BEAUHARNAIS, Eugène de
Nacque a Parigi il 3 sett. 1781, da Alexandre e Joséphine Tascher de la Pagerie.
Il padre era stato ghigliottinato nel 1794.Il B., protetto dal gen. Hoche e da questo accolto nel suo Stato Maggiore, il 28 giugno 1797fu nominato sottotenente degli. Ussari e distaccato presso il gen. Bonaparte (che aveva sposato la madre del B.) in Italia. Incaricato di una missione presso il governo della Repubblica delle Sette Isole dello Jonio, si recò a Corfù e, nel ritorno, fu presente in Roma alla sommossa nella quale perdette la vita il gen. Duphot (27 dic. 1797).Andò, poi, come aiutante di campo di Bonaparte, in Egitto, distinguendosi a Suez, a Jaffa e davanti a San Giovanni d'Acri, dove fu ferito. Dopo il 18 brumaio fu nominato, capitano dei Cacciatori a cavallo della Guardia dei Consoli e combattè a Marengo. La sua carriera militare fu brillante e rapida, essendo stato promosso capo squadrone nel 1800, colonnello nel 1802 e, nel 1804 generale.
Creato arcicancelliere di stato. il 14 febbr. 1805, giunse a Milano il 19 marzo, alla testa di sei squadroni di cavalleria, per partecipare alla cerimonia dell'incoronazione a re d'Italia di Napoleone, accolto con scarso entusiasmo dai Milanesi, secondo quanto scrissero il segretario di stato Vaccari e l'ambasciatore austriaco barone Moll. Napoleone lo nominò viceré il 7 giugno 1805 e volle parificarlo agli altri membri della famiglia imperiale; dopo il suo matrimonio con Augusta Amalia, figlia di Massimiliano elettore di Baviera (14 genn. 1805), lo designò come successore, in caso di mancanza di eredi diretti maschi (6 febbr. 1806).
Se la sua nomina a viceré d'Italia (che veniva dopo il rifiuto di Giuseppe di cingere la corona d'Italia e che non fu vista con favore né dai Bonaparte, né da Murat) tolse per il momento ogni residua speranza di un regno separato dall'impero al Melzi e agli indipendentisti milanesi, questi non rinunziarono alla prospettiva di una forte monarchia nazionale sotto il suo scettro. Ma egli di fatto non fu che l'esecutore fedele e scrupoloso degli ordini di Napoleone, che, se aveva per lui affetto e predilezione, lo considerava, non di meno, inesperto e bisognoso di una rigida direzione, giungendo a dirgli: "Parlez le moins possible: vous n'étes pas assez instruit, et votre éducation n'a pas été assez soignée pour que vous puissiez vous - livrer à des discussions d'abandon... Presidez peu le Conseil d'État: vous n'avez pas assez de connaissance pour le presider avec succès... La connaissance qui vous manque de la langue italienne, et même de la législation, est un très bon prétexte pour vous abstenir" (Correspondance de Napoléon Ier, X, Paris, 1867, n. 8852, 7 giugno 1805).
Del resto ogni più timido tentativo di decidere direttamente fu da Napoleone disapprovato con durezza. Così quando nel luglio dei 1805, credendo di interpretare la volontà imperiale, aggiornò le sedute del Consiglio legislativo, il maresciallo Duroc gli significò senza riguardi lo scontento dell'imperatore per non essere stato consultato: "Dans aucun cas et sous aucun prétexte, urgence ou exces de zele, il ne faut pas faire ce qui appartient au Roi; il ne le voudra jamais et il ne vous le pardonnera jamais" (Mémoires et correspondance politique et militaire du prince Eugène..., a cura di A. Du Casse, I, Paris 1858, p. 228, 29 luglio 1805).L'imperatore pretendeva non solo di essere minutamente informato di quanto accadeva nel Regno, ma anche di dettare da Parigi le istruzioni da eseguire in ogni minimo dettaglio, senza badare alla urgenza delle questioni e delle risoluzioni da prendete: "Quand un ministre vous dira: cela est pressé, le royaume est perdu, Milan va brúler, et que sais-je, moi? il faut lui repondre: je n'ai pas le droit de le faire, j'attendrai les ordres du Roi... Ainsi par exemple et pour parler de la plus petite chose, si vous demandez à Sa Majesté ses ordres ou son avis pour changer le plafond de votre chambre, vous devez les attendre; et si Milan étant en feu vous lui demandez pour l'éteindre il faudrait laisser brûler Milan et attendre ses ordres" (ibid.).
Il Melzi, nella difficile impresa di salvaguardare gli interessi della nazione, posposti in ogni circostanza alle vedute imperiali, cercò di essergli vicino e di giovargli con i suoi prudenti consigli; ma il B. fu costretto a subire la più diretta ed efficace influenza del consigliere di stato Mejan, pessimo arnese, che Napoleone gli aveva messo vicino come segretario e che contribuì a isolarlo dall'ambiente italiano.
Questi furono i gravi limiti àell'azione di governo del B., che ne compromisero i risultatì, nonostante il suo impegno generoso. Milano, tuttavia, godette di una relativa prosperità, poiché l'essere capitale di un grande Stato ne favorì l'espansione e l'abbellimento così come animò il progresso delle arti e del commercio. Si fondò l'Istituto di Milano e il Consiglio generale delle arti, del commercio e delle manifatture. Il B., che aveva anche qualche interesse scientifico, amava circondarsi di ingegni eletti e seguirne personalmente gli studi.
Poiché Napoleone glielo ordinava come sua prima cura, si dedicò alla formazione di un esercito nazionale e, nonostante la riluttanza degli Italiani al reclutamento, riuscì a mettere insieme un'armata che raggiunse nel 1810 la forza di 50.000 uomini e due anni dopo circa il, doppio, e che fu integrata nella Grand Armée.L'imperatore evitò, però, che assumesse una fisiononxia propria e preferì impiegare frammischiati con gli altri corpi i reggimenti italiani.
Durante la guerra della terza coalizione (settembre-dicembre 1805) la Valle padana ebbe un ruolo secondario, poiché la rapida marcia di Napoleone su Vienna impedì in questo scacchiere ogni iniziativa e determinò l'argiduca Carlo, che fronteggiava sull'Adige le truppe franco-italiche (comandate nominalmente dal B., ma di fatto dal Massena) a ritirarsi in fretta verso l'Austria. Nella campagna del 1809 il B., sorpreso con deboli forze dalla discesa in Friuli dell'arciduca Giovanni, dovette ritirarsi dal. confine sull'Isonzo e, dopo aver tentato di arrestare gli Austriaci a Sacile (16 aprile), si attestò successivamente al Tagliamento, alla Livenza e al Piave. Ma la discesa per la valle Pusteria del gen. Chasteler, aiutato dagli insorti tirolesi, lo costrinse ad abbandonare anche questa linea e a ripiegare dietro l'Adige. "Je vois avec peine que vous n'avez ni hábitude ni notion de guerre... La guerre est un jeu serieux. En vous donnant le commandement de l'armée, j'ai fait une faute; j'aurais dû vous envoyer Massena..." gliscriveva il 30 aprile l'imperatore non nascondendo la sua preoccupazione e minacciando di mettere l'armata d'Italia agli ordini di Murat (Correspondance de Napoléon Ier, XVIII, Paris 1865, n. 15144, 30 apr. 1809). Anche questa volta la sorte della guerra fu decisa altrove e le truppe del viceré, al quale Napoleone aveva affiancato Macdonald, ebbero il compito, nella seconda fase della catnpagna, di inseguire l'arciduca Giovanni, che si ritirava rapidamente dall'Italia per raggiungere il fronte principale. Il B. per le valli del Tagliamento e del Fella venne a Tarvisio il 18 maggio e attraverso il Semmering poté raggiungere l'esercito imperiale a Ebersdorf il 29 maggio, mentre il Macdonald passato l'Isonzo il 14 maggio, per Gorizia e Lubiana si collegava con lui a Graz. Sul Raab le truppe del B. tagliarono la strada all'arciduca Giovanni e lo sconfissero. Alla disastrosa campagna di Russia il B. guidò un corpo italiano di 27.000 soldati, che si batterono con valore subendo crudeli perdite e sopportando disumane sofferenze a Mohilev, a Borodino, a Malo-Jaroslavetz e alla Beresina. I superstiti di questi massacri, insieme con i resti della Grande Armata, furono dal B, guidati nella ritirata oltre la Vistola e oltre l'Oder, che fu raggiunto nel gennaio 1813. Il B., con un nuovo corpo italiano, combatteva di lì a quattro mesi nelle ultime vittoriose battaglie napoleoniche di Lutzen e Bautzen (2 e 20-21 maggio 1813). Dopo la sconfitta di Lipsia (16-19 ottobre) egli tornò a Milano e si diede a riorganizzare l'esercito, quando il passaggio agli alleati della Baviera e una nuova insurrezione dei Tirolo lo costrinsero ad abbandonare l'Ison, zo e a ritirarsi dietro l'Adige. La defezione della Baviera fu particolarmente dolorosa per il B., al quale si pose draffimaticamente il dilemma se seguire fino in fondo, con ostinata fedeltà, la sorte di Napoleone o accogliere gli incitamenti che gli venivano dal suocero e da molti in Italia a sentire solo la, voce degli interessi italiani e della sua famiglia, rompendo ogni legame con la Francia. Melzi stesso a ciò lo spingeva, non avendo mai abbandonato la speranza che col B. il Regno italico potesse alla fine guadagnare la sua indipendenza. Ma un sentimento di cavalleresca lealtà impediva al B. di mettersi per la strada che Murat stava già percorrendo: "Je sacrifie mon bonheur futur et celui de ma famille plûtot que manquer à mes serments" dichiarava al principe di Turn und Taxis, che gli chiedeva di schierarsi contro Napoleone (A. Du Casse, Mémoires et correspondance, Op. cit., IX, p.308). Ugualmente rifiutava la richiesta di alcuni membri del Senato di Milano di dare il suo consenso a un moto, che lo avrebbe proclamato re d'Italia e minacciava addirittura di denunciarli a Napoleone. Ma intanto si apriva alla speranza di poter ottenere la corona dallo stesso imperatore alla pace generale erestava in Italia, pensando che non si fosse ancora realizzata la situazione di aperta ribellione di Murat, che Napoleone gli aveva indicato come il momento nel quale avrebbe dovuto ripassare le Alpi: "Le duc d'Otrante vous aura instruit que le Roi de Naples se met avec nos ennemis. Aussitôt que vous en aurez la nouvelle officielle il me semble important que vous gagniez les Alpes avec toute votre armée" (Correspondance de Napoléon Ier, XXVII, Paris 1869, 21107, 17 genn. 1814).
La situazione politica italiana era in ogni caso destinata a evolversi rapidamente contro di lui. Non erano solo i partigiani dichiarati dell'Austria a condurre una campagna spietata contro di lui, ma anche i cosidetti "italici puri" (che, sognavano un regno indipendente con un principe qualsiasi che non. fosse il B. e neppure Francesco Asburgo-d'Este o un arciduca d'Austria) e gli aperti fautori di Murat, tra, i quali finirà per schierarsi. anche la massoneria. Sostenevano, invece, ancora il B. i militari dell'armata attestata al Mincio, che l'8 febbraio a Roverbella era riuscita a impedire agli Austriaci il passaggio del fiume; ma il B. lamentava che essi "se laissent séduire par le moyen que l'ennemi emploien ce moment, l'indépendance de l'Italie". Da parte sua Murat, anche dopo la battaglia di Reggio del 7 marzo, che lo aveva messo di fronte vittoriosamente ai suoi antichi compagni d'arme, cercò invano di indurre, il B. ad affiancarsi a lui, proponendogli a spartizione dell'Italia in due reghi.
La convenzione militare di Schiarino-Rizzino (16 aprile), sottoscritta dal B. ancora ignaro dell'abdicazione di Napoleone, segnava il momento a lui più propizio, poiché gli alleati avevano ancora qualche propensione per lui e soprattutto lo zar. Per l'armistizio le truppe francesi dell'esercito italiano dovevano tornare in Francia; l'Adige, era confine tra Italiani e Austriaci; il viceré poteva inviare a Parigi, al quartiere generale degli alleati, una sua deputazione per la difesa dei suoi interessi. Ma il B., che pure sembrava essersi sciolto dalla tutela napoleonica (il 9 aprile Giuseppina gli aveva scritto: "Tu es libre et delié de tout serment de fidelité; tout ce que tu ferais de plus pour sa cause serait inutile; agis pour ta famille"; cfr. J. Hanoteau, p. 118), esitava ancora, attendendo una soluzione dall'estemo e restava in quella "inerte perplessità", che gli rimprovererà il Foscolo. Melzi avrebbe voluto che i tre collegi elettorali del Regno, previsti dalla costituzione, si riunissero per proclamare l'indipendenza italiana, invitando il B. a prendere la corona. La relativa tranquillità, di Milano dava, in effetti, ancora qualche speranza per una soluzione del problema italiano favorevole al B. ed egli pensò che gli sarebbe stato possibile conservare la suprema direzione dello Stato e anche di esseme il legittimo sovrano. Melzi, lo ammoniva, in questo momento supremo, di "devenir italien", e anzi, di "l'être uniquement", dissociandosi, cioè, completamente dal destino di Napoleone. Perché questo atteggiamento risultasse senza equivoci Melzi invitava il B. a venire da Mantova a Milano e a farvi venire anche la viceregina, verso la quale i Milanesi serbavano simpatia.
Ma già il Senato (convocato per suo ordine dal Melzi il 17 aprile per designare due dei suoi membri da inviare agli alleati in Parigia chiedere la conservazione del regno sotto il B.) si andava mostrando in maggioranza incerto e in larga misura addirittura avverso a una sua candidatura, mentre i gruppi a lui contrari premevano violentemente dal di fuori sull'assemblea, agitando l'opinione pubblica. L'aperta rivolta esplose il 20 e culminò nell'eccidio del Prina, dopo che la folla ebbe imposto al Senato di convocare esso stesso i collegi elettorali. Troppo tardi il B. aveva da parte sua in quello stesso giorno decretato la convocazione di questi collegi e nominato un governo provvisorio, del quale il Melzi avrebbe dovuto essere presidente; di fatto una reggenza era già stata nominata dal Consiglio comunaie di Milano nella notte dal 20 al 21 aprile, insieme con la decisione di convocare di sua autorità i collegi elettorali. L'indomani la reggenza provvisoria milanese chiamava gli Austriaci e i loro alleati in città per garantire l'ordine e due giorni dopo al B. non rimaneva che sottoscrivere in Mantova la cessione del regno. Il 26, dopo aver diretto un proclama al popolo italiano (dal quale traspare ancora il sogno della corona reale e la speranza di un ritomo), partiva dall'Italia.
Gli rimase per qualche tempo ancora l'illusione che gli alleati (come era stato promesso nel trattato di Fontainebleau) avrebbero provveduto convenientemente alla sua condizione ed egli si rivolse per questo ai sovrani d'Austria, di Prussia e di Russia. Lo zar Alessandro e lo stesso Luigi XVIII lo accolsero benevolmente a Parigi, quando vi si recò qualche giorno avanti la morte della madre (m. il 29 maggio 1814), ma le speranze di un principato in Italia, magari a spese dei Regno di Napoli, naufragarono durante i Cento giorni, nei quali poté salvarsi dalla prigionia solo per l'intervento dello zar.
Il B. scomparve così definitivamente dalla scena italiana (incontrò anche difficoltà per la conservazione e l'amministrazione delle proprietà restatagli nelle Marche). Ebbe dal suocero il ducato di Leuchtenberg e il principato di Eichstadt, due piccoli feudi bavaresi, e si ridusse a vita del tutto privata, dedicandosi alla famiglia e occupandosi d'arte. Ma, ancora sul finire del 1818, il duca di Richelieu si ostinava a considerarlo "l'homme qui, daris la disposition actuelle des esprits, pourrait nous devenir le plus dangereux" (M. H. Weil, IV, p. 607).
Morì a Monaco di Baviera il 21 febbr. 1824.
I suoi figli si imparentarono con case regnanti e principesche d'Europa: Joséphine-Maximilienne (1807-1876) sposò Oscar I di Svezia; Eugénie-Hortense (1808-1847) sposò Federico Guglielmo Hohenzollern-Hechingen; Eugène-Napoléon (1810-1835) sposò Maria II regina di Portogallo; Amelie-Auguste (1812-1873) sposò don Pedro I di Braganza imperatore del Brasile; Théodoline-Louise (1814-1857) sposò Federico-Guglielmo di Württemberg; Maximilien-Eugène (1817-1852) sposò Maria Nicolaievna, granduchessa di Russia (i suoi discendenti, dichiarati membri della famiglia imperiale russa, ebbero il titolo di principi Romanovskij).
Quest'ultimo ebbe qualche notorietà in Italia tra il 1833 e il 1848 per le voci che corsero della sua pretesa alla presidenza di una repubblica italiana, caldeggiata in ambienti settari e, più tardi, dopo il matrimonio, addirittura di un incoraggiamento dello stesso zar a una sua azione politica in Italia. I timori dei principi italiani e della diplomazia europea erano certamente esagerati, ma qualche rapporto diretto con i liberali romagnoli ci fu, durante il viaggio in Italia dei duchi di Leuchtenberg, alla vigilia del moto di Romagna dell'agosto 1843. Dopo il fallimento di esso, Mazzini credette di dover denunciare le "mene leuchtenbergiste" in un articolo dell'Apostolato popolare (in Scritti editi e inediti, XXV, 265-76), preoccupato che il fantasma napoleonico, più che il nome dei Beauharnais, potesse esercitare ancora qualche fascino, anche se si diceva convinto che si trattasse solo di uno spauracchio, messo avanti dai gabinetti europei per disorientare e dividere, le forze repubblicane (A. M. Ghisalberti, Un re d'Italia mancato?, in Cospir. del Risorg., Palermo 1938, pp. 163-182).
Fonti e Bibl.: Le principali fonti archivistiche, che potrebbero darci una migliore conoscenza di aspetti e momenti, ancora poco noti o discussi della biografia del B., sono nell'archivio familiare dei Leuchtenberg (attualmente presso l'università di Princeton), nell'Abt. Gebeimes Haus Archiv di Monaco di Baviera e, naturalmente, nell'Archivio di Stato di Milano. Lettere, per lo più ufficiali, del B. sono citate nell'Inventario delle carte Aldini, curato da G. Cencetti, Bologna 1935, e possedute dall'Archivio di Stato di Bologna. Il carteggio Melzi-Beauharnais (attualmente presso il duca Gallarati Scotti) è stato utilizzato con criteri discutibili da Giovanni Melzi nelle Memorie, documenti e lettere inedite di Napoleone I e Beauharnais, Milano 1865, voll. 2; e solo per i primi mesi del Regno, d'Italia è stato fino ad ora ripubblicato in edizione critica nel VI vol. de I carteggi di Francesco Melzi d'Eril duca di Lodi. La vicepresidenza della Repubblica italiana, a cura di C. Zaghi, Milano 1964. Per il carteggio con Napoleone si deve ancora ricorrere alla vecchia edizione di A. Du Casse, Mémoires et correspondance politique et militaire du' Prince Eugène, Paris 1858-1860, voll. 10, che cominciò ad essere pubblicata come risposta alla polemica sul "tradimento" del B. alimentata dai Mémoires du Maréchal Marmont (VII, Paris 1857, pp. 23 e ss.) che esplicitamente lo accusavano.
Lettere a Napoleone, conservate nelle Archives nationales di Parigi, sono state pubblicate da F. Boyer, Les débuts du régime napoléonien à Venise d'aprè les lettres inédites d'Eugène de Beauharnais (1806), in Rass. stor. del Risorgimento, XLIV (1957), pp. 636-643. Sono tratte dall'archivio dei Leuchtenberg le lettere al B. di Giuseppina e di Ortensia pubblicate da J. Hanoteau, Les Beauharnais et l'Empereur, Paris 1936. Qualche documento dell'Archivio della corte di Baviera e del ministero degli Esteri bavarese sul matrimonio e sui testamenti del B. e Auguste Amalie sono stati utilizzati da F. Melzi D'Eril, Ricordo di Monaco. Eugenio di B. e Augusta di Baviera. Documenti inediti, München 1897.
La biografia documentata più recente è quella di Adalbert von Bayern, Eugen de B., der Stiefsohn Napoleons, München 1940 (trad. francese: Paris 1943). Per gli scritti biografici precedenti si rìmanda alle copiose indicazioni date da S. Mastellone, Eugène di B. da vicerè d'Italia a principe tedesco (1814-1817), in Studi storici in memoria di Benedetto Croce, Napoli 1955, pp. 278-295. Sui rapporti con Gioacchino Murat, re di Napoli, ci si deve rifare a M. H. Weil, Le prince Eugène et Murat (1813-1814), Paris 1902, voll. 5; e dello stesso, Les nègociations secrètes entre J. Murat et le prince Eugène (fevrier-mars 1814), in Revue d'histoire moderne et contemporaine, VII (1906), pp. 509-523. Fra i contributi particolari più recenti: F. Boyer, Napoléon Eugène vice-roi d'Italia et Bodoni, in Arch. stor. per le prov. parmensi, s. 4, VIII(1956), pp. 117-122; Dict. de biogr. française, V, Paris 1951, coll. 1090-1093.