CESI, Federico
Figlio di Angelo, avvocato concistoriale, e di Franceschina Cardoli, nipote del celebre condottiero Gattamelata, nacque, probabilmente a Roma, il 1ºluglio 1500.
Questa data, ricavabile dalla sua iscrizione sepolcrale, non coincide però con quanto risulta dagli atti concistoriali, ove si legge che nel giugno 1523 egli aveva venticinque anni compiuti. È possibile che l'interessato stesso - come non di rado accadeva all'epoca - non conoscesse con precisione la propria data di nascita e che pertanto avesse fatto, in epoche diverse dichiarazioni contrastanti al riguardo.
Nulla sappiamo della gioventù del C.: secondo alcuni autori, dopo avere compiuto gli studi di legge, divenne professore nell'archiginnasio romano; sembra addirittura che la sua fama di giurista ottenesse l'autorevole riconoscimento del celebre Andrea Alciato. Come che sia, la prima notizia documentale sul C. riguarda la sua nomina alla sede vescovile di Todi, avvenuta nel concistoro del 12 giugno 1523 in seguito alla rinuncia del cardinale Paolo Emilio Cesi, suo fratello, che ne era stato nominato amministratore soltanto dodici giorni prima. Grazie all'autorevole appoggio del fratello, il C. otteneva successivamente anche, cariche nella Curia romana l'ufficio di custode della Cancelleria apostolica (in data imprecisata, ma prima del 13 nov. 1534) e, il 1º dic. 1534, il chiericato, di camera resosi vagante dopo la morte di un altro fratello, Ottavio, vescovo di Cervia; più tardi, ormai scomparso il cardinale Paolo Emilio, occuperà anche l'ufficio di sommista delle lettere apostoliche (10 febbr. 1543) e, dal 7 genn. 1555 al 10 genn. 1556, quella di camerlengo del S. Collegio.
Agli emolumenti ricavati da queste cariche si debbono aggiungere le entrate provenienti dai numerosi benefici ecclesiastici cumulati dal C. a partire dal 1534, entrate che non è possibile calcolare, ma che dovettero essere assai cospicue, se si considera che la sola commendia dell'abbazia di S. Maria di Chiaravalle comportava il possesso di 5.500 pertiche milanesi.
Benché la presenza del C. a Todi sia documentata in alcune occasioni, non risulta che egli si sia direttamente occupato del governo spirituale della sua diocesi; del resto sembra che ciò rispondesse anche alla volontà del papa, come lascia supporre la lettera ortatoria che Paolo III faceva scrivere al C. l'11 marzo 1542, nella quale gli intimava di rientrare a Roma ad esercitare il suo ufficio di chierico di camera. La nomina, un anno più tardi, a sommatore e, ancor più l'elevazione al cardinalato nella promozione del 19 dic. 1544, paiono confermare il desiderio del pontefice di trattenerlo in Curia.
Dopo la nomina cardinalizia il C. iniziava ciò che ha tutta l'apparenza di una caccia ai benefici episcopali: l'11 marzo 1545 permutava con il cugino Giovanni Andrea Cesi la propria diocesi di Todi con quella di Cervia; a questa rinunciava il 23 dello stesso mese, riservandosene i frutti e l'amministrazione e mantenendo il diritto di regresso; il 9 nov. 1549 otteneva la nomina a vescovo di Caserta, diocesi alla quale rinunciava il 14 luglio 1550 per assumere quella di Volturara e Montecorvino. Poche settimane più tardi, essendo morto il vescovo di Cremona, Francesco Sfondrati, il C. faceva valere il proprio diritto di accesso a quel seggio episcopale.
La nomina a Cremona doveva rivelarsi assai più difficile e laboriosa delle precedenti. Il C. aveva infatti ottenuto pochi mesi prima il breve di accesso per intercessione dello stesso Sfondrati. Ma Giulio III, che per accontentare quest'ultimo aveva ratificato soluzione che in cuor suo riprovava, in quanto contraria allo spirito del concilio, non vedeva di buon occhio l'avvento del C. alla sede di Cremona. Perciò, mentre questi chiedeva ed otteneva dal governatore di Milano, Ferrante Gonzaga, il placet di prammatica, dal canto suo il papa, nell'impossibilità di revocare il breve, faceva sapere a Carlo V ed allo stesso Gonzaga che non avrebbe visto inconvenienti qualora al C. fosse stato negato il possesso della sede. Il placet già concesso veniva così revocato; ma le speranze di Giulio III che, di fronte alle nuove difficoltà, il cardinale recedesse dalle proprie pretese andavano deluse: il papa era perciò costretto ad arrendersi e nel concistoro del 18 marzo 1551 confermava la nomina del C., che il 23 giugno successivo otteneva il placet imperiale. Da parte spagnola, l'ambiguo atteggiamento assunto da Giulio III nell'intera, vicenda venne interpretata come segno del disfavore nel quale si trovava il C. presso il papa: secondo il Gonzaga ciò era conseguenza del comportamento tenuto dal cardinale nel conclave dell'anno precedente. In realtà, come il papa stesso ebbe a chiarire, non vi era da parte sua alcun preconcetto contro il C., ma, oltre all'avversione per la pratica dell'accesso, il desiderio di disporre della diocesi a favore del cardinale Morone, il quale non solo era originario dello Stato di Milano ma anche privo di rendite. Peraltro i numerosi favori elargiti da Giulio III al cugino e protetto del C., Pier Donato Cesi, attestano le benevole disposizioni del papa nei confronti del cardinale.
Nell'assumere il governo spirituale di Cremona - che in realtà esercitò solo nominalmente - il C. aveva rinunciato alla sede di Volturara, con la solita riserva di regresso. Il 20 nov. 1557 veniva quindi promosso da Paolo IV all'ordine cardinalizio dei vescovi e nominato alla sede di Palestrina. Il 13 marzo 1560 rinunciava alla diocesi di Cremona in favore di Nicolò Sfondrati, riservandosi però una pensione di mille scudi sulla mensa episcopale, il diritto di regresso e la collazione di tutti i benefici, clausola quest'ultima che avrebbe messo non poco in difficoltà il suo successore. Due anni più tardi, Pio IV lo trasferiva da Palestrina alla sede di Frascati (18 maggio 1562), sede che lasciò il 12 maggio 1564 per assumere quella di Porto e S. Rufina.
All'origine di questi numerosi mutamenti di diocesi vi era indubbiamente il movente economico, dati i vantaggi pecuniari collegati al meccanismo dei regressi e delle pensioni: tali entrate, sommate alle altre rendite del C., spiegano come egli potesse impiegare somme ingenti in opere di decoro artistico, in raccolte di arte antica e nell'acquisto di numerose proprietà, il cui complesso verrà a costituire la base della potenza economica della famiglia. Sotto questo profilo il C. incarna ancora, all'inizio dell'era tridentina, la figura del porporato rinascimentale ricco e colto, protettore delle arti e raccoglitore di antichità. Ma nonostante queste tendenze mondane che lo accomunavano a molti prelati del suo tempo, il C. ebbe fama di uomo irreprensibile nei costumi e benefico: fu particolarmente vicino alla Compagnia di Gesù, partecipando a due tipiche iniziative ignaziane, quali la Compagnia della Grazia e l'ospizio delle vergini miserabili di S. Caterina dei Funari, del quale divenne protettore; ancora nel 1560, veniva dai superiori dei gesuiti considerato "molto patrone" dell'Ordine.
Soltanto tenendo conto di quest'altro aspetto della personalità del C. si può spiegare la stima in cui - almeno a giudicare dai fatti - l'austero e rigoroso Paolo IV lo tenne. Papa Carafa, prima ancora di promuovere il C. all'ordine cardinalizio dei vescovi, lo aveva nominato a capo di una delle tre sezioni nelle quali era suddivisa la Congregazione dalla Riforma, congregazione che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto surrogarsi al concilio nell'opera di rinnovamento della Curia romana e della Chiesa. Gli stessi motivi spiegano come nel conclave seguito alla morte di Paolo IV, il C. figurasse tra i papabili.
Nei conclavi precedenti - e cioè in quelli nei quali erano stati eletti Giulio III e Marcello II, dato che a quello di Paolo IV non aveva partecipato perché ammalato - il C. non aveva avuto parte di rilievo; soltanto in quello di Giulio III aveva raccolto alcuni suffragi dispersi che non superarono mai, nei successivi scrutini, i cinque voti. Diversa doveva invece rivelarsi la situazione nel conclave apertosi il 5 sett. 1559: in seguito allo scontro tra le due fazioni principali, quella spagnola e quella francese, nella seconda metà di dicembre il conclave era giunto ad una situazione di stallo. Allo scopo di trovare una via d'uscita, i capi fazione si accordavano per restringere le candidature a quei cardinali che fossero graditi da entrambe le corone: la rosa di quattro nomi che ne risultò finì con il ridursi ulteriormente a quelli del C. e del card. Giovanni Angelo Medici. Quest'ultimo ebbe poi il sopravvento perché, mentre il C. non era specialmente desiderato dalla Spagna, il Medici ne godeva l'incondizionato favore.
Durante il pontificato di Pio IV il C. non ebbe cariche di rilievo; fece parte della commissione cardinalizia incaricata di seguire le fasi del processo ai Carafa. È probabile che nelle intenzioni del papa tale nomina dovesse rappresentare un gesto a favore degli imputati, dati i vincoli che legavano il C. alla memoria di Paolo IV: certo è che dopo la sentenza capitale il cardinale si adoperò presso il pontefice per ottenere un atto di clemenza a favore dei condannati, che però il papa rifiutò di concedere.
Il C. morì il 28 genn. 1565: dopo avere ricevuto una prima sepoltura in S. Caterinadei Funari, i suoi resti furono successivamente traslati nella cappella di famiglia in S. Maria Maggiore.
Più che per la posizione occupata nel S. Collegio e nella Curia romana, la fama di cui il C.godette presso i contemporanei va attribuita soprattutto alla sua munificenza: gran parte delle sue ingenti sostanze fuinfatti profusa in costruzioni e in opere d'arte, nonché nella raccolta di marmi antichi. Sudisegno di Guidetto Guidetti riedificò dalle fondamenta la chiesa di S.Caterina dei Funari e l'annesso ospizio per le fanciulle povere; fondò in S.Maria della Pace una cappella, il cui progetto fu affidato ad Antonio da Sangallo, ed un'altra in S.Maria Maggiore, con due monumenti sepolcrali per sé ed il fratello Paolo Emilio, eseguiti da Guglielmo della Porta. Particolarmente celebre era inoltre la raccolta di marmi antichi: iniziata dal cardinale Paolo Emilio, essa era stata successivamente arricchita dal C.di pezzi rari e preziosi. Ne facevano parte opere quali la Giunone - ora al Museo Capitolino - che si diceva Michelangelo avesse lodato come una delle più belle statue antiche esistenti a Roma, il gruppo della Roma trionfante con i due re barbari, collocato poi da Clemente IX nel cortile del palazzo dei Conservatori, il Sileno di cui si conserva un mirabile disegno di Francisco de Hollandia e il Satiro capripede itifallico. Le sculture erano sistemate in parte nel giardino retrostante il palazzo che il C. possedeva presso la porta Cavalleggeri, in parte nei locali del cosiddetto Antiquario, edificio appositamente costruito per essere destinato a museo, probabilmente il primo del genere di cui si abbia notizia.
Il giardino e l'Antiquario costituivano una tappa d'obbligo per i visitatori stranieri e rappresentavano la meta favorita degli artisti, specialmente nordici, che venivano a Roma a riscoprire le bellezze dell'antichità classica. Passata, dopo la morte del C., in eredità al cardinale Pier Donato Cesi, la raccolta verrà dispersa nel 1622, dopo la morte (1621) del cardinale Bartolomeo Cesi.
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