DE RISO, Eugenio
Nacque a Catanzaro il 3 maggio 1815 dal marchese Antonio e da Caterina Capocchiani, appartenenti, entrambi, a famiglie che nella rivoluzione del '99 avevano aderito al moto repubblicano. Il nonno materno, addirittura, era stato ucciso dalle truppe sanfediste del cardinale Ruffo durante la loro marcia per la riconquista del Regno. 1 fratelli Tancredi (1813-1890), nominato nel 1861 senatore da Vittorio Emanuele II, Ippolito (1827-1889), deputato nella IX legislatura del Parlamento unitario, e Bernardo (1824-1900), monaco benedettino, vescovo di Catanzaro nel 1883, parteciparono ai moti risorgimentali e non sfuggirono alle persecuzioni della polizia.
Dopo la forzata interruzione degli studi a causa della chiusura del liceo di Catanzaro, distrutto dal terremoto del 1832, il D. si arruolò nella guardia d'onore ma vi rimase per poco tempo sia "per la indipendenza di carattere e l'avversione che nutriva per ogni atto servile e cortigianesco", sia "perché ebbe occasione di conoscere da vicino in quali mani fosse commessa la cosa pubblica", per cui preferì ritirarsi in campagna, dove alternava il lavoro con gli studi sociali, politici e storici (prefaz. a E. De Riso, Del diritto di proprietà..., Salerno 1863, p. IV).
II fallimento dei moti liberali e mazziniani, avvenuti nelle regioni meridionali nel 1837 in Sicilia e a Cosenza e nel 1841 a L'Aquila, nonché la tragica fine dei fratelli Bandiera nel 1844, convinse il D., che nel frattempo aveva operato contatti con alcuni esponenti liberali, a modificare la strategia fino allora perseguita, priva, come era stata, di qualsiasi coordinamento tra i vari gruppi cospiratori esistenti in Italia.
Intraprese, così, un lungo viaggio, peraltro di moda nella borghesia calabrese più evoluta, che lo portò dapprima a Napoli a contatto con quei gruppi di studenti calabresi che nella capitale erano in prima fila nei moti politici e nei movimenti settari, e poi nelle maggiori città italiane, dove per i collegamenti stabiliti e per le conoscenze acquisite egli venne riconosciuto come capo dei liberali catanzaresi.
A Catanzaro, guidata dall'arciprete Domenico Angherà, nativo di San Vito sullo Jonio, carbonaro ed iscritto alla Giovine Italia e alla massoneria, funzionava la Società evangelica, della quale faceva parte anche il De Riso. Era accusata di tendenze radicali, in linea con quelle teorie "comunistiche" che, importate dalla Francia, avevano fatto presa nelle regioni meridionali, trovando sbocco nella rivendicazione delle terre comunali, usurpate dai borghesi e dai nobili.
Nel maggio del 1847 il D. cooperò col gruppo liberale napoletano nell'organizzazione della rivoluzione che dalla Sicilia doveva concludersi a Napoli, ma alla notizia della repressione dei moti di Messina e Reggio Calabria nel settembre, il D., che a Catanzaro aveva avvicinato sia alcuni rappresentanti della grande proprietà liberale, sia esponenti democratici, scoperto dalla polizia e raggiunto da un mandato di cattura, si diede alla latitanza per alcuni mesi.
Quando il 29 genn. 1848 il re Ferdinando concesse lo statuto, il D. poté far ritorno nella sua città per far opera di propaganda politica e di proselitismo in vista anche delle elezioni che si svolsero, in due tornate, il 18 aprile e il 2 maggio e nelle quali venne eletto deputato. Il 15 maggio fu tra i protagonisti a Napoli della rivolta, che segnò la crisi tra il Parlamento e il re, il quale ultimo, prendendo lo spunto dalla richiesta di alcuni deputati, in particolare quelli calabresi giunti a Napoli con un largo seguito, fautori di soluzioni estremamente radicali e incapaci, però, di assumere un'iniziativa comune, ristabilì con la forza il suo pieno potere.
Le rivendicazioni dei deputati, firmatari della protesta di P. S. Mancini, furono espresse in un manifesto pubblicato il 2 giugno, firmato anche dal D., col quale si comunicava che, non essendo più possibile tenere le sedute del Parlamento nazionale a Napoli, esso si trasferiva "per mandato generale della nazione" a Cosenza, che così assumeva, per tutto il periodo della rivoluzione, il ruolo di seconda capitale del Regno e di centro del movimento rivoluzionario calabrese. Nello stesso tempo si invitavano i deputati a convenire il 15 giugno a Cosenza per costituirsi in Assemblea costituente.
Tuttavia l'evoluzione rivoluzionaria che stava assumendo l'azione dei calabresi, specie nelle due province di Catanzaro e Cosenza, mentre Reggio Calabria, reduce dal moto fallito del settembre '47, era tenuta saldamente dai Borboni, non portò alla rottura con le forze moderate della borghesia, in quanto, per l'innato senso della legalità, la preoccupazione maggiore dei comitati che si erano formati fu la conservazione dell'ordine pubblico, il che impedì ai capi di interessare al movimento gli strati sociali più poveri, rimasti così nell'indifferenza, e di accogliere, se non in minima parte, le richieste delle masse contadine per un'azione immediata contro la proprietà demaniale detenuta dai privati.
Il D., dato che la capitale non offriva più molte garanzie costituzionali, rientrò a Catanzaro, dove nel frattempo, il 19 maggio, era stato costituito un comitato di sicurezza provinciale, presieduto dall'intendente Vincenzo Marsico, peraltro dimessosi il 27, appena avuto sentore dell'ostilità del governo di Napoli nei confronti di questi organismi. Formato da elementi moderati, aveva come precipuo fine quello di tutelare l'ordine pubblico e di rastrellare fondi per il sostentamento della guardia nazionale.
L'arrivo del D., reduce da un giro di ispezione a Salerno, Potenza e Cosenza, dove aveva firmato il proclama del 2 giugno, sotto la pressione delle forze popolari che abbatterono lo stemma reale posto sotto il portone della gendarmeria (lo storico calabrese Oreste Dito parla di una ventina di ragazzi assoldati), portò il 4 dello stesso mese alla composizione del Comitato di salute pubblica, presieduto, anche questo, dal Marsico e composto tra gli altri, dal D. e da Rocco Susanna.
Il comitato di Catanzaro, al pari di quello di Cosenza, privo di una vera unità d'azione, lacerato da contrasti ideologici e divergenze di vedute circa la condotta rivoluzionaria, non svolse un'azione incisiva. Il D., restio ad assumere posizioni radicali e nello stesso tempo alieno dall'immobilità del comitato, preferì staccarsene e porsi alla testa di un battaglione che occupò lo stabilimento della Mongiana, un centro nevralgico della provincia per diffondere l'insurrezione nella piana di Gioia Tauro, ma la cui posizione venne subito abbandonata non appena arrivarono 400 uomini spediti dal comando borbonico di Monteleone.
L'operato militare e politico del D., così come il suo rifiuto di aderire al progetto di sottoporre i grossi possidenti catanzaresi ad una contribuzione forzosa a sostegno del governo provvisorio nel frattempo trasferitosi da Cosenza a Tiriolo, non fu esente da riserve espresse da esponenti del movimento quale il Musolino, che gli riconosceva comunque notevoli capacità di mediazione, particolarmente necessarie in quel momento per un buon funzionamento del comitato.
Non fu certamente solo colpa del D. se la rivoluzione dopo trentacinque giorni abortì, perché a travolgere la resistenza calabrese contribuirono molti fattori, come il sabotaggio degli elementi moderati inclusi nei comitati, gli errori di alcuni dirigenti, l'isolamento della regione, la mancanza di un vero capo politico e militare.
L'esito disastroso della rivoluzione, che non ebbe mai precise direttive, disperse le fila dei democratici calabresi. Il D. prese la via dell'esilio rifugiandosi prima a Corfù, a Patrasso, a Corinto e ad Atene e imbarcandosi poi il 19 agosto per Malta, dove, venuto a conoscenza dell'insulto recato all'onore e al coraggio dei Calabresi, pubblicò una lettera, inviata al colonnello siciliano Giacomo Longo, vicecomandante delle forze rivoluzionarie, per ristabilire la verità.
Ritornato in Italia, ai primi di novembre, andò a Roma dove partecipò alla difesa della Repubblica romana. Instancabile animatore del Circolo dell'emigrazione napoletana, il D. non rinunciò mai, anche contro il volere dello stesso Mazzini, a preparare progetti d'insurrezione per la liberazione del Meridione. A tal fine si legarono due viaggi compiuti il primo a Firenze presso il Guerrazzi, allora dittatore della Toscana, il secondo a Torino, entrambi andati a vuoto. Nella capitale piemontese, il D., accompagnato dal Susanna, già componente del comitato di Catanzaro, incontrò il principe Luciano Murat, ministro plenipotenziario francese nel Regno di Sardegna, a cui sottopose un piano di rivoluzione nel Regno delle Due Sicilie, del quale doveva assumere la direzione egli stesso, ma non se ne fece niente in quanto il Murat, per pigrizia o consapevole delle difficoltà a cui andava incontro, consigliò di attendere tempi migliori.
Legatosi sentimentalmente con una ragazza appartenente alla famiglia romana dei Pepoli, imparentata con i Murat, nel febbraio del '50, essendo stata scoperta la sua presenza dal governo papale, fu costretto a lasciare Roma e a dirigersi a Marsiglia e quindi a Parigi, mentre la Gran Corte criminale di Catanzaro lo condannava a morte in contumacia e ne confiscava i beni. Nella capitale francese il D., al quale non mancò l'aiuto del Murat, entrò in contatto con i maggiori uomini della cultura del tempo, con il Gioberti, il Lamennais ed iniziò la stesura di un'opera che mostrasse come "la civiltà presente non è altro che lo svolgimento dell'antica civiltà latina" (prefaz. cit., p. X).
Recatosi a Londra, dove subito divenne padrone della lingua inglese, nel 1856 insegnò l'italiano nel collegio di Eton, mentre l'anno successivo ebbe la nomina a professore deputato nel Queen's College. Nei suoi continui spostamenti per le maggiori città inglesi non si stancò mai di denunciare, attraverso discorsi e letture, le condizioni politiche della penisola.
Il clima di Londra non gli fu favorevole per cui, ammalatosi ad un polmone, nel novembre del 1859 rientrò in Italia, dapprima a Genova e poi a Pisa, assistito dal fratello Ippolito che, implicato nei moti del '48, aveva riparato nel 1850 a Parigi. Nel settembre 1860, dopo tredici anni, ritornò a Catanzaro, assistendo da spettatore al cambiamento che stava avvenendo. Antonio Greco, deputato catanzarese, protagonista del moto unitario ma estromesso dalla vita politica locale dai moderati per le sue posizioni democratiche, prima che Garibaldi arrivasse in Calabria aveva preso contatti con il D. per affidargli le redini del movimento nella regione: ma il Greco, nelle sue memorie, sostiene che a causa della grave malattia che aveva ormai minato il suo corpo "egli per quanta buona volontà avesse avuto ad incontrare nuovi pericoli, non poté far altro che incoraggiarmi all'impresa" (Una pagina di storia del 1860, Catanzaro 1915, pp. 5 s.).
Morì a Catanzaro il 30 nov. 1860.
Tra le sue opere, tutte postume, si ricordano: Del diritto di proprietà qual diritto di cittadino di città romana. Studi storico-politici sull'Italia considerata nelle due epoche, la romana e la feudale, Salerno 1863; Escursione con Omero, Virgilio ed altri autori nella baja di Napoli e dintorni. Frammenti di due letture fatte in Inghilterra nel 1857 (traduzione dall'inglese), Catanzaro 1864; Ilazzaroni di Napoli. Frammenti di due letture fatte in Inghilterra nel 1858 (traduzione dall'inglese), ibid. 1864.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Catanzaro, Processi politici, nn. 37, 49, 112. Molte lettere del D. si conservano: Roma, Museo centrale del Risorgimento, Fondo De Lieto, b. 172; Archivio di Stato di Reggio Calabria, Carte De Lieto; San Demetrio Corone, Carte Mauro. Altre notizie in: Archivio di Stato di Napoli, Min. Polizia, Gabinetto, f. 440. Una biografia del D., redatta sulla falsariga di quella premessa al volume Del diritto di proprietà, è in Rassegna storica del Risorgimento, XLI (1954), pp. 603-08. Brevi cenni biografici in: G. Pitré, Profili biogr. di contemporanei italiani, Palermo 1864, pp. 61-65; Alessandro Poerio a Venezia. Lettere e docum. del 1848 illustrati da V. Imbriani, Napoli 1884, pp. 484 s.; R. Mottola-G. Rossi, Discorsi letti nella Villa Margherita in occasione dell'inaugurazione dei busti degli egregi patrioti E. D. e A. Greco, Catanzaro 1887; A. Basile, Raffaele Piccoli liberale calabrese, in Nuovi Quaderni del Meridione, VIII (1970), 32, p. 445; E. Sestan, Diz. storico politico ital., Firenze 1971, ad vocem. Sull'attività politica e militare del D. negli anni cruciali della rivolta calabrese: Documenti stor. riguardanti l'insurrezione calabra, Napoli 1849, pp. 128, 136-39, 141, 143 s., 289, 333, 515; Requisitorie ed atti di accusa del pubblico ministero nella causa degli avvenimenti politici del 15 maggio 1848, Napoli 1851, pp. 9, 22, 38, 53, 72; F. Angelillo, Conclusioni pronunziate innanzi alla gran corte speciale di Napoli nella causa degli avvenimenti politici del 15 maggio 1848, Napoli 1852, p. 54; G. Ricciardi, Storia docum. della sollevazione delle Calabrie del 1848, Napoli 1873, pp. 29, 31, 38, 80 s., 192; V. Visalli, Icalabresi nel Risorg. ital., II, Torino 1893, pp. 70, 135 s., 138, 206, 214; O. Dito, La rivoluzione calabrese del '48, Catanzaro 1895, pp. 55, 67 ss., 105, 108 ss., 128 s., 136, 274 s., 282; le pp. 204-19 riportano la lettera del D. al Longo; B. Musolino, La rivoluzione del 1848 nelle Calabrie, a cura di S. Musolino, Napoli 1903, pp. XVI, 22, 24, 27, 47 ss., 58, 64, 78 s., 97, 103 s., 106, 113. F. Fava, Il moto calabrese del 1847, Messina 1906, p. 66; M. Mazziotti, La reazione borbonica nel Regno di Napoli, Milano-Roma-Napoli 1912, pp. 23, 415; G. Paladino, Il quindici maggio del 1848 in Napoli, Milano-Roma-Napoli 1921, pp. 215, 515; D. Zangari, La reazione borbonica in Calabria, in Riv. critica di cultura calabrese, II (1922), I, pp. 13 ss.; M. Scornaienghi, Icircoli sediziosi in provincia di Cosenza, in Il1848 in provincia di Calabria Citra, Cosenza 1948, pp. 22-33; M. Borretti, Catal. della mostra documentaria del Risorgimento ital., ibid., pp. 36-51; A. La Cava, La rivolta calabrese del 1848, in Il1848 nell'Italia meridionale, Napoli 1950, pp. 533-72; G. Valente, Le condizioni e i moti dei contadini in Sila nel 1848, in Rass. stor. del Risorgimento, XXXVIII (1951), pp. 679-90; D. 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