Federigo Enriques
Nella figura di Enriques si intrecciano matematica, filosofia, storia, pedagogia e organizzazione della cultura. Il matematico livornese unisce le sue competenze scientifiche a una propensione civile, abbinata all’impegno pedagogico. In tal modo egli non appare soltanto un matematico e un epistemologo di rilievo internazionale, ma anche il promotore, in Italia, di una politica culturale che vede nell’integrazione tra filosofia e scienza e nell’unità storica del sapere le basi per una riforma dell’insegnamento superiore e universitario. La sua iniziativa, se pure sconfitta nel breve periodo, ha lasciato traccia nell’odierno dibattito intellettuale.
Nato il 5 gennaio 1871 a Livorno da famiglia ebraica di ascendenza portoghese, Federigo si trasferì nel 1882 con la famiglia a Pisa per seguire gli studi, prima liceali, quindi universitari presso la Scuola Normale Superiore, dove si laureò in matematica a vent’anni (1891). Grazie ai due anni di perfezionamento, prima a Pisa, poi a Roma, entrò in contatto con la comunità matematica italiana, e soprattutto con Guido Castelnuovo, che diventerà suo cognato, e con Corrado Segre e Luigi Cremona. Nel 1894 iniziò a Bologna la sua carriera universitaria insegnando geometria descrittiva e proiettiva, insegnamento del quale ottenne la titolarità nel 1896; dal 1922 ricoprì la cattedra di matematiche superiori e di geometria superiore presso l’Università La Sapienza di Roma. Il primo decennio del Novecento vide Enriques tra i promotori della cultura scientifica e filosofica italiana. Nel 1906 fondò la Società filosofica italiana (SFI) e ne fu presidente fino al 1913. Nel 1910 divenne condirettore insieme a Eugenio Rignano della rivista «Scientia, rivista internazionale di sintesi scientifica», che proseguiva le pubblicazioni della «Rivista di scienza, organo internazionale di sintesi scientifica», nata nel 1907. Nello stesso anno ritirò a Parigi il Prix Bordin, che l’Académie des sciences gli conferì per una memoria sulle funzioni iperellittiche, redatta insieme al giovane matematico Francesco Severi, e in quell’occasione strinse amicizia con Jules-Henri Poincaré, membro della giuria del premio. Partecipò attivamente al III Congresso internazionale di filosofia di Heidelberg (1908), dove ricevette il mandato per organizzare il IV Congresso a Bologna, in occasione del cinquantenario dell’Unità d’Italia (1911); ciò provocò la reazione di Benedetto Croce, che lo accusò di essere un dilettante in filosofia. Dal 1921 alla morte, Enriques fu nominato direttore del «Periodico di matematiche», organo della Mathesis, Società italiana di scienze fisiche e matematiche, fondata nel 1895 e da lui presieduta dal 1919 al 1932. Contribuì, su invito del presidente, Giovanni Gentile, alla redazione dell’Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti, dirigendone – con l’aiuto di Luigi Fantappié, Enrico Fermi e Ugo Amaldi – la Sezione di matematica dal 1925 al 1938, alla quale collaborarono sessantadue tra i principali matematici e storici della matematica italiani del tempo, e ne redasse trentotto voci (tra le quali Analisi, Assioma, Assurdo, Cerchio, Curve, Geometria, parte storica, Infinito, parte storica, Irrazionale, Matematica, Meccanicismo, Naturali, scienze, Numero, Problema, Punto, Spazio, Superficie, Uguaglianza), mosso dall’esigenza di divulgare la matematica e la storia della matematica (parte delle voci scritte per l’Enciclopedia verrà pubblicata da Attilio Frajese nel volume Le matematiche nella storia e nella cultura, 1938).
La sua posizione ‘politica’ fu sempre defilata: non firmò il Manifesto degli intellettuali fascisti promosso da Gentile, ma neppure quello degli intellettuali antifascisti promosso da Croce, in nome di una neutralità estranea a ogni particolarismo sia nazionale che partitico e orientata da un cosmopolitismo intellettuale che vedeva nella scienza una vocazione pacifica e transnazionale. Notevole fu, accanto all’attività scientifica, quella editoriale: dal 1906 instaurò un legame organico con la casa editrice Zanichelli di Bologna, trasformata in società anonima, divenendone socio fondatore e ispirandone molte scelte in campo scientifico, nelle collane da lui dirette Per la storia e la filosofia delle matematiche, Attualità scientifiche, Classici, dove comparvero tra l’altro la prima edizione italiana del saggio di Albert Einstein Sulla teoria speciale e generale della relatività (1921) e l’Introduzione alla fisica atomica (1928) di Fermi; la Zanichelli verrà rilevata nel 1930 da un cognato di Federigo, l’industriale Isaia Levi, e nel dopoguerra, dal 1962, sarà presieduta dal figlio di Federigo, Giovanni Enriques, che portò nel mondo editoriale le capacità manageriali acquisite presso la Olivetti. La convergenza di interessi scientifici, la comune origine ebraica e la vivacità dell’impegno culturale lo condussero a stabilire un solido rapporto di amicizia con Einstein che venne invitato a Bologna per tenere il 22, 24 e 26 ottobre 1921 nell’aula dello Stabat Mater dell’Archiginnasio tre conferenze pubbliche sulla relatività, con grande risonanza sulla stampa cittadina e nazionale. L’impegno culturale pubblico venne interrotto dalla promulgazione delle leggi razziali nel 1938 che lo costrinse ad abbandonare l’insegnamento, ma non l’Italia.
Tra i fondatori della scuola italiana di geometria algebrica, Enriques allargò gli orizzonti del dibattito scientifico occupandosi di filosofia, storia e didattica della matematica. I suoi rapporti consistenti con la comunità scientifica e filosofica francese e internazionale garantirono la diffusione del suo pensiero, anche se non riuscì a realizzare pienamente i propri progetti, come nel caso del tentativo fallito di fondare a Roma un Istituto nazionale di storia della scienza nel 1927. Grazie all’impegno di Enriques furono tuttavia attivati presso l’Università di Roma corsi e avviate ricerche di storia della scienza: il fisico Giorgio de Santillana (dal 1954 docente di storia e filosofia della scienza al Massachusetts Institute of technology di Cambridge, Massachusetts) fu chiamato dal matematico livornese a tenere un corso di storia della scienza e ne divenne un apprezzato collaboratore, prima di trasferirsi negli Stati Uniti nel 1936. Per evitare la deportazione durante l’occupazione tedesca in Italia fu nascosto a Roma in casa dell’allievo Frajese e poi a San Giovanni in Laterano. Anche negli anni della segregazione continuò a insegnare in una scuola ebraica clandestina fondata da Castelnuovo per i giovani ebrei estromessi dalle università italiane. Dopo la liberazione anglo-americana di Roma nel 1944 tornò all’insegnamento universitario fino alla morte sopravvenuta il 14 giugno 1946.
Il rilievo culturale di Enriques si misura nella sua statura di matematico, internazionalmente riconosciuta, nei suoi studi di filosofia e storia della scienza, rinomati in Europa, nel suo impegno di politica culturale, volto all’avvicinamento tra cultura filosofica e scientifica e alla riforma della struttura complessiva dell’insegnamento superiore e della trasmissione del sapere in Italia.
Sul terreno specifico della matematica Enriques fu uno tra i promotori più originali dello sviluppo della geometria algebrica, che pose la scuola algebrica italiana – tra fine Ottocento e inizio Novecento – ai livelli più elevati della ricerca matematica internazionale. La geometria algebrica unisce l’algebra astratta, e in particolare l’algebra commutativa, alla geometria, al fine di studiare le «varietà algebriche», oggetti geometrici definiti come soluzioni di equazioni algebriche.
L’interesse di Enriques per la nascente disciplina matematica fu legato all’incontro con Castelnuovo (allievo di Corrado Segre, considerato, con Eugenio Bertini, il fondatore della scuola italiana di geometria algebrica) che avvenne a Roma nel 1892. I due giovani matematici decisero di occuparsi della teoria delle superfici. Enriques e Castelnuovo elaborarono il metodo di lavoro della nuova disciplina costruendo modelli di superficie dello spazio euclideo o di spazi superiori, distinti in sezioni corrispondenti: uno conteneva le superfici regolari; l’altro le superfici irregolari. La ricerca conduceva a rintracciare proprietà sussistenti, con opportune modificazioni, nelle due diverse sezioni, che a loro volta dovevano consentire di costruire altre superfici. Il metodo mostrava la possibilità di vagliare in modo sperimentale modelli complessi di superfici, in una direzione geometrica, e non in quella algebrica, prediletta dai matematici tedeschi (la teoria algebrica delle equazioni differenziali fu sviluppata da Marius Sophus Lie tra il 1870 e il 1899). Enriques raccolse la sua classificazione delle superfici nelle Ricerche di geometria sulle superficie algebriche (1893), scritto di base per la fondazione della teoria, la sistemò per l’insegnamento nelle Lezioni di geometria proiettiva (1898, quattro volte riedite con incrementi fino al 1920, e tradotte in tedesco nel 1903 e nel 1915, in francese nel 1930, in inglese nel 1933 e in spagnolo nel 1943), e all’interno dei due volumi di Questioni riguardanti le matematiche elementari (1912-1914), che videro il «modesto esempio di solidarietà del lavoro collettivo» (come scrisse Enriques nella Prefazione al secondo volume, p. VI) nei contributi di Amaldi, Ettore Baroni, Roberto Bonola, Benedetto Calò, Castelnuovo, Oscar Chisini, Alberto Conti, Ermenegildo Daniele, Amedeo Giacomini, Duilio Gigli, Alfredo Guarducci, Alessandro Padoa, Umberto Scarpis, Giovanni Vailati, Giuseppe Vitali, indicando, affermò Enriques nella Prefazione al primo volume,
in qual modo lo spirito geometrico e lo spirito aritmetico, cui una certa trattazione puristica delle questioni fa corrispondere due dominii distinti, si uniscano e si compenetrino in una più feconda intuizione matematica, quando si passa a studiare le medesime questioni da un punto di vista più elevato e comprensivo (Questioni riguardanti le matematiche elementari, raccolte e coordinate da F. Enriques, 1° vol., 1912, p. V)
e divennero presto – come ricorda un suo collaboratore, il matematico Francesco Giacomo Tricomi – «la Bibbia dei candidati all’insegnamento delle matematiche nelle scuole secondarie italiane» (F.G. Tricomi, Ricordi di Federigo Enriques nel centenario della nascita, in Commemorazione di Federigo Enriques nel primo centenario della nascita, a cura dell’Accademia delle scienze di Torino, 1971, p. 21). L’approccio geometrico, veicolo di un linguaggio costituito da dimostrazioni senza definizioni, metteva in gioco la propensione sperimentale unita a prontezza intuitiva, espressione concreta dell’intuizione matematica, scoprendo «un ordine di armonie più riposte ove rifulge una meravigliosa bellezza» (F. Enriques, Le superficie algebriche, 1949, p. 464).
A partire da tali ricerche specialistiche, Enriques sviluppò le sue riflessioni filosoficamente più significative, ancorate alla matematica, ma tali da unire logica, epistemologia e storia della scienza, per comprendere le grandi svolte prodottesi in ambito logico-matematico e fisico alla fine dell’Ottocento, anche con il contributo della scuola algebrica italiana, e per render conto del metodo e dello sviluppo della scienza in generale. Si può anzi riconoscere, con i suoi allievi (grazie alle testimonianze di Giuseppe Scorza Dragoni e Luigi Campedelli), che già dal primo corso universitario del 1893-94 Enriques discusse dei principi della geometria ponendo interrogativi squisitamente filosofici intorno al rapporto tra spazio reale, spazio intuitivo e spazio geometrico. Matematica e filosofia risultano inscindibili nella ricerca enriquesiana che trae alimento dalla teoria delle superfici algebriche e – pur mantenendosi isolata, come vedremo, nella cultura italiana – risulta storicamente connessa da un lato con il dibattito francese sulla filosofia della matematica e della scienza, dall’altro con le riflessioni epistemologiche e storiche del Circolo di Vienna.
Già nel suo primo saggio epistemologico Sulla spiegazione psicologica dei postulati della geometria (1901) Enriques indica le origini della propria riflessione epistemologica nella dimensione sperimentale e intuitiva della ricerca geometrica dei modelli complessi di superfici algebriche condotta insieme a Castelnuovo. Egli è convinto che i problemi filosofici connessi alla scoperta di varietà di spazio non euclidee trovino una spiegazione empirica, in direzione fisiologica e psicologica.
Il dibattito era vivace in Francia grazie agli interventi di Poincaré, matematico impegnato – come Enriques – sia nella direzione della ricerca sugli spazi non euclidei, sia in quella dell’indagine epistemologica sulla funzione e sul valore di verità delle nuove geometrie. In una prospettiva filosofica più ampia, entrambi sono convinti che la scoperta degli spazi non euclidei e la nuova geometria algebrica propongano una revisione critica del ruolo svolto dal positivismo e dal criticismo nella moderna teoria della conoscenza. La collocazione ‘francese’ della riflessione di Enriques è talmente radicata da consentire di leggere la sua «filosofia scientifica», il suo «kritischen Positivismus» (come viene definito nella Einleitung del volume Die Philosophie des Auslandes vom Beginn des 19. Jahrhunderts bis auf die Gegenwart, hrsg. T.K. Oesterreich, 1928, p. XXXV, inserito nella quinta edizione del Grundriss der Geschichte der Philosophie diretto da Friedrich Ueberweg), come un momento del dibattito epistemologico francese sviluppatosi tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento: sono cinquantasei i titoli di scritti enriquesiani in lingua francese, nell’arco di tempo che va dal 1895 alla morte (1946). A essi vanno aggiunti gli incarichi accademici ed editoriali, come la qualifica di socio corrispondente dell’Institut de France per la sezione filosofica e il ruolo di direttore della collana Philosophie et histoire de la pensée scientifique nella serie delle «Actualités scientifiques et industrielles» dell’editore Hermann di Parigi. Peraltro folto risulta il gruppo di collaboratori francesi alla rivista «Scientia», quali lo stesso Poincaré, Charles-Émile Picard, Jules Tannery, Pierre Boutroux (che recensirà nel 1907 il principale testo epistemologico di Enriques), Paul Langevin, Jean-Baptiste Perrin, Félix-Édouard-Émile Borel.
Nella sua opera epistemologica più rilevante – i Problemi della scienza (1906, ultima ristampa curata dall’autore nel 1926, traduzione francese in due volumi nel 1909-1913) –, dedicata allo studio dei problemi dei fondamenti della scienza matematica e alla definizione degli enti matematici, è esplicito il dialogo con gli scritti epistemologici di Poincaré, e in particolare con La science et l’hypothèse (1902). Sono molteplici le affinità che avvicinano Enriques a Poincaré: entrambi maturano la propria riflessione epistemologica a partire dai problemi posti dalle geometrie non euclidee, entrambi combattono una battaglia a favore dell’unità del sapere scientifico, entrambi si interrogano sulle corrispondenze possibili tra realtà fisica e spazio geometrico, confrontandosi anche con le grandi svolte della fisica del Novecento (fisica quantistica e relativistica). Ma mentre Poincaré valorizza il primato della dimensione formale e relazionale del sapere matematico e delle sue ipotesi, che mantengono un carattere convenzionale, Enriques si orienta verso un razionalismo sperimentale che, muovendo da una riflessione approfondita intorno alla Kritik der rainen Vernunft (Critica della ragion pura) di Immanuel Kant, riconosce l’irriducibilità dei postulati geometrici alla dimensione empirica, ma non accetta la riduzione dello spazio a forma a priori dell’intuizione soggettiva e mantiene l’esigenza di trovare una corrispondenza tra spazio fisico e spazio geometrico, individuando le forme dei rapporti possibili tra realtà fisica e psicofisiologica. La persistenza di un riferimento oggettivo per le proposizioni geometriche costituisce per Enriques un discrimine interpretativo invalicabile, che permette la connessione empirica tra «fatto bruto» e «fatto scientifico» senza abbandonare l’ancoraggio a invarianti elementari. Come ricorderà, riassumendo le tesi proposte nel capitolo IV dei Problemi della scienza, nell’Appendice a Per la storia della logica (1922),
i dati immediati della realtà non sono le sensazioni pure, ma piuttosto i rapporti fra sensazioni e volizioni che condizionano le nostre aspettative, e ne esprimono gl’invarianti elementari; l’affermazione dell’esistenza d’un oggetto qualsiasi implica sempre il riconoscimento di un invariante siffatto, relativo ad un sistema di successioni fra certi atti o movimenti volontari e le sensazioni che da essi vengono procurate (Per la storia della logica. I principi e l’ordine della scienza nel concetto dei pensatori matematici, 1922, p. 252).
La concezione della Geometria come parte della Fisica (come recita il titolo del paragrafo 6 del capitolo IV dei Problemi della scienza) appare inoltre in sintonia con la visione einsteiniana dello spazio geometrico. Se la teoria degli spazi astratti ha condotto a costruire convenzionalmente geometrie non euclidee che cozzano contro le osservazioni fisiche disponibili, Enriques non esclude a priori che in futuro non vi possano essere esperienze, estranee al senso comune dello spazio, che le confermino. Una cosa è la realtà fisica, altra cosa sono le nostre rappresentazioni intuitive di essa, altra cosa ancora le osservazioni rigorose che ne facciamo con un ordine di approssimazione crescente e vincolato al progresso della scienza e all’evoluzione umana. L’epistemologia enriquesiana dello spazio evidenzia così il carattere empirico della geometria, utilizzando gli strumenti della psicologia fisiologica (con riferimenti particolari agli studi sull’origine empirica dei concetti geometrici di Hermann Ludwig Ferdinand von Helmholtz e sul rapporto tra la fisiologia psicologica e l’intuizione dello spazio di Wilhelm Wundt). Enriques ritrova una connessione, nella dinamica della conoscenza, fra tre funzioni psicologiche – associativa, astrattiva e genetica –, tre gruppi di sensazioni (tattile, visiva e muscolare) e i concetti astratti forniti dalle geometrie metrica e proiettiva, e dalla teoria del continuo.
Se per un versante l’analisi filosofica della matematica – espressa soprattutto nei Problemi della scienza – concorre, nell’ambito del dibattito epistemologico francese, alla definizione dell’orizzonte dell’epistemologia del Novecento, per altro verso Enriques viene considerato un pensatore di riferimento per la principale espressione della filosofia scientifica del Novecento, il Circolo di Vienna, anche per i suoi studi di storia della scienza e per l’adesione al progetto di un’enciclopedia unitaria della scienza. Nel ‘manifesto’ della nuova filosofia scientifica pubblicato nel 1929 dal Circolo di Vienna – Wissenschaftliche Weltauffassung (La concezione scientifica del mondo) – Enriques figura tra i maestri che hanno studiato i fondamenti, gli scopi e i metodi della scienza empirica, con i ricordati Poincaré e Helmholtz, ma anche con Bernhard Riemann, Ernst Mach, Pierre-Maurice Duhem, Ludwig Boltzmann ed Einstein (che lesse e apprezzò i Problemi della scienza nella traduzione tedesca, in due volumi, del 1910). La visione enriquesiana di una scienza empirica e pragmatica, che si sviluppa in un’approssimazione progressiva verso la verità, converge nella ricerca di un’unità sintetica della scienza, che sarà uno dei principali obiettivi dei cinque congressi internazionali di filosofia scientifica promossi soprattutto dal Circolo di Vienna dal 1935 al 1939. Al primo di tali congressi, tenutosi a Parigi il 15-21 settembre 1935, Enriques interviene nella sezione “Razionalismo empirico ed empirismo logico” con una relazione dal titolo Filosofia scientifica, nella quale sostiene la necessità di separare la «filosofia scientifica» dal positivismo ottocentesco, accusato di aver perso il senso dell’unità del sapere dogmatizzandosi, e dall’empirismo radicale e logico, che trascura il valore costruttivo e storico della razionalità e tende anch’esso a produrre una nuova scolastica.
Da parte mia sono convinto – conclude Enriques nella relazione del 1935 – che conviene ancora riconoscere un ruolo all’attività dello spirito che costruisce la sintesi scientifica, cercando di soddisfare finché è possibile certe esigenze soggettive di comprensibilità: principio di ragion sufficiente, continuità dell’azione causale secondo lo spazio e il tempo sono tra queste esigenze, che per la verità non impongono un quadro rigido alle teorie dello scienziato, ma che, piegandosi esse stesse agli scopi perseguiti e sottoponendosi ai risultati degli esperimenti precedenti, tendono comunque ad essere soddisfatte dalla sua costruzione (Filosofia scientifica, in Filosofia scientifica ed empirismo logico (Parigi 1935), a cura di G. Polizzi, 1993, p. 57).
Il carattere teoretico della sintesi scientifica non può risolversi né in un appiattimento metodologico sulle diverse discipline scientifiche, come aveva inteso la tradizione positivistica, né in una visione empirica e formalistica del sapere, come avrebbero voluto gli empiristi logici del Circolo di Vienna, ma deve confrontarsi con la dinamica storica e genetica delle procedure razionali che costituiscono concretamente nel tempo la scienza. Come dirà introducendo il Congresso internazionale di filosofia scientifica tenutosi due anni dopo a Parigi (parte del più ampio Congrès Descartes):
la raison n’existe pas sub specie aeternitatis, mais c’est quelque chose qui se développe et se révèle par l’évolution historique de la pensée. C’est surtout dans l’évolution de la pensée scientifique qu’il faut chercher les lois intimes qui relèvent de la raison (Le problème de la raison [1937], in Id., Per la scienza. Scritti editi e inediti, a cura di R. Simili, 2000, p. 225).
Inoltre, «la vera unità del sapere» – asseriva nella ricordata Appendice a Per la storia della logica, in chiara polemica con le sistematiche di origine idealistica, e con il sistema crociano in specie, e con un richiamo alla propria battaglia pedagogica – non «resulta dall’attribuire un valore filosofico alle distinzioni contingenti e provvisorie fra i rami dello scibile», ma poggia sulla rilevanza ‘storica’ dei problemi delle singole discipline:
ogni problema scientifico importante deve determinare (di volta in volta) speciali coordinazioni di mezzi tecnici e corrispondenti aggruppamenti di studiosi (Per la storia della logica, cit., p. 287).
Lo studio delle forme della percezione, l’analisi genetica del processi cognitivi, la ricostruzione storica di un progresso unitario e continuo della razionalità scientifica appaiono i pilastri della filosofia scientifica di Enriques, sempre attenta alle dinamiche dell’operare della scienza, nella sua necessaria parzialità e approssimazione, e nella salvaguardia del «valore dell’elemento rappresentativo della conoscenza» («non vi è una scienza fatta che non si prolunghi necessariamente in una scienza da fare», Per la storia della logica, cit., p. 260).
I concetti di approssimazione e di rettificazione richiamano inoltre una valutazione metodologica del rapporto tra verità ed errore che assume un evidente risvolto pedagogico:
E degli errori propriamente detti – scriverà nel Significato della storia del pensiero scientifico (1934) –, che talora sono in rapporto con manchevolezze delle singole menti, ma nei casi più caratteristici si presentano come tappe naturali del pensiero nella ricerca della verità, il maestro sa valutare il significato educativo: sono esperienze didattiche che egli persegue, incoraggiando l’allievo a scoprire da sé la difficoltà che si oppone al retto giudizio, e perciò anche ad errare per imparare a correggersi. Tante specie di errori possibili sono altrettante occasioni di apprendere (Il significato della storia del pensiero scientifico. Federigo Enriques, a cura di M. Castellana, A. Rossi, 2004, p. 18).
Sono parole che trovano una diretta consonanza – sempre in ambito francese – in Gaston Bachelard, altro promotore di una nuova «epistemologia storica» e di uno stretto legame tra storia della scienza e pedagogia, che richiama espressamente, nel suo Essai sur la connaissance approchée (1927), la concezione enriquesiana della rettificazione storica delle teorie matematiche, prodotta in corrispondenza con la realtà fisica, e afferma ripetutamente il valore ‘pedagogico’ dell’errore.
L’enfasi sulla storicità dell’impresa scientifica, già presente nei Problemi della scienza, dove Enriques scriveva che «una visione dinamica della scienza porta naturalmente nel terreno della storia», condurrà alla collaborazione con uno degli esponenti più attivi del Circolo di Vienna, Otto Neurath, che gli proporrà, senza successo, la stesura del fascicolo di storia della scienza previsto nel progetto dell’Enciclopedia internazionale della scienza unificata, poi realizzato soltanto nel 1962 da Thomas S. Kuhn (si tratta del noto volume La struttura delle rivoluzioni scientifiche). Enriques avrà tuttavia modo di esprimere il proprio indirizzo di razionalismo storico nella ricordata ricostruzione storica della logica (Per la storia della logica. I principii e l’ordine della scienza nel concetto dei pensatori matematici, 1922, tradotto in francese nel 1925, in tedesco nel 1927 e in inglese nel 1929), in una più ampia storia delle scienze matematiche, geometriche, astronomiche, meccaniche e fisiche dall’antica Grecia fino ai giorni nostri (Storia del pensiero scientifico, in collaborazione con de Santillana, 1932), e in due ricerche più delimitate, che affrontano questioni metodologiche e gnoseologiche (Il significato della storia del pensiero scientifico, edizione francese nel 1934, prima edizione italiana nel 1936, e La teoria della conoscenza scientifica da Kant ai nostri giorni, edizione francese nel 1938, prima edizione italiana nel 1983), sempre attingendo direttamente alle fonti storiche degli autori trattati. La storia della scienza diviene centrale nella fase finale dell’attività di Enriques, illuminandone il valore per la connessione concreta tra scienza e filosofia in funzione di un’ampia unificazione culturale. Il significato metodologico ed epistemologico della storia della scienza – descritto nel saggio Il significato della storia del pensiero scientifico – consiste nel mostrare l’ordine logico che regge il progresso razionale della scienza, nel segno dell’unità e della continuità delle esigenze razionali testimoniate nella costruzione scientifica, a partire dalla cultura greca:
Se la verità è soltanto un passo verso la verità, il valore della scienza consisterà piuttosto nel camminare che nel fermarsi ad un termine provvisoriamente raggiunto. I fatti, le leggi, le teorie, riceveranno il loro senso non tanto come sistema compiuto e statico, quanto nella loro reciproca concatenazione e nel loro sviluppo (Il significato della storia del pensiero scientifico, cit., p. 12).
In tal modo Enriques intende la storia della scienza come il risultato di una ‘costruzione’ del pensiero che faccia convergere i principi della filosofia scientifica con una filosofia della storia ispirata da una visione razionale unitaria. Come ricorderà nella Storia del pensiero scientifico, «lo sforzo per il progresso porta dalla scienza alla filosofia della scienza e da questa alla storia» (F. Enriques, G. de Santillana, Storia del pensiero scientifico, 1° vol., Il mondo antico, 1932, p. 6); la storia della scienza viene così investita di un fine culturale e pedagogico ‘alto’: la realizzazione di quella «educazione generale dello spirito» che anche Gentile vedeva, nel solco dello storicismo di Georg Wilhelm Friedrich Hegel, come finalità ultima della scuola classica.
L’indagine sulla cultura matematica, in primo luogo greca, diviene il banco di prova per la concezione enriquesiana della storia della scienza: non casualmente l’applicazione del metodo storico-genetico a fini didattici trova la sua prima realizzazione nell’edizione commentata degli Elementi di Euclide (Gli “Elementi” di Euclide e la critica antica e moderna, editi da F. Enriques con il concorso di diversi collaboratori, 3 voll., 1925-1935; il primo volume fu edito da Stock di Roma, gli altri due da Zanichelli). Il razionalismo storico diviene per Enriques uno strumento pedagogico potente per la comprensione delle procedure scientifiche, e in particolar modo matematiche, talché per capire un teorema non è sufficiente seguirne la dimostrazione, ma è pedagogicamente rilevante anche misurarsi con il contesto genetico, individuando i problemi tecnici che hanno condotto alla sua formulazione e alla sua risoluzione con l’applicazione di determinate teorie.
Con la fondazione della Società filosofica italiana, Enriques inizierà ad affrontare la questione della funzione pubblica, pedagogica e culturale della filosofia nella società in via di rapido sviluppo dell’Italia giolittiana, in relazione al progresso della scienza. La SFI nasce congiuntamente alla Società italiana per il progresso della scienza (SIPS), fondata il 15 settembre 1906 a Milano da Vito Volterra, matematico legato a Enriques e instancabile promotore di una nuova politica scientifica per l’Italia. Aprendo in qualità di presidente (carica che manterrà fino al 1913) il secondo congresso della SFI a Parma (25-27 settembre 1907, in concomitanza con il primo congresso della SIPS, tenutosi il 23-28 settembre), Enriques rimarca l’esigenza di rilanciare l’alleanza tra scienza e filosofia: la seconda avrebbe dovuto assumersi nuovamente il compito di un’analisi critica della scienza in una fase di rapida trasformazione teorica e sperimentale, al fine di ritrovare quell’unità e generalità del pensiero scientifico che superasse le accresciute separazioni disciplinari e ritornasse a collegare una scienza metodologicamente unitaria con una filosofia scientifica. Tale rilancio viene inteso come funzionale allo sviluppo stesso della democrazia:
la Scienza appare come una condizione per la possibilità di un regime democratico ove le volontà di tutti i cittadini sieno effettivamente rappresentate (Il valore della scienza, in Questioni filosofiche, a cura della Società filosofica italiana, 1908, p. 64).
Nel 1909 Enriques realizza anche l’unificazione della «Rivista filosofica» e della «Rivista di filosofia e scienze affini» nella «Rivista di filosofia», divenuta organo della SFI. Il progetto, chiaro nei suoi obiettivi di fondo e partecipe del nuovo sviluppo dell’epistemologia novecentesca, va a confliggere con il crescente successo del neoidealismo italiano che si propone un progetto simile di rifondazione della formazione scolastica e universitaria, e di unificazione della cultura italiana su basi filosofiche idealistiche. Il conflitto arriva all’opinione pubblica nel 1911, in occasione del IV Congresso internazionale di filosofia organizzato da Enriques a Bologna il 6-11 aprile. Croce stigmatizza lo zelo di Enriques nell’intervista rilasciata a Guido De Ruggiero («Giornale d’Italia», 16 aprile 1911) e poi nello scritto Ancora del prof. Enriques, comparso su «La critica» nel 1912: ridicolizza «quella filosofia astrattamente razionalistica, che sorge facile nei cervelli dei matematici», denuncia il legame di Enriques con i «circoli democratici e massonici» (B. Croce, Pagine sparse, 1° vol., 1940, p. 194). Ma soprattutto accusa il matematico-filosofo di aver organizzato un congresso di filosofia da dilettante, privo della necessaria competenza (il matematico Enriques – scriverà – non sa «nulla di nulla» in filosofia), di promuovere una filosofia per un pubblico di massa, poco adatto a padroneggiare la specificità complessa e spirituale della disciplina, di «tenere conferenze in circoli dilettanteschi o innanzi a un pubblico assai misto», di «attirare sopra di sé le simpatie dei progressisti», di «trascinarsi dietro una turba d’ignoranti, e ottenere, diciamo così, ‘successi elettorali’, che nella filosofia, nell’arte, nella scienza contano un bel nulla» (pp. 200-01).
La visione di una filosofia che, nel suo nesso con la scienza, sia democraticamente destinata a una diffusione di massa nell’insegnamento, nella formazione e nell’opinione pubblica, costituisce il nucleo ‘politico’ dell’impegno civile di Enriques che contrasta con la linea elitaria del liberalismo di Croce e con la successiva concezione gentiliana di una filosofia in grado di formare spiritualmente le classi dirigenti del nuovo Stato etico fascista. Croce è consapevole di avere dinanzi a sé un avversario pericoloso, che conta su una rete di relazioni nel mondo scolastico e culturale, e che orienta un programma di rinnovamento scientifico strettamente connesso a istanze democratiche. Enriques rivendica con convinzione un ruolo democratico per la nuova filosofia sintetica e unitaria della scienza, come emerge, per es., da un passo di una lettera inviata il 9 febbraio 1908 a Giovanni Vailati, altra figura di matematico-filosofo impegnato nel medesimo progetto, anche in qualità di membro della giunta scientifica della SIPS:
A me pare che la Società delle Scienze non possa vivere rigogliosa che sopra una base democratica; e la bandiera del sintetismo, la battaglia contro le divisioni artificiali della scienza, mostra che, in questo caso, ‘democrazia’ non significa certo un concetto meno alto della scienza (lettera di F. Enriques a G. Vailati del 9 febbraio 1908, in G. Vailati, Epistolario. 1891-1909, a cura di G. Lanaro, 1971, p. 590).
Bisogna aggiungere che non meno violenta sarà la reazione (privata) di Gentile contro l’organizzatore del Congresso di Bologna, visto come un sedicente caposcuola della filosofia italiana (il 1° febbraio 1910 Gentile scrive a Croce: «credo non giovi né a lui né agli studi italiani questa parte, che mi pare si venga arrogando, di caposcuola», G. Gentile, Lettere a Benedetto Croce, a cura di S. Giannantoni, 1980, 4° vol., p. 10). Inoltre, al più evidente contrasto con i filosofi neoidealisti, si unisce l’ostilità di scrittori e filosofi d’avanguardia, allora molto influenti nel panorama culturale: è il caso di Giovanni Papini, che aveva già fondato con Giuseppe Prezzolini la rivista «Leonardo» (1903-1907) e si accingeva a pubblicare «L’anima» (1911) e «Lacerba» (1913). Papini scrive il 17 dicembre 1909 al filosofo fiorentino, nonché senatore del Regno, Giacomo Barzellotti, asserendo che il matematico livornese «non può assolutamente rappresentare la filosofia italiana al Congresso» (lettera citata in Pompeo Faracovi 1984, p. 99).
La visione di una scienza propulsiva per la nascente società democratica italiana viene anche motivata da una vera e propria filosofia politica, espressa nel 1912, nel capitolo IV (La teoria dello Stato e il sistema rappresentativo) di Scienza e razionalismo (1912). Nel capitolo, dopo aver discettato sulle origini dello Stato e aver sottoscritto la teoria politica della «volontà sociale», che fa proprio – secondo Enriques – un concetto di società rispondente allo spirito della filosofia hegeliana positivamente interpretato, il matematico livornese si schiera a favore del governo democratico, che esige «un giusto equilibrio fra l’aspirazione egualitaria e l’ambizione dei cittadini» (Scienza e razionalismo, 1912, p. 211), sostenendo che «i partiti sono organi formativi della coscienza politica» (p. 219) e che «le condizioni presupposte di un buon regime, che veramente appaiono realizzate nei momenti più belli della democrazia parlamentare moderna» sono «la coordinazione degl’interessi alle idee nei partiti, la lotta fra questi, l’esistenza di un largo gruppo neutrale che decide della vittoria, la selezione naturale dei migliori rappresentanti in ordine alle esigenze della lotta» (p. 221).
Una riflessione poco nota, ma di straordinario rilievo e attualità, anche in confronto con la teoria politica crociana, che rende conto dell’ampiezza della posta in gioco, nell’intreccio tra scienza, cultura e concezione della democrazia.
Una funzione significativa ha svolto nell’impegno filosofico e scientifico internazionale di Enriques la rivista «Scientia», fondata a Bologna nel 1907 con la dizione «Rivista di Scienza, organo internazionale di sintesi scientifica», stampata da Nicola Zanichelli e divenuta nel 1910 «Scientia, rivista internazionale di sintesi scientifica» (attiva fino al 1988), sotto la direzione di Enriques e di Rignano, ingegnere milanese, con l’apporto in redazione di Giuseppe Bruni, chimico all’Università di Padova, Antonio Dionisi, medico modenese, e Andrea Giardina, biologo palermitano. La rivista intendeva presentarsi come un luogo deputato al confronto internazionale intorno ai nuovi orizzonti filosofici aperti dalle scienze, nello spirito di una «sintesi scientifica» che avrebbe dovuto superare gli specialismi e sviluppare una riflessione metodologica, epistemologica e filosofica sulla scienza nel suo complesso, in direzione di una filosofia scientifica. Nel quadro europeo del tempo «Scientia» si può avvicinare a riviste di divulgazione scientifica e letteraria come la «Revue du mois» fondata nel 1906 dal matematico Borel, amico di Enriques, o di aggiornamento scientifico come gli «Annalen des Naturphilosophie» diretti da Wilhelm Ostwald, o a riviste di ‘sintesi’, anch’esse aperte al pensiero scientifico, oltre che alla storia e alla filosofia, come la «Revue de synthèse historique» di Henri Berr e a riviste filosofiche attente alla riflessione sulla scienza come la «Revue de métaphysique et de morale». Alcuni collaboratori e direttori delle riviste citate scrissero anche su «Scientia»: basti ricordare scienziati del calibro di Borel, Poincaré e Ostwald. La redazione sottolineava – nella presentazione del 1910 – la spinta al superamento degli specialismi e all’unificazione del pensiero scientifico:
Contro codesti criterii ristretti [di specializzazione] intende reagire soprattutto il movimento nuovo di pensiero verso la sintesi; una Filosofia libera da legami diretti coi sistemi tradizionali, sorge appunto a promuovere la coordinazione del lavoro, la critica dei metodi e delle teorie, e ad affermare un apprezzamento più largo dei problemi della Scienza. Pel quale il particolarismo stesso viene compreso in un aspetto più adeguato nella interezza del processo scientifico.
Viceversa alla finalità dell’unità del sapere avrebbero dovuto aderire:
Tutti coloro che eccellono in un campo qualsiasi di studii [...]. Piaccia a ciascuno di lasciare per un giorno il consueto linguaggio tecnico e dibattere nella forma più accessibile qualche problema generale, che altri, con uguale libertà ed indipendenza, verrà ad illuminare sotto aspetti diversi.
Alla rivista collaboreranno alcuni tra i maggiori scienziati e filosofi della scienza del tempo, sia con articoli originali di cultura scientifica, che con testi di riflessione filosofica più generale, come, per es., tra i matematici, Volterra, Giuseppe Peano, Castelnuovo, Salvatore Pincherle, Vailati, Poincaré, Borel, Picard; tra i fisici, Amaldi, Fermi, Svante August Arrhenius, Ostwald, Langevin, Henri Becquerel, Maurice de Broglie, Arthur Stanley Eddington, Joseph John Thompson, Ernest Rutherford, Hendrik Antoon Lorentz, Werner Karl Heisenberg, Einstein; tra i logici, epistemologi e filosofi della scienza, Mach, Bertrand Russell, Rudolf Carnap, Moritz Schlick, Neurath, Philipp Frank (gli ultimi quattro esponenti tra i maggiori del Circolo di Vienna); e inoltre il fondatore della psicoanalisi Sigmund Freud. La rivista diviene quindi un luogo operativo per sviluppare a livello europeo la nuova filosofia della «sintesi scientifica» e assume la doppia funzione di diffondere in Italia – anche grazie alle numerose note, rassegne congressuali e recensioni – la più recente cultura scientifica internazionale e di essere riconosciuta nei circoli europei di filosofia della scienza e soprattutto tra i promotori del Circolo di Vienna, come un importante veicolo europeo della filosofia scientifica.
La sostanziale unità redazionale della rivista dura fino all’entrata in guerra dell’Italia nel 1915: in tale frangente Rignano intende indirizzare «Scientia» su un piano più ‘politico’, non gradito a Enriques, che si dimette insieme ad alcuni redattori (Bruni, Dionisi e Giardina), in nome del carattere neutrale e ‘apolide’ della scienza, per «custodire la pace nel regno della scienza, in attesa di pace e di giustizia» (come scriveva nel gennaio 1915 nella “Circolare ai soci” dell’Associazione nazionale fra i professori universitari; cfr. R. Simili, L’età degli eroi, in F. Enriques, Per la scienza. Scritti editi e inediti, cit., p. 61), e ricordando in una lettera privata a Giuseppe Bruni (senza data, ma del giugno 1915):
Oggi che anche il nostro paese partecipa alla guerra io pensavo che tali divergenze si sarebbero appianate, riprendendo noi il programma di pura scienza o sospendendo le pubblicazioni. Ma Rignano vuole invece sviluppare un programma di questioni politiche internazionali ed io non mi sento di condividere su questo terreno la responsabilità della direzione (riportata in E. Rignano, La grande festa della scienza. Eugenio Rignano e Federigo Enriques. Lettere, a cura di S. Linguerri, 2005, p. 141).
Soltanto dopo la morte di Rignano (1930) Enriques tornerà a dirigere la rivista, per volontà dello stesso Rignano.
L’impegno enriquesiano di politica culturale, così profondamente inserito nel dibattito europeo e internazionale, rende anche conto del ruolo civile che il matematico livornese attribuiva alla formazione scolastica e universitaria.
Nel contrasto con Croce e Gentile si gioca nei primi anni del Novecento una battaglia per stabilire l’orientamento di fondo della politica scolastica in Italia, orientamento che condiziona ancora la struttura dell’insegnamento secondario e universitario: «un contrasto che investe – ricorda Michele Ciliberto – il terreno stesso dell’‘egemonia’, i suoi caratteri costitutivi, a quella data della storia degli intellettuali nazionali» (M. Ciliberto, Scienza, filosofia e politica: Federigo Enriques e il neoidealismo italiano, in Federigo Enriques. Approssimazione e verità, 1982, p. 135). Enriques individua presto, già nelle relazioni tenute al primo e al secondo congresso della SFI del 1906 e del 1907 (L’ordinamento dell’università in rapporto alla filosofia, 1907 e La riforma dell’università italiana, 1908) e poi in L’università italiana. Critica degli ordinamenti in vigore (1908), il ruolo della scienza per la costruzione di una società democratica e intende proporlo nel momento in cui diviene centrale in Italia il problema della costruzione di un ordinamento didattico coerente con lo sviluppo della società di massa.
Enriques sostenne la via verso una concreta unificazione del sapere su basi scientifiche, nella quale risultava centrale il ruolo della storia e della filosofia della scienza, discipline da inserire organicamente all’interno delle facoltà scientifiche. La proposta di riforma universitaria di Enriques divenne documento programmatico della Società filosofica italiana e venne trasmessa alla Commissione reale per la riforma della scuola secondaria. Nonostante la mancata accettazione delle sue proposte di riforma scolastica e universitaria (indirizzate maggiormente verso l’università che non alla scuola secondaria, diversamente da quelle di Gentile), Enriques continuò nel proprio impegno pedagogico e di organizzatore di cultura scientifica, soprattutto in qualità di presidente della Mathesis, valorizzando l’insegnamento dinamico in matematica ed evitando ogni scontro frontale con l’impostazione della riforma scolastica promossa da Gentile, nella speranza – rivelatasi vana – di trovare spazi per la cultura scientifica nel quadro della riforma del 1923. Solo nel secondo dopoguerra la prospettiva pedagogica, didattica e di politica scolastica promossa da Enriques trovò – almeno a livello universitario – una sua consistenza con la definizione di uno spazio per la filosofia e la storia della scienza.
I primi studiosi che valorizzarono tale prospettiva furono il matematico Lucio Lombardo Radice e il filosofo-matematico Ludovico Geymonat. Il primo, allievo diretto di Enriques, curò un’antologia di scritti filosofici enriquesiani nel 1958 (intitolata Natura, ragione e storia), dando inizio alla riappropriazione della figura del maestro nel quadro di un ‘materialismo critico’ sul quale tuttavia avrebbero pesato i limiti di un’ambigua considerazione del fenomenismo empirico e che non si sarebbe mai elevato da una filosofia della scienza a una filosofia generale. Il secondo, formatosi alla scuola del formalismo logico di Peano, rimproverò a Enriques (nel saggio Federigo Enriques e la storia della scienza, 1971, salvo poi correggersi nel 1989) di non aver unito le forze dei filosofi italiani della matematica, favorendo il successo del neoidealismo.
A partire dalle celebrazioni del 1971, connesse al primo centenario della nascita (raccolte nel volume degli Atti del Convegno sul tema Storia, pedagogia e filosofia della scienza, pubblicato nel 1973) sono tramontati i facili schematismi interpretativi e sempre più è emersa una visione complessa dell’opera di Enriques, inserita a pieno titolo nel dibattito epistemologico e storiografico francese ed europeo, e della sua figura culturale che, avvicinando coerentemente matematica, filosofia, storia, pedagogia e organizzazione della cultura, ha offerto all’Italia del primo Novecento un modello ‘alto’ di intellettuale, unendo idealità e concretezza, la competenza del savant e l’apertura ragionata alla dimensione pubblica, sempre abbinata a una forte vocazione pedagogica.
Problemi della scienza, Bologna 1906.
Scienza e razionalismo, Bologna 1912 (rist. anast. con un’introduzione di O. Pompeo Faracovi, Bologna 1990).
La théorie de la connaissance scientifique de Kant à nos jours, Paris 1938 (ed. it. La teoria della conoscenza scientifica da Kant ai giorni nostri, a cura di O. Pompeo Faracovi, Bologna 1983).
Le matematiche nella storia e nella cultura, a cura di A. Frajese, Bologna 1938.
Natura, ragione e storia. Antologia di scritti filosofici, a cura di L. Lombardo Radice, Torino 1958.
Riposte armonie. Lettere di Federigo Enriques a Guido Castelnuovo, a cura di U. Bottazzini, A. Conte, P. Gario, Torino 1996.
Per la scienza. Scritti editi e inediti, a cura di R. Simili, Napoli 2000.
Il significato della storia del pensiero scientifico. Federigo Enriques, a cura di M. Castellana, A. Rossi, Manduria 2004.
È in corso l’Edizione nazionale delle opere di Federigo Enriques, che prevede la stampa in formato elettronico di 21 volumi dei suoi scritti, compresi quelli postumi; attualmente sono disponibili i volumi 2°, 3°, 6°, 8°, 9°, 10°, 11°, 12°, 13° per i quali si veda http://enriques.mat.uniroma2.it/italiano/piano.html
Atti del Convegno internazionale sul tema Storia, pedagogia e filosofia della scienza. A celebrazione del centenario della nascita di Federigo Enriques, Pisa, Bologna e Roma 1971, promosso dall’Accademia nazionale dei Lincei, Roma 1973.
Federigo Enriques. Approssimazione e verità, a cura di O. Pompeo Faracovi, Livorno 1982.
O. Pompeo Faracovi, Il caso Enriques. Tradizione nazionale e cultura scientifica, Livorno 1984.
Federigo Enriques, filosofo e scienziato, a cura di R. Simili, Bologna 1989.
G. Israel, Enriques Federigo, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 42° vol., Roma 1993, ad vocem.
Gentile e i matematici italiani. Lettere 1907-1943, a cura di A. Guerraggio, P. Nastasi, Torino 1993.
Federigo Enriques. Filosofia e storia del pensiero scientifico, a cura di O. Pompeo Faracovi, F. Speranza, Livorno 1998.
Federigo Enriques. Matematiche e filosofia. Lettere inedite. Bibliografia degli scritti, a cura di O. Pompeo Faracovi, L.M. Scarantino, Livorno 2001.
P. Parrini, Filosofia e scienza nell’Italia del Novecento: figure, correnti, battaglie, Milano 2004.
E. Rignano, La grande festa della scienza. Eugenio Rignano e Federigo Enriques. Lettere, a cura di S. Linguerri, Milano 2005.
Federigo Enriques e la cultura europea, a cura di P. Bussotti, Sarzana-Lugano 2008.