DALL'ABACO, Evaristo Felice
Compositore, nato a Verona il 12 luglio 1675, morto a Monaco di Baviera il 12 luglio 1742. Da ragazzo fu allievo, probabilmente, del veronese Giuseppe Torelli - vissuto a lungo a Bologna - e poi, a Modena, di Tommaso Vitali, detto il Vitalino, nato a Bologna e figlio di Giambattista - forse cremonese ma vissuto anche egli a Bologna, oltre che a Modena (un Oratio Abbaco, gentiluomo veronese, pubblica quattro versi in lode dell'Accademia). Questi dati basterebbero per sé stessi a dedurre che il D. appartiene alla scuola bolognese, ma una conferma più sicura ci è data dall'analisi stilistica fatta dal Sandberger, nell'Introduzione alla riedizione delle opere del veronese (Denkmäler der Tonkunst in Bayern, anni 1° e 9°), la quale rivela chiaramente i rapporti che esistono tra l'opera 1ª e 4ª del Vitalino e quelle del suo supposto allievo. Chiamato alla corte di Monaco dal principe elettore Massimiliano Emanuele II, quale violoncellista, seguì il suo signore a Bruxelles durante la guerra di successione di Spagna e vi fu nominato maestro dei concerti. Tornò a Monaco ai primi del 1714 e vi rimase sino alla morte.
Secondo A. Moser (Geschichte des Violinspiels, Berlino 1923, p. 220) la tecnica delle sue opere dimostra che egli deve essere stato anche un abile violinista, profondo conoscitore delle risorse dello strumento. Il D. lasciò Sonate da camera per violino (e violoncello), op. 1 e 4, Sonate a tre, op. 3; Concerti a quattro da chiesa, op. 2 e Concerti a più strumenti, op. 5 e 6; queste opere sarebbero state composte tutte tra gli anni 1706 (?) e 1730. Questa caratteristica, che si rivela mentre decade l'opera veneziana e fiorisce invece il barocco romano-napoletano di Alessandro Scarlatti, dà già un rilievo particolare alla sua figura, come a quella del Corelli. Egli è, senza dubbio, uno dei più importanti compositori strumentali del suo tempo: ma, se ciò può affermarsi in senso assoluto, è certo anche che la valutazione delle sue opere risente troppo dell'imperfetta conoscenza che ancora abbiamo dei suoi contemporanei. È un grande autore di transizione. Così, mentre distingue nettamente, come già l'Albinoni, il Concerto dalla Sinfonia (ciò che non aveva fatto il Torelli) nella Sonata mescola invece lo stile da chiesa a quello da camera e viceversa. E, se non giunge alle arditezze e all'espressività già quasi romantica del Vivaldi, tuttavia si distacca dalla rotondità e dall'equilibrata luminosità dell'arte corelliana. Ad ogni modo, come avviene per gran parte dei concerti del Vivaldi, sono i tempi lenti - vivamente plastici e densi di sentimentalità - quelli che esprimono più profondamente l'individualità del musicista e formano il centro ideale della composizione. La logica che riunisce i vari tempi come anche le parti di ogni singolo pezzo è più sottile di quella corelliana, ma è ancora lontana dall'impressionismo ritmico della nuova generazione, che il Vivaldi già pratica con piena coscienza; ma già alcune movenze, come l'inizio del Vivace e puntato della Sonata 4ª dell'op. 4:
richiamano alla mente i tempi di certi Allegri per cembalo del Galuppi e delle sinfonie del tipo sammartiniano.
Il figlio Giuseppe Clemente Ferdinando, nato a Bruxelles nel 1709, morto a Verona nel 1805, fu nel 1729 violoncellista a Bonn, nel 1738 direttore della musica da camera e consigliere di corte nella stessa Bonn; nel 1765 si ritirò a Verona. Autore di 29 sonate per violoncello (in ms.) e di una cantata drammatica.