Fatica
La fatica (dal latino fatigo, "mi stanco"), o astenia (dal greco ἀσθένεια, "debolezza", composto di ἀ- privativo e σθένος, "forza"), è un sintomo tanto frequente quanto generico nella sua definizione, che descrive sensazioni varie e aspecifiche, quali la debolezza muscolare, la svogliatezza, la perdita di interessi ecc., cioè una serie di situazioni o sensazioni che possono essere in rapporto con cause organiche, e quindi più propriamente somatiche, o psichiche, o entrambe. Una discriminazione netta tra le varie forme è assai difficile, in quanto un'astenia psichica può rappresentare una reazione di allarme o una manifestazione prodromica di una malattia somatica, di contro una malattia organica può avere ripv.ercussioni di ordine psicologico. Le astenie di origine psichica sono quasi sempre generalizzate, anche se tale caratteristica è propria anche di numerose forme di natura organica, come per es. quelle che accompagnano o seguono le malattie infettive, neoplastiche, ematologiche, endocrine, metaboliche, oppure sono in relazione con l'assunzione di farmaci o di sostanze voluttuarie. Le forme localizzate riconoscono sempre una genesi organica e sono soprattutto in rapporto con le malattie neuromuscolari e le miopatie. Le forme miste psicorganiche, infine, sono anch'esse pressoché costantemente generalizzate. Numerosi elementi anamnestici e obiettivi contribuiscono a differenziare le astenie psichiche da quelle organiche: durata, modalità di esordio, carattere sporadico o continuo, ritmo circadiano, estensione, rapporto cronologico con malattie o eventi di possibile riferimento causale, associazione eventuale con altri sintomi o segni, evoluzione sia nel tempo sia nell'intensità ecc.
1.
La fatica è un fenomeno complesso e non del tutto chiarito che si manifesta a seguito di un'intensa e prolungata attività e che consiste in un deterioramento delle capacità funzionali di un singolo organo o apparato (fatica locale), o dell'organismo nel suo complesso (fatica generale). Essa dipende da una molteplicità di fattori, alcuni dei quali sono stati ben identificati mentre altri, soprattutto quelli riguardanti il coinvolgimento della sfera psichica, devono essere ulteriormente indagati.
La fatica locale è generalmente riconducibile a fattori organici che possono essere sottoposti a indagini quantitative, le quali consentono, tra l'altro, di predire la riduzione della capacità funzionale con un notevole grado di precisione. Per es., la causa della fatica muscolare è da ricercare nella diminuzione dei composti altamente energetici necessari per la contrazione o nell'accumulo di prodotti terminali del metabolismo del muscolo stesso. Nel caso della fatica sensoriale, ricerche sistematiche hanno messo in evidenza che a seguito di stimolazione ripetuta e protratta un recettore va più rapidamente incontro ad adattamento; la fatica insorge tanto più celermente quanto più intensa e prolungata è la stimolazione e scompare dopo un periodo di riposo.
Numerosi studi hanno riguardato, in particolare, la fatica uditiva e quella visiva. La fatica uditiva, misurata come innalzamento della soglia uditiva, varia da pochi secondi ad alcuni minuti, in rapporto alla frequenza del suono stimolante, e dura più a lungo per i toni acuti che per quelli bassi. Nel caso di esposizione prolungata ad ambienti eccessivamente rumorosi, l'innalzamento della soglia uditiva può persistere per un tempo molto lungo fino a diventare cronico. È stato osservato che dopo stimolazione di un solo orecchio l'acuità uditiva diminuisce anche nell'orecchio del lato opposto e questo dato sta a indicare che nel fenomeno interviene anche un fattore dipendente dal sistema nervoso centrale. La fatica visiva può essere accertata ricorrendo all'uso di diversi procedimenti diagnostici, tra i quali vi è la misura della frequenza di fusione del lampeggiamento: questa indica lo stato di eccitabilità della retina e dei centri nervosi che sono implicati nella visione. Lo stato di affaticamento si manifesta con una riduzione della frequenza di fusione e può presentarsi a seguito di attività lavorative che implichino una notevole attenzione visiva.
I sintomi della fatica generale sono molto complessi e includono componenti psicologiche difficilmente quantificabili, quali noia, perdita della capacità attentiva, sonnolenza ecc. La fatica generale può insorgere acutamente a seguito di uno sforzo fisico intenso e, in tal caso, si associa alla fatica locale dei muscoli impegnati nell'azione. I fattori che determinano la fatica generale acuta sono in parte di natura organica e per lo più riconducibili al metabolismo energetico del muscolo e ad alterazione dei riflessi nervosi. Altri fattori sono di natura psichica e appaiono di più difficile determinazione; essi si pongono in relazione con il progressivo deterioramento delle funzioni superiori, quali l'attenzione e l'interesse per il compito da eseguire.
Ancora più complesso è lo studio della fatica generale che si presenta, in forma cronica, a seguito della tediosa ripetizione di un lavoro leggero e facile ma poco stimolante, o di un'attività troppo prolungata, di preoccupazioni e disadattamento nei confronti dell'ambiente. In questo caso, i fattori psicologici, sociali e socioeconomici risultano di gran lunga più importanti di quelli fisiologici. Gli studi di psicologia del lavoro hanno evidenziato alcuni dei sintomi più salienti di questa condizione, che consistono in stanchezza, perdita di interesse per il lavoro e per altre attività quotidiane, insonnia, irritabilità e instabilità emozionale. Assai frequentemente l'alterazione psichica determina anche un deterioramento delle funzioni vegetative.
2.
L'applicazione protratta di stimoli ripetuti provoca dopo un certo tempo l'affaticamento del muscolo, che si manifesta con una progressiva diminuzione della sua risposta meccanica. La fatica muscolare deve essere considerata come una risposta fisiologica conseguente a un sovraccarico funzionale e viene agevolmente superata con il riposo e il ripristino delle riserve energetiche dell'organismo. Un indice pratico ed efficace per la sua valutazione è rappresentato dalla diminuzione del valore della forza massima che può essere sviluppata da un determinato muscolo o gruppo muscolare.
La fatica muscolare è un fenomeno complesso, del quale, nonostante siano stati condotti in proposito numerosi studi, non sono state ancora interamente accertate le sedi e le cause. Si suppone generalmente che l'affaticamento abbia come fondamento alterazioni funzionali del muscolo stesso, della giunzione neuromuscolare e delle componenti del sistema nervoso che regolano l'attività motoria.
a) Fattori muscolari. L'accumulo di acido lattico è uno dei fattori muscolari correlati con il declino della forza massima sviluppata. Affinché il meccanismo contrattile del muscolo possa protrarre nel tempo la sua capacità di compiere lavoro, si deve raggiungere un equilibrio tra fornitura aerobica di energia e fabbisogno energetico. Se quest'ultimo non può essere coperto per via aerobica, subentra la liberazione anaerobica di energia con conseguente accumulo di acido lattico nelle fibre muscolari. Il meccanismo mediante il quale l'acido lattico può ostacolare il processo di contrazione è riconducibile agli effetti di questo sul pH intracellulare. All'aumentare dell'acido lattico il pH diminuisce e questa alterazione biochimica dell'ambiente intracellulare determina la riduzione della quantità di ioni Ca²⁺ che sono liberati dal reticolo sarcoplasmatico e l'inibizione di alcuni enzimi chiave della glicolisi anaerobica. Tale inibizione rallenta la glicolisi e, conseguentemente, riduce la disponibilità di adenosintrifosfato (ATP) per l'erogazione di energia.
Un altro importante fattore della fatica muscolare è l'esaurimento delle scorte di ATP, di fosfocreatina e di glicogeno nel muscolo stesso. L'ATP, che è l'unica sorgente diretta di energia per la contrazione, è contenuto nel muscolo in quantità assai esigue (4-6 mmol/kg di muscolo) sicché, per es., nello sforzo fisico strenuo viene esaurito entro alcuni secondi. Analogamente, la fosfocreatina, che rappresenta la fonte energetica più rapidamente disponibile per una nuova sintesi dell'ATP, è contenuta nel muscolo nella concentrazione di 15-17 mmol/kg di muscolo. Sebbene non siano ancora disponibili risultati sperimentali conclusivi, si ritiene comunemente che la deplezione muscolare di ATP e di fosfocreatina possa comportare l'instaurarsi della fatica.
Per quanto riguarda il glicogeno muscolare, è stato dimostrato che durante l'esercizio fisico protratto (oltre i 30 min), le scorte di questo materiale energetico (13-15 g/kg di muscolo) vengono pressoché completamente esaurite; si pensa che una deplezione di glicogeno così spinta possa essere una causa della fatica muscolare malgrado permanga la disponibilità di altri combustibili, quali per es. gli acidi grassi.
b) Giunzione neuromuscolare. La giunzione neuromuscolare è la struttura mediante la quale il motoneurone stimola la fibra muscolare inducendo in essa il processo di contrazione; la trasmissione dell'eccitamento dal neurone alla fibra muscolare viene attuata mediante la liberazione del mediatore chimico acetilcolina. La fatica di trasmissione insorge in seguito a un'eccitazione prolungata del motoneurone a frequenza elevata. In questo tipo di fatica, la stimolazione diretta del muscolo dimostra che questo non ha perduto la sua capacità contrattile, anche quando la sua risposta alla stimolazione del nervo appare considerevolmente ridotta. La fatica di trasmissione può essere attribuita a una diminuita capacità della giunzione neuromuscolare di trasmettere gli impulsi nervosi alla fibra muscolare. La causa di questa alterazione potrebbe risiedere nella diminuzione della velocità di formazione e di liberazione del mediatore acetilcolina da parte della terminazione nervosa del motoneurone.
c) Sistema nervoso centrale. La fatica che incide sulla prestazione muscolare, sia essa sportiva o lavorativa, è stata anche messa in correlazione con un possibile affaticamento dei centri nervosi che regolano l'attività motoria. La fatica dei centri motori è stata dimostrata mediante l'impiego di diverse tecniche, quali, per es., la misura dei tempi di reazione e la somministrazione di test atti alla valutazione dell'attività di coordinazione. È stata, in tal modo, avanzata l'ipotesi che, quando il muscolo si affatica, da questo possano essere inviati al sistema nervoso segnali in grado di determinare fenomeni inibitori nelle cellule nervose del sistema motorio.
3.
A seguito del riposo, la fatica diminuisce fino a scomparire e le alterazioni fisico-chimiche caratteristiche del muscolo affaticato vengono progressivamente rimosse. L'insieme dei fenomeni che si verificano durante una pausa di riposo che segue l'esercizio viene generalmente indicato con il termine restauro. Le finalità del processo di restauro sono la ricostituzione delle riserve energetiche muscolari, depauperate durante la contrazione, e la rimozione dell'acido lattico accumulato. Le riserve di ATP e di fosfocreatina vengono rapidamente ricostituite durante i primi 3-5 min del restauro, mentre per il ripristino delle riserve di glicogeno muscolare possono rendersi necessari anche parecchi giorni e l'assunzione di carboidrati con la dieta. La rimozione dell'acido lattico, accumulatosi nel sangue e nel muscolo durante l'esercizio, può richiedere fino a oltre 60 min e avviene prevalentemente mediante due reazioni: la conversione in glucosio e l'ossidazione fino ad anidride carbonica e acqua. La riconversione in glucosio riguarda soltanto una frazione minore dell'acido lattico complessivamente rimosso e avviene nel fegato e nel muscolo. L'ossidazione si svolge soprattutto nel muscolo scheletrico, ma si verifica anche nel cuore, nei reni, nel fegato e nel cervello. L'individuo è in grado di valutare soggettivamente con buona precisione il livello del proprio affaticamento e del successivo restauro. Coloro che praticano abitualmente esercizio fisico intenso, per es. gli atleti, hanno una migliore percezione della fatica. Non è chiaro se tale apprezzamento sia basato sulla percezione cinestesica della forza erogata dai muscoli o su una particolare sensibilità, in grado di dare indicazioni circa l'impegno funzionale dei vari apparati che sono al servizio della prestazione fisica. Peraltro, numerosi sono gli indici fisiologici che possono essere utilizzati per monitorare obiettivamente l'approssimarsi dello stato di affaticamento. I più utilizzati sono: diminuzione della forza e della capacità di lavoro; modificazioni ematochimiche, quali la concentrazione dell'acido lattico e la diminuzione della riserva alcalina; alterazioni della funzione cardiocircolatoria con particolare riferimento alla frequenza cardiaca e alla pressione arteriosa; alterazioni della frequenza e della profondità del respiro; variazioni del quoziente respiratorio; aumento della temperatura corporea; scadimento della coordinazione motoria.
Negli ultimi anni, grande interesse ha sollevato, all'interno della comunità scientifica, l'identificazione di una particolare forma di astenia, che ha assunto dignità di ben definita sindrome a sé stante ed è stata denominata sindrome da fatica cronica. Si tratta di una forma che ha numerosi precedenti storici anche lontani, ma che non aveva ricevuto finora un preciso inquadramento nosografico. Diverse condizioni morbose, per le quali in passato sono state utilizzate le più varie denominazioni - febricula, neurastenia, neuromiastenia, esaurimento nervoso, astenia neurocircolatoria, mononucleosi cronica, brucellosi cronica, encefalomielite mialgica, sindrome di Da Costa, malattia dell'Islanda, sindrome dello yuppie e molte altre ancora - possono tutte essere verosimilmente ricondotte a questa nuova entità nosografica, le cui caratteristiche sono state identificate sulla base di rigorosi criteri, peraltro soggetti a sempre nuovi aggiornamenti e integrazioni.
I criteri fissati dai Centers for disease control and prevention statunitensi sono distinti in maggiori e minori. I criteri maggiori sono due: un'astenia persistente o ricorrente o una facile stancabilità, che duri da almeno sei mesi e comporti una riduzione delle attività precedentemente svolte pari ad almeno il 50%; l'esclusione, per mezzo dell'anamnesi e degli esami di laboratorio, di altre patologie che possono manifestarsi con questo sintomo. I criteri minori sono molto più numerosi e comprendono sia sintomi sia segni obiettivi. Tra i sintomi, la cui comparsa deve coincidere con quella dell'astenia o essere a essa immediatamente successiva, e che devono essere anch'essi presenti da almeno sei mesi, si distinguono: febbre (37,6-38,6 °C), faringodinia, linfoadenopatia cervicale o ascellare, debolezza muscolare generalizzata, mialgie, stanchezza prolungata (24 ore o più) e generalizzata dopo un esercizio fisico che in precedenza poteva essere facilmente tollerato dal paziente, cefalea con caratteristiche diverse rispetto a quella di cui il paziente eventualmente soffrisse già prima dell'inizio della malattia, artralgie migranti, disturbi di tipo neuropsichico (di cui uno almeno dei seguenti: fotofobia, scotoma transitorio, irritabilità, confusione, difficoltà di concentrazione, disturbo di memoria, depressione), turbe del sonno (ipersonnia o insonnia), esordio improvviso dei sintomi. I segni obiettivi sono rappresentati da febbre documentata dal medico in almeno un'occasione, faringite non essudativa, linfoadenopatia cervicale o ascellare. Per la definizione di caso della sindrome devono essere soddisfatti entrambi i criteri maggiori e almeno 8 di quelli minori (8 sintomi, oppure 6 sintomi e 2 segni obiettivi).
Quanto all'eziologia, essa è verosimilmente multifattoriale. Alterazioni del sistema immunitario (documentate, tra l'altro, dalla riduzione dei livelli sierici del complemento, dalla diminuzione delle cellule natural killer, dalla somiglianza di molti sintomi con quelli che accompagnano la somministrazione di interferone o di interleuchine) potrebbero favorire la persistenza in circolo di agenti virali (molti sono quelli incriminati, anche se non si sono mai ottenute dimostrazioni certe del loro specifico intervento nella genesi della sindrome), portando all'attivazione di sistemi cellulari e alla conseguente produzione di citochine e di altri mediatori, responsabili di gran parte dei disturbi lamentati da questi pazienti. Un ruolo patogenetico è stato attribuito anche a un'alterazione ipotalamica, che sembrerebbe spiegare molti dei sintomi più caratteristici, quali le turbe del sonno, i disturbi della memoria, l'inappetenza, il calo ponderale, le irregolarità del ciclo mestruale, la sudorazione ecc.
La prognosi è generalmente favorevole, anche se molto spesso nel lungo termine; la terapia è essenzialmente sintomatica e di supporto, stanti le incertezze che ancora si hanno riguardo alle possibili cause e ai meccanismi patogenetici.
Alla sindrome da fatica cronica è stata riconosciuta, da parte di molte importanti organizzazioni sanitarie internazionali, una priorità tra le nuove ed emergenti malattie e numerosi sono gli studi in corso che cercano di fare luce su questa patologia che presenta ancora molti lati oscuri, ma la cui prevalenza nella popolazione generale è tutt'altro che trascurabile, essendo stata calcolata intorno all'1-2‰. È da notare, peraltro, che la sindrome comporta notevoli costi, oltre che umani, anche economici, in quanto ne sono preferenzialmente colpiti soggetti giovani nel pieno della loro capacità produttiva (per lo più di sesso femminile e con un'età media compresa tra i 35 e i 40 anni).
Il peso della componente fisiologica e psicologica nell'instaurarsi della condizione di fatica varia in funzione del tipo di impegno che viene richiesto all'uomo nel lavoro: se le attività manuali implicano soprattutto sforzo fisico, altre invece comportano un notevole dispendio di energie mentali.
Fino alla metà degli anni Ottanta del 20° secolo, nei paesi industrializzati i lavori a prevalente coinvolgimento fisico erano più numerosi rispetto al presente. Nel panorama odierno, dominato dalle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, la stragrande maggioranza delle persone svolge lavori a elevato, a volte esclusivo, impegno mentale. Lo studio delle componenti mentali della fatica è perciò divenuto di cruciale importanza per la progettazione, l'analisi, la valutazione del lavoro, e costituisce un tema centrale dell'ergonomia, la disciplina che ha l'obiettivo di progettare ambiente, organizzazione, posto, strumenti e contenuto del lavoro in modo da renderli compatibili con le capacità e i limiti psicofisiologici dell'uomo. Quest'area di ricerca ha acquisito di recente una sua piena autonomia con lo sviluppo dell''ergonomia cognitiva', che focalizza l'attenzione sull'attività cognitiva nel lavoro e descrive il funzionamento della mente come un sistema di elaborazione dell'informazione: impostazione che si rivela molto efficace per prevedere sia il comportamento dell'uomo nell'ambito del lavoro, sia la sua percezione degli stati di fatica mentale.
Dati osservativi, esperimenti, nonché l'esperienza soggettiva, mostrano che il sistema umano di elaborazione dell'informazione nel suo insieme, ma anche singoli sottosistemi che lo compongono (per es., la memoria di lavoro e l'attenzione) e la gran parte dei meccanismi e processi che agiscono al suo interno (per es., i meccanismi di programmazione dei movimenti e l'orientamento dell'attenzione nello spazio), presentano limiti strutturali, temporali e quantitativi (Bagnara 1984). Quando non vengono rispettati i limiti di tempo (troppa pressione temporale), di quantità (eccessiva informazione da trattare) e di specializzazione (richiesta di elaborazione di informazione non appropriata) dei sottosistemi e meccanismi da attivare nell'esecuzione dei compiti, si stabiliscono situazioni di 'sovraccarico di lavoro mentale'. In questi casi si osserva un deterioramento della prestazione: si commettono più errori, viene trascurata informazione rilevante per il compito, il lavoro procede senza alcun piano, il comportamento si destruttura fino al blocco dell'attività corrente. Tali effetti sono di solito temporanei, scompaiono quando l'attività e l'impegno ridiventano compatibili con la capacità di elaborazione dei meccanismi mentali impiegati; anche l'attività rimasta bloccata riprende a procedere con regolarità.
Il sovraccarico di lavoro è accompagnato da alcune sensazioni tipiche: inadeguatezza e smarrimento, paura di non farcela, ansia per l'incapacità di far fronte alla pressione degli eventi, bisogno di sottrarsi alla situazione e, nei casi estremi, fuga dal compito. Queste sensazioni variano per intensità e durata in rapporto al livello del carico di lavoro mentale. Generalmente la prestazione ritorna normale in modo abbastanza rapido, mentre il recupero della percezione di benessere può richiedere tempi più lunghi.
Quando le situazioni di sovraccarico di lavoro mentale si susseguono, si stabilisce un primo tipo di processo di affaticamento, in conseguenza del quale si verificano una caduta sempre più grave del benessere e una tolleranza sempre più limitata del carico di lavoro. Uno stato di fatica mentale è quindi il prodotto di un processo di accumulazione nel tempo di effetti di situazioni di sovraccarico e presenta componenti relative alla prestazione (e dunque cognitive) e componenti relative alla percezione del proprio stato di benessere (e dunque emotive e psicologiche, in senso lato).
Nell'uomo, l'insieme dei meccanismi e dei processi che entrano in gioco nell'elaborazione di informazione è alimentato da un sistema di erogazione di risorse, detto reticolare ascendente. Anche questo sistema è a capacità limitata e tende a produrre risorse in modo economico, ossia in funzione delle richieste del lavoro che si sta eseguendo e della motivazione che esso induce (Kahneman 1973). Nell'esecuzione di operazioni molto semplici, tipiche dei lavori manuali e impiegatizi concepiti secondo l'impostazione di F.W. Taylor, l'erogazione delle risorse si attesta su livelli molto bassi, divenendo minima quando il lavoro è ripetitivo, rigidamente predeterminato nelle sue modalità e nei suoi ritmi. In queste condizioni, chi lavora deve cercare di produrre volontariamente risorse; tuttavia, tale situazione è difficile da mantenere e nel tempo si assiste, dunque, a un progressivo degrado della prestazione. È questa la situazione di 'sottocarico di lavoro mentale'. Anche in questo secondo tipo di processo di affaticamento la prestazione non è esente da errori. Nel tentativo di mantenere una certa vigilanza, si controlla intenzionalmente l'attività prestando attenzione anche nei casi in cui non è necessario, anzi dannoso: si perde così la fluidità che caratterizza l'esecuzione di attività per le quali si è allenati tanto da poterle svolgere automaticamente, 'a occhi chiusi'. Questo processo di affaticamento è accompagnato da noia e sensazione di spossatezza; si perde interesse per l'attività corrente, si innescano meccanismi di estraniazione e di fuga nell'immaginario e nella fantasticheria: è in questa scissione che va ricercata l'origine degli stati di alienazione che contraddistinguono il lavoro nelle fabbriche. Effetti e sensazioni simili si osservano anche quando l'organizzazione del lavoro richiede di mantenere per lungo tempo uno stesso livello di impegno, nonostante esso risulti ottimale quando sostenuto per una durata ragionevole. Anche un'attività percepita come un impegno cognitivo di qualità soddisfacente, perché non dà luogo a sensazioni di noia o di sovraccarico di lavoro (per es. la correzione delle bozze di un articolo interessante), se condotta per lungo tempo su uno stesso piano di impegno (per es. il controllo dell'ortografia), produce affaticamento; non consente infatti di soddisfare un bisogno primario del sistema cognitivo umano: la ricerca della varietà. L'assenza di varietà e la costrizione nel livello di impegno, imposte dalle organizzazioni gerarchiche del lavoro anche a chi non svolge operazioni semplici e ripetitive, producono quindi un terzo tipo di processo di affaticamento.
L'attività mentale non si esaurisce mai nelle operazioni di un singolo meccanismo. È sempre necessario dedicare risorse a coordinare e controllare l'insieme dell'attività mentale, l'andamento e i risultati del lavoro di ciascun processo utilizzato, gli effetti delle azioni e l'evoluzione dell'ambiente fisico e sociale. Si avverte dunque sovraccarico anche rispetto alla situazione complessiva (organizzativa, sociale e ambientale) nella quale si opera. Pure un compito semplice diventa di impossibile gestione se si colloca all'interno di una situazione sociale molto impegnativa, emotivamente pesante. Questa situazione esemplifica il 'sovraccarico di lavoro mentale organizzativo' (Leplat 1978), che presenta effetti sulla prestazione e sensazioni soggettive simili a quelli ricordati per il sovraccarico relativo a un singolo compito, ma ben più pesanti e globali. Gli errori hanno conseguenze ad ampio raggio, in quanto sono errori sistemici. Risulta destrutturato e disorganizzato non tanto il comportamento in una specifica attività quanto il comportamento globale della persona in un intero contesto sociale o organizzativo; non è sufficiente astenersi da una mansione per recuperare una condizione di normalità: è necessario abbandonare un ambiente. La percezione di inadeguatezza investe la propria identità piuttosto che una particolare abilità; la tensione e l'ansia minano l'immagine e l'autostima; il recupero nella prestazione cognitiva è lento, ma ancora più lenti sono il recupero emotivo e il ritorno all'equilibrio psicologico.
Il susseguirsi di queste situazioni produce rapidamente l'instaurarsi di stati di fatica mentale, che evolvono altrettanto rapidamente verso forme di esaurimento e di breakdown psicofisico; inoltre, è stato dimostrato che condizioni prolungate di fatica mentale concorrono a determinare condizioni patologiche gravi, note come reazioni da stress (Selye 1956), che interessano particolarmente gli apparati digestivo e cardiocircolatorio.
Gli effetti a medio termine della fatica mentale (sensazione di incapacità di fare fronte alla situazione, perdita di controllo sull'attività corrente, ansietà ecc.) si stabilizzano e si radicalizzano nel tempo qualora i processi di affaticamento non vengano interrotti e non venga reso possibile il recupero (Cameron 1973). Nell'ambito dell'attività industriale, al fine di contrastare gli effetti dei processi di affaticamento di solito si adottano provvedimenti riguardanti il numero e la lunghezza delle pause, il miglioramento delle condizioni e la variazione nel contenuto del lavoro. La fatica, che è connessa con l'accumulo ormai avvenuto dell'affaticamento, viene trattata in termini di recupero/riposo necessario perché il sistema umano di elaborazione ritorni a funzionare in modo adeguato, e concerne quindi la lunghezza dell'orario di lavoro, del riposo settimanale e delle ferie. Gli individui, però, mettono in atto anche proprie strategie per evitare l'accumulo di fatica. Nella costruzione e adozione di queste strategie di coupling (contrasto), i processi di affaticamento sono utilizzati come segnali di un uso non funzionale delle risorse mentali, che può condurre al deterioramento dell'intero sistema di elaborazione. Tali segnali sono letti e interpretati sulla base di una rappresentazione mentale della fatica e dei processi di affaticamento che gli individui si costruiscono nella loro esperienza lavorativa e acquisiscono partecipando a una specifica cultura del lavoro. Una rappresentazione siffatta permette di riconoscere e interpretare precocemente i sintomi di fatica e di adottare le contromisure appropriate per contrastarla; consente inoltre di inibire selettivamente i segnali di fatica quando si ha un'alta motivazione, per es. quando ci si riconosce in un gruppo e nei suoi obiettivi.
Nei mutamenti radicali delle tecnologie e dell'organizzazione del lavoro cambiano anche i processi mentali impiegati e i segnali di affaticamento. Tuttavia la rappresentazione mentale e culturale della fatica non muta con la stessa rapidità: per molto tempo la rappresentazione disponibile non è in grado di riconoscere le nuove cause e forme dell'affaticamento; di conseguenza non vengono colti gli indizi dell'indebolimento e non vengono adottate (anche perché non disponibili) strategie adatte di coupling. Si arriva così molto presto al breakdown psicofisico, come è stato spesso osservato nel passaggio dalla fatica fisica del lavoro contadino a quella mentale da lavoro industriale, e come si osserva attualmente nel passaggio dal lavoro manuale a quello mentale, connesso con l'introduzione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione.
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