Federigo Enriques
La figura di Federigo Enriques occupa una posizione centrale nella storia della cultura italiana tra la fine dell’Ottocento e la Seconda guerra mondiale. Egli fu uno dei massimi matematici del periodo e al contempo un intellettuale universalistico. Difatti, concepiva la matematica, e più in generale la scienza, come parte della cultura. Di qui la stretta relazione tra la sua opera scientifica e quella filosofica, e l’impegno per le problematiche dell’insegnamento. Ebbe un ruolo cruciale nel promuovere la storia della scienza come raccordo tra scienze naturali e umanistiche. Il suo celebre scontro con gli esponenti del neoidealismo italiano fu troppo frettolosamente archiviato come una ‘sconfitta’.
Enriques nacque a Livorno il 5 gennaio 1871 da Giacomo e Matilde Coriat, ebrei di origine sefardita. Ebbe un fratello, Paolo, che divenne un noto genetista, e una sorella, Elbina. Fin dalle scuole secondarie manifestò un’attrazione per la matematica che più tardi egli stesso avrebbe detto, come testimoniato da molti suoi allievi, essere stata provocata da «un’infezione filosofica liceale». Seguì gli studi di matematiche presso l’Università e la Scuola Normale Superiore di Pisa. Conseguita la laurea nel 1891, seguì a Roma nel 1892 il corso di geometria di Luigi Cremona (1830-1903). Qui conobbe un altro futuro grande matematico, Guido Castelnuovo, che divenne il suo più grande amico e collaboratore e che, nel 1896, sposò Elbina.
Nel 1893, le lezioni di Corrado Segre (1863-1924) a Torino orientarono in modo decisivo i suoi interessi per la geometria. I primi lavori gli valsero all’Università di Bologna, nel 1894, l’incarico di geometria proiettiva e descrittiva e, dopo appena due anni, il posto di professore della stessa materia. Il periodo della permanenza a Bologna, fino al 1922, fu il più brillante dal punto di vista matematico, e fertile di iniziative culturali, come la fondazione (1906) della Società filosofica italiana, di cui fu presidente dal 1907 al 1913, e l’organizzazione del IV Congresso internazionale di filosofia a Bologna nel 1911.
Nel 1922 fu chiamato alla cattedra di matematiche superiori, e poi di geometria superiore, presso l’Università di Roma. Qui occupò importanti posizioni istituzionali, tra cui quella di direttore della sezione matematica dell’Enciclopedia Italiana dal 1925 al 1938. Fondò e diresse l’Istituto nazionale per la storia delle scienze presso l’Università di Roma. Dal 1922 al 1934 fu presidente della Società italiana di scienze fisiche e matematiche Mathesis, e dal 1922 diresse il «Periodico di matematiche», rivolto agli insegnanti delle scuole secondarie. Nel 1907 fondò la «Rivista di scienza» (che dal 1910 prese il nome di «Scientia»).
Tra i tanti riconoscimenti da lui ricevuti ricordiamo il premio per la matematica della Società italiana delle scienze detta dei XL (1896) e il premio reale dell’Accademia dei Lincei, condiviso con Tullio Levi-Civita (1907). Fu socio di molte accademie, fra cui l’Accademia dei Lincei, le accademie di Copenhagen, di Sassonia, di Madrid, di Buenos Aires, la Società reale di Liegi, la Società matematica di Kazan. Nel 1907 ottenne il premio Bordin dell’Accademia delle scienze di Parigi per una memoria sulle «superficie iperellittiche», scritta in collaborazione con Francesco Severi (1879-1961). Per la sua opera filosofica, nel 1937 fu nominato socio corrispondente dell’Académie des sciences morales et politiques dell’Institut de France.
Dal 1938 al 1944 Enriques fu sospeso dall’insegnamento per le leggi razziali. In quel periodo pubblicò all’estero e in Italia con lo pseudonimo di Adriano Giovannini. Nel 1944 gli fu restituita la cattedra universitaria, quando era ormai stanco e sofferente per un’affezione cardiaca. Morì a Roma il 14 giugno 1946.
Nella figura di Enriques è impossibile separare il matematico dal filosofo. In un certo senso, nel suo pensiero la filosofia precedette la matematica. Tuttavia, la sua formazione matematica si sviluppò all’interno di scuole di altissimo livello e pienamente inserite nel contesto internazionale, mentre non aveva torto Benedetto Croce quando rimproverò a Enriques di essere un autodidatta in filosofia e di muoversi in questo ambito con qualche dilettantismo. Quel che Croce non seppe e non volle vedere è che Enriques, aiutato da un’intuizione geniale e da una straordinaria capacità di assimilazione concettuale, sviluppò e perfezionò progressivamente le sue idee filosofiche a contatto con la problematica scientifica, fino a proporre una visione che entrò a pieno titolo nel dibattito filosofico-scientifico dell’epoca.
In estrema sintesi, si può riassumere l’approccio che guidò Enriques in campo sia matematico sia filosofico con una formula: centralità dell’intuizione. Quest’ultima è la guida principale del matematico nella sua ricerca: di qui la posizione privilegiata del pensiero geometrico. Ma, secondo Enriques, l’importanza dell’intuizione non può oscurare il fatto che la matematica procede per postulati astratti che consentono l’uso della logica e conferiscono rigore alle sue deduzioni. Tra intuizionismo e formalismo – le due correnti che dividevano il campo della matematica tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, e che erano rappresentate dalle due grandi figure di Jules-Henri Poincaré (1854-1912) e David Hilbert (1862-1943) – Enriques assunse una posizione mediana: occorre conciliare il criterio logico di indipendenza e coerenza degli assiomi con la loro radice psicologica, che affonda nelle sensazioni e nelle esperienze che hanno condotto alla loro formulazione. Di qui il suo interesse per la psicologia, che lo condusse all’elaborazione di una vera e propria filosofia psicologistica della scienza e che si riverberò nelle sue idee circa l’insegnamento e l’apprendimento della matematica.
Anche dal punto di vista strettamente filosofico, Enriques assunse una posizione mediana tra positivismo e idealismo, tra soggettivismo e oggettivismo, affermando che queste contrapposizioni potevano essere superate entro un approccio psicologistico. Tuttavia, nel suo pensiero erano evidenti una propensione verso il soggettivismo e un rigetto deciso del riduzionismo fisico-matematico classico, accusato di negare qualsiasi ruolo all’attività dello spirito. Così, nella polarità tra logica e intuizione, l’approccio di Enriques finì con l’includere la logica nella psicologia.
Una posizione mediana, volta a superare le aporie che, a suo avviso, paralizzavano il pensiero scientifico-filosofico contemporaneo, venne assunta da Enriques anche nella contrapposizione tra ‘assolutismo’ e ‘relativismo’. L’idea che la scienza sia in grado di acquisire verità definitive ed eterne è priva di fondamento, ma questo non significa cadere nel relativismo, perché affermare che la scienza non è in grado di perseguire l’acquisizione della verità è una pusillanimità del pensiero. Per Enriques non esiste una realtà inconoscibile bensì una serie infinita di oggetti, tutti accessibili al pensiero scientifico. L’assoluto è un limite che la scienza persegue senza riuscire mai a raggiungerlo definitivamente, ma che conferisce valore oggettivo alle sue conquiste progressive.
D’altra parte, un’obiettività crescente si consegue perfezionando il sistema di rappresentazioni mentali scientifiche della realtà, e quindi non si può prescindere dalla funzione del soggetto. Di qui l’idea enriquesiana di cos’è un ‘fatto reale’: non è qualcosa di separato dal soggetto, bensì un aspetto che si manifesta in modo invariabile nelle associazioni tra atti di volontà e corrispondenti sensazioni. Esso è quindi un ‘invariante’ nella corrispondenza tra volizioni e sensazioni. Inoltre, il ruolo della soggettività nella formazione del pensiero scientifico restituisce una funzione alla metafisica, troppo affrettatamente proscritta dal pensiero positivistico: essa fornisce rappresentazioni soggettive che giocano il ruolo di ‘modelli’ degli oggetti reali e così promuovono il progresso della scienza.
A questo ideale filosofico contrario a ogni sorta di dualismo, Enriques si attenne con grande coerenza. Nel 1935, al Congresso internazionale di filosofia scientifica che si tenne a Parigi, denunciò i rischi dell’empirismo e del logicismo, affermando di diffidare soprattutto di quest’ultimo; denunciò anche il rischio che la scienza si dividesse nella sterile contrapposizione tra realismo metafisico e nominalismo, concludendo con amarezza: «Da entrambe le parti vedo sorgere davanti a noi lo spettro di una nuova scolastica» (Philosophie scientifique, in Actes du Congrès international de philosophie scientifique, 1° vol., 1935; trad. it. in Filosofia scientifica ed empirismo logico, a cura di G. Polizzi, p. 58).
Di particolare interesse è la polemica che oppose Enriques agli esponenti del neoidealismo italiano, Croce e Giovanni Gentile. Ci limiteremo a ricordare (cfr. più ampiamente Ciliberto, in Federigo Enriques, 1982, pp. 131-66) che essa fu accesa da una dura recensione sul libro di Enriques Problemi della scienza (1906) scritta da Gentile, in cui questi contestava il valore conoscitivo della scienza, vista come mero sapere pratico. Il protagonismo assunto da Enriques in ambito filosofico, che nel 1911 l’aveva portato alla presidenza del citato IV Congresso internazionale di filosofia, suscitò la reazione stizzita di Croce, che attaccò violentemente il matematico riproponendo la tematica della scienza come insieme di pseudoconcetti privi di valore conoscitivo, gli rimproverò brutalmente il suo dilettantismo filosofico e lo invitò ad attenersi ai suoi studi matematici. La polemica si protrasse sulla stampa nella seconda metà dell’aprile 1911, con strascichi fino al 1912, e venne comunemente recepita come una ‘sconfitta’ di Enriques.
Tale interpretazione sommaria è stata più volte messa in discussione (cfr., ad es., Lombardo Radice 1971). È indubbio che l’autorità di Croce riuscì ad allineare la grande maggioranza del mondo filosofico italiano attorno alle sue posizioni, e che quindi si produsse una drammatica spaccatura tra cultura umanistica e cultura scientifica i cui effetti si sentono ancor oggi. È altrettanto indubbio che la vicenda non influenzò la determinazione di Enriques di occuparsi di tematiche filosofiche e di perseguire l’ideale di una visione unitaria della cultura. Né egli tenne in alcun conto l’invito ad astenersi da riflessioni e proposte circa l’organizzazione della cultura e dell’istruzione, in quanto di competenza esclusiva dei filosofi. Al contrario, continuò a occuparsi di tali temi con intensità crescente.
Inoltre, se la frattura con Croce fu irreversibile, si verificò invece un avvicinamento sempre più marcato tra Enriques e Gentile, sia pure diversamente valutato dalla storiografia. Non c’è dubbio che le relazioni tenute da Gentile sui temi La natura e L’esperienza alle riunioni del 1931 e del 1932 della Società italiana per il progresso delle scienze (SIPS) manifestarono un’apertura di credito nei confronti del valore conoscitivo della scienza. Il ponte gettato da Gentile verso la cultura scientifica consisteva nella rivalutazione della storia della scienza. Enriques era pronto a percorrere questo ponte, avendo sempre ritenuto che il valore culturale ed educativo della scienza potesse essere compreso soprattutto nella sua storia.
La visione della scienza come conquista e attività dello spirito storicamente concepita riavvicinò quindi Enriques all’idealismo gentiliano, in accordo con i tratti della sua visione filosofica incline al soggettivismo, e gli fece presagire la possibilità di introdurre l’insegnamento della storia della scienza nelle scuole. Sul terreno dell’istruzione, le concessioni di Gentile alle idee di Enriques furono limitate. Tuttavia, il segno più evidente dell’avvicinamento tra i due fu il conferimento da parte di Gentile a Enriques, nel 1925, del ruolo di direttore della sezione matematica dell’Enciclopedia Italiana.
Verso la seconda metà dell’Ottocento, la tradizionale divisione tra geometria e analisi sembrava stemperarsi a favore della seconda, sotto l’influsso dell’approccio astratto e assiomatico che mirava a ‘liberare’ l’analisi dall’incertezza delle deduzioni ricavate mediante le intuizioni spaziali. Ne seguì una vivace reazione da parte di una corrente di geometri detti puristi, che riaffermarono con forza il valore di un approccio geometrico assolutamente libero da ogni metodologia algebrica e analitica, secondo l’idea radicale che la geometria finisce appena si parla di numeri. Il massimo esponente italiano di tale corrente fu Cremona. Dalle sue lezioni, Enriques trasse importanti insegnamenti ma anche una profonda insoddisfazione. Come spiegò più tardi (La evolución del concepto de la geometría y la escuela italiana durante los últimos cincuenta años, «Revista matemática hispano-americana», 1920, 1-2, pp. 1-17), l’aspra contrapposizione tra approccio ‘purista’ e approccio analitico metteva in discussione l’assoluta necessità dell’unità della matematica. Egli si trovò invece in consonanza con Corrado Segre che, pur muovendosi entro una visione intuitiva della geometria, accusava il purismo di aver subordinato i problemi ai metodi, i fini ai mezzi.
Per Enriques – come per Hilbert – il cuore della matematica è dato dai ‘grandi problemi’. Analisi e geometria non dovevano essere separate, ma anzi occorreva mostrare che non esiste differenza di oggetto tra di esse. I classici problemi dell’analisi dovevano essere affrontati con uno spirito geometrico per fondare un’‘analisi qualitativa’ capace di ricondurre tutta la teoria dell’integrazione delle equazioni differenziali entro il campo geometrico. Quindi, in fin dei conti, egli riproponeva un primato ancor più forte della geometria, non nel senso purista che divideva la matematica in campi rigidamente separati, ma nel senso di riunificare la matematica entro l’approccio geometrico. Questo progetto radicale è la parte più caduca della visione di Enriques (cfr. Israel, Menghini 1998), ma la motivazione soggiacente, e cioè lo studio geometrico delle funzioni algebriche, condusse Enriques a risultati brillantissimi, che spiccano nel panorama della matematica della sua epoca.
Il tema che emerse nelle sue ricerche fu quello dello studio e della classificazione delle superfici algebriche. Su di esso egli stabilì una profonda relazione scientifica con Castelnuovo, che diede frutti straordinari, raccolti in una cinquantina di lavori, oltre alla memoria scritta con Severi (Mémoire sur les surfaces hyperelliptiques, «Acta mathematica», 1909, pp. 283-392, 1910, pp. 321-403). La materia, molto tecnica, è esposta nei testi specializzati (cfr. Brigaglia, Ciliberto 1995). Qui preme mettere in luce il metodo seguito. Le superfici venivano studiate da Enriques e Castelnuovo con uno spirito analogo a quello del naturalista che raccoglie campioni di piante o minerali e ne trae spunto per ideare possibili classificazioni, e lo fa dividendo gli oggetti in ‘vetrine’, ponendo, da un lato, gli oggetti di natura più ‘regolare’ e, dall’altro, quelli più carichi di eccezioni e irregolarità, per individuare proprietà che avrebbero potuto sussistere in entrambe le ‘vetrine’. L’individuazione di questi invarianti era il fondamento della classificazione delle superfici algebriche.
Il carattere intuitivo di questo approccio era in accordo con le modalità pratiche del modo di lavorare di Enriques, non alla scrivania ma mediante lunghe discussioni verbali, spesso passeggiando con lo stesso Castelnuovo o con i suoi collaboratori. Castelnuovo ricorderà in seguito (1947) che la classificazione delle superfici algebriche fu fatta in buona sostanza conversando per i viali del Pincio a Roma. È evidente che quel modo di procedere poneva dei problemi: diverse dimostrazioni erano insufficienti o anche sbagliate, e non tutte le intuizioni erano corrette. L’edificio di Enriques e Castelnuovo richiese una ricostruzione da cima a fondo per verificare e dimostrare con metodi algebrici rigorosi i tanti risultati. Esso costituisce, tuttavia, un monumento matematico di enorme valore, che ha rappresentato un quadro di riferimento per decenni di ricerche. Molte delle intuizioni della ‘scuola italiana di geometria algebrica’ fondata da Enriques e Castelnuovo offrono ancor oggi materia di ricerca.
L’attività di Enriques spaziò dalle ricerche propriamente matematiche a quelle sui fondamenti della matematica (che, a loro volta, si connettevano alla tematica dell’insegnamento, a lui molto cara), alla riflessione filosofica, alla divulgazione scientifica, fino alla problematica della riforma dell’insegnamento universitario e scolastico. Egli considerò lo studio dei fondamenti della matematica sia da un punto di vista elementare, sia dal punto di vista opposto, quello delle ‘matematiche elementari viste da un punto di vista superiore’.
In questo contesto egli produsse la monumentale opera Questioni riguardanti la geometria elementare (1900), che conobbe tre edizioni, l’ultima delle quali venne pubblicata con il titolo Questioni riguardanti le matematiche elementari (3 voll., 1924-1927). Queste ricerche valsero a Enriques la notorietà internazionale e la possibilità di contribuire, con l’articolo Prinzipien der Geometrie, alla celebre Encyklopädie der mathematischen Wissenschaften mit Einschluss ihrer Anwendungen (hrsg. F. Klein, W.F. Meyer, H. Burkhardt, 3° vol., hrsg. W.F. Weber, H. Mohrmann, t. 1, parte prima, 1907, pp. 1-129).
Le questioni di filosofia e di storia della scienza e della matematica impegnarono Enriques per tutta la vita, e diedero luogo non soltanto a un gran numero di articoli (tra cui moltissime recensioni) ma a parecchi libri, dal fondamentale Problemi della scienza (1906), fino agli ultimi saggi, sulla teoria della conoscenza scientifica (La théorie de la connaissance scientifique de Kant à nos jours, 1938) e su causalità e determinismo (Causalité et déterminisme dans la philosophie et l’histoire des sciences, 1941), pubblicati in Francia perché le leggi razziali gli impedivano di pubblicare in Italia.
Nell’ambito delle sue iniziative culturali, spicca la sua attività come direttore della sezione matematica dell’Enciclopedia Italiana: pubblicò personalmente 36 voci di altissimo livello e ne promosse molte altre, firmate da scienziati di primo piano. Va ricordata inoltre la fondazione della «Rivista di scienza» (poi «Scientia»), la quale ebbe un ruolo centrale nella costruzione di una cultura scientifica in Italia, nonché la fondazione presso l’Università di Roma di un Istituto di storia della scienza.
L’opera di Enriques nel campo dell’educazione scientifica e matematica rappresenta un vertice assoluto nella storia dell’Italia unitaria. I numerosi manuali di matematica e geometria da lui scritti per le scuole di ogni ordine e grado sono stati adottati per decenni, e costituiscono ancora oggi un punto di riferimento per un insegnamento moderno ed efficace della matematica (si veda, ad es., Elementi di geometria, scritto con Ugo Amaldi e la cui edizione finale più completa è del 1930).
La società Mathesis e il «Periodico di matematiche» furono nelle sue mani non soltanto strumenti per costruire tra gli insegnanti una cultura dell’insegnamento della matematica, ma anche per promuovere proposte di riforma dell’istruzione che si scontrarono con l’orientamento neoidealista prevalente ma che, per alcuni aspetti, trovarono attenzione in Gentile. Del resto, Enriques, a differenza di altri suoi colleghi, non era ostile a priori alla riforma Gentile, che gli sembrava coerente con l’impianto filosofico della sua visione dell’insegnamento. Difatti, per l’università, egli propose di raggruppare tutte le branche teoriche dell’insegnamento superiore attorno a una facoltà filosofica, mentre in un cerchio successivo dovevano essere collocate le scuole di applicazione e quindi i collegi di insegnamento normale, preposti alla preparazione dei docenti della scuola secondaria.
Enriques appare come una figura di scienziato umanista, capace di esprimere una delle caratteristiche più elevate e peculiari della tradizione culturale italiana.
Lezioni di geometria proiettiva, Bologna 1898, 19204.
Questioni riguardanti la geometria elementare, raccolte e coordinate da F. Enriques, Bologna 1900, 3a ed., con il tit. Questioni riguardanti le matematiche elementari, 3 voll., Bologna 1924-1927.
Problemi della scienza, Bologna 1906, 19092.
Prinzipien der Geometrie, in Encyklopädie der mathematischen Wissenschaften mit Einschluss ihrer Anwendungen, hrsg. F. Klein, W.F. Meyer, H. Burkhardt, 3° vol., hrsg. W.F. Weber, H. Mohrmann, t. 1, parte prima, Leipzig 1907, pp. 1-129.
F. Enriques, F. Severi, Mémoire sur les surfaces hyperelliptiques, «Acta mathematica», 1909, pp. 283-392, 1910, pp. 321-403.
Scienza e razionalismo, Bologna 1912.
La evolución del concepto de la geometría y la escuela italiana durante los últimos cincuenta años, «Revista matemática hispano-americana», 1920, 1-2, pp. 1-17.
Per la storia della logica: i principi e l’ordine della scienza nel concetto dei pensatori matematici, Bologna 1922.
F. Enriques, U. Amaldi, Elementi di geometria, Bologna 1930, rist. (con un saggio introduttivo di G. Israel) Pordenone 1992.
Signification de l’histoire de la pensée scientifique, Paris 1934 (trad. it. Bologna 1936).
Philosophie scientifique, in Actes du Congrès international de philosophie scientifique, 1° vol., Paris 1935, pp. 23-27 (trad. it. in «Dimensioni», 1983, 28-29, nr. monografico: La filosofia scientifica a congresso, Parigi 1935, a cura di G. Polizzi, pp. 46-50, rist. in Filosofia scientifica ed empirismo logico, a cura di G. Polizzi, pp. 55-58).
La théorie de la connaissance scientifique de Kant à nos jours, Paris 1938 (trad. it. Bologna 1983).
Le matematiche nella storia e nella cultura, lezioni pubblicate per cura di A. Frajese, Bologna 1938.
Causalité et déterminisme dans la philosophie et l’histoire des sciences, Paris 1941 (trad. it. Roma 1945).
Le superficie algebriche, Bologna 1949.
Natura, ragione e storia, antologia di scritti filosofici a cura di L. Lombardo Radice, Torino 1958.
Riposte armonie: lettere di Federigo Enriques a Guido Castelnuovo, a cura di U. Bottazzini, A. Conte, P. Gario, Torino 1996.
Per la scienza: scritti editi e inediti, a cura di R. Simili, Napoli 2000.
G. Castelnuovo, Commemorazione di Federigo Enriques, «Rendiconti dell’Accademia nazionale dei Lincei», s. VIII, 1947, 2, pp. 3-21.
F. Conforto, Federigo Enriques, «Rendiconti di matematica e delle sue applicazioni», s. V, 1947, 6, pp. 226-52.
L. Lombardo Radice, Battaglie, sconfitta e vittoria di Federigo Enriques, «Scientia», 1971, 3-4, pp. 183-88.
Atti del Convegno internazionale sul tema ‘Storia, pedagogia e filosofia della scienza’, a celebrazione del centenario della nascita di Federigo Enriques, Pisa-Bologna-Roma (7-12 ottobre 1971), Roma 1973.
Storia d’Italia. Annali 3, Scienza e tecnica nella cultura e nella società dal Rinascimento a oggi, a cura di G. Micheli, Torino 1980 (in partic. G. Micheli, Un tentativo di rinnovamento: Federigo Enriques, pp. 619-41; M. Galuzzi, Geometria algebrica e logica tra Otto e Novecento, pp. 1004-1105).
Federigo Enriques: approssimazione e verità, a cura di O. Pompeo Faracovi, Livorno 1982 (in partic. M. Ciliberto, Scienza, filosofia e politica: Federigo Enriques e il neoidealismo italiano, pp. 131-66).
O. Pompeo Faracovi, Il caso Enriques: tradizione nazionale e cultura scientifica, Livorno 1984.
G. Israel, Federigo Enriques: a psychologistic approach for the working mathematician, in Perspectives on psychologism, ed. M.A. Notturno, Leiden 1989, pp. 426-57.
G. Israel, Enriques Federigo, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 42° vol., Roma 1993, ad vocem.
A. Brigaglia, C. Ciliberto, Italian algebraic geometry between the two world wars, Kingston 1995.
G. Israel, M. Menghini, The ‘essential tension’ at work in qualitative analysis: a case study of the opposite points of view of Poincaré and Enriques on the relationships between analysis and geometry, «Historia mathematica», 1998, 4, pp. 379-411.
Federigo Enriques: matematiche e filosofia. Lettere inedite, bibliografia degli scritti, a cura di O. Pompeo Faracovi, L.M. Scarantino, Livorno 2001.