eutanasia
Morte non dolorosa di un paziente, procurata deliberatamente con la somministrazione di un farmaco letale (e. attiva), oppure con l’assunzione da parte della persona malata di un farmaco letale preparato da un medico (suicidio medicalmente assistito).
La distinzione tra e. attiva e passiva è ancora molto diffusa nel linguaggio medico: si basa sull’idea che anche se non è mai lecito al medico uccidere un paziente, in certe condizioni può essere lecito (o addirittura doveroso, onde evitare l’accanimento terapeutico ➔ accettare di lasciarlo morire. Tuttavia, sul piano concettuale, il valore di questa distinzione è molto controverso e varie correnti di pensiero ne sostengono l’irrilevanza in ordine alla qualificazione morale degli eventi: così, ad es., la Dichiarazione sull’eutanasia (1980) della Congregazione per la dottrina della fede della Chiesa cattolica, ritiene che qualunque forma di interruzione intenzionale della vita, non importa se procurata tramite azione o omissione, è moralmente sbagliata. Su un versante etico-filosofico, per chi sostiene che in tutte le condizioni nelle quali la morte è per il paziente l’evento preferibile, la differenza tra il metodo attivo o passivo di interruzione della vita non ha rilevanza morale. Altre correnti tendono a mantenere ferma la distinzione, proponendo di limitare l’uso del termine e. alla forma attiva. Lo scopo è di evitare che l’alone negativo acquisito dal termine, a causa dell’uso fattone dal regime nazista, si trasferisca alla interruzione dei trattamenti medici sproporzionati. Tale interruzione, che non ha nulla a che vedere con l’e., è considerata moralmente lecita, in specie se attuata nel rispetto dell’autodeterminazione, attuale o tramite dichiarazioni anticipate (➔ testamento biologico), del paziente nei confronti dei trattamenti sanitari.
Nel pensiero filosofico antico, per e. si intendeva la ‘buona morte’, naturale e possibilmente non preceduta da sofferenza o dolore, accettata con spirito sereno come compimento della vita. Il termine fu probabilmente usato per la prima volta dallo scrittore latino Svetonio per descrivere la morte che colse l’imperatore Antonino Pio «a guisa di sonno dolce e tranquillo». Questo originario significato del termine fu ripreso e introdotto nel linguaggio medico dal filosofo inglese Francis Bacon agli inizi del 16° sec., per indicare un nuovo compito dell’arte medica: l’abilità di aiutare i morenti a congedarsi dal mondo nel modo più dolce e quieto possibile.