EUROPA.
L’E. è da tempo la sola tra le grandi partizioni del mondo a presentare una dinamica demografica naturale chiaramente negativa: condizione che si sta confermando ormai come una tendenza stabile nel medio periodo. L’incidenza demografica della popolazione europea complessiva sul totale mondiale si è rapidamente ridotta già a partire dall’inizio del 20° sec., quando si stima rappresentasse più o meno un quarto del totale mondiale. Circa un secolo più tardi, la quota di popolazione mondiale vivente in E. si è più che dimezzata (circa il 10%); su questa riduzione relativa ha molto inciso, come è ovvio, la più intensa crescita di altri continenti. Il calo della popolazione europea ‘indigena’ è compensato, più o meno largamente, secondo i Paesi e le congiunture, da un flusso immigratorio che, benché sia meno intenso di quanto comunemente si percepisca e malgrado la crisi economica, ha finora consentito la sostanziale tenuta dei livelli demografici. Si stima che i residenti in E. di origine non europea siano circa 14 milioni (2013): oltre 5 di provenienza asiatica, oltre 4 di origine africana e circa 4 di provenienza americana. I migranti intraeuropei (da un Paese europeo a un altro Paese europeo) sarebbero alquanto più numerosi (17-18 milioni). Nell’insieme, è comunque in atto un certo rimescolamento demografico, che peraltro non costituisce una novità per il continente. Il dato più significativo appare quello legato all’età media degli immigrati, decisamente più giovani rispetto alla popolazione ospite; mentre il comportamento demografico degli immigrati extraeuropei è, di massima, più vivace di quello degli abitanti di origine europea, sia per propensioni culturali differenti sia per la più giovane età.
La situazione economica del continente è abbastanza variegata, ma nell’insieme risente ancora degli effetti della crisi finanziaria mondiale, in maniera più o meno incisiva (meno nei Paesi settentrionali, molto di più in quelli meridionali e sudorientali), anche se nel 2014 gli analisti hanno segnalato vari elementi che sembrano indicare una progressiva uscita dalla fase recessiva. Si può aggiungere che, mentre i consumi e la produzione hanno registrato una contrazione sensibile, negli ultimi anni i mercati finanziari hanno risentito molto meno della congiuntura sfavorevole. L’ampliamento dell’Unione Europea a 28 Paesi membri (con l’ingresso della Croazia nel 2013) e dell’area dell’euro a 18 (con l’ingresso della Lettonia nel 2014) non modifica nella sostanza la situazione continentale, benché rappresenti un segnale di fiducia nell’Unione alle prese con svariati problemi di coerenza interna e di collocazione internazionale.
I problemi più urgenti appaiono, tuttavia, quelli fuori dell’Unione, dove assumono anche aspetti politico-territoriali. La continua tensione tra Ucraina e Russia, in particolare, prima a proposito della Crimea, poi delle regioni orientali e meridionali dell’Ucraina, si è trasformata in confronto armato interno all’Ucraina. Il Paese è diviso pressoché a metà tra una tendenza filooccidentale, ampiamente sostenuta dai Paesi europei e soprattutto dagli Stati Uniti, e una tendenza filorussa, che si rifà, non tanto al passato sovietico, quanto alla plurisecolare storia comune e a vari elementi di affinità culturale. La questione della Crimea, che non può dirsi ancora risolta, ha quanto meno vissuto un’evoluzione meno violenta: la ex Repubblica autonoma sovietica (nel 1954 ceduta dalla Russia all’Ucraina, benché abitata in larga maggioranza da russi) si è proclamata indipendente nel marzo 2014, dopo un referendum (la cui regolarità è stata messa in dubbio), e nel maggio seguente ha chiesto di entrare nella Federazione russa, essendovi accolta come distretto federale. L’intera vicenda è stata ovviamente contestata dall’Ucraina, dai Paesi occidentali e dalle organizzazioni internazionali, ma non ha dato luogo a conseguenze gravi per la popolazione. L’area balcanica, invece, benché vi permangano svariati motivi di tensione, sembra vivere negli ultimi anni una fase di relativa stabilizzazione, dopo la dichiarazione unilaterale (e non da tutti riconosciuta) di indipendenza del Kosovo dalla Serbia (2008) e il precedente distacco del Montenegro dalla stessa Serbia (2006). In altre regioni europee (Scozia, Irlanda del Nord, Province Basche, Catalogna e altre) le tendenze autonomiste o indipendentiste stanno vivendo processi di evoluzione oggi più pacifici e più consensuali che nel recente passato.