CARAFA, Fabrizio
Appartenente al ramo dei Carafa della Spina, nacque in data imprecisata da Girolamo, conte di Grotteria e marchese di Castelvetere, e da Livia Spinelli. Nell'anno 1570 successe al padre nei domini feudali calabresi, il cui reddito veniva valutato alcuni anni dopo, nel 1574, intorno ai 4.500 ducati annui. Il processo di riduzione subito dalla signoria dei Carafa a partire dalla metà del sec. XVI, per le cospicue alienazioni delle terre che costituivano la contea di Grotteria, fu compensato dall'acquisto operato dal C., nel 1588, di altri domini sulla costa ionica, la contea di Condoianni e la baronia di Bianco.
I due feudi, che facevano precedentemente parte dei domini dei Marullo, i quali continueranno a portare il titolo comitale di Condoianni, furono acquistati per 71.000 ducati. Si trattava di terre a forte produzione olearia, caratteristica anche di Castelvetere, nel cui territorio si trovavano anche alcune miniere d'oro e d'argento.
Successivamente, nel 1589, il C. ottenne il privilegio di poter riedificare i casali di Santa Maria della Grazia e di Campoli e nel 1591 fondò il casale di Fabrizia nel territorio di Siderno.
Era, questo della fondazione di nuovi centri o della ricostruzione di antichi, uno dei modi seguiti dalla feudalità calabrese per far fronte all'emigrazione che, in relazione alla mutata condizione dell'economia e della società locali, si andò progressivamente intensificando a partire dalla fine del sec. XVI. Si trattava di uno sforzo di ricostruzione e di riassestamento che, tuttavia, non si accompagnò ad ampie concessioni statutarie alle popolazioni, come quelle che nei secoli precedenti avevano caratterizzato la fondazione di nuovi centri, chiara manifestazione, questa, del processo di rafforzamento economico e sociale del baronaggio, che si verifica a partire dalla fine del sec. XVI.
Di questo processo il C. appare una tipica espressione. Nel 1605 amplia ancora i suoi possedimenti mediante l'acquisto, per 40.300 ducati, di Arpaia nella provincia di Principato Ultra, dal marchese Francesco de Guevara. Dai viceré del tempo ottenne di poter tenere mercato nei suoi possedimenti di Castelvetere, Roccella e Siderno, venendo così ad esercitare uno degli iura regalia che il governo, nonostante le alienazioni fattene nella seconda metà del Cinquecento, dimostrava di tenere in particolare considerazione. Cercò anche di acquistare dal Demanio, per 126.000 ducati, le foreste e difese precedentemente utilizzate per gli allevamenti equini della "Regia Razza" di Calabria, ma prevalse l'offerta di 200.000 ducati avanzata dal marchese di Arena. Anche la contea di Grotteria, che, nella seconda metà del Cinquecento, era passata dai Carafa alla famiglia d'Aragona de Ajerbo, fu riacquistata dal C. per 68.400 ducati, molto probabilmente alla fine della sua vita, essendo stato spedito l'assenso regio dopo la sua morte.
Con il C. le fortune di questo ramo della famiglia mutarono, dunque, profondamente rispetto alla metà del Cinquecento; prova ne sia che già alla fine del secolo le entrate feudali del C. venivano valutate dall'agente del granduca di Toscana a Napoli intorno ai 25.000 ducati annui, che sarebbero stati spesi "alla napoletana", cioè "in vanità". La cosa suscitava evidentemente la riprovazione dell'agente, che aggiungeva anche un giudizio di mediocrità sulla personalità del principe (Ceci, p. 126).
Il C. sposò Giulia Tagliavia d'Aragona, dei principi di Castelvetrano - il cui padre Carlo fu viceré di Catalogna e governatore dello Stato di Milano - e ne ebbe nove figli: Girolamo, Carlo, Simone, Vincenzo, Iacopo, Giovanni Battista, Francesco, Pietro, Emilia. A Napoli costruì un sontuoso palazzo nella strada di Nido, manifestazione della ricchezza di cui godeva la sua casa.
Più volte i possedimenti calabresi del C. furono esposti alle scorrerie dei Turchi ed in una di queste occasioni, nel 1594, egli si segnalò particolarmente difendendo Castelvetere contro Hassān Cighāleh. Il 24 marzo di quello stesso anno il C. ottenne da Filippo II il titolo di principe sul feudo di Roccella, la prima di numerose onorificenze. Fu, infatti, nominato nel 1600, con una provvisione di 600 ducati all'anno, consigliere del Collaterale; nel 1622 fu investito del titolo di principe del Sacro Romano Impero dall'imperatore Ferdinando II; nello stesso anno ricevette da Filippo IV l'Ordine del Toson d'oro.
Dovette avere una certa risonanza nella opinione pubblica napoletana del tempo la questione di precedenza che, in occasione della consegna del collare, oppose il C. ed il principe di Avellino, per cui fu necessario che il viceré e gli altri cavalieri dell'Ordine esprimessero il proprio voto sulla questione, che fu sfavorevole al Carafa.
Il C. ebbe una parte notevole nella repressione della congiura di Tommaso Campanella nel 1599. Secondo l'Amabile, il C. aveva precedentemente dimostrato una certa benevolenza nei confronti del frate, apprezzandone anche alcuni scritti. Ma, quando l'attività di quest'ultimo prese la piega della congiura, il C. si unì a Carlo Spinelli, suo zio, nell'organizzazione della repressione e furono proprio i suoi uomini a catturare il frate, il 6 sett. 1599, e a tradurlo nelle carceri di Castelvetere.
Nel 1600 fu a Roma, al seguito del viceré conte di Lemos che vi si recava, in occasione del giubileo, in qualità di ambasciatore del nuovo re di Spagna Filippo III, a rendere obbedienza a Clemente VIII. Si può ritenere che non siano stati anni facili per il C., come per gran parte della nobiltà, gli anni del viceregno del duca d'Ossuna (1616-1620), ma già all'indomani del richiamo di quest'ultimo in Spagna ritroviamo il C. al suo solito posto nella vita napoletana e pare che fosse tanta la considerazione di cui godeva presso la corte che, quando sembrò presentarsi l'esigenza di un temporaneo allontanamento del viceré duca d'Alba (1622-1629), secondo l'Aldimari, si pensò a lui per la luogotenenza.
Proprio con il duca d'Alba il C. ebbe un grave contrasto. Ne fu causa la sua opposizione alla decisione del viceré di far giungere a Napoli, per uso della città e delle sue molte fontane, le acque di Sant'Agata e di Airola, operazione che, oltre ad essere ostacolata da alcuni nobili che vantavano diritti di proprietà su quelle acque, era ritenuta troppo dispendiosa. Il C. dovette ritirarsi, per sfuggire alle ritorsioni dell'Alba, nella chiesa di S. Maria di Piedigrotta, di dove uscì all'avvento del nuovo viceré duca d'Alcalá nel 1629.
Morì il 6 sett. 1629, lasciando, come afferma un cronista del tempo, "la sua casa molto ben posta" (Aggionta, p. 147).
Al suo primogenito andava, in eredità, un patrimonio, feudale le cui entrate venivano valutate intorno ai 12.000 ducati annui - un reddito elevato, se pure più basso rispetto a quello percepito dal C. alla fine del Cinquecento, presumibilmente a causa della crisi monetaria che travagliò il Regno di Napoli nel secondo decennio del sec. XVII -, mentre gli altri suoi figli avevano già raggiunto ragguardevoli posizioni sociali ed economiche.
Fonti e Bibl.: Arch. di St. di Napoli, Spoglio delle significatorie dei relevi, I, f. 450; II, f. 166; Cedolari, 80, ff. 18-19; Relevi, 356, ff. 349-350; Napoli, Soc. napol. di storia patria, ms. XXI C 7, ff. 191-202; S. Guerra, Diurnali, a cura di G. de Montemayor, Napoli 1891, pp. 476 s.; [F. Bucca d'Aragona], Aggionta alli Diurnali di Scipione Guerra, in Arch. stor. per le prov. nap., XXXVI (1911), pp. 137, 147; G. C. Capaccio, Il forastiero, Napoli 1634, pp. 544 s.; D. A. Parrino, Teatro eroico e polit. de' governi de' viceré del Regno di Napoli, II, Napoli 1692-94, p. 180; B. Aldimari, Historia genealogica della famiglia Carafa, Napoli 1691, 1, pp. 277-304; L. Giustiniani, Dizionario geograf. ragionato del Regno di Napoli, I, Napoli 1797, p. 305; L. Amabile, Fra Tommaso Campanella, Napoli 1882, I, pp. 137, 255, 277; G. Ceci, I feudatari napol. alla fine del sec. XVI, in Arch. stor. per le prov. napol., XXIV (1899), p. 126; G. Galasso, Economia e società nella Calabria del '500, Napoli 1967, pp. 36 s., 108, 157, 199; R. Villari, La rivolta antispagnola a Napoli, Bari 1967, p. 277; C. Celano, Notizie del bello,dell'antico e del curioso della città di Napoli, Napoli 1970, II, p. 890.