FATTO
Diritto. - Fatto giuridico è qualsiasi avvenimento che abbia per effetto il sorgere, l'estinguersi o il modificarsi d'un rapporto giuridico. L'avvenimento può essere un fatto naturale (per es., la nascita o la morte d'una persona) e lo stesso decorso del tempo, il quale di per sé solo può dare origine a un rapporto giuridico o porvi termine, sia indipendentemente dalla volontà di chicchessia (prescrizione acquisitiva, prescrizione estintiva), sia in relazione a una dichiarazione di volontà che abbia ricollegato al decorso del tempo il prodursi o il cessare degli effetti d'un negozio. Ma il fatto giuridico può anche consistere in un evento determinato dall'uomo, che va distinto da tutti gli altri fatti giuridici, e si chiama atto giuridico, e che a sua volta potrà essere conforme a diritto (atto lecito) o disforme al diritto (atto illecito). Se a questo ultimo l'ordinamento giuridico fa seguire un'immancabile sanzione che consiste nel ripristino, anche in forma coattiva, della norma che fu violata e - sempre che sia possibile - nella reintegrazione dei diritti subiettivi che siano stati lesi; l'atto lecito o, in quanto consista nel semplice esercizio d'un diritto, avrà assicurata invece la sua libera esplicazione, o, in quanto consista in una dichiarazione di volontà diretta o da sola o col concorso di altre a produrre effetti giuridici determinati (v. negozio giuridico), avrà la possibilità di realizzare questi effetti (es. testamento, contratto). Nessun effetto giuridico diretto produce invece per il subietto il fatto del terzo nella forma sia di dichiarazione di volontà sia di atto illecito; unica eccezione si avrà nella responsabilità per danni commessi da persone delle quali si deve rispondere o che si abbiano in custodia (v. art. 1153 cod. civ.).
Tra i fatti dell'uomo che possono produrre effetti giuridicamente interessanti, si suole infine designare tradizionalmente come fatto del principe quell'atto dell'autorità sovrana che, rendendo giuridicamente impossibile il compimento d'una prestazione, come fatto indipendente dall'obbligato lo esonera da responsabilità per mancato adempimento dell'obbligazione (v. art. 1225, 1226, 1298 cod. civ.).
Poste queste distinzioni terminologiche non sarà difficile da un punto di vista più generale valutare l'importanza del concetto che esaminiamo. Il diritto, se, come norma che si applica a tutti gli atti esteriori della vita umana, riverbera su tutti gli atti dell'uomo la possibilità di una valutazione giuridica per cui si possono tutti qualificare come conformi o disformi dalla norma e quindi come leciti o come illeciti, impone ordinariamente però un circostanziato esame anche delle condizioni e degli eventi naturali entro i quali le attività umane si svolgono, per poter rendere possibile appunto la valutazione della liceità o dell'illiceità di un comportamento, e, nel contrasto tra più interessi, la determinazione del diritto e del torto e quindi la loro giusta composizione da parte di chi sia chiamato a giudicare. Un minuzioso esame e una rigorosa determinazione delle circostanze obiettive interessanti un rapporto giuridico qualsiasi e individuanti la cosiddetta fattispecie costituiscono quindi la necessaria premessa per l'applicazione della norma giuridica, e per la decisione delle controversie portate al giudizio del magistrato. Per questo i noti brocardi ripetono da mihi factum, dabo tibi ius, ovvero ex facto oritur ius, cioè dal fatto scaturisce il diritto: il che però va inteso nel senso appunto che s'è detto, e cioè che solo dalla conoscenza esatta del rapporto di fatto si rende possibile la decisione giuridica di una controversia. Erroneo sarebbe invece il ritenere che la norma stessa scaturisca dai fatti cioè che la natura dei fatti costituisca essa stessa una fonte di diritto. A ciò osta la considerazione logica che la norma giuridica in base alla quale si deve giudicare, deve necessariamente preesistere ai fatti sui quali la valutazione si deve portare; deve preesistere all'attuazione di quei comportamenti umani che il diritto si propone appunto di guidare e di indirizzare, e non già solo di reprimere eventualmente, dopo ch'essi siano posti in essere. Considerazioni di diritto, e di diritto positivo in specie, in quanto escludono la retroattività delle norme di legge (art. 2 disp. prel. cod. civ.: art. 1 cod. pen.), confermano la considerazione di carattere logico.
La decisione d'una qualsiasi controversia, in pratica (come sempre, in teoria, la valutazione giuridica di un comportamento) presuppone quindi la necessità di porre in evidenza tutte le circostanze giuridicamente rilevanti del rapporto o della complessa situazione che interessi: ma in ciò si vede allora come l'assoluta obiettività nella rappresentazione degli estremi di fatto sia irrealizzabile, in quanto, prima ancora che la valutazione della giuridicità d'un comportamento sia fatta, l'elemento arbitrario si fa insopprimibilmente sentire nella determinazione di quelli che il singolo ritiene come elementi giuridicamente rilevanti del rapporto. Nell'arbitraria determinazione di questi elementi resta pregiudicata implicitamente la decisione della controversia.
La distinzione tra fatto e diritto, tra questione di fatto e questione di diritto, è quindi in realtà assai malagevole in molti casi; ordinariamente poi, nella pratica, tra contendenti è raro che si controverta solo sui principî giuridici che si debbano applicare a un rapporto concordemente rappresentato in tutti i suoi particolari: di regola, la diversa soluzione invocata si giustifica con la diversa impostazione in fatto del rapporto da giudicare, e cioè da una diversa rappresentazione degli elementi di fatto ch'entrano a costituire il rapporto o che si considerano come decisivi a caratterizzarlo. La decisione diventa allora necessariamente duplice: dovrà il magistrato, in primo luogo, appurare come in realtà gli avvenimenti si siano svolti, facendo luogo, ove occorra, alle necessarie prove, e in secondo luogo dovrà applicare, in base ai fatti emersi o acquisiti, la norma di diritto. Questo duplice necessario esame che dev'essere sempre compiuto per imprescindibile necessità, - e per questo il compendio dei fatti dev'essere esposto nella citazione (art. 134 cod. proc. civ., cfr. 409 cod. proc. pen.) - è espressamente imposto da precisa norma di diritto, che vuole che la sentenza contenga a pena di nullità i motivi in fatto oltre quelli in diritto (art. 361 cod. proc. civ., 475 cod. proc. pen.); possiamo anzi dire che in quel sillogismo a cui si può in sostanza ridurre ogni sentenza, i motivi in diritto costituiscono la premessa maggiore, i motivi in fatto costituiscono la premessa minore, mentre il dispositivo costituisce la conclusione. La necessaria duplicità d'un esame in fatto e in diritto della controversia può dar luogo anche all'attribuzione di essa a organi distinti. Nella nostra procedura penale, ciò si è attuato fino a poco fa nei processi davanti alle corti d'assise nelle quali i giurati erano chiamati a rispondere nelle sole questioni di fatto, lasciandosi al collegio la decisione in diritto. La distinzione tra motivi di fatto e motivi di diritto acquista poi singolare rilievo pratico per il nostro ordinamento che, ammettendo di regola un duplice grado di giurisdizione, fa luogo inoltre alla possibilità della cassazione della sentenza quando sia dimostrato che la sentenza stessa abbia violato la norma giuridica (art. 517 cod. proc. civ. e 524 cod. proc. pen.): è escluso invece che la corte di cassazione possa censurare, almeno di regola, quanto il giudice di merito ha accertato in fatto (vedi cassazione). Si noti peraltro che non è possibile dire a priori quali affermazioni siano affermazioni di diritto e quali siano affermazioni in fatto, determinandosi l'una o l'altra natura dalla funzione che l'affermazione ha nel caso concreto nell'economia del ragionamento. Ritornando allo schema del sillogismo al quale abbiamo già detto potersi ridurre ogni decisione di giudice, potremo dire che non sarà mai semplice errore di fatto quello che vizii la premessa maggiore (il principio generale o la norma che si applica): errore di diritto sarà quello che vizii la conclusione, ma sarà invece almeno di regola semplice errore di fatto quello onde sia o si affermi viziata la premessa minore, e cioè l'enunciazione della situazione di fatto.
Bibl.: B. Brugi, Istituzioni di diritto civile, Milano 1905, par. 18 segg.; C. Ferrini, Manuale di pandette, 3ª ed., Milano 1908, par. 100 segg.; L. Barassi, Istituzioni di diritto civile, Milano 1914, par. 34; O. Ciancarini, voce Fatto giuridico, in Diz. di dir. privato, diretto da V. Scialoja; B. Windscheid, Pandette (tr. di C. Fadda e P. Bensa, Torino 1902), I, ii, par. 67 segg.