FEDERICO da Montefeltro, duca di Urbino
Figlio illegittimo di Guidantonio, conte di Montefeltro e di Urbino, nacque a Gubbio nel 1422, morì a Ferrara il 10 settembre 1482. Giovinetto, fu per qualche tempo ostaggio a Venezia; poi a Mantova fu alunno di Vittorino da Feltre. Fece le prime sue armi in Lombardia sotto Niccolò Piccinino, nel 1437, e l'anno stesso sposò Gentile Brancaleoni, erede di Mercatello e di S. Angelo in Vado, delle quali terre Eugenio IV lo creò vicario (1443). Riprese nel 1441 Sigismondo Malatesta S. Leo e nel 1443 protesse la ritirata del Piccinino a Monteluro. Ucciso il fratello suo Oddantonio, fu dai cittadini di Urbino chiamato a succedergli nella signoria (1444) e mostrò subito doti singolari di moderazione e di abilità. Entrò allora ai servigi dello Sforza, passando così dalla scuola braccesca alla sforzesca. Negoziò nel 1445 la cessione di Pesaro da parte di Galeazzo Malatesta ad Alessandro Sforza, e per sé patteggiò l'acquisto di Fossombrone. Ne ebbe la scomunica papale, da cui lo assolse nel 1450 Niccolò V, e l'odio inestinguibile di Sigismondo Pandolfo Malatesta: le lotte fra i due condottieri sconvolsero lungamente la Romagna e le Marche. Servì ancora lo Sforza e i Fiorentini, alleati suoi, fino al 1451, quando passò al servigio degli Aragonesi di Napoli. Guerreggiò per Pio II e per Ferrante contro il Piccinino e contro i baroni di parte angioina: nella battaglia, pure indecisa, di San Fabiano d'Ascoli (22 luglio 1460) acquistò fama di grande condottiero; prese l'Aquila nel regno dl Napoli. Poi, rotta l'effimera pace stabilita dal papa nel 1459 in Romagna, combatté fieramente per lui contro il Malatesta, sconfisse questo sul Lesano presso Senigallia (12 agosto 1462), gli tolse, con le armi o con l'astuzia, quasi tutte le terre e, dopo un assedio di quattro mesi, la stessa Fano (25 settembre 1463).
Il papa lo nominò vicario delle terre conquistate, con mero e misto impero (1464). Comandante supremo della Lega italica (1466), combatté il Colleoni nella battaglia della Riccardina o della Molinella (23 luglio 1467), nella quale fu usata per la prima volta l'artiglieria da campagna. La battaglia ebbe esito incerto, ma l'impresa del Colleoni fu troncata. Ma quando, morto Sigismondo, il papa volle, secondo il patto del 1463, richiamare Rimini al dominio diretto della Chiesa, Federico, intimorito per il crescere della potenza papale, prese le parti di Roberto Malatesta e, come capitano della lega di Napoli, Milano, Firenze, batté a Mulazzano presso Rimini l'esercito pontificio (30 agosto 1469), assicurando la città ai Malatesta. E fu nel 1472 capitano dei Fiorentini per sottomettere la ribelle Volterra, che, si disse contro sua voglia, fu saccheggiata orribilmente. Sisto IV, che aveva bisogno di lui per domare Niccolò Vitelli, signore di Città di Castello, lo creò il 21 agosto 1474 duca di Urbino e stabilì il matrimonio del nipote Giovanni della Rovere con Giovanna, figliuola di Federico. Questi ebbe poi il comando delle milizie papali contro Firenze e prese Monte S. Savino e Colle Val d'Elsa (1479). Capitano della lega contro i Veneziani e il papa (1482), morì all'inizio della campagna, lasciando lo stato suo, fra S. Marino e Gubbio, la valle della Marecchia e Senigallia, tre volte più grande che non l'avesse trovato.
Condottiero assai lodato per valore, per prudenza, per rara lealtà, paragonato a Demetrio Poliorcete, F. si distinse soprattutto nell'arte della pace. Nella guerra cercò più che altro i mezzi per le opere sue magnifiche. Colto nella lingua latina, nelle lettere sacre e profane, nella storia, "primo de' signori che avesse dato opera a filosofia" (Vespasiano), raccolse intorno a sé e alla seconda sua consorte, la gentile Battista Sforza, una corte di umanisti e di poeti; fondò a Urbino la più ricca bibioteca che fosse nell'Occidente, tenendo impegnati, per quattordici anni e più, da trenta a quaranta scrittori a trascrivere libri, ché di opere a stampa si sarebbe vergognato. Fece innalzare, su disegno del dalmata Luciano di Laurana, il palazzo ducale di Urbino, torreggiante sull'orlo dell'abisso, decorato degli affreschi di Melozzo da Forlì, delle sculture di Ambrogio da Milano, di Baccio Pontelli, di Domenico Rosselli; e rocche e palazzi edificò a S. Leo e a Montefelcino, a Pergola e a Casteldurante, a Fossombrone, a Cagli, a Gubbio; e a Urbino, il Duomo; e tra Urbino e Mondavio, il ponte sul Foglia. Venne per lui dalle Fiandre Giusto di Gand, "maestro solenne", che ne esegui il ritratto; e altro ritratto famoso dipinse Piero della Francesca. Maestri fiamminghi tessevano gli arazzi del palazzo ducale. "Religiosissimo e osservantissimo dei divini precetti" (Vespasiano), lasciò grande fama di giustizia e di umanità.
Bibl.: Vespasiano da Bisticci, F. duca di Urbino, ed. Frati, I, p. 265 segg.; F. Filelfo, Vita di F. d'U., ed. in Atti e Mem. della R. Dep. di st. patr. delle Marche, V (1901); G. Santi, F. di M., Cronaca, ed. da H. Holzinger, Stoccarda 1894; G. Muzio, Vita e fatti di F. d. M. d. d'U., Venezia 1605; R. Reposati, Della zecca di Gubbio, I, Bologna 1772; B. Baldi, Vita e fatti di F. d. M. d. d'U., Roma 1824; F. Ugolini, Storia de' conti e duchi di Urbino, Firenze 1859; Th. Hofmann, Bauten des Herzogs Federigo di Montefeltro als Erstwerke der Hochrenaissance, Lipsia 1905; R. de la Sizéranne, Le vertueux condottière, Federigo de Montefeltro duc d'Urbino, Parigi 1927.