Europa
È uno dei continenti minori, e a dispetto della sua fisionomia aperta, di propaggine peninsulare dell’Eurasia, ha sviluppato caratteri culturali molto specifici. Fin dall’antichità l’E. ha raccolto stimoli e influenze filtrate in specie dal Mediterraneo e dal corridoio balcanico, e li ha rielaborati in modo originale. Ne risulta un mosaico di civiltà ricche, articolate e dinamiche, diffuse in modo uniforme in una regione che è la più densamente popolata del pianeta (circa un ottavo degli abitanti) e in gran parte compresa nella fascia climatica temperata. Per effetto di processi anche traumatici (conquista romana, espansione commerciale, colonialismo e imperialismo), l’E. ha giocato un ruolo determinante nella storia degli altri continenti, influenzandone in modo talora marcato le culture, specie se nate in un clima di isolamento storico, come le civiltà americane.
Le prime civiltà europee si svilupparono in area egea a partire dal 3° millennio a.C. Quella cretese raggiunse la massima fioritura verso il 2000 a.C. con l’introduzione di una scrittura sillabica forse di derivazione fenicia (lineare A), l’edificazione di grandi edifici amministrativi (Cnosso) e il vigore dei commerci. La sua rapida eclissi fu determinata da una catastrofe naturale e dall’invasione dell’isola (16° sec. a.C.) a opera della civiltà micenea o achea, già diffusa in tutto il Peloponneso. Questo evento esemplifica un processo tipico di quasi tutte le civiltà europee, in specie sul piano linguistico: l’incontro o la fusione di una cultura autoctona con quella di una popolazione di origine indoeuropea. Gli indoeuropei, migrati in E. dall’Asia centrale (6°-2° millennio a.C.), in Grecia concorsero alla nascita di un’aristocrazia guerriera e del sistema di scrittura lineare B (greco arcaico). La civiltà greca (1° millennio-4° sec. a.C.), erede di quella minoico-micenea, fu caratterizzata da un più spiccato apporto indoeuropeo (anche ioni, eoli, dori) e conferì un durevole assetto politico all’area egea. Le poleis, rette da un consiglio militare aristocratico, soppiantarono le città-Stato monarchiche dei micenei e divennero gli elementi portanti della civiltà ellenica, il cui apogeo corrisponde ai secc. 5°-4° a.C. (età classica). I greci resero un contributo fondamentale alla cultura europea: forme base della storia politica occidentale (repubblica oligarchica, democrazia, tirannide), scienza legislativa, letteratura, musica e arti. Anche la filosofia nacque in Grecia (7° sec. a.C.), in rapporto con gli studi sulla natura, la riflessione religiosa, la geometria e la matematica. Questo sapere si diffuse nel Mediterraneo e in Medio Oriente di pari passo con la conquista di un’egemonia commerciale legata a un vasto sistema di colonie (Italia meridionale, Mar Nero e Anatolia) e all’introduzione della moneta. Il collasso della civiltà greca dipese da fattori sociali (crisi dell’aristocrazia terriera e ascesa dei ceti legati ai commerci) e politici. Indebolita dalla rivalità fra Atene e Sparta, dalle guerre del Peloponneso e dall’ascesa di Tebe (4° sec. a.C.), la Grecia sostenne a più riprese l’attacco persiano ma venne sconfitta dalla falange macedone. Succeduto al padre Filippo sul trono dell’arida Macedonia, Alessandro Magno rase al suolo Tebe e mosse guerra all’impero persiano. A Gaugamela fu combattuta una delle maggiori battaglie dell’antichità (331 a.C.), che spianò ai greco-macedoni, già al potere in Egitto, la strada verso l’Estremo Oriente. La spedizione di Alessandro Magno raggiunse l’Indo ed ebbe conseguenze epocali per tutto il mondo antico: allievo di Aristotele, questo sovrano morì a 33 anni (323 a.C.), lasciando allo stadio embrionale un impero eurasiatico dalla vocazione universale. Dalle sue ceneri nacquero la koinè ellenistica, rinnovamento della cultura greca all’incontro con quella mediterranea e asiatica (fenicia, egiziana, mesopotamica, iranica, indiana), e nuovi regni indipendenti. Mentre la civiltà greca si spense sotto la dinastia antigonide, a N della Magna Grecia ascese Roma: il secondo impero di genesi europea, fra i maggiori della storia, che perseguì l’obiettivo del dominio universale. La civiltà romana fu anch’essa frutto di un amalgama etnico e culturale, con il prevalente apporto dei latini e di altre popolazioni italiche forse non indoeuropee (villanoviani, etruschi). Negli oltre 1200 anni che separano la fondazione di Roma (753 a.C., per tradizione) dalla caduta dell’impero romano d’Occidente (476 d.C.), la storia politica dell’E. mediterranea si saldò per la prima volta con quella dell’E. continentale, dell’Africa settentrionale, dell’Egitto e del Medio Oriente. Gli scambi commerciali e culturali raggiunsero le civiltà indiana, cinese e i popoli stanziati oltre i confini dell’impero (in area baltica, transdanubiana, partica e arabica). La civiltà romana divenne un elemento unificante anche sul piano linguistico, normativo, economico-monetario, viario e dell’architettura pubblica (acquedotti, terme, fori, templi, basiliche, circhi, anfiteatri) e militare. I debiti della cultura romana nei confronti di quella greca riguardarono soprattutto il campo letterario, filosofico, artistico e la sfera religiosa. Nel 1° sec. le due più antiche religioni abramitiche, ebraismo e cristianesimo, raggiunsero Roma. Il cristianesimo, proveniente dalla provincia di Siria, inizialmente osteggiato, divenne la più importante dell’impero, influenzando lo sviluppo del pensiero occidentale. Nella critica congiuntura di epilogo della romanità, il suo carattere universalistico supportò il tentativo di restaurazione del potere imperiale incarnato da Costantino (306-33) e Teodosio (347-95) e il suo contenuto escatologico raffrenò i turbamenti di una società sconvolta dalla crisi dei valori tradizionali, dalla lotta politica interna e dalle invasioni dei barbari. Quando i saccheggi dei nomadi stanziati in specie lungo il limes renano-danubiano divennero migrazioni di interi popoli, la civiltà romana si spense, e dall’8° sec. (caduta dell’esarcato di Ravenna), l’area di influenza dell’impero romano d’Oriente (poi bizantino, fondato alla morte di Teodosio) non superò più la Grecia.
Il regno franco (Francia settentrionale), uno dei maggiori domini romano-barbarici (insieme a quello ostrogoto e poi longobardo in Italia, dei vandali in Sicilia, dei visigoti in Spagna e Francia meridionale), favorì la fusione tra germani ed élite gallo-romana; mentre ostrogoti e visigoti adottarono un regime di doppio governo (le cariche militari ai barbari, quelle amministrative ai romani). Inoltre i franchi, per primi, assunsero come riferimento Roma anziché Bisanzio. A Roma l’affermazione del dominio temporale dei papi era andata di pari passo con l’indebolimento dell’autorità bizantina e il papa era subentrato al basileus nel governo dell’Italia centrale. La dinastia franco-carolingia contenne l’avanzata dell’islam alla Penisola Iberica (ove la cultura romana subì forti scosse) e con Carlomagno fondò il Sacro romano impero (800), un’entità politico-statuale (Francia, Germania, Italia centrosettentrionale) di dimensioni in qualche modo rapportabili a quelle dell’impero romano d’Occidente. Richiamandosi direttamente all’eredità di quest’ultimo, e conferendo al cristianesimo un valore politico-ideologico più forte che in passato (respublica christiana), Carlo creò un’entità fondata sulla forza dell’idea imperiale romana e sulla base legittimante della religione cristiana, che conferì sacralità alla figura del sovrano; un’entità egemone nell’E. occidentale e dalla quale si sarebbe snodata tutta la successiva storia del continente, imperniata su un nesso stretto e una dialettica stringente tra Stato e Chiesa, che ancora oggi non è del tutto esaurita. L’operato carolingio corroborò d’altro canto il potere papale e le istituzioni a esso legate, e contrastò la profonda crisi del continente mediante la creazione del feudalesimo. Questo istituto giuridico-politico caratterizzò la storia anche economica e sociale d’E. (nascita della società curtense e prima rivoluzione agraria) ben oltre l’Età medievale, al pari di un fenomeno che pure risale ai secc. 9°-11°: la ripresa dei flussi commerciali e la nascita (nell’E. continentale) o rinascita (nell’E. mediterranea) delle città. Queste si popolarono in specie di artigiani e mercanti (burgenses nell’E. del Nord) che, affrancatisi dai vincoli di soggezione verso un signore feudale o la proprietà ecclesiastica, divennero l’elemento trainante della lenta rinascita post-carolingia. In linee generali questo processo ebbe conseguenze simili nell’E. continentale (città fiamminghe, Lega anseatica) e in quella mediterranea (repubbliche marinare, comuni dell’Italia centro-settentrionale). La civiltà comunale italiana evolse in prevalenza verso la signoria cittadina (Milano, Firenze), mentre le aristocrazie mercantili di Genova e Venezia esercitarono un ruolo chiave nella storia economica d’E. e nei rapporti fra E. e Oriente (imprese crociate, scambi con islam e India). All’E. delle città andava però contrapponendosi la formazione di nuove monarchie e Stati regionali: domini legati all’autorità papale (i vescovati, il regno normanno nel Meridione), sorti con funzione di presidio dell’ampia frontiera orientale (Russia, Polonia, Ungheria, Austria), o monarchie dal carattere già nazionale (Spagna, Francia, Inghilterra). La crisi del rapporto tra papato e impero, invece, nacque dai profondi e anche reciproci urti dei secc. 11°-14° (lotta per le investiture, scisma d’Occidente, interessi egemonici in Italia). L’E. che evolveva verso la modernità era un continente in fieri anche sul piano culturale, ma conservava profondi legami con l’antichità greca e latina (Umanesimo e Rinascimento).
La proiezione della civiltà europea verso gli altri continenti partì dalla Penisola Iberica, sottratta al dominio islamico (Reconquista, conclusasi nel 1492). Il Portogallo detenne il monopolio degli scambi via mare con l’Oriente (spezie, seta) fino alla fusione con la corona di Spagna (1580) e all’ascesa delle compagnie olandesi, francesi e inglesi, in un’età ormai coloniale e di crisi del Mediterraneo (17° sec.). Il primo impero d’oltreoceano fu quello spagnolo nelle Americhe (Messico, Perù), raggiunte mediante la rotta inaugurata da Cristoforo Colombo (1492). Le risorse americane cambiarono l’agricoltura e i consumi alimentari del vecchio continente (tè, cacao, mais, patata, pomodoro) e garantirono agli Asburgo di Spagna con l’oro e l’argento l’egemonia in E. (1558-1648). Carlo V e Filippo II contrastarono l’avanzata turca nei Balcani e nel Mediterraneo (caduta dell’impero bizantino, 1453) e quella della Riforma protestante (dal 1517), che divise la cristianità. Dal 1648 la Francia, in precedenza sconfitta dagli spagnoli in Italia (Milano, Napoli e Sicilia) e paralizzata da scontri religiosi, sociali e politici, ottenne la supremazia sull’E. continentale e divenne il più compiuto caso di assolutismo monarchico (Luigi XIV di Borbone). Più in generale, la guerra dei Trent’anni (1618-48) ridisegnò gli equilibri d’E.: indipendenza delle Province unite (Olanda) dalla Spagna, ridimensionamento dell’impero (moltitudine di Stati tedeschi, riformati e cattolici, retti dagli Asburgo d’Austria) e ingresso degli Stati baltici sulla scena europea (Danimarca, Svezia). Il papato perse progressivamente la centralità politico-ideologica avuta ancora nel Cinquecento (Concilio di Trento, Controriforma e nuovi ordini missionari) e fu confinato al rango degli altri antichi Stati italiani. Essi non erano evoluti verso la forma dello Stato moderno (rafforzamento del sovrano a danno degli altri ordini, nuovi apparati fiscali, giudiziari e amministrativi, esercito permanente), ma avevano partecipato al confronto tra Spagna e Francia. La crisi politica, economica e sociale italiana riguardò l’intera E. mediterranea del Seicento (guerre, rivolte, carestie, epidemie, rivolgimenti climatici, contrazione dei volumi finanziari, commerciali e produttivi, e conseguente arresto della crescita demografica che durava dalla fine della peste nera, 1348-50), e fu speculare all’ascesa di Olanda e Inghilterra. Il Cinquecento inglese (scisma anglicano, nascita di una solida nobiltà terriera, sviluppo commerciale e culturale sotto il regno di Elisabetta I) è alla base dei traguardi del Seicento (rivoluzione scientifica e agraria, conquista del primato sui mari, nascita della monarchia parlamentare, 1688) e della stessa Rivoluzione industriale. L’ondata di congegni che dall’Inghilterra (seconda metà del 18° sec.) invase l’E. e il mondo (19°-20° sec.) cambiò la storia dell’umanità (capitalismo, dinamiche sociali, crescita demografica, rapporto tra civiltà e risorse energetiche e tra uomo e ambiente, rivoluzione dei trasporti) e assieme alla Rivoluzione francese (1789-99) sancì il trapasso all’età contemporanea. Il crollo dell’antico regime (sistema politico, economico e sociale, basato su tre ordini: clero, aristocrazia e borghesia) iniziò in Francia, culla dell’Illuminismo, con l’abolizione del feudalesimo (1789) e la creazione di un regime politico basato sulla legittimazione popolare anziché sul diritto divino. All’interpretazione classica (marxista) della Rivoluzione francese (trionfo della borghesia capitalista sulla nobiltà) è oggi preferita un’altra lettura: insieme non unitario di forze ed eventi che svilupparono nuove idee, linguaggi e pratiche della politica (destra/sinistra, democrazia rappresentativa, divisione dei poteri, diritto di voto, referendum, colpo di Stato). Questa eredità fu raccolta dall’impero di Napoleone (1804-14), confederazione anche economica e militare che si estese su tutta l’E. continentale (1811). I suoi lasciti (liberalismo, modernizzazione amministrativa e normativa, stato civile), superata la parentesi della tentata restaurazione dell’antico regime (Congresso di Vienna, 1814-15), sono alla base della storia del 19° sec.
Le maggiori potenze della settima coalizione anti-napoleonica (Inghilterra, Austria, Prussia, Russia) conferirono al continente una fisionomia geopolitica ispirata ai principi di equilibrio e di legittimità (ripristino delle sovranità scardinate dalle conquiste della Francia rivoluzionaria e napoleonica nel 1795-1810); principi che però non ebbero un’applicazione uniforme e rigorosa: la nascita del regno delle Province unite di Olanda e Belgio, il rafforzamento di Russia, Prussia e dell’impero coloniale inglese, la mancata ricostituzione delle repubbliche di Genova e Venezia e dello Stato polacco a favore del consolidamento dell’impero austriaco in area italiana (Lombardo-veneto) e balcanica, furono in aperta contraddizione del principio di legittimità. Questo assetto politico, che gli accordi internazionali siglati a Vienna (Santa alleanza) cercarono di conservare, fu messo a dura prova in tutta E. dai movimenti nazionali e liberali che lo fecero vacillare a più riprese (1820-21, 1830-31), e in specie nel 1848, per effetto di rivoluzioni dalla connotazione liberale, nazionale e infine in Francia democratica e socialista. Questa congiuntura favorì l’ascesa di Luigi Napoleone Bonaparte, presidente della Seconda repubblica e poi nuovo imperatore dei francesi (Napoleone III, 1852-70), che poi fu protagonista decisivo della seconda guerra di indipendenza dalla quale prese il via la fase conclusiva del processo di unificazione italiana e della caduta del potere temporale dei papi. La nascita dello Stato nazionale italiano e di quello tedesco segnarono una svolta epocale non solo nella storia dei due popoli, ma nella storia d’E. e del mondo. Cessò allora quella condizione fondamentale nella storia europea data dalla frammentazione politica e militare dell’area italiana e dell’area tedesca che era stata sancita definitivamente dalla Pace di Westfalia (1648), ma con le dure mutilazioni territoriali imposte dalla Germania alla Francia fu posta una delle cause principali che condussero poi alla Prima guerra mondiale. La grande guerra (1914-18) assunse le dimensioni di un conflitto senza precedenti per numero dei belligeranti e delle perdite umane, entità e tipologia degli armamenti, coinvolgimento delle popolazioni civili e dei sistemi industriali e produttivi. Con essa deflagrarono le profonde tensioni che attraversavano il vecchio mondo e i suoi rapporti con gli altri continenti. Le principali ragioni di attrito furono: le mire imperialistiche della Germania in rapporto alla vastità dei domini coloniali francese e inglese, il revanscismo della Terza repubblica francese (nata nel 1870) in risposta alla conquista tedesca dell’Alsazia e Lorena, l’irredentismo italiano rispetto al Trentino e alla Venezia Giulia rimasti austriaci, come pure le inquietudini dell’area balcanica legate all’influenza austriaca e russa, al disfacimento dell’impero turco e alle istanze indipendentiste dei popoli slavi. La sconfitta degli imperi centrali (Germania, Austria-Ungheria) favorì l’ascesa di un Paese per la prima volta non europeo, gli USA (alleati di Gran Bretagna, Francia e Italia), al rango di prima potenza mondiale. Fra le maggiori conseguenze del conflitto ci fu anche l’espansione del Giappone in Cina e l’irrobustimento delle forze che in Asia assunsero la guida dei processi di autonomia o indipendenza dai colonizzatori europei, come era già accaduto nell’America del Sud e in Messico (19° sec.). L’egemonia europea si rafforzò invece in Africa e in Medio Oriente, a seguito della dissoluzione dell’impero turco (1922). In Europa il crollo dell’antica dinastia asburgica, determinò la nascita delle repubbliche di Austria, Ungheria, Jugoslavia, Cecoslovacchia e Polonia (1918). La rivoluzione russa del 1917, che aveva travolto l’impero zarista, portò alla nascita dell’URSS (1922), federazione politica, economica e militare eurasiatica di Paesi comunisti. Il socialismo reale del modello sovietico influenzò sensibilmente la cultura politica europea tra le due guerre, accelerando il confronto tra liberalismo, democrazia capitalistico-borghese e marxismo. L’avanzata dei nuovi partiti comunisti dell’E. occidentale, favorita anche dal ruolo strategico che le classi operaie avevano avuto durante il conflitto, si inserì nel clima di ricostruzione postbellica, percorso da tensioni sociali, economiche e politiche. Tuttavia, facendo leva in specie sulle ansie e sul malcontento della piccola e media borghesia, in Italia (1922) e nella neonata Repubblica tedesca di Weimar (1933) si instaurarono fascismo e nazionalsocialismo, due regimi totalitari di destra, che esercitarono larga influenza e numerose imitazioni nella maggior parte dell’E. sia orientale sia occidentale. La violenta ideologia incarnata dal cancelliere Adolf Hitler determinò l’inizio di una fase tra le più cruente della storia della civiltà europea e delle relazioni internazionali che avevano visto nel 1919 la nascita della Società delle nazioni con lo scopo di prevenire l’insorgere di nuovi conflitti. La Seconda guerra mondiale (1939-45) rappresentò cioè il tentativo di attuazione del disegno egemonico tedesco in E. (nuovo ordine) e giapponese in Cina ed Estremo Oriente, con l’apporto dell’Italia di Mussolini, alleato minore del Patto tripartito (1940). Il genocidio di milioni di ebrei, delle minoranze etniche e di omosessuali e oppositori del regime scandì l’avanzata nazista in tutta l’E. continentale fino a Mosca, e in Africa settentrionale. Accanto a Francia e Gran Bretagna, i massimi attori della disfatta del nazifascismo furono gli USA e l’URSS staliniana (che supportò la coalizione alleata dal 1941). Questo protagonismo ebbe conseguenze decisive per la storia della seconda metà del 20° sec., caratterizzata dal declassamento delle potenze politico-militari europee a ruolo di secondo piano e dalla divisione del mondo in due contrapposte aree di influenza politica, militare, economica e culturale dominate rispettivamente dalle due superpotenze USA e URSS, impegnate anche a gestire il processo di decolonizzazione. L’E. ne fu lacerata: entrarono nel blocco sovietico una parte della Germania (Repubblica democratica tedesca), Ungheria, Polonia, Cecoslovacchia, Albania, Romania e Bulgaria, mentre la Jugoslavia divenne un Paese socialista non allineato alle direttive di Mosca. Emblema di questa frattura fu il muro di Berlino (1961-89), confine tra l’area posta sotto il controllo della NATO (fondata nel 1949 dalle potenze vicine agli USA) e quella assegnata ai sovietici, creatori del Patto di Varsavia (1955). Entro la metà degli anni Settanta, giunse a compimento il processo di decolonizzazione in Asia e in Africa, mentre il Commonwealth britannico era stato ristrutturato già dal 1949. L’E. odierna è pertanto il prodotto dell’assetto politico elaborato dai tre grandi (USA, Gran Bretagna, URSS) ai vertici di Yalta e Potsdam (1945), della decolonizzazione, della riunificazione della Germania, della dissoluzione dell’URSS (1989-91), della fine dell’alleanza dei Paesi comunisti dell’E. orientale e balcanica (il cui riassetto è terminato nel 2006-08), del processo di unificazione commerciale, doganale e monetaria iniziato dalla Comunità economica europea nel 1957 e portato avanti dall’Unione Europea, a partire dal 1992 grazie alla confluenza di Stati democratici che stanno attuando un parziale superamento della dimensione nazionale.
Si veda anche Costruzione dell'identità dell'Europa