FABBRI, Federico
Nacque a Ravenna il 10 genn. 1835, da Gaetano, medico, e da Adelaide Miani. Si avvicinò presto al movimento patriottico, con ogni probabilità aderendo in questo stesso periodo alla massoneria. Nel giorno della "rivoluzione", il 13 giugno 1859, affiancò G. Pasolini, gonfaloniere di Ravenna, quando questi si recò al palazzo apostolico per prenderne possesso in luogo del prolegato pontificio monsignor A. M. Ricci. Entrato con funzioni di segretario nella Commissione provvisoria di governo, cominciò così. la sua carriera nella pubblica amministrazione; fu dapprima segretario particolare del primo governatore di Ravenna, il torinese E. Luserna di Rorà, che, compiutosi il plebiscito in favore, dell'annessione allo Stato sabaudo, accompagnò a Torino, ove ebbe modo di incontrare il Cavour.
Dopo la partecipazione, alla campagna militare in Umbria nell'esercito pìemontese, il F., rientrato a: Ravenna, nell'ottobre 1860 riprese la sua attivìtà nell'amministrazione, col grado di segretario di prefettura di 2ª classe.
Durante lo svolgimento d'ella guerra del '66 fondò e diresse, il quotidiano, locale Le Ultime Notizie, al fine di fornire informazionì tempestive, ma anchc critiexmnte vagliate, sugli avvenimenti militari: il giornale usci dal 1° luglio al 31 ottobre, alle notizie militari sì aggiunsero go numeri, di supplemento con il resoconto del procesw, a carico di un'associazione di malfattori di Alfonsine, presso Ravenna, celebrato a Bologna.
Nel settembre 1868 fu capo di gabinetto del gen. C. P. Escoffier, inviato a Ravenna con l'incarico di prefetto con poteri civili e militari su tutta la provincia per ristabilire l'ordine pubblico, pericolosamente compromesso da una lunga serie di delitti politici compiuti da una delle tante bande e sette criminali che infestavano la Romagna. Assassinato Escoffier nel suo ufficio dal questore P. Cattaneo il 19 marzo 1870 per motivi non chiari, ma a cui non sembrarono estranei rancori da parte dei funzionari governativi per i metodi, indubbiamente drastici e talvolta brutali, del prefetto, il F. fu confermato nella carica dal successore, il gen. C. F. di Robilant. Almeno al dire dello stesso F., proprio il servizio prestato a fianco dei due prefetti militari, in una situazione particolarmente difficile e fonte di possibili risentimenti e rappresaglie a livello locale, lo costrinse ad accettare il trasferimento prima a Massa Marittima, come delegato straordinario del Municipio, quindi a Como. I disagi, anche economici, inerenti al trasferimento al Nord, nonché le difficoltà incontrate per ottenere la promozione a segretario di ia classe spinsero il, F. ad abbandonare la carriera amministrativa per darsi a tempo pieno al giornalismo.
La prima fase dell'attività del F. come giornalista si svolse all'estero: si trasferì, infatti, ad Alessandria d'Egitto, sede di una cospicua comunità italiana nonché di una importante loggia massonica, dove fondò, il Messagiere egiziano, affermatosi presto localmente come reputato periodico. Il F. era mosso dalla convinzione che gli interessi e il ruolo internazionale dell'Italia dovessero trovare sbocco nelle terre africane;. tenne quindi sul suo giornale una lìnea politica, che riteneva la migliore per favorire gli interessi italiani in loco, di costante critica all'invadenza sia inglese sia fflancese, e di moderato appoggio al nascente nazionalismo egiziano. Questo atteggiamento filoegiziano si fece particolarmente evidente durante la crisi xenofoba dell'82, provocata dall'azione di un ufficiale egiziano nazionalista, 'Arabi pascià, il cui esito finale, con il bombardamento inglese di Alessandria e il fallimento dei nazionalisti, spinse il F. a lasciare l'Egitto.
Rientrato in Italia, il F., da sempre politicamente schierato con la Sinistra più critica, almeno teoricamente, verso il trasformismo, amico personale di A. Baccarini e in buone relazioni con F. Crispi, dopo una breve esperienza al Diritto, nel 1884 venne chiamato come capo redattore alla Tribuna.
Il quotidiano era stato fondato nel 1883 come foglio di battaglia dell'opposizione al trasformisino organizzata dai "pentarchi" (Cairoli, Crispi, Nicotera, Baccarini, Zanardelli); diretto inizialmente da L. Roux, con il passaggio della proprietà al principe Maffeo Barberini-Colonna di Sciarra, ne divenne direttore A. Luzzatto, che ne fece un organo di grande tiratura, corredandolo di nuove rubriche di informazione in vari campi e soprattutto di una pagina letteraria che acquistò notorietà e autorità. Il F., affiancando il Luzzatto, fu uno dei protagonisti di questa trasformazione, riconosciuto unanimemente come uno degli ispiratori più autorevoli della linea politica del giornale, la quale, nel primo decennio dalla fondazione, risentì comunque sia della generale confusione del clima politico italiano di quegli anni, sia, in particolare, della varietà delle posizioni all'interno del comitato di direzione, oscillando a seconda che in quest'ultimo prevalessero Baccarini, Zanardelli o Nicotera. Con l'ascesa di Crispi La Tribuna si affiancò in maniera più definita e costante alla sua linea, esprimendo un prudente conservatorismo in politica interna e manifestando con maggior vigore in politica estera una decisa inclinazione per il nazionalismo e le mire espansionistiche dello statista siciliano. Insieme con V. Morello (Rastignac), gran peso in questa correzione di rotta ebbe il F., di decisa e da lungo tempo propugnata fede colonialista, ribadita, tra l'altro, sul quotidiano in alcune corrispondenze da Tunisi, nel 1894, che suscitarono vasta eco non solo in Italia. Proprio in questi anni il F., come molti altri giornalisti italiani, fu coinvolto nello scandalo della Banca Romana, figurando fra coloro che avevano ricevuto finanziamenti da quell'istituto di credito, senza però riportare gran danno alla sua reputazione.
Nel 1900, alla morte del Luzzatto, quando La Tribuna entrò nell'orbita zanardelliana prima, giolittiana poi, garantita da una nuova direzione Roux, il F. lasciò il giornale. Negli anni in cui vi aveva lavorato non poco aveva pesato sulla linea politica di quel foglio l'influsso della massoneria, tanto da esserne considerato "portavoce ufficioso" (Cordova). L'appartenenza del F. alla massoneria e la partecipazione alla vita dell'Ordine, in cui ricopri i più alti gradi, fu una significativa costante della sua biografia: raggiunto il grado di 33, il F. fu per molti anni venerabile della loggia "Rienzi" di Roma, grande ispettore del rito scozzese, fece parte del Consiglio dell'Ordine (nel 1892 nella commissione Finanze), quindi figurò nella giunta del Consiglio e fu grande oratore durante il magistero di E. Nathan.
Nel 1895, nel corso del primo serio episodio di frattura all'interno dell'Ordine, sotto il gran maestro A. Lemmi, provocato dallo scontro sui modi e limiti della partecipazione della massoneria alla lotta politica, il F. si schierò a fianco del gran maestro, rivendicando l'adozione di dure misure punitive verso le logge dissidenti, ma anche l'estrancità della massoneria a scelte politiche troppo specifiche e compromettenti. Viceversa, durante il magistero di S. Fera, nel 1908, quando si verificò un secondo scontro che portò poi alla scissione dell'Ordine - cui, secondo molti, sembrò non essere estraneo Giolitti - il F. fu tra i principali oppositori del Fera, da cui fu sospeso insieme con altri dodici componenti del Consiglio dei 33.
Dopo aver lasciato La Tribuna il 20 dic. 1900 il F. aveva fondato un proprio foglio La Patria, sulle cui pagine sostenne vigorose campagne di stampa, su una linea di stretta osservanza massonica, per la laicità dello Stato, in particolare in merito al divorzio, all'insegnamento religioso nelle scuole, alla proclamazione del 20 settembre come festa nazionale: su tali questioni la posizione del F. fu intransigente e coerente, secondo una linea che egli aveva difeso pure all'interno della massoneria. Sostenne anche una politica di maggiori spese militari, guadagnandosi l'appoggio finanziario della Terni.
Quando ripetute difficoltà economiche lo costrinsero a chiudere il suo giornale, nel novembre 1906, continuò a lavorare come corrispondente da Roma di numerosì quotidiani e riviste nazionali; fu anche vicepresidente dell'Associazione nazionale della stampa.
Il F. morì a Roma il 10 genn. 1912.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio del Museo centr. del Risorgimento, b. 285, f. 26 (sei lettere del F. a D. Farini); D. Farini, Diario di fine secolo, a cura di E. Morelli, Milano 1962, ad Ind.; Il Saraceno [L. Lodi], necr. in La Vita, 12 genn. 1912; L. Miscrocchi, Ravenna e ravennati nel sec. XIX, Ravenna 1927, pp. 118 s.; E. Michel, F. F., in Diz. del Risorg. naz., III, Milano 1933, p. 19; N. Quilici, Fine di secolo. Banca Romana, Milano 1935, ad Ind.; G. Talamo, Ilmancato intervento ital. in Egitto nel 1882, in Rass. stor. del Risorgimento, XLV (1958), p. 432; V. Castronovo, Per la storia della stampa ital., in Nuova Riv. storica, XLVII (1963), p. 154; F. Fonzi, Crispi e lo "Stato di Milano", Milano 1965, ad Ind.; A. Mombelli, Il giornalismo in Romagna, Forlì 1966, ad Ind.; A. A. Mola, St. della massoneria ital. dall'Unità alla Repubblica, Milano 1976, ad Ind.; O. Majolo Molinari, La stampa periodica romana dal 1900 al 1926, Roma 1977, ad Ind.; F. Cordova, Massoneria e politica in Italia 1892-1908, Roma-Bari 1985, ad Ind.