CHABOD, Federico
Nacque ad Aosta il 23 febbr. 1901. Il padre Laurent, notaio, era originario della Valsavaranche; la madre, Giuseppina Baratono, era di famiglia eporediese. Lo Ch. venne presto conquistato dalla passione dell'alpinismo (il 29 agosto del 1920 compì con lo zio Michele Baratono e con Mario Schiagno la prima ascensione della cresta Sud della Dent d'Hérens). Dopo gli studi medi ad Aosta, entrò nel novembre del 1918 nella facoltà di lettere dell'università di Torino. Un testimone attento e sensibile, M. Fubini, lo ha descritto "come appartato" nel gruppo dei suoi coetanei (p. 629). Non fu direttamente legato con l'attività politica che andava sviluppandosi attorno a Piero Gobetti. Discusse d'arte e di letteratura con professori e compagni (fra questi in specie con Fubini, Sapegno, Rho), ma prescelse la ricerca storica, sotto la guida di Pietro Egidi. Come per molti piemontesi dell'età risorgimentale, la sua dedizione alla storia italiana fu il frutto di una scelta civile, quasi il doveroso superamento del regionalismo originario, a servizio dell'Europa. Concentrò presto la sua attenzione su Commynes, e soprattutto su Machiavelli, così risalendo alle origini della storia moderna per via più diretta di quanto fosse quella inizialmente prescelta, di una tesi sul passaggio dal Comune alla Signoria. Scrisse una introduzione al Principe da cui trasse una breve presentazione dell'opera, pubblicata a Torino nel 1924, ed un saggio d'un centinaio di pagine, che apparve l'anno successivo nella Nuova Rivista storica (IX, pp. 35-71, 189-216, 437-73). Evidenti i "motivi di vita", come egli diceva, che l'avevano portato ad affrontare Machiavelli; ma, per calare questi motivi nella realtà storica, egli riprese gli studi da cui era partito negli anni universitari, pubblicando nell'anno 1925 sulla Rivista storica italiana (XLII, pp. 29-47) un'ampia rassegna degli "studi recenti" sull'età comunale e signorile, che andava "arditamente oltre l'Ottokar nell'accentuazione dei motivi personalistici nella lotta politica" e risentiva dell'atmosfera italiana di quella primavera del 1924 in cui furono scritti, quando "sotto i nostri occhi si veniva sterilmente spegnendo l'insurrezione morale per l'assassinio di Matteotti e si manifestava l'insufficienza politica dell'Aventino" (Sestan, p. 684).
A questa atmosfera lo Ch. reagì con coraggio, collaborando con Salvemini, di cui era diventato alunno a Firenze (ne organizzò l'espatrio attraverso il Piccolo San Bernardo il 16 ag. 1925). Storiograficamente reagì sottolineando, con crescente energia, il valore etico-politico della ricerca.
Tutta la seconda parte del saggio su Machiavelli, del 1925, era dedicata a porre il segretario fiorentino "di fronte al suo tempo", a determinare "il carattere e i limiti del suo pensiero, a scoprire gli errori" della sua "valutazione", della sua "fiducia illimitata nell'uomo di governo", nel "nuovo redentore". Vano ogni tentativo di "infondere virtù". Post res perditas il Principe diventava "puro criterio d'interpretazione storica". Machiavelli sboccava insomma sulla ragion di Stato.
Il soggiorno presso il seminario storico dell'università di Berlino per due semestri nel 1925 e 1926 e la discussione là sostenuta con Friedrich Meinecke circa la data e le modalità della composizione del Principe confermarono lo Ch. nella sua volontà di trovare nella filologia il necessario distacco dalle passioni circostanti. Il saggio Sulla composizione de "Il Principe", uscito nell'Archivum romanicum del 1927 (XI, pp. 330-383), si appaia a un articolo su Uno storicotedesco contemporaneo: Federico Meinecke, apparso lo stesso anno nella Nuova Rivista storica (XI, pp. 592-603): lo Ch. manteneva la volontà politici al centro della sua ricostruzione del passato, ma esitava ad accertare la volontà statalistica, di potenza della scuola storiografica tedesca.
La recente Storia del Regno di Napoli di B. Croce gli proponeva una ricerca d'altro tipo, "dell'anima del popolo, del sorgere della nazione, del sentimento civile, di una coscienza insomma che segni veramente l'inizio di una tradizione e di una storia propria". La Idee der Staatsräson di Meinecke restava per lui una delle "creazioni più suggestive della storiografia europea di questi ultimi tempi". Ma la ragion di Stato non poteva esser scartata, all'inizio del periodo più chiuso dell'Italia fascista.
Il mestiere dello storico (come egli amava dire) e l'eccezionale ampiezza dei suoi interessi furono le armi con cui egli difese se stesso dal crescente isolamento di quegli anni. Insieme col maestro Pietro Egidi e con Vittorio Di Tocco, entrambi prematuramente scomparsi, intraprese la sistematica esplorazione dell'Archivio di Simancas, fondamentale per la conoscenza dell'Italia dell'età di Carlo V e di Filippo II.
Nel dicembre del 1928 lo Ch. divenne redattore per la storia medievale e moderna dell'Enciclopedia Italiana, per la quale scrisse molti articoli che testimoniano della sua volontà di dominare uomini e cose dell'Europa moderna, dal Quattrocento all'Illuminismo. Attivo egli fu pure nella Scuola di storia moderna e contemporanea di Roma, diretta da G. Volpe, di cui fece parte dal 1930 al 1934, avendo a colleghi Carlo Morandi e Walter Maturi. Nel 1930 sposò Jeanne Rohr, che gli fu compagna tutta la vita. Nominato professore universitario nel 1935 fu chiamato a Perugia nella facoltà di scienze politiche, donde passò alla facoltà di lettere dell'università di Milano nell'autunno del 1938.
Su tre argomenti andò concentrando negli anni '30 la sua attività di studioso: il Rinascimento, la formazione degli Stati moderni, da ultimo anche la politica estera dell'Italia unita.
Il Rinascimento fu per lui sempre meno connesso al passaggio tra l'età comunale e quella delle Signorie, spostandosi verso il pieno Cinquecento. Ebbe meno il carattere d'un dramma politico e si configurò ai suoi occhi come civiltà, come Riforma e Controriforma, come costruzione statale. Sempre vivo rimase l'interesse giovanile per Machiavelli, come risulta dalla voce che lo Ch. nel 1934 gli dedicò nell'Enciclopedia. Ma già nel 1933, sempre nell'Enciclopedia, era apparsa la voce "Guicciardini" che rivelava come nella sua maturità di storico lo Ch. fosse venuto modificando le sue idee giovanili.
Lontano ormai il giudizio desanctisiano sul Guicciardini. Certo lo sguardo teorico di Machiavelli gli pareva giungere più lontano. Ma Guicciardini era maggior storico, anzi "il massimo fra tutti gli storici italiani". Era "assai più complesso" di Machiavelli, possedendo una "impassibilità disincantata" che gli permetteva di penetrare nel profondo della grande crisi italiana del Cinquecento.
Ricco di spunti nuovi anche l'ampio studio, composto nel 1931-1932 e pubblicato a Roma nel 1934, dedicato a Giovanni Botero. Esplicito anche qui il paragone con Machiavelli e l'avanzamento della ricerca dal primo al tardo Cinquecento, all'età della Controriforma, di cui lo Ch. seguiva le più riposte vie. Questo ed altri suoi ritratti erano nati ai margini dei grandi affreschi che fin dal 1933 lo Ch. era andato ridipingendo del Rinascimento tutto intero. La sua relazione al VII Congresso internazionale di scienze storiche, tenutosi a Varsavia nel 1933, era ancora dedicata alle "recenti interpretazioni" del Rinascimento. Seguì (1936) l'articolo "Rinascimento" dell'Enciclopedia e infine il saggio sul Rinascimento, pubblicato a Como nel 1942 nel volume Problemi storici e orientamenti storiografici, a cura di Ettore Rota.
Lo Ch. non andava alla ricerca di una definizione, ma intendeva fissare nel modo più ricco e completo possibile "il carattere distintivo di un'epoca storica" (Sestan, p. 677). Intendeva pure precisarne i limiti in termini cronologici e geografici, come fenomeno prevalentemente italiano, compreso tra il Tre e il Cinquecento.
In stretto legame con il problema del Rinascimento lo Ch. affrontò il secondo dei suoi grandi temi, la formazione cioè dello Stato moderno, quale gli appariva attraverso le vicende e le strutture del Milanese nel secolo XVI. Nel 1934 usciva a Roma Lo Stato di Milano nell'impero di Carlo V. Lo Ch. considerava provvisoria e insoddisfacente questa redazione del suo libro, che fu stampato in un numero limitatissimo di copie, non più d'una cinquantina. Tuttavia l'impostazione del libro era solida, ferma sulla sua radice risorgimentale: quale la posizione d'una terra italiana in una età di dominazione straniera?
Al centro stava la figura di Carlo V. In forte rilievo i grandi personaggi. Al di là degli avvenimenti e degli uomini lo Ch. si volgeva a cogliere le realtà sociali ed amministrative, incentrate sul "contrasto tra le vecchie gerarchie di luogotenenti e ufficiali dell'amministrazione legati al sovrano da un vincolo di natura personale e semifeudale e le nuove gerarchie di amministratori e funzionari legati, invece, piuttosto allo stato che al sovrano, e sulla base d'un vincolo che è già prossimo parente della moderna coscienza burocratica" (Galasso, p. 720). Era un tema nuovo, al quale non corrispondeva una metodologia affermata e che lo Ch. affrontava affidandosi alla maestria del suo mestiere di storico. In questo quadro lo Ch. inserì, nel 1938, un indispensabile complemento, con titolo troppo restrittivo: Per una storia religiosa dello Stato di Milano durante il dominio di Carlo V. Note e documenti (Bologna).
L'occasione per il terzo gruppo dei suoi interessi storiografici - la politica estera dell'Italia nei primi decenni dell'Unità - venne allo Ch. da una iniziativa presa nel 1936, per conto dell'Istituto per gli studi di politica internazionale, da A. Pirelli, P. F. Gaslini e G. Volpe. Sotto la spinta di quest'ultimo, molta storiografia italiana si volgeva allora a studiare i rapporti internazionali. Venne progettata una Storia della politica estera italiana dal 1861 al 1914, alla quale avrebbero dovuto partecipare Walter Maturi e Augusto Torre. Allo Ch. fu affidato il periodo dal 20 sett. 1870 al marzo 1896. L'Archivio storico del ministero degli Esteri gli venne aperto e lo Ch. vi lavorò sei anni, tra il 1936 e il 1943. Allargò contemporaneamente le sue ricerche all'archivio dei Visconti Venosta, alle carte di Francesco Salata, dei Savoia, così come a molti altri fondi pubblici e privati.
"Leggere tutto": questo il primo dettame dell'arte storica, come spesso egli diceva. Egli lo applicò con una larghezza anche maggiore di quanto non avesse fatto in passato quando, occupandosi di Machiavelli, Guicciardini, Botero, i suoi occhi eran rimasti fissi ai grandi modelli classici. Come per lo Stato di Milano, così ora per l'Italia unitaria, egli fu preso dall'ansia di tutto conoscere e capire.
Rinascimento e Unità: le due realtà avevano nell'animo dello Ch. una radice comune. Dieci anni prima aveva abbandonato il Due e Trecento per fermarsi alla crisi italiana tra Quattro e Cinquecento. Aveva poi seguito le orme di uno dei suoi eroi prediletti, Carlo V. Ora si lasciava alle spalle il Risorgimento, gli ideali di Mazzini e di Cavour e volgeva il suo sguardo agli anni delle delusioni e delle realizzazioni, agli anni di Depretis e di Crispi. Altri accanto a lui, Salvemini, Gobetti, Omodeo erano per vie diverse risaliti alle origini, ai momenti di creazione delle forze nuove, all'Italia comunale, a Cattaneo, al Risorgimento senza eroi, alla concordia discors di Mazzini e Cavour. Lo Ch. scelse la nuova ragion di Stato, nata dalla coscienza che l'Italia unita veniva prendendo dalla propria natura politica, economica e sociale. Il termine di partenza era la formazione dello Stato italiano, quello ad quem era stato indicato da Nello Rosselli nella nascita del movimento operaio. Il periodo prescelto dallo Ch. resta così quello che intercorse tra il Risorgimento e la ripresa del movimento democratico e socialista (1870-1896).
Il confronto tra gli ideali e la realtà stava al centro della sua ricerca e al cuore di essa stava la liberazione di Roma. L'Italia nuova si staccava sempre più dalla Francia, costretta a fare il suo esame di coscienza dopo il crollo dell'Impero di Napoleone III. Dal ricchissimo quadro intellettuale e politico emergeva al di qua delle Alpi un gruppo di uomini che, abbandonando ormai le loro origini mazziniane o conservatrici, erano accomunati dal duro compito di controllare e trasformare la realtà italiana. Al centro restava la politica estera, non per un teorico primato di questa sulle altre forme politiche, ma perché in essa sembravano racchiudersi tutti gli elementi negativi e positivi della nuova realtà. Lo Ch. non giunse tuttavia a scrivere la storia della politica estera dei primi decenni dell'Italia unita - anche se tale restava il suo proposito, di giungere in quattro volumi alla fine del secolo -, ma preparò allora quelle Premesse che videro poi la luce nel 1951 a Bari.
A Milano, quando fu chiamato all'università per insegnarvi alternativamente storia medievale e moderna, lo Ch. trovò appoggi e stimoli che molto l'aiutarono ad ampliare i propri piani. Gli studenti innanzi tutto, all'ammirazione dei quali lo Ch. rispose con corsi sempre più impegnativi, sui problemi che andavano alle radici della situazione italiana in quegli ultimi anni del fascismo. Ripartendo dal passaggio del mondo antico al Medioevo e da questo all'era moderna parlò nel 1939-40 della politica imperiale di Carlo V, per tornare nel 1940-41 ai Comuni e alle Signorie dell'Italia settentrionale, dedicando il 1941-42 ad illustrare la politica estera italiana dal 1871 al 1878, soffermandosi l'anno seguente su Cola di Rienzo per giungere, nel 1943-44 alla storia dell'idea di nazione e d'Europa.
Di una grande impresa di storiografia economica lo Ch. fu attivo partecipe dal 1940 in poi. Insieme a Raffaele Mattioli, Gino Luzzatto e Ugo La Malfa progettò un'opera da pubblicarsi nel 1944, in occasione del cinquantenario della Banca commerciale italiana e che avrebbe compreso il XVIII, XIX e XX secolo fino all'inizio della prima guerra mondiale.
Voleva essere una storia d'Italia economica e sociale che, partendo dalla decadenza seicentesca, avrebbe seguito lo studio dell'agricoltura, industria e commercio del Settecento e il formarsi del nuovo "uomo d'affari italiano", con particolare attenzione alle "ripercussioni politico-sociali dello sviluppo economico" in Piemonte e in Lombardia. Una seconda parte avrebbe riguardato il "dominio francese". Nella terza e quarta parte, separate dal "decennio risolutivo" del Risorgimento, si sarebbero esaminati partitamente agricoltura, commercio, finanze, industria, politica economica con particolare riguardo alle "dinastie di uomini d'affari" e allo "sviluppo dello spirito capitalistico in Italia", alle "condizioni sociali di contadini e di operai". Lo Ch. voleva fossero pure specificamente trattate "le crisi sociali e la diffusione delle idee socialiste e comuniste, la preoccupazione dei partiti dirigenti di fronte al problema socialista, la questione dell'emigrazione", il sorgere alla fine del secolo delle grandi banche e il diffondersi dell'industrializzazione "per concludere col maggiore equilibrio sociale e la politica giolittiana, il partito socialista e il sindacalismo, l'espansione economica fuori d'Italia, la conquista dei mercati stranieri".
La crisi politica del 1943 interruppe il lavoro, che fu per lo Ch., come per tutti coloro che vi presero parte, una attiva preparazione ai compiti che la guerra e il crollo del fascismo andavano imponendo anche agli studiosi.
Dal 1939 al 1943 lo Ch. diresse la "Biblioteca storica Sansoni" dove apparvero alcune delle opere più significative della storiografia italiana di quegli anni: di D. Cantimori (1939 e 1943), C. Antoni (1940), A. Sapori (1940), E. Pontieri (1943), ecc.
Per un anno, dall'aprile del 1941 al maggio 1942, lo Ch. diresse con C. Morandi la rivista Popoli, "quindicinale di storia e geografia", intendendo, come si leggeva nella presentazione, di rimediare al "divorzio tra la storia degli specialisti e la cultura generale, ... traducendo in una narrazione viva, efficace, colorita, ma precisa e sicura il frutto di ricerche lunghe e pazienti".
Vi collaborarono studiosi come W. Maturi, G. Luzzatto (con lo pseudonimo, imposto dalle leggi razziali, di G. Padovan), G. Falco (G. Fornaseri), affrontando spesso temi non soltanto diversi, ma contrari alla propaganda ufficiale. Lo Ch. stesso diede l'esempio con un saggio su La Comune di Parigi e il timore delle agitazioni sociali in Europa nell'aprile 1871, apparso nel fascicolo 5, del 15 giugno 1941.
Le crescenti preoccupazioni politiche dello Ch. culminarono, sul piano dell'insegnamento, con le lezioni del 1943-1944. La straordinaria efficacia dei due corsi (che E. Sestan e A. Saitta pubblicarono a Bari nel 1961 col titolo: L'idea di nazione e Storia dell'idea d'Europa) derivò dal fatto che lo Ch. si poneva, con tutta la sua energia di storico, al centro dei problemi della vita e della cultura italiana di quegli anni: rinato interesse per l'età dei lumi (Gerbi, Salvatorelli, Omodeo, De Ruggiero); conflitto tra ragione illuminista e individualismo romantico (C. Antoni); origini liberali e risorgimentali della nazione italiana (Salvatorelli, Maturi, Omodeo). La Storia d'Italia e la Storia d'Europa di B. Croce dominavano l'orizzonte, ma ad ogni punto nodale dei suoi corsi lo Ch. tornava alle fonti rimettendo in questione, sotto l'urgere delle contraddizioni, l'armonioso modello crociano e mostrando le radici dei contrasti tra le diverse concezioni via via maturate nei secoli, di nazione, di Stato, di Europa, di libertà.
Nell'ambiente milanese lo Ch. era entrato a contatto con uno dei nuclei centrali del Partito d'azione. Alla politica e agli ideali di questo egli si ispirò quando, dopo l'8 settembre del 1943, scelse di stabilirsi a Déjoz in Valle d'Aosta, scendendone soltanto per brevi soggiorni a Milano e facendone centro d'una iniziale organizzazione di resistenza nella avita Valsavaranche. Egli non poté partecipare al convegno clandestino tenuto a Chivasso il 19 dicembre del 1943 insieme a E. Chanoux ed E. Page per la Valle d'Aosta, O. Coïsson, G. Malan, G. Peyronel e M. Rollier per le Valli valdesi, ma vi mandò un rapporto che contribuì a farvi votare una energica rivendicazione autonomistica, inserita nel quadro della generale ricostruzione europea e non senza una precisa affermazione di fedeltà all'Italia. Nell'estate del 1944 entrò a far parte della banda Crétier, comandata da suo cugino Remo Chabod. Nel luglio contribuì all'organizzazione di libere elezioni a Valsavaranche, "primo comune d'Italia", diceva, ad esercitare questi suoi riconquistati diritti, come "ancora sul letto di morte [egli] ricordava con orgoglio" (E. e A. Passerin Entrèves, p. 796). Sempre nell'estate del 1944 lo Ch. si persuase dell'esistenza, nella resistenza aostana, d'una corrente che aveva allacciato sempre più stretti rapporti con la Francia. Lo Ch. operò contro di essa diffondendo tra gli amici un suo scritto sulla questione valdostana e facendo ricorso al Comitato di liberazione dell'Alta Italia, al quale inviava il 27 sett. 1944 un memoriale intitolato La Valle d'Aosta,l'Italia e la Francia.
Espose pure al senatore Casati, il 10 ottobre, la sua radicata convinzione che l'Italia libera avrebbe saputo raddrizzare i torti del passato, inserendo la Valle d'Aosta in uno Stato "rifatto dalle fondamenta" e basato sull'"autonomia aniministrativo-culturale" in tutte "le regioni alloglotte di frontiera", lasciando cadere ogni diffidenza e deponendo finalmente ogni "boria delle nazioni". "Non chiedo - concludeva il secondo di questi documenti - nessun privilegio speciale per la terra in cui sono nato, chiedo solo quello che vorrei fosse dato a tutte le popolazioni di frontiera, in Italia e fuori d'Italia".
Il C.L.N.A.I. fece sua la posizione dello Ch., impegnandosi solennemente a favore della autonomia, il 6 ottobre. Nello stesso mese il comando partigiano di Valtournanche rendeva pubblico un breve e vibrante Pronunciamento degli esponenti valdostani contrari all'annessione alla Francia, redatto dallo Ch. e da alcuni esponenti del clero valdostano. Il C.L.N. della Valle veniva ricostruito e lo Ch. accettava di farne parte come rappresentante del Partito d'azione. Il governo Bonomi, sollecitato per mezzo d'una missione di Remo Chabod, si impegnava il 16 dic. 1944 nella medesima direzione. I rastrellamenti nemici costringevano intanto lo Ch. a lunghe e difficili marce dalla Valtournanche alla Valsavaranche, che, minacciata nel tardo autunno, vide l'esodo di parecchie centinaia di partigiani, tra cui Jeanne e lo Ch., che dopo cinque giorni di marcia dal 7 al 12 novembre, finirono col rifugiarsi in Francia. Ivi lo Ch. riprese la sua attività politica, non senza forti contrasti con l'autorità francese e l'emigrazione valdostana. Riuscì a tornare, con un aeroplano inglese, il 10 maggio 1945 nella Valle d'Aosta, ormai libera dai nazi-fascisti, ma dove sempre più grave si faceva sentire la pressione francese tendente ad organizzare un plebiscito di annessione della Valle alla Francia. Lo Ch. diede tutto se stesso alla causa, che finalmente prevalse, dell'autonomia nell'ambito di un rinnovato Stato italiano: in tre mesi di attivo soggiorno a Roma, egli divenne il principale artefice dell'autonomia. Il Consiglio dei ministri approvò l'8 ag. 1945 i due decreti-legge sull'"ordinamento della Valle d'Aosta e sulle agevolazioni a favore della Valle d'Aosta", promulgati il 7 settembre. Eletto presidente della Valle nella prima riunione del nuovo Consiglio regionale, lo Ch. si dedicò al lavoro di ricostruzione in mezzo a duri contrasti. Il 26 marzo 1946 "un folto gruppo di contadini, guidati dai più fanatici propagandisti dell'annessione", invadeva il palazzo della Prefettura. "Per un vero miracolo vennesottratto in tempo dalle mani degli energumeni". Dopo esser riuscito, malgrado tutto, a gettare le prime basi della nuova amministrazione, tornò nell'autunno del 1946 agli studi e all'insegnamento, chiamato alla facoltà di lettere dell'università di Roma a partire dal 1946-1947.
Divise la sua vita tra Roma e Napoli dove era diventato direttore dell'Istituto italiano di studi storici fondato da B. Croce. Riprese il lavoro in tutte le direzioni, dall'età moderna al Rinascimento. Fece innanzitutto i conti con la propria esperienza di resistente in un corso tenuto a Parigi nel gennaio 1950 e là pubblicato in forma di dispense dattilografate dal titolo: L'Italie contemporaine. Conférences données à l'Institut d'études politiques de l'Université de Paris. La traduzione italiana, apparsa postuma nel 1961, fece di questo corso l'opera dello Ch. più largamente diffusa (venti edizioni, più di 200.000 copie).
Era un bilancio della vita italiana dal 1918 al 1948, condotto con rigoroso metodo statistico e storico, senza nulla concedere allo spirito apologetico e senza nascondere le grosse responsabilità della società e dello Stato italiano. Ma dall'esperienza compiuta lo Ch. traeva una sorta di riconferma, pratica e politica, del principio crociano della positività della storia. "L'état italien a surmonté une crise formidable", concludeva. Lo Ch. non si nascondeva i limiti dell'opera compiuta e sottolineava i pericoli insiti nella continuità dello Stato, nella forza della burocrazia, nel prevalere di forme politiche tradizionali, nel Papato il cui peso era andato crescendo durante la guerra, in Roma occupata, nella stessa Resistenza. Con dignità pari alla chiarezza, in una prosa francese ispirata a severo classicismo, lo Ch. presentava così, a fronte alta, l'Italia tornata a far parte delle nazioni libere.
Alle radici del moderno Stato italiano lo Ch. tornò subito dopo la guerra anche per altra via. Ebbe parte essenziale nella decisione presa nel 1946 dal ministero degli Affari Esteri di creare una commissione per la pubblicazione dei Documenti diplomatici italiani. Sostenne ed ottenne che venisse adottato il sistema dei Documents diplomatiques français, fondato sull'ordine cronologico, a preferenza di quello sistematico adottato dai tedeschi. Fu "commissario preposto alla raccolta del materiale" della serie seconda, riguardante il periodo 1870-1896. Il primo volume (21 sett. - 31 dic. 1870) vide la luce nel 1960 e resta esemplare.
Nel 1951 lo Ch. pubblicò a Bari la Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, I, Le premesse. L'impostazione dell'opera, come si è visto, era prebellica, ma in essa era entrato un soffio vivificante dei tempi nuovi. Le brevi Considerazioni sulla politica estera dell'Italia dal 1870 al 1915 uscite in un volume miscellaneo l'anno seguente (Orientamenti per la storia d'Italia nel Risorgimento, Bari 1952) offrivano una sorta di sintesi dei risultati ottenuti dallo Ch. nella sua interpretazione dell'Italia liberale.
La morte di B. Croce (1952) e poi quella di F. Meinecke (1954) lo costrinsero ad un alto commiato da questi due maestri. Forte era il legame anche personale che era venuto formandosi tra B. Croce e lo Chabod. I due uomini, così diversi, avevano ritrovato nella storia una comune ragione di vita.
Lo Ch. rielaborò le idee del maestro, discutendo con fermezza pari al rispetto. Non ne condivideva il provvidenzialismo di origine vichiana. Inaccettabile gli pareva il giudizio sulla Controriforma, così anche quello sulla piaga dell'età fascista. In genere si sente nel commento dello Ch. l'impossibilità di accettare l'armonico riequilibrarsi della vita oltre ogni decadenza, cedimento o rovina.
Più severa e distante appariva dopo la morte la figura di Meinecke. Con distacco lo Ch. guardava ormai a quell'armonia di potenza e giustizia che lo storico tedesco aveva preteso costruire all'inizio del secolo ("Bismarck e Goethe"), e che aveva tentato invano poi di ricreare attorno alla democrazia di Weimar. Ma alla disarmonia, anzi al tragico dualismo verificatosi nella realtà politica del suo paese Meinecke aveva opposto il suo grandioso lavoro di comprensione storica. La sua capacità di analisi concreta era sboccata in "uno dei più importanti quadri di storia delle idee che mai siano stati tracciati".
Strettamente collegata alla ripresa postbellica del lavoro storiografico dello Ch. fu la sua opera di ricostruttore delle istituzioni d'insegnamento e di ricerca. Tipica la sua azione nell'università, che non solo confermò la sua fama di maestro, ma fece di lui il supremo regolatore della vita accademica italiana in tutto il campo della storia moderna. Libere docenze, concorsi, ordinariati degli anni '50 portano tutti il segno della sua scrupolosa volontà di perfezione formale e sostanziale. Anche più tipica e profonda l'impronta da lui impressa sulla struttura tutta nuova dell'Istituto italiano per gli studi storici di Napoli. Questo istituto ebbe fin dall'inizio un largo carattere internazionale, così nei temi di ricerca come per le numerose borse offerte a studiosi stranieri.
Non dissimile lo spirito che lo Ch. volle infondere alla Rivista storica italiana rinata dopo cinque anni d'interruzione, per iniziativa sua, e da lui diretta insieme a D. Cantimori, G. Falco, W. Maturi, A. Momigliano, C. Morandi (la redazione venne affidata ad E. Sestan e a C. Zaghi). Gli undici volumi apparsi sotto la sua direzione (dal LX al LXX) hanno una grande apertura europea, non tanto negli autori, che sono in grande maggioranza italiani, ma nei temi trattati. Le recensioni che lo Ch. vi pubblicò, soprattutto nel primo periodo, davano l'esempio (basti ricordare quella che egli dedicò alle Historische Meditationen di W. Kaegi, nel primo fascicolo del 1948, pp. 143-47). Alla Rivista egli riserbò alcuni dei suoi lavori fondamentali, le sue considerazioni cioè su Croce e Meinecke, e la sua conclusione (1958) sul problema-chiave dell'impero di Carlo V: Milano o i Paesi Bassi? (pp. 508-552).
L'organizzazione internazionale degli storici fu, accanto all'università, all'Istituto di Napoli e alla Rivista, il terreno sul quale lo Ch. operò per il reinserimento della storiografia italiana in quella mondiale. Entrato a far parte del Bureau nel 1950, lo Ch. riuscì in cinque anni di buon lavoro ad organizzare il congresso tenuto a Roma nel 1955, al quale per la prima volta presero parte attiva anche gli studiosi dell'Europa orientale. In questa occasione lo Ch. fu eletto presidente e veramente fu sulla vasta scena degli studi storici come nella quotidiana vita accademica italiana il primus inter pares. Né gli mancarono i riconoscimenti, dalla laurea honoris causa dell'università di Oxford e di Granada alla nomina a socio nazionale dell'Accademia dei Lincei (1956).
A questo fortunato lavoro organizzativo si era affiancato, fin dal 1950, un sempre più attivo ritorno dello Ch. ai temi originari e prediletti della ricerca storica. Il corso romano del 1950-51 (le cui dispense uscirono nel 1952) venne da lui dedicato a Paolo Sarpi, quello del 1952-53 a Machiavelli "segretario fiorentino". Nel 1954 uscì il suo saggio sul Giovio. L'anno dopo scriveva la prefazione al libro di R. von Albertini su Firenze. Nel 1958 raccoglieva, minutamente rivedendoli, i saggi su Machiavelli and the Renaissance, che A. Passerin d'Entrèves curava per una casa editrice inglese. Nello stesso anno uscirono i saggi più importanti e originali di questa ultima fase della sua ricerca sul Cinquecento: Stipendi nominali e busta paga effettiva dei funzionari dell'amministrazione milanese alla fine del Cinquecento, apparso nella Miscellanea in onore di R. Cessi (Roma, II, pp. 187-363); Usi ed abusi nell'amministrazione dello Stato di Milano a mezzo il '500, in Studi storici in onore di G. Volpe (Firenze, pp. 93-194); Venezia nella politica italiana ed europea del Cinquecento, in La civiltà veneziana del Rinascimento (ibid., pp. 27-55) e Y a-t-il un Etat de la Rénaissance? negli Actes du Colloque sur la Renaissance (Paris, pp. 57-73). Frattanto lo Ch. aveva continuato a lavorare al suo contributo alla Storia di Milano riguardante l'epoca di Carlo V, sintesi di decennali ricerche. Gli riuscì di stenderne tre grossi capitoli e un frammento del quarto, che costituiscono di per sé un libro imponente.
A questa straordinaria messe storiografica potrebbe essere applicato il titolo che egli attribuì al suo corso universitario del 1956-57, Alle origini dello Stato moderno. Ma la ricchezza delle cose e delle idee, le complesse suggestioni che egli traeva così dalla sua esperienza di storico internazionale come dalla sua passione di uomo che con la politica moderna era entrato a diretto contatto erano venute trasformando profondamente ogni suo programma e schema originario.
Sempre più viva era diventata sotto le sue mani la storia politica, l'intrico delle ambizioni e speranze, degli slanci e delle meschinità che costituivano il tessuto dell'epoca che vide il solidificarsi del dominio spagnolo in Italia dal 1535 al 1555. Sempre meno astratti erano diventati i termini d'impero, di nazione, di legge, di ricchezza per farsi di volta in volta corposa realtà, ordini dati e non ubbiditi, miserie e ipocrisie del potere, brillare d'oro e d'argento, varietà di lingue e di costumi. La severa prosa si ornava sempre più di citazioni italiane, spagnole, francesi che restituivano l'immediato sapore del tempo.
Colto da male inesorabile, continuò l'opera sua nelle scuole e negli archivi (tornò pure a Simancas). Nelle nebbie autunnali del 1959 volle tornare nella sua Valsavaranche per salutarne le cime e la prediletta alpe di Djuan. Costretto ad abbandonare parte della sua opera organizzativa, non rinunciò fino all'ultimo alla ricerca e alla conversazione con i discepoli. Lo Ch. morì a Roma il 14 luglio 1960.
Le Opere dello Ch. hanno cominciato ad uscire nel 1964 a Torino a cura di L. Firpo. Il primo volume comprende gli Scritti su Machiavelli (1964), il secondo gli Scritti sul Rinascimento (1967), il terzo Il ducato di Milano e l'Impero di Carlo V, parte prima, Lo Stato e la vita religiosa a Milano nell'epoca di Carlo V (1971); parte seconda, Storia di Milano nell'epoca di Carlo V (1971). La parte terza, comprendente Saggi e ricerche su Milano e l'epoca di Carlo V, è ora in preparazione. Le opere in francese sono state raccolte sotto il titolo di Ecrits d'histoire nella Bibliothèque de l'Archivum Augustanum, VII, Aosta 1976.
I corsi dello Ch. sono stati pubblicati da E. Sestan ed A. Saitta (Storia dell'idea d'Europa e L'idea di nazione) a Bari nel 1961 e sono stati spesso ristampati. La Politica di Paolo Sarpi ha visto la luce nel 1962 (Venezia-Roma). Le Lezioni di metodo storico sono apparse a cura di L. Firpo nel 1969 (Bari) e ripubblicate nel 1972, 1975 e 1976. La Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, apparsa nel 1951, è stata ristampata nel 1965 e 1976.
Una accuratissima Bibliografia degli scritti di F. Ch. (1921-1976) è stata compilata da Luigi Firpo e pubblicata in appendice agli Ecrits d'histoire sopra citati (pp. 233-304).
Numerose le raccolte e le presentazioni in lingue estere: Machiavelli and the Renaissance,with an Introduction by A. P. d'Entrèves, London 1958; Italien-Europa. Studien zur Geschichte Italiens im 19. und 20. Jahrhundert,mit einem Vorwort von Rudolf von Albertini, Göttingen 1962; De Machiavel à Benedetto Croce. Etudes présentées par Henri Lapeyre, Genève 1970 e nell'antologia Historians at work, a cura di P. Gay-G. J. Cavanaugh, New York 1975, IV, pp. 244-271.
Fonti e Bibl.: F. Ch. nella cultura e nella vita contemporanea, in Riv. stor. ital., LXXII (1960), 4 (con scritti di F. Braudel, Ch. Webster, M. Fubini, A. Momigliano, G. Spini, V. De Caprariis, E. Sestan, D. Cantimori, G. Galasso, G. Falco, W. Maturi, A. Saitta, L. Valiani, A. e E. Passerin d'Entrèves, L. Firpo); R. Mattioli, Commemorazione di F. Ch., Napoli 1960; A. M. Ghisalberti, F. Ch., in Rass. stor. del Risorgimento, XLVII (1960), pp. 404-408; G. Sasso, Profilo di F. Ch., Bari 1961; F. Gilbert, Three Twentieth Century Historians: Meinecke,Bloch,Ch., in History:The Developm. of Histor. Studies in the United States, a cura di J. Higham, Englewood Cliffs, N. J., 1965; A. Passerin d'Entrèves, L'idée de nation, in Annales de philos. polit., 1969, n. 8, pp. 85 ss.; J. K. Wildgen, The Liber. of the Valle d'Aosta. 1943-1945, in Journal of Modern History, XLII (1970), pp. 21-41; A. W. Salomone, F. Ch., in Historians of Modern Europe, a cura di H. A. Schmidt, Baton Rouge 1971; R. Romeo, F. Ch., in Momenti e probl. di storia contemp., Assisi-Roma 1971, pp. 225-244; Federazione italiana volontari della libertà. Associazione partigiani autonomi Valle D'Aosta, Notizie sulla guerra di liberaz. in Valsavaranche, Torino 1977; S. Pizzetti, F. Ch. storico delle Signorie, in Nuova Riv. storica, LXI (1977), pp. 555-598.