evoluzione
Come cambiano le generazioni dei viventi nel corso del tempo
Gli organismi viventi mutano nel corso delle generazioni e questo processo di continui cambiamenti fa sì che gli esseri che popolano la Terra siano tutti più o meno diversi fra loro. L'evoluzione consiste nei cambiamenti a cui sono andati e vanno incontro tutti gli esseri viventi nel corso di milioni di anni. Il nome stesso lo dice: in latino evolvere significa appunto "cambiare rispetto a prima". Questi cambiamenti permettono la sopravvivenza e la riproduzione degli organismi che hanno le caratteristiche più adatte alla vita nelle condizioni ambientali in cui si trovano
Nello scorrere delle ore del giorno e della notte, nell'alternarsi delle stagioni, nei secoli che ci hanno preceduti, nelle ere geologiche della storia della Terra, indietro fino a più di tre miliardi di anni fa, quando la prima forma di vita è venuta al mondo, le condizioni dell'ambiente sono cambiate, stanno cambiando e cambieranno continuamente. Si modificano la quantità di luce, la temperatura, la forza e la direzione dei venti, si alternano sole, pioggia e neve, inverni miti o troppo freddi, estati temperate o afose. Noi esseri umani non sembriamo preoccuparcene molto, purché all'improvviso non capiti un terremoto o uno tsunami.
Tuttavia la specie umana è solo una fra i milioni di specie di batteri, funghi, piante, insetti, pesci, rettili, uccelli e mammiferi che popolano la Terra. Un'estate troppo calda e secca può far morire piante che crescono bene all'umido e al fresco, mentre una gelata in aprile può bloccare la riproduzione delle rondini. Ci si chiederà allora: come fanno a cavarsela comunque le varie forme di vita che abitano il nostro pianeta da così tanto tempo?
Da due secoli i biologi studiano la grande varietà di forme di vita e fanno esperimenti per poter capire perché ci siano tipi di mele così diverse nei frutteti, gabbiani così differenti sulle coste dei mari e siano così diversi occhi, capelli, naso, gambe e pelle degli uomini. Da queste osservazioni hanno origine le due domande fondamentali sulla vita: quella della sua capacità di far fronte agli enormi cambiamenti ambientali della Terra e quella della sua grande variabilità.
Le due domande si rispondono a vicenda e costruiscono la base della teoria dell'evoluzione. Infatti la sopravvivenza, cioè la capacità di continuare a riprodursi anche in condizioni ambientali difficili, è dovuta all'estrema variabilità degli organismi, anche in seno a una stessa specie. La spiegazione è semplice e si fonda sulla scommessa che fra tutti quei diversi organismi della stessa specie ce ne siano almeno due, un maschio e una femmina, capaci di riprodursi anche in quelle particolari condizioni ambientali. Se la scommessa è vinta, la vita della specie continua, se invece è persa quella specie sparisce dalla faccia della Terra.
Così è accaduto 65 milioni di anni fa, quando le specie dei Dinosauri, le più evolute e diffuse su tutta la Terra, nel volgere di poche decine di secoli si sono estinte. Più vicino nel tempo, circa 30.000 anni fa, una specie chiamata Homo neanderthalensis, l'Uomo di Neandertal (Ominidi), che abitava già l'Europa prima della nostra specie Homo sapiens sapiens, si è estinta improvvisamente. La causa di queste due estinzioni, quella dei Dinosauri e dell'Uomo di Neandertal, non è certa, ma in entrambi i casi si sarebbe trattato della conseguenza di drammatici cambiamenti dell'ambiente, come glaciazioni provocate da cadute di asteroidi o da una mutata inclinazione dell'asse terrestre. Si capisce allora che, se nel meccanismo della vita non fosse contenuta la capacità di mutare continuamente, non verrebbe assicurata agli organismi la capacità di riprodursi comunque in ambienti molto diversi e la vita sarebbe cessata da un pezzo sul nostro pianeta.
Prima di entrare nei dettagli, cerchiamo di capire meglio le due parole che bisogna usare per conoscere l'evoluzione, cioè i termini vita e specie. Bisogna innanzitutto definire con precisione in cosa consista la vita, cioè perché una cosa viva sia così diversa da una cosa non viva. Sembra una risposta facile e siamo portati a pensare che quando, fra molti anni, la vita ci abbandonerà smetteremo semplicemente di sentire battere il cuore e non respireremo più. Ma i batteri e le piante che non hanno né cuore né polmoni sono comunque vivi. La definizione più semplice e completa di vita è più in generale quella di un'insieme di strutture chimiche (un po' complicate, per la verità) organizzate in forma di cellula capace di riprodursi e di continuare a farlo traendo l'energia necessaria dalla luce, dall'aria, dall'acqua e dal cibo che ci fornisce l'ambiente.
Definire la specie sembrerebbe ancora più facile. È chiaro che cani e gatti sono di specie diverse, come uomo e scimmia, perché hanno aspetti molto differenti. Ma perché allora animali altrettanto diversi, come un enorme cane alano a pelo rado e un minuscolo cane pechinese a pelo lungo, sono della stessa specie, mentre mammiferi simili, come un cavallo e un asino, sono di specie diversa? La risposta nasce ancora una volta dalla riproduzione. Organismi di una stessa specie sono capaci di riprodursi fra loro e quindi di mettere in comune la loro informazione genetica. Cani alani e pechinesi possono avere una nidiata di cuccioli, forse assai brutti, ma comunque capaci a loro volta di riprodursi con altri cani, come pastori e bulldogs. Invece, un cavallo e un'asina, che pure possono incrociarsi, hanno come prole dei muli, che sono incapaci di riprodursi e la vita termina con loro perché senza riproduzione non c'è continuità della vita e non c'è evoluzione. L'insieme degli organismi di una stessa specie costituisce quindi l'attore protagonista del processo evolutivo sulla Terra.
Almeno 4.500 milioni di anni fa la Terra (ere geologiche) era un ammasso di materiali incandescenti che iniziavano a raffreddarsi e solo dopo più di un altro miliardo di anni ha raggiunto una temperatura (meno di cento gradi) compatibile con la vita. Le prove fossili delle più antiche forme di vita sono state trovate in rocce con un'età di 3 miliardi e mezzo di anni, che provenivano dagli oceani del tempo: si tratta di alcuni calchi (come le formine sulla sabbia) microscopici che assomigliano a cellule batteriche. Le prime forme di vita erano strutture capaci di moltiplicarsi passando da uno a due, da due a quattro e così via, diventando sempre più adatte a riprodursi.
Da quel momento è iniziata l'evoluzione e la vita ha continuato a crescere come quantità di organismi e a variare in un numero crescente di specie diverse. Dalle prime forme di vita ‒ cellule singole, piccole e molto semplici ‒ si è passati a organismi più grandi e complessi, formati da parecchie cellule. Tutto è avvenuto con estrema lentezza, ma costantemente, fino a giungere a mammiferi come l'uomo, formato da centinaia di miliardi di cellule, capaci di funzioni molto evolute.
Per capire la durata di questo lentissimo processo evolutivo immaginiamo che sia durato un anno di calendario, con il primo secondo del 1° gennaio fissato al momento dell'origine del pianeta Terra, 4.500 milioni di anni fa, mentre oggi siamo all'ultimo secondo prima della mezzanotte del 31 dicembre. In questo modo ogni minuto di quel lunghissimo anno rappresenta poco meno di 10.000 anni di vita della Terra (v. fig.).
Come sempre nel progresso della conoscenza, una risposta genera almeno due nuove domande. Se si immagina l'origine della vita da poche cellule microscopiche, come si è arrivati in tremilacinquecento milioni di anni a tante specie viventi: batteri semplicissimi, muffe, alghe, pesci, anfibi, rettili, dinosauri, uccelli, mammiferi, scimmie e uomo? E in ogni specie, come si è passati da pochi organismi, presumibilmente abbastanza simili fra loro, a miliardi di individui tutti fra loro diversi?
La risposta a queste domande viene dalle strutture e dai meccanismi di base dell'evoluzione. La più importante di queste strutture, propria di ogni organismo vivente e conosciuta nel dettaglio da pochi anni, è il genoma, cioè il DNA. Esso forma l'insieme dell'informazione genetica (ereditarietà) e permette la riproduzione, lo sviluppo, la sopravvivenza e di nuovo la riproduzione di un individuo, nel ciclo continuo della vita. Nello scorrere delle generazioni, la prima fonte di variabilità della vita è proprio nel DNA che, quando si duplica, prima di distribuirsi ai figli, statisticamente fa almeno un errore ogni volta, che chiamiamo mutazione. Inoltre, negli organismi superiori, la riproduzione sessuata avviene con il rimescolamento di due informazioni genetiche diverse, quelle dei due genitori, facendo nascere altri organismi con un'informazione genetica nuova, mai esistita prima di allora. È infatti facile osservare che nessun figlio è identico ai suoi genitori, né a suo fratello, a meno che non sia uno dei due gemelli nati da un unico uovo, fecondato da un unico spermatozoo. La variabilità fra i diversi organismi di una stessa specie avviene quindi tramite due meccanismi: le mutazioni e la riproduzione sessuata.
Due grandi scienziati del secolo 19° hanno posto le basi per capire come evolvano progressivamente le diverse forme di vita. Jean-Baptiste Lamarck, un brillante naturalista francese, passò la propria vita a osservare piante e insetti e, ormai anziano, pubblicò nel 1822 un libro in cui affermava che gli organismi, nel corso della loro vita, sviluppano nuovi caratteri capaci di farli adattare meglio all'ambiente. Tali caratteri, così acquisiti, favoriscono una riproduzione più efficace e si mantengono nella generazione successiva.
Più tardi, nel 1859, l'inglese Charles Darwin pubblicò un libro intitolato L'origine delle specie attraverso la selezione naturale nel quale ribadiva, come Lamarck, che gli organismi più adatti vengono selezionati dall'ambiente in base alla loro maggiore capacità di riprodursi e che questo processo porta all'origine di nuove specie. Ma, a differenza di Lamarck, Darwin capì che i nuovi caratteri non potevano nascere dal bisogno di nuove funzioni, piuttosto da 'strani' e casuali cambiamenti presenti già alla nascita, che noi oggi chiamiamo appunto mutazioni.
La differenza fra i due scienziati viene spiegata con il noto esempio del collo lungo della giraffa, che Lamarck riteneva dovuto allo sforzo per raggiungere le foglie e i frutti dei rami più alti degli alberi, mentre Darwin riteneva che da due giraffe a collo corto fosse nata casualmente una giraffa a collo più lungo la quale, vivendo nella savana dove il nutrimento si trova sugli alberi, era favorita dall'ambiente e si riproduceva più facilmente, facendo nascere, alla generazione successiva, giraffe tutte con il collo più lungo.
Oggi sappiamo che i genomi dei diversi organismi di una stessa specie sono capaci di produrre proteine con funzioni diverse, e queste proteine sono più o meno capaci di assicurare una riproduzione efficiente, a seconda dell'ambiente di vita. Assai utile per la comprensione è l'esempio osservato in Inghilterra, durante il 19° secolo, periodo in cui le belle campagne inglesi furono convertite in territorio industriale.
Nella campagna ancora pulita viveva, e vive tuttora, una farfalla notturna chiamata Biston betularia, con le ali color grigio chiaro, che prende il nome dal fatto che di giorno si ferma a riposare sulla corteccia grigio chiaro degli alberi di betulla, riuscendo così a mimetizzarsi. Questa farfalla era ben adattata all'ambiente di inizio Ottocento perché, camuffata sulla corteccia dell'albero, non era vista dalla cinciallegra, un uccello goloso di farfalle. Nella popolazione di Biston betularia c'erano però anche farfalle con il gene responsabile del colore delle ali mutato, motivo per cui nascevano ogni tanto alcune farfalle dove il nuovo gene produceva una proteina che dava alle ali un colore nero invece che grigio chiaro. Queste farfalle dalle ali scure, chiamate Biston betularia varietà carbonaria, non venivano riconosciute dalle altre della stessa specie, e non essendo scelte per la riproduzione, rimanevano zitelle; inoltre con quel coloraccio scuro risaltavano meglio sulla corteccia della betulla e la cinciallegra se le mangiava. Le farfalle di varietà carbonaria erano pertanto assai rare.
Con la rivoluzione industriale l'ambiente però si modificò e nella campagna furono costruite le fabbriche, con le nuove macchine spinte dal vapore e alimentate dal carbone. Dalle ciminiere usciva il fumo nero che sporcava la corteccia delle betulle, rendendole di colore grigio scuro. La specie Biston betularia, con le sue belle ali chiare, fu quasi sterminata dalla cinciallegra, e si sarebbe estinta se non fossero già esistite, fortunatamente, quelle poche farfalle ad ali scure che, questa volta, risultarono avvantaggiate perché meglio mimetizzate sulle cortecce delle betulle annerite. Le farfalle Biston betularia si salvarono, così, grazie alla mutazione del DNA che diventava capace di produrre una diversa proteina che rendeva scure le ali. Molti anni dopo, quando le macchine moderne furono alimentate a metano, furono messi filtri alle ciminiere e l'ambiente tornò a essere pulito, la selezione naturale salvò nuovamente la specie facendo prevalere nella popolazione le farfalle dalle ali chiare.
Gli organismi più adatti si selezionano, come visto, in base alle condizioni ambientali perché capaci di avere più figli cosicché, nella generazione successiva, i geni che producono i caratteri più favorevoli diventeranno più frequenti.
I genetisti sono in grado di misurare i cambiamenti della frequenza dei diversi geni da una generazione all'altra nella popolazione che abita in un dato ambiente e osservare così il processo evolutivo prodotto dall'adattamento (o selezione naturale) ambientale. Quando l'ambiente cambia vengono selezionati gli organismi e le specie capaci comunque di riprodursi, e nel tempo, nei diversi ambienti, vivono organismi sempre nuovi, generati appunto da quella continua, grande rivoluzione della vita sulla Terra che chiamiamo evoluzione.