso il termine di dieci giorni concesso agli interessati per prendere visione della requisitoria del procuratore generale, fissa l’udienza per la decisione e dispone che ne venga dato avviso, almeno dieci giorni prima, a pena di nullità, al procuratore generale, alla persona richiesta e al suo difensore, nonché, eventualmente, al rappresentante dello Stato richiedente.
La corte, assunte le dovute informazioni e dopo avere, eventualmente, disposto gli accertamenti necessari, sentiti il magistrato del pubblico ministero, il difensore e, se comparsi, l’estradando ed il rappresentante dello Stato richiedente, delibera in ordine alla sussistenza delle condizioni per l’accoglimento della domanda di estradizione, con sentenza ricorribile per cassazione.
In mancanza di una convenzione o nel caso in cui la convenzione non disponga diversamente, la corte si pronuncia favorevolmente alla estradizione dopo aver accertato la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza (in caso di estradizione processuale) o la sussistenza di una sentenza irrevocabile di condanna (in caso di estradizione esecutiva). Nel caso in cui la corte di appello si pronunci in senso contrario all’estradizione, una nuova domanda deve necessariamente fondarsi su elementi nuovi.
Se la corte si pronuncia in senso favorevole alla domanda di consegna, si apre la terza ed ultima fase del procedimento di estradizione, anch’essa di natura esclusivamente amministrativa (artt. 704-707 c.p.p.).
Il ministro della giustizia, entro 45 giorni dalla ricezione del verbale che dà atto del consenso dell’estradando o dalla irrevocabilità – per essere inutilmente decorso il termine per ricorrere in cassazione o per essere stato esperito, con esito negativo, il richiamato rimedio – della sentenza di accoglimento della corte di appello, decide in merito all’estradizione, comunicando, senza indugio, la sua decisione allo Stato richiedente.
Anche in presenza di una decisione favorevole della corte di appello, il ministro può non dar luogo alla consegna in forza una scelta fondata su ragioni esclusivamente politiche.
Se, poi, l’estradando deve essere sottoposto a processo o deve scontare una pena nel territorio dello Stato italiano, per reati commessi prima oppure dopo quello oggetto della domanda di estradizione, la consegna può essere sospesa, a meno che il ministro, dopo aver sentito l’autorità giudiziaria dello Stato richiedente, non decida di consegnare temporaneamente la persona o di concordare che la pena venga eseguita nello Stato estero.
Quando il ministro si pronuncia in senso favorevole all’immediata consegna, allo Stato richiedente viene comunicato il luogo della consegna e la data a partire dalla quale sarà possibile procedere, ma, se, nel termine di quindici giorni – che decorre dalla comunicazione allo Stato estero della decisione del ministro – prorogabile, tuttavia, su istanza motivata dello Stato richiedente, di altri venti giorni, l’estradato non viene preso in consegna, il provvedimento di estradizione perde efficacia (artt. 708 e 709 c.p.p. e artt. 18-20 l. n. 300/1963).
Il soggetto richiesto può essere sottoposto a misura cautelare coercitiva quando sussiste un concreto pericolo di fuga. La misura cautelare coercitiva (ma lo stesso vale per il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato) è disposta su richiesta del ministro della giustizia, su sollecitazione dallo Stato richiedente, il quale, oltre a dare contezza della sussistenza di un provvedimento restrittivo (cautelare o definitivo), deve anche formalmente impegnarsi a chiedere l’estradizione del soggetto di cui si chiede l’arresto provvisorio, fornendo, altresì, la descrizione dei fatti, la specificazione del reato e tutto quanto necessario alla esatta identificazione della persona richiesta.
Competente ad emettere l’ordinanza applicativa della misura coercitiva e a disporre il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato è, nell’ordine, la corte di appello nel cui distretto la persona abbia la residenza, la dimora o il domicilio ovvero la corte di appello del distretto in cui si trovi la persona nel momento in cui viene formulata la richiesta. Solo se la competenza per territorio non può essere determinata alla luce dei sopra indicati criteri, la competenza spetterà alla corte di appello di Roma.
Dell’avvenuta esecuzione dell’ordinanza che dispone la misura coercitiva o del provvedimento di sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, è data immediata comunicazione, per il tramite del ministro della giustizia, allo Stato estero richiedente, il quale, entro quaranta giorni dalla predetta comunicazione, deve far pervenire al ministro degli affari esteri o a quello della giustizia la domanda di estradizione e i documenti allegati, pena la perdita di efficacia della misura cautelare personale o reale.
Quando ricorrano situazioni di urgenza, anche la polizia giudiziaria, a domanda dello Stato estero e su richiesta motivata del ministro della giustizia, può procedere all’arresto dell’estradando, dandone immediata comunicazione al ministro della giustizia e ponendo, al più presto o, comunque, non oltre quarantotto ore, l’arrestato a disposizione del presidente della corte di appello nel cui distretto è stato adottato l’arresto, perché si proceda alla convalida della misura pre-cautelare.
Il presidente della corte di appello, se non deve disporre – per mancanza dei presupposti di legittimità della pre-cautela – l’immediata liberazione dell’arrestato, entro novantasei ore dall’adozione dell’arresto, deve, con ordinanza, convalidare l’arresto e disporre l’applicazione di una misura coercitiva. È previsto, inoltre, che il presidente della corte di appello informi il ministro della giustizia dei provvedimenti adottati, affinché questi, a sua volta, interloquisca sul mantenimento della misura disposta, la quale sarà revocata se, entro dieci giorni dalla convalida, il ministro non ne richieda il mantenimento.
Al fine di scongiurare il pericolo di fuga, la persona richiesta può essere sottoposta a misura cautelare coercitiva, su istanza del ministro, anche dopo che sia prevenuta una domanda di estradizione ed a prescindere da situazioni di urgenza.
I provvedimenti emessi dal presidente della corte di appello e dalla corte stessa, in materia cautelare, sono ricorribili per cassazione, per violazione di legge, dal procuratore generale della Repubblica presso la corte di appello, dalla persona interessata e dal suo difensore. In ogni caso, gli stessi provvedimenti vengono revocati se, dall’inizio della loro esecuzione, sia decorso un anno senza che sia intervenuta una sentenza favorevole all’estradizione da parte della corte di appello o un anno e mezzo se, esperito il ricorso per cassazione, non sia intervenuta la decisione del giudice di legittimità. Tali ultimi termini – quando si ravvisi la necessità di procedere ad accertamenti di particolare complessità – possono essere prorogati, su richiesta del procuratore generale, per un periodo di tempo non superiore a tre mesi (artt. 714-719 c.p.p. e 16 l. n. 300/1963).
Quando uno Stato estero, dopo aver ottenuto la consegna dell’estradato, presenta allo Stato precedentemente richiesto una nuova domanda di estradizione, riguardante lo stesso soggetto, per reati diversi, commessi anteriormente alla consegna, si versa in ipotesi di c.d. “estensione dell’estradizione” e la procedura che dovrà essere seguita sarà la stessa prevista per l’estradizione, anche se, naturalmente, viene meno la fase di consegna, essendo stato il soggetto già consegnato allo Stato procedente.
Diversa dalla estensione dell’estradizione è la cosiddetta “riestradizione”, che si ha quando uno Stato che abbia già ricevuto in consegna l’estradato sia, a sua volta, richiesto dell’estradizione del medesimo soggetto. Anche in tale eventualità, la procedura che dovrà essere seguita sarà la stessa prevista per l’estradizione, per cui, ove ricorra il consenso dell’interessato, sarà superfluo il ricorso all’autorità giurisdizionale (artt. 710 e 711 c.p.p. e 15 l. n. 300/1963).
Quando uno Stato ha ottenuto la consegna di un soggetto ed è necessario che lo stesso transiti sul territorio di un altro Stato – a meno che il transito non avvenga per via aerea e senza scalo – lo Stato ricevente è tenuto a chiedere al ministro della giustizia dello Stato sul cui territorio deve avvenire il transito apposita autorizzazione.
Se vi è consenso al transito dell’interessato – espresso innanzi all’autorità giudiziaria dello Stato che ha concesso l’estradizione – l’autorizzazione può essere direttamente concessa dall’organo ministeriale. Se, invece, manca il consenso, il ministro deve, preliminarmente, investire della questione la corte di appello di Roma – unica competente per la deliberazione delle richieste di autorizzazione al solo transito di una persona estradata – mediante la trasmissione degli atti (domanda di estradizione di transito e allegata documentazione) al procuratore generale, il quale, a sua volta, ne investe la corte di appello, che decide con procedura in camera di consiglio.
L’autorizzazione alla estradizione di transito viene negata solo se la persona è stata estradata per fatti non previsti come reato dalla legge italiana o per un reato politico o se vi è ragione di ritenere che l’estradato subirà atti discriminatori o persecutori o sarà sottoposto ad un trattamento disumano, crudele o degradante o, infine, subirà, comunque, la violazione di uno dei diritti fondamentali della persona (artt. 712 c.p.p. e 21 l. n. 300/1963).
L’estradizione si dice “attiva” (o dall'estero) quando il nostro Stato richiede, ad uno Stato non appartenente all’Unione europea, la consegna di una persona, imputata o condannata, nei cui confronti deve essere eseguito un provvedimento limitativo della libertà personale (misura cautelare o sentenza di condanna passata in giudicato) o, secondo parte della dottrina e della giurisprudenza, anche un provvedimento applicativo di una misura di sicurezza personale.
Anche per la procedura di estradizione attiva, le fonti normative di riferimento sono da rintracciarsi nelle convenzioni applicabili al caso di specie, nel diritto internazionale generale e, in via residuale, nelle norme specificamente dettate dal nostro codice di rito penale agli artt. 720, 721 e 722.
Trattasi, a ben vedere, di una procedura avente natura prevalentemente amministrativa, atteso che l’unica autorità legittimata ad inoltrare una domanda di estradizione è il ministro della giustizia, il quale può procedere di propria iniziativa o su sollecitazione dell’autorità giudiziaria. In quest’ultimo caso, sarà il procuratore generale presso la corte di appello, nel cui distretto ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento da eseguire, ad inoltrare la richiesta al ministro, in uno agli atti e ai documenti necessari per ottenere l’estradizione. Gli atti e i documenti che, necessariamente, debbono accompagnare l’istanza di estradizione sono, di regola, specificati dalla normativa pattizia applicabile e, in caso di estradizione extra convenzionale, sono individuati in forza della normativa interna dello Stato in cui si trova la persona richiesta. In ogni caso, in ipotesi di estradizione finalizzata alla esecuzione di un provvedimento limitativo, ante iudicium, della libertà personale (estradizione c.d. processuale), è richiesta l’allegazione degli atti e dei documenti sufficienti a comprovare la esistenza di gravi indizi a carico del soggetto da estradare e debbono contenere una sommaria esposizione dei fatti e degli elementi di prova a carico.
Il ministro, che, in materia, gode di ampio potere discrezionale, dopo aver esaminato la richiesta e gli atti allegati, potrebbe anche non dare ulteriore corso alla richiesta di estradizione o sospenderne l’esame, sulla base di valutazioni di carattere strettamente politico.
Lo Stato estero richiesto, se accoglie la domanda, dispone l’estradizione, che, tuttavia, in alcuni casi, potrebbe essere subordinata al rispetto di specifiche condizioni, la cui accettazione è di competenza esclusiva del ministro, il quale dovrà, preliminarmente, verificare che le stesse non siano in contrasto con i principi generali dell’ordinamento giuridico italiano. La decisione del ministro, ovviamente, vincola al rispetto delle condizioni accettate l’autorità giudiziaria procedente, pur non escludendosi un limitato potere di controllo da parte dell’autorità giudiziaria sulla conformità di quelle condizioni ai principi generali del nostro ordinamento (art. 720 c.p.p.).
Per effetto del principio di specialità, che opera anche in relazione all’estradizione attiva, la persona estradata non può essere sottoposta all’esecuzione di provvedimenti limitativi della libertà personale – sia cautelari che di condanna definitiva – né assoggettata ad altre misure restrittive della libertà personale per un fatto anteriore alla consegna e diverso da quello per il quale l’estradizione è stata concessa.
L’efficacia ostativa del principio di specialità viene meno solo laddove vi sia la necessità di scongiurare il pericolo di allontanamento del soggetto dal territorio dello Stato italiano e laddove vi sia la necessità di interrompere il corso della prescrizione del reato.
Il principio di specialità, infine, non opera se lo Stato estero abbia espressamente consentito a che, anche in relazione a fatti anteriori e diversi, possano essere eseguiti, nei confronti dell’estradato, provvedimenti limitativi della libertà personale e se l’estradato, pur avendone avuta la possibilità, non abbia lasciato il territorio dello Stato trascorsi quarantacinque giorni dalla sua definitiva liberazione o se, dopo averlo lasciato, via abbia fatto volontariamente rientro (art. 721 c.p.p.).
Prima della materiale consegna della persona estradata, il ministro della giustizia può chiedere allo Stato richiesto di disporre, in via provvisoria, l’arresto dell’estradando, ordinandone, a tal fine, le ricerche in territorio estero. Il tempo trascorso in vinculis all’estero è valutato, nel procedimento per cui è ottenuta l’estradizione, ai fini del computo dei termini di durata – sia di fase che massimi (art. 722 c.p.p e C. cost., 21.7. 2004, n. 253) – della misura cautelare.
Artt. 696-722 c.p.c.; l. 30.1.1963, n. 300.
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