COLONNA, Fabio
Nacque a Napoli nel 1567, da Girolamo, di un ramo napoletano della nobile famiglia romana discendente da Giovanni figlio del cardinale Pompeo e da Artemisia Frangipane.
Il C. fu educato dal padre in molteplici discipline (filosofia, matematica, pittura, musica, lingua greca); frequentò poi la facoltà di giurisprudenza all'università di Napoli, laureandosi in utroque iure nel 1589, tre anni dopo la morte del padre. Debole di salute ed affetto anche da epilessia, fu spinto da questa circostanza ad indagare la medicina classica, da Ippocrate a Galeno, alla ricerca di rimedi farmacologici per il suo male, e a studiare gli elementi compositivi di tali farmaci, nelle opere di Plinio, Dioscoride, Teofrasto. Cominciò così a spingersi per monti e boschi alla ricerca di vegetali, che confrontava con le descrizioni di Dioscoride, rilevando errori ed omissioni che ordinò in un commento alla Materia medica mai pubblicato e ora disperso; effettuò anche una serie di disegni delle piante raccolte, che gli servì per altre opere. Riuscì così a curare il suo male servendosi della valeriana silvestre, da lui identificata con l'erba Phu di cui parla Dioscoride. Si convinse dell'utilità degli orti botanici, che in quel tempo fiorivano in diverse città, da Roma a Pisa, da Padova a Bologna. Entrò in amicizia coi più rinomati botanici napoletani, come Bartolomeo Maranta e Ferrante Imperato, frequentatori del ricco orto botanico di Giovan Vincenzio Pinelli. L'Imperato aveva raccolto un vasto museo naturale (più volte lodato dal C.), e fu probabilmente lui, con G. B. Della Porta, di cui il C. era stato allievo, ad avviarlo ad una concezione unitaria della natura come maestra di esperienze e campo di osservazioni, da compiere senza eccessiva sottomissione alle affermazioni dei medici classici. Certamente il consiglio e lo stimolo dell'Imperato furono determinanti per la composizione dei Φυτοβάσανος sive plantarum aliquot historia..., Neapoli 1592 e Florentiae 1744.
Opera molto rara, costò al C. - che la stampò a sue spese, non avendo trovato un editore disposto a pubblicarla - il dissesto delle sue finanze, anche perché, invece delle incisioni in legno, volle preparare egli stesso trentacinque finissime incisioni in rame, usate per la prima volta per un simile scopo. In essa il C. illustra le piante rinvenute nei dintorni di Napoli, confrontandole con le descrizioni degli antichi e sostanzialmente non allontanandosi dalla descrittiva comune al suo tempo, senza alcun criterio sistematico. In questa opera comunque il C. si rivela fine osservatore botanico allorché annota, con una precisione ben più acuta di altri illustratori più recenti della stessa specie vegetale come E. Blackwell e J. L. Poiret, l'importante fenomeno della eterocarpia in Calendula officinalis Lin. allora conosciuta come Clymenon Dioscoridis.
Resosi conto dell'eccessiva ristrettezza del suo terreno d'indagine, nel 1593 il C. cominciò a compiere diversi viaggi: fu dapprima a Campochiaro, presso suo fratello, dove poté studiare la flora del Matese; poi a Cerignola presso lo zio Ottavio Pellegrino; più tardi, in qualità di capitano, a Zagarolo presso Roma. Ripresosi da una grave malattia, che lo colpì intorno al 1600, poté esercitare il diritto studiato all'università nella definizione di annose questioni sui confini territoriali della zona. Nel 1605 fu nuovamente a Napoli, di passaggio, per consultare un raro codice erbario nel monastero di S. Giovanni a Carbonara. Non aveva infatti cessato le sue osservazioni botaniche, che costituirono il fondamento della sua opera più importante: Minus cognitarum stirpium aliquot ac etiam rariorum nostro coelo orientium "Εκϕρασις, Romae 1606.
Già pronta dal 1603, la stampa venne procrastinata per la difficoltà sia di trovare un editore (la stampò Guglielmo Facciotto) sia di predisporre le centocinquantasei tavole per le incisioni in rame, disegnate ancora (e con grande abilità) dallo stesso Colonna. Vi è aggiunto De aequatilibus aliisque animalibus quibusdam paucis libellus; complessivamente l'opera, corredata di un vasto indice, dedica trecentoquaranta pagine alle piante e settantatré agli animali. Nonostante il tentativo di distaccarsi dalle opere classiche sia qui più accentuato, attraverso un'osservazione precisa della struttura e della conformazione delle parti vegetali (in particolare dei fiore), con precise indicazioni sui luoghi diprovenienza, il volume non ebbe molta fortuna; solo la successiva edizione della seconda parte (Roma 1616, ad opera di J. Mascardo, che vi aggiunse il trattato De purpura)ebbe una larga diffusione, che incoraggiò successive ristampe. Non tale comunque da ripagare il C. dei 500 scudi spesi per la stampa, che incisero notevolmente sul suo già scarso patrimonio, rimasto tale anche dopo che il C. ricevette, nel 1616, l'eredità della zia Cornelia, imparentata col famoso Ettore Fieramosca.
Nel 1610 il C. era nuovamente a Roma, probabilmente per questioni editoriali; ma vi si trattenne poco. Giunti a Napoli Federico Cesi e Francesco Stelluti per incontrarsi col Della Porta e l'Imperato ed istituirvi un nuovo liceo dell'Accademia dei Lincei, il C. entrò nel 1612 nella nuova co lonia con N. A. Stelliola e Luca Valerio. La comunanza di interessi dovette unire il C. al principe Cesi più che al Della Porta, così diverso dal suo temperamento quieto e meditativo. E fu il Cesi a rinsaldare il rapporto del C. col Della Porta, allentatosi per via delle frequenti assenze da Napoli, e a metterlo in contatto col Galilei, che ne aveva grande stima. Tornato il Cesi a Roma, fu il Della Porta a guidare il liceo fino alla sua morte, nel 1615, e a promuovere studi, ricerche, edizioni; da allora il Cesi volle che fosse il C. a reggere le sorti della sede napoletana, fino al suo scioglimento ad opera del viceré di Spagna. Nel 1630, alla morte del Cesi, i Lincei pensarono a lui come nuovo Principe, ma la proposta non andò, in porto. È certo comunque che il C. diede tutte le sue energie intellettuali alle attività dell'Accademia: partecipò, ad esempio, al lavoro di edizione e di arricchimento, per la parte botanica e mineralogica, del Tesoro messicano (ossia Rerum medicarum Novae Hispaniae Thesaurus..., Romae 1628 e 1651), di cui scrisse il decimo ed ultimo libro sui minerali (Annotationes et additiones, pp. 843-899) e corresse varie parti, oltre a rivedere la nomenclatura.
La concezione dell'opera, che fonda il confronto tra la flora americana e quella europea su una visione unitaria della natura, organica architettura di cui l'uomo con l'attenta osservazione indaga la sapienza nascosta, era condivisa dal C.; la sua corrispondenza con lo Stelluti è ricca di precise indicazioni sullo svolgimento del complesso lavoro di preparazione editoriale.Gli interessi del C. si volgevano anche in altre direzioni: contemporaneamente al De purpura apparve De glossopetris dissertatto (come appendice della cit. seconda ediz. della Minus cognitarum stirpium... pars altera, del 1616 e successivamente Romae 1747), uno scritto di paleontologia che viene considerato tra i primi nei quali si definisca scientificamente l'origine animale della glossopetra e delle conchiglie fossili. In tale opera infatti, ben prima di N. Stenone, il C. dimostra che la glossopetra non è una lingua di serpe ma un dente di squalo, descrive conchiglie fossili del Matese e di Andria in Puglia ed accenna alla sedimentazione per strati giungendo a differenziare i depositi marini, lacustri e fluviali con i fossili ivi contenuti. Inventò pure uno strumento musicale a cinquanta corde, simile al clavicembalo, descritto ne La sambuca lincea.., overo Dell'istromento Musico Perfetto Lib. III di Fabio Colonna Linceo Ne' quali oltre la descrittione, et costruttione dell'Istromento si tratta della divisione del Monocordo della proportione de Tuoni Semituoni, et lor minute parti. Della differenza de tre geni di Musica, de Gradi Enarmonici et Chromatici; et in che differiscono da quelli de gli Antichi... Con l'organo Hydraulico, di Herone Alessandrino... In Napoli appresso Costantino Vitale nell'anno 1618 (dedicato al pontefice Paolo V Borghese), ove si danno calcoli sulle vibrazioni, si, determinano molteplici possibilità di" mutazioni", nel senso antico e tecnico dei termine, e vengono offerte varie immagini di strumenti; di esso il C. riferisce (p. 72) "che con tal misura n'abbiamo fatto fare uno dall'eccellente Maestro in tali strumenti Francesco Beghini Lucchese commorante in Napoli che è riuscito come si desiderava di perfettione". Nel 1619 si recò a Roma, forse attratto dalla speranza di qualche beneficio; andò a trovare il Cesi ad Acquasparta, poi tornò a Napoli dove l'aspettava una lunga lite giudiziaria per questioni di eredità. Le sue condizioni economiche si facevano sempre più difficili: tentò di farsi assumere come avvocato e disegnatore dal viceré, pensò di andarsene da Napoli, dove la situazione economica era piuttosto difficile, ma la sua salute era notevolmente peggiorata, nonostante le cure di M. A. Severino.
Le notizie sugli ultimi suoi anni sono piuttosto scarse: si sa solo di una polemica con Pietro Castelli nel 1625, a proposito dell'Aro egizio, che però non ebbe seguito.
Amico e corrispondente dei più alti ingegni del suo tempo, dal Cesi al Galilei (cui consigliava prudenza nelle cose teologiche), dal Campanella al Della Porta a Charles de L'Ecluse; botanico, zoologo, fisico, geologo, incisore, dispiegò la sua costante attività in uno studio paziente della natura, staccandosi a poco a poco dall'osservanza dei testi classici per giungere ad un confronto dei caratteri dei vegetali centrato soprattutto sul fiore e sul seme dei quali caratteri si valse per stabilire le affinità e collocare vicine piante fino ad allora ritenute distanti, come si rileva dalla lettura di ΄Εκϕρασις altera. Fondò molte specie nuove e stabili anche alcuni generi nuovi come Coesia, Barberinia, Columnia, ecc. Linneo definì il C. "primo di tutti i botanici" e il Tournefort gli riconobbe la scoperta della "constituendorum generum ratio" e ne adottò terminologia edescrizioni. È pur vero che la descrittiva del C., poco sistematica, fu causa di fraintendimenti e confusioni, finché M. Tenore nel 1816, dopo i tentativi di D. Cirillo, V. Petagna e K. Sprengel, descrisse analiticamente le piante identificate dal Colonna. Il suo contributo fu comunque fondamentale nell'identificazione del Ranunculus aquatilis umbilicatus, dell'Alisma, della Phytaeuma minus e di altre piante, anche per le splendide incisioni in rame di vegetali al naturale o di particolari ingranditi, da lui realizzate per la prima volta a scopo scientifico.
Il C. morì a Napoli il 25 luglio 1640 e fu sepolto nella chiesa dell'Annunziata.
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