GONZAGA, Federico
Nacque intorno al 1480 da Gianfrancesco e Antonia Del Balzo, di nobile famiglia napoletana.
Il G. apparteneva a un ramo minore dei Gonzaga, quello di Bozzolo, che sullo scorcio del Quattrocento era assurto a una qualche potenza. Le fortune dei Gonzaga di Bozzolo datavano al 1478, quando il marchese Ludovico II divise il marchesato di Mantova, riservando la maggior parte dello Stato al primogenito Federico, ma riconoscendo il possesso di diversi territori ai figli cadetti Francesco, Gianfrancesco, Ludovico e Rodolfo. L'anno successivo un accordo di famiglia stabilì che i due ecclesiastici Francesco e Ludovico avrebbero lasciato in eredità i loro possessi rispettivamente a Rodolfo, da cui derivarono i Gonzaga di Castiglione, e a Gianfrancesco, che diede origine al ramo dei Gonzaga di Bozzolo e Sabbioneta. A Gianfrancesco toccò dunque un piccolo stato, composto da Sabbioneta, Bozzolo, Gazzuolo e da altri centri minori, che gli consentì di giocare un qualche ruolo nella politica italiana negli ultimi decenni del Quattrocento. Nel 1496 morì, ancora giovane, a causa di una ferita mal curata, e i suoi domini furono spartiti tra i tre figli maschi. A Ludovico toccò Sabbioneta, a Pirro Gazzuolo, San Martino e Ostiano, al G. Bozzolo, Rivarolo e Viadana, un dominio piccolo, ma collocato in una posizione strategica e dotato di numerosi privilegi, tra cui quello di battere moneta, riconosciutogli nel 1497.
La giovinezza del G. resta per molti versi oscura. Crebbe sotto la tutela della madre, donna abile e capace di guidare con mano sicura il piccolo Stato. Nel 1496, ancora molto giovane, fu inviato alla corte di Napoli, dove restò alcuni anni. Nel 1504 si sposò con Giovanna Orsini, dalla quale non ebbe figli. Con il tracollo del Regno di Napoli e l'inizio delle guerre d'Italia il G. decise di passare nel campo francese e seguì Carlo VIII in Francia, dove si perfezionò nel mestiere delle armi. Tornò poi in Italia al seguito di Luigi XII e partecipò alla guerra della Lega di Cambrai contro Venezia (1508-10).
L'esordio militare del G. non fu brillantissimo. Mentre comandava insieme con Filippo Rosso 200 cavalieri che scortavano l'artiglieria destinata all'esercito imperiale, la sua compagnia fu improvvisamente attaccata da milizie padovane e volta in fuga. Il G. riuscì a salvarsi a stento, "con grande fatica, per benefitio della notte, a piede e in camicia", come scrisse F. Guicciardini (Opere, I, p. 377). All'inizio del 1510, poi, il G. fu protagonista di una sfortunata sortita da Verona, nel corso della quale dimostrò notevoli doti di coraggio.
Al termine della guerra contro Venezia, papa Giulio II ruppe l'alleanza con la Francia e costituì una nuova lega per espellere i Francesi dall'Italia. Il G. rimase nell'esercito oltremontano e nel 1512 partecipò alla battaglia di Ravenna, in cui i Francesi sconfissero, a prezzo di gravissime perdite, le truppe papali. In quest'occasione il G. prese in custodia il cardinale Giovanni de' Medici, che era caduto prigioniero dei mercenari albanesi. Nel 1513 il Medici, divenuto papa col nome di Leone X, dimostrò la sua riconoscenza per la benevolenza usatagli dal G. nominandolo comandante della fanteria pontificia, sotto il comando di Giuliano de' Medici. Dopo pochi anni, però, Lorenzo de' Medici, duca d'Urbino, che era divenuto comandante dell'esercito pontificio, revocò l'incarico. Sdegnato da questo modo di procedere, il G. abbandonò il campo pontificio e aiutò Francesco Maria Della Rovere a tentare di recuperare il Ducato di Urbino, che gli era stato tolto pochi anni prima proprio da Leone X, e rimase ferito in un combattimento nei pressi di Rimini (1517).
Mentre i Gonzaga di Mantova e di Sabbioneta cominciavano a passare dal campo francese a quello imperiale, il G. rimase fedele alla Corona di Francia, che non gli lesinò manifestazioni di stima e di fiducia. Oltre a svolgere una non precisata missione diplomatica a Venezia, il G. partecipò così a tutte le fasi più importanti delle guerre combattute da Francesco I e Carlo V per il dominio sull'Italia. Tra l'agosto e il settembre 1521 comandò un contingente franco-italiano a Parma, difendendo validamente la città da un attacco delle truppe ispano-pontificie, ma la sua vittoriosa azione militare non poté mutare le sorti della guerra. Nel novembre 1521 l'esercito francese abbandonò Milano agli Imperiali e il G. dovette trasferire le sue truppe a Cremona, da dove tentò un colpo di mano verso l'Emilia, che fu respinto dalle truppe pontificie comandate da Francesco Guicciardini. L'anno successivo, il G. partecipò con le sue truppe alla sfortunata battaglia della Bicocca, che sancì il predominio spagnolo sulla Lombardia.
Le sconfitte francesi compromisero seriamente i rapporti del G. con gli altri rami della famiglia Gonzaga, che avevano scelto il campo imperiale, e misero a repentaglio il suo piccolo Stato. Sin dal 1519 il marchese di Mantova Federico II Gonzaga si schierò nel campo imperiale, abbandonando la tradizionale politica estera dei Gonzaga, in genere piuttosto favorevoli alla Francia. Come ricompensa per i servigi prestati, Federico richiese all'imperatore i feudi dei rami cadetti della famiglia, che militavano nel campo francese. Così, il 22 maggio 1522 Carlo V dichiarò ribelli e felloni il G. e suo fratello Pirro e li privò delle loro terre, assegnandole al marchese di Mantova. Mentre sua moglie si ritirava ad Asola, il G. reagì con un duro monitorio e cercò di riprendere con le armi i feudi che gli erano stati tolti. Ma la situazione militare si evolveva ormai a tutto svantaggio dei Francesi e i tentativi del G. non approdarono ad alcun risultato.
Nel 1524 il G. combatté a Marsiglia, contribuendo a respingere l'attacco di un grosso contingente imperiale comandato dal conestabile Carlo di Borbone. L'anno successivo partecipò alla disastrosa battaglia di Pavia, nella quale l'esercito francese fu duramente sconfitto e lo stesso Francesco I catturato dagli Imperiali. Anche il G. fu catturato e tradotto nel castello di Pavia, ma, dopo una breve detenzione, riuscì a fuggire, corrompendo i carcerieri. Nella confusa situazione determinatasi nell'Italia centrosettentrionale il G. cercò di ritagliarsi lo spazio per un'ambigua manovra politica e fece ritorno a Milano, cercando di ottenere il perdono di Carlo V. Nel frattempo, però, cercò di convincere il duca di Milano Francesco II Sforza a passare nel campo francese.
Nel 1526 il rifiuto di Francesco I di cedere alle durissime condizioni impostegli da Carlo V fece riesplodere la guerra in tutta l'Italia centrosettentrionale. Mentre le truppe imperiali toglievano Milano a Francesco II Sforza, la Francia, Venezia, Firenze e papa Clemente VII conclusero nel maggio 1526 un'alleanza antimperiale, la Lega di Cognac. Ma le speranze dei collegati naufragarono nel giro di pochi mesi, a causa della superiorità militare degli Imperiali e dell'indecisione con cui fu gestita la campagna militare. In questa fase il G. partecipò, con alterna fortuna, ad alcuni scontri nel Cremonese. Poi passò in Toscana con l'esercito della Lega, che cercava vanamente di fermare la marcia dei lanzichenecchi tedeschi verso Roma. Oltre a sovrintendere all'allestimento delle difese di Firenze, il G. partecipò a una riunione dei capitani dell'esercito della Lega, nel corso della quale si decise di contrastare le truppe imperiali nella zona di Arezzo, impedendo loro ogni ulteriore avanzata. Ma il piano non poté essere attuato a causa dell'evoluzione della situazione politica fiorentina e del maturare di diffuse tendenze antimedicee. Il 26 apr. 1527 gruppi di ribelli antimedicei occuparono palazzo Vecchio e piazza della Signoria. Il G. si recò a palazzo per cercare di sedare il tumulto, ma non vi riuscì e anzi fu trattenuto per diverse ore dai ribelli. Profondamente sdegnato, il G. decise di comandare l'assalto al palazzo, ma ne fu dissuaso dal luogotenente papale Guicciardini, che riuscì a ottenere una sia pur precaria pacificazione.
Il tumulto fiorentino e la conseguente inattività dell'esercito della Lega lasciarono campo libero alle truppe imperiali, che nel maggio 1527 entrarono a Roma e la misero a sacco, costringendo Clemente VII a rifugiarsi in Castel Sant'Angelo. In quei drammatici giorni il G. si trovava con l'esercito della Lega in Umbria e giocò un qualche ruolo nell'arresto e uccisione di Gentile Baglioni, assassinato dal cugino Orazio per una vecchia faida familiare. Deciso a liberare Clemente VII dalla sua prigionia, il G. mosse poi verso Roma insieme con Ugo Pepoli e un piccolo contingente di truppe, ma, giunto nei pressi di Bracciano, cadde da cavallo e dovette rinunciare a partecipare all'impresa, che del resto fallì miseramente.
Il G. morì all'inizio del 1528, per le conseguenze della caduta da cavallo dell'anno prima, lasciando in eredità i suoi domini al fratello Pirro e ai nipoti Luigi, detto Rodomonte, e Gianfrancesco, detto Cagnino.
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