Etica
Abbreviazione di Etica nicomachea, la più nota e importante opera di Aristotele sulla morale, in dieci libri, così chiamata perché dedicata dall'autore al figlio Nicomaco o, più probabilmente, perché a questo si deve la prima edizione di essa.
Nel Medioevo latino fu incomparabilmente la più fortunata delle Etiche aristoteliche; infatti dell'Etica Eudemia non si sono ancora trovate traduzioni latine e dei Magna Moralia ne fu fatta soltanto una, a opera di Bartolomeo da Messina. Numerose sono le traduzioni latine medievali dell'E.: la più antica, detta Ethica vetus, è dal greco e comprende solo i libri II e III. A essa ben presto si aggiunsero, nella tradizione manoscritta, l'Ethica nova, traduzione dal greco del libro I, e la cosiddetta Ethica Borghesiana, traduzione, pure dal greco, dei libri VII-VIII (frammenti). Tutte e tre queste versioni sono opera di un traduttore anonimo del sec. XII, il medesimo che tradusse il De Generatione et corruptione. Nel secolo seguente si ebbe una traduzione dall'arabo, il cosiddetto Liber Nicomachie, incorporata in quella del commento ‛ medio ' di Averroè ed eseguita a Toledo nel 1240 da Ermanno Alemanno, e una traduzione di un compendio alessandrino dell'E., nota col nome di Summa Alexandrina ed eseguita, sempre dall'arabo, dallo stesso Ermanno a Toledo nel 1243-1244. La Summa Alexandrina fu poi tradotta in volgare fiorentino da Taddeo degli Alderotti e in francese da Brunetto Latini, che l'inserì nel Tresor, con alcune modifiche condotte sul testo latino originale. Ma la più celebre traduzione latina medievale dell'E., nota col nome di Liber Ethicorum, fu eseguita dal greco, sul testo integrale, da Roberto Grossatesta, vescovo di Lincoln, tra il 1240 e il 1249. Per i primi tre libri essa è una revisione della nova e della vetus. Questa traduzione fu poi a sua volta riveduta, nel 1260, da Guglielmo di Moerbeke. Per la fortuna dell'E. nel Medioevo va infine ricordato che essa fu tradotta in francese, nel sec. XIV, da Nicola di Oresme. L'opera fu commentata da Alberto Magno (nel 1248), Roberto Grossatesta (tra il 1240 e il 1249), Tommaso d'Aquino (nel 1266), Egidio di Orléans, Antonio da Parma e altri. In latino furono tradotti i commenti greci di Eustrazio, Aspasio, Michele Efesio e Anonimo, a opera di Roberto Grossatesta, e quello arabo di Averroè. Sin dal 1255 fu resa obbligatoria nella facoltà delle Arti di Parigi la lettura dell'Ethica vetus e nova.
L'E. è indubbiamente l'opera di Aristotele che D. conosce meglio e alla quale è maggiormente affezionato (in If XI 80 si fa dire da Virgilio la tua Etica). Egli la cita esplicitamente una sessantina di volte e se ne serve, pù o meno direttamente, per un'altra ottantina (si veda l'elenco completo dei passi in E. Moore, Studies in D., I, Oxford 1896, 339-342, da cui risulta che praticamente non c'è libro o capitolo dell'E. che D. non abbia avuto presente). Il titolo con cui essa è indicata da D. è per lo più Etica, ma spesso si trova anche l'espressione ad Nicomacum (sempre nella Monarchia e una volta nella Quaestio), dovuta probabilmente alla persuasione che l'opera fosse dedicata a Nicomaco (cfr. Alb. Magno Eth. I I 7).
La traduzione latina di cui D. si serve più di frequente è quella di Guglielmo di Moerbeke, unita al commento di s. Tommaso, come appare da numerosi passi in cui essa è riferita e da altri in cui è tradotta più o meno letteralmente. Tra i primi si vedano, ad es., Mn II VII 3 Amabile quidem enim et uni soli, melius et divinius vero genti et civitati (cfr. Eth. nic. I 1, 1094b 9-10, trad. Guglielmo di Moerbeke, che ha la stessa espressione, con " vero " dopo " melius " e " civitatibus "); Mn II II 7 meminisse oportet quod... " non similiter in omni materia certitudo quaerenda est, sed secundum quod natura rei subiectae recipit ", e Quaestio 60 nam circa unumquodque genus in tantum certitudo quaerenda est, in quantum natura rei recipit (cfr. Eth. nic. I 7, 1098a 26-29 " Meminisse... oportet, et certitudinem non in omnibus similiter exquirere, sed in singulis secundum subiectam materiam ", e I 1, 1094b 23-25 " in tantum certitudinem quaerere secundum unumquodque genus, in quantum natura rei recipit "); Mn I XI 5 neque Hesperus neque Lucifer sic admirabilis est (cfr. Eth. nic. V 3, 1129b 28-29, che ha la stessa espressione e " ita " al posto di sic). Tra i passi in cui la versione di Guglielmo di Moerbeke è invece tradotta in volgare, si vedano, ad es., Cv IV XIX 9 vergogna non è laudabile né sta bene ne li vecchi e ne li uomini studiosi (cfr. Eth. nic. IV 15, 1128b 19-23, trad. di Guglielmo di Moerbeke, l'unica che ha " studiosi "); Cv IV XXVII 5 " impossibile è essere savio chi non è buono ", e però non è da dire savio... ma è da chiamare astuto (cfr Eth. nic. VI 13, 1144a 36-b 1 " impossibile prudentem esse non entem bonum ", e 1144a 24-28, che reca, unica versione, " astutos "); Cv IV XIII 8 'l disciplinato chiede di sapere certezza ne le cose, secondo che [ne] la loro natura di certezza si riceva (cfr. Eth. nic. I 1, 1094b 23-25 " Disciplinati enim est... "; v. sopra); Vn II 9 Ella non parea figliuola d'uomo mortale, ma di deo (cfr. Eth. nic. VII 1, 1145a 20-25 " neque videbatur viri mortalis puer existere, sed Dei "); Cv III I 7 ne l'amistade de le persone dissimili di stato conviene, a conservazione di quella, una proporzione essere intra loro (cfr. Eth. nic. IX 1, 1163b 32-33 " In omnibus autem dissimilium specierum amicitiis analogum utique aequat et salvat amicitiam ", tradotto con l'aiuto di s. Tommaso In Eth. IX lect. I, n. 1758, che interpreta esattamente " analogum " con " proportionale utrique ").
Altrove tuttavia D. dà l'impressione di essersi servito anche della traduzione di Roberto Grossatesta non riveduta da Guglielmo, come ad es. in Mn II V 23 Sed et hoc falso sillogismo sortiri: quod quidem oportet sortiri; per quod autem non, sed falsum medium terminum esse (cfr. Eth. nic. VI 10, 1142b 22-24, trad. Roberto Grossatesta, che ha pressoché la stessa espressione, mentre la trad. di Guglielmo di Moerbeke omette il primo sortiri); Mn I XIII 4 De hiis enim... quae in passionibus et actionibus, sermones minus sunt credibiles operibus (cfr. Eth. nic. X 1, 1172a 34-35, trad. Roberto Grossatesta: " De hiis enim quae... ", mentre la trad. di Guglielmo di Moerbeke ha " De his quidem qui... "). In un caso infine (Cv II XIV 15 la giustizia legale ordina le scienze ad apprendere, e comanda... quelle essere apprese e ammaestrate) si ha l'impressione che D. abbia usato altre traduzioni, forse dall'arabo (cfr. Eth. nic. I 1, 1094a 27-b 1, che nelle versioni di Roberto Grossatesta e Guglielmo di Moerbeke non parla di scienze); ma la citazione è alquanto imprecisa a causa della confusione compiuta da D. tra la giustizia legale trattata nel V libro, a cui egli rinvia, e la politica, trattata nel I libro.
In molti altri casi D. riassume o parafrasa il testo aristotelico, sia direttamente sia attraverso la mediazione di qualche commentatore. Tra questi il più usato è s. Tommaso, di cui D. cita esplicitamente il commento all'E, due volte (Cv IV VIII 1 e II XIV 4). La sua mediazione infatti è evidente in Cv IV XVII 4, a proposito della definizione della fortezza e della temperanza (cfr. Eth. nic. II 7, 1107a 33-b 1 e b 4-6), in cui si precisa, rispettivamente, ne le cose che sono corr[u]zione de la nostra vita e ne le cose che conservano la nostra vita (cfr. s. Tommaso In Eth. II lect. VIII, n. 340 " quae respicit pericula interimentia vitam " e " quae respicit ea quae sunt utilia ad conservandam vitam "); Cv IV XVII 6, a proposito dell'affabilità, termine con cui Tommaso (In Eth. II lect. IX, n. 354) interpreta l'aristotelica " amicitia " (Eth. nic. II 6, 1108a 26-28); Cv IV XVII 8 Felicitade è operazione secondo virtude in vita perfetta e III XV 12 operazione secondo vertù in vita perfetta (cfr. Eth. nic. I 15, 1098a 16-18 e Tommaso In Eth. I lect. IX, n. 130 " felicitas est operatio... secundum virtutem in vita perfecta "); Cv IV XIII 8 E però dice Aristotile nel decimo de l'Etica, contra Simonide poeta parlando, che l'" uomo si dee traere a le divine cose quanto può " (cfr. Eth. nic. X 7, 1177b 31-34 e Tommaso In Eth. X lect. XI, n. 2107 " et fuit hoc dictum Simonidis poëtae "; cfr. anche Cont. Gent. I 5 " quod homo debeat se ad immortalia et divina trahere quantum potest "); Cv IV III 9 quello che pare a li più, impossibile è del tutto essere falso (cfr. Eth. nic. VII 14, 1153b 27-28 e Tommaso In Eth. VII lect. XIII, n. 1509 " Illud enim in quod omnes vel plures consentiunt non potest esse omnino falsum "); Quaestio 48 sicut videmus de concupiscibili et irascibili... (cfr. Eth. nic. I 13, 1102b 30-31 e Tommaso In Eth. I lect. XX, n. 240 " vis concupiscibilis et omnis vis appetitiva, sicut irascibilis "); Cv IV XII 12 la scienza essere perfetta ragione di certe cose (cfr. Eth. nic. VI 3, 1139b 31-34, che rinvia a un passo degli An. Post., da Tommaso [In An. Post. I 4] così riassunto: " scire aliquid est perfecte cognoscere ipsum "); Cv III III 11 la vera e perfetta amistade, de l'onesto tratta (cfr. Eth. nic. VIII 4, e Tommaso In Eth. nic. VIII lect. III; n. 1563 " amicitia propter honestum "; ma già Alberto Magno [Eth. VIII I 3] aveva parlato di " honestum "); Cv III II 15 e con quest[e] sono certe vertudi... sì come la vertù inventiva e giudicativa (cfr. Eth. nic. VI 1, 1139a 11-13 e Tommaso In Eth. VI lect. VI, n. 1239, che distingue " invenire " e " iudicare "); Cv II IV 13 a le sustanze separate convegna pure la speculativa vita (cfr. Eth. nic. X 8, 1178b 7-9 e Tommaso In Eth. X lect. XII, n. 2121 " diis, idest substantiis separatis "); Cv II XIII 6 'l vero è lo bene de lo intelletto (cfr. Eth. nic. VI 3, 1139b 15-16 e Tommaso In Eth. VI lect. III, n. 1143 " verum est bonum intellectus ").
La mediazione della parafrasi di Alberto Magno sembra invece risultare da Cv III XI 14 fine de l' amistade vera è la buona dilezione, che procede dal convivere secondo l'umanitade propriamente, cioè secondo ragione (cfr. Eth. nic. IX 9, 1170b 10-14 e Alberto Magno Eth. IX III 3 " Mente enim communicare, hoc est convivere, quod in hominibus est secundum quod homines sunt "). In un caso infine D. attribuisce all'E. di Aristotele un concetto di origine platonica, che egli attinge da Cicerone: si tratta di Cv I XII 10, dove, parlando della giustizia, egli afferma: Questa è tanto amabile, che, sì come dice lo Filosofo nel quinto de l'Etica, li suoi nimici l'amano, sì come sono ladroni e rubatori (cfr. Cic. Off. II XI).
Ma oltre a citazioni e concetti particolari, si può dire che tutte, o quasi, le più importanti dottrine contenute nell'E. sono state riprese da D., dalle avvertenze circa il metodo della scienza in questione (Cv IV XIII 8 e XV 14, Mn II II 7, Quaestio 60), alla dottrina del bene come fine (Cv IV XXII 2, Mn II VII 3) e del fine come felicità (Cv IV XVII 8, III XV 2), alla definizione e classificazione delle virtù etiche (Cv IV XVII 1-8), alla dottrina della giustizia (Cv I XII 10, II XIV 15, Mn I XI 5) e dell'equità (Mn I XIV 4), alla divisione delle parti dell'anima (Cv III II 15), alla trattazione della prudenza (Cv IV XVII 8, XVII 5), alla classificazione dei vizi (If XI 79-84), che sta alla base dell'ordinamento morale dell'Inferno, alla dottrina dell'amicizia (Cv III I 7, XI 8 e 14, IV XXI 1), e, per concludere, al primato della vita contemplativa (Cv II XIII 6, III XV 5, IV XIII 8, XVII 9). Non mancano infine in D. i più famosi luoghi comuni dell'opera aristotelica, quali l'" amicus Plato " (Cv III XIV 8, IV VIII 15) e " una rondine non fa primavera " (Cv I IX 9).
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