Felice Fontana
Felice Fontana ha fornito contributi originali a diverse discipline quali l’anatomia e la fisiologia, la microscopia e la chimica, la tossicologia e la patologia vegetale, e ha progettato innovativi strumenti scientifici e modelli anatomici del corpo umano. Egli non fu solo un poliedrico filosofo naturale, ma anche un uomo delle istituzioni, dedicando la maggior parte della sua vita alla realizzazione del Reale Museo di fisica e storia naturale di Firenze, che egli considerò la sua opera maggiore e che svolse un ruolo di primo piano nella ricerca scientifica italiana, non solo alla fine del Settecento, ma anche per tutta la prima metà dell’Ottocento.
Gasparo Ferdinando Felice (noto come Felice), terzo dei dodici figli di Pietro, giureconsulto e notaio, e di Elena Caterina Ienetti, nacque a Pomarolo, vicino a Rovereto, e fu battezzato il 3 giugno 1730. La sua prima formazione avvenne a Rovereto, sotto la guida di Giambattista Graser (1718-1786), quindi in diverse città dell’Italia settentrionale. I suoi studi, tuttavia, non paiono essere stati regolari. Tornato in patria, Girolamo Tartarotti (1706-1761) lo volle suo collaboratore e l’Accademia degli Agiati di Rovereto, da poco fondata, lo incluse nel 1753 tra i suoi membri. Il 14 luglio 1755 il fratello maggiore, Giovanni Pietro, morì lasciandogli metà del proprio patrimonio a condizione che vestisse un abito religioso. Felice divenne abate, ma non risulta che in lui sia mai stato particolarmente vivo il sentimento religioso.
Indirizzato da Tartarotti alla critica delle superstizioni, Fontana si volse sempre più allo studio delle scienze. Non potendo approfondirle in patria, divenne tutore di un giovane patrizio. Ciò gli consentì di soggiornare prima a Bologna, quindi a Firenze e a Pisa ove stabilì rapporti con numerosi studiosi. Dopo un breve soggiorno a Roma, tornò in Toscana nell’estate del 1760 vivendo tra Firenze e Pisa. Grazie a protezioni, tra cui quella del compatriota conte Carlo di Firmian (1718-1782), nel 1765 gli fu conferito presso l’Università di Pisa l’insegnamento ad institutiones dialecticas. L’anno successivo fu nominato ordinario di fisica, fisico granducale e sovrintendente ai gabinetti delle macchine di fisica sperimentale.
Alla diretta dipendenza del granduca Pietro Leopoldo (1747-1792) Fontana fu quasi interamente assorbito, tra il 1766 e il 1775, dall’allestimento del Reale Museo di fisica e storia naturale di Firenze, ufficialmente aperto al pubblico il 22 febbraio 1775. Con lo scopo di visitare istituzioni analoghe e di acquisire nuovi strumenti per il museo fiorentino, Fontana ottenne dal granduca il finanziamento necessario per compiere, con l’assistente Giovanni Fabbroni (1752-1822), un lungo viaggio a Parigi e a Londra, che durò dall’estate del 1775 al 19 gennaio 1780.
Dopo il suo ritorno, la gestione scientifica e amministrativa del museo e la creazione della spettacolare collezione di cere anatomiche misero a dura prova Fontana, il cui autoritarismo si scontrò sovente con il personale del museo. Con il motuproprio del 19 novembre 1789 il granduca attribuì a Fabbroni la responsabilità gestionale del Museo limitando ai soli aspetti scientifici quella di Fontana, che trasferì gran parte della propria attività presso la propria abitazione. Durante l’occupazione francese della Toscana, Fontana riacquisì la sua antica funzione evitando che le collezioni fossero trasferite in Francia. Colpito da apoplessia, dopo avere fatto testamento a favore del fratello Bernardino, Fontana morì a Firenze il 10 marzo 1805 e il suo corpo fu sepolto in Santa Croce.
Tutta l’opera fisiologica di Fontana è stata fortemente influenzata dalla dottrina della irritabilità e sensibilità enunciata nel 1753 da Albrecht von Haller (1708-1777), alla quale venne introdotto dal medico Leopoldo Marc’Antonio Caldani (1725-1813) durante il soggiorno bolognese degli anni 1755-57. Insieme a Caldani, Fontana eseguì, tra l’altro, diversi esperimenti di stimolazione elettrica dei nervi cardiaci in animali viventi.
Nel 1765 Fontana pubblicò la sua prima monografia dal titolo Dei moti dell’iride dedicandola al conte Firmian. Ispirato da un problema sollevato dalla controversia sull’irritabilità, questo studio prese le mosse dal fenomeno per cui l’iride, stimolata con un ago, non reagisce. A quanti pensavano che l’iride reagisse esclusivamente allo stimolo specifico della luce, egli oppose una serie di esperimenti, effettuati soprattutto su gatti, che dimostravano che l’iride reagisce solo quando i raggi luminosi, passati attraverso la pupilla, colpiscono la retina. Ma che cosa determinava tale concordia tra i moti dell’iride e la stimolazione della retina? Secondo Fontana l’anatomia coeva non era in grado di rispondere al quesito e ritenne pertanto necessario stabilire quale fosse il suo stato naturale. Osservando la pupilla di un gatto profondamente addormentato e vedendola chiusa, ritenne che fosse la distensione. Analizzò quindi una serie di fenomeni che, nell’Ottocento, verranno denominati riflessi pupillari. Descrisse il riflesso fotico, quello fotico consensuale e la reazione d’accomodazione e convergenza. Spaventando ad arte un gatto con la pupilla ristretta, perché artificialmente illuminata, ne notò la dilatazione (riflesso pupillare psichico). Questa e altre osservazioni lo convinsero che i moti dell’iride fossero moti volontari irresistibili, secondo una distinzione da lui introdotta tra moti volontari e moti volontari irresistibili.
Nel 1767 Fontana pubblicò il trattato De irritabilitatis legibus, con cui tentò di fornire una sistemazione teorica delle ricerche sull’irritabilità che aveva compiuto negli anni precedenti. Egli enunciò le seguenti cinque leggi: 1. a ogni contrazione della fibra muscolare è sempre necessario un nuovo stimolo che ne risvegli l’irritabilità (cioè la capacità di contrarsi); 2. l’irritabilità non è una proprietà sempre presente nella fibra, ma solo dopo qualche tempo ritorna nel muscolo secondo l’indole e lo stato delle sue fibre; 3. e 4. il muscolo contratto o compresso per lungo tempo perde l’irritabilità; 5. il muscolo che per lungo tempo sta rilasciato perde l’irritabilità. Discutendo la seconda legge, Fontana descrisse quello stato fisiologico del muscolo cardiaco in seguito denominato periodo refrattario. L’opera, che attingeva anche alle riflessioni di antihalleriani, ebbe vasta risonanza nella letteratura fisiologica coeva.
Sempre nel 1767 apparvero a Lucca, dedicate a Pietro Leopoldo, le Ricerche fisiche sopra il veleno della vipera, un’opera ricchissima di nuovi e audaci esperimenti. Quanto alla via di emissione del veleno Fontana dimostrò che esso fuoriesce dall’estremità del dente cannicolato della vipera e non, come aveva sostenuto Francesco Redi, tra la guaina e il dente. Smantellò la dottrina secondo cui il veleno sarebbe stato costituito da particelle aghiformi o da sali e l’ipotesi secondo cui l’avvelenamento sarebbe stato da attribuire a un’azione sui nervi. Sempre ispirato, ma anche ostacolato, dalla dottrina dell’irritabilità, ritenne che il veleno togliesse l’irritabilità ai muscoli e cioè distruggesse in essi il principio del moto. Nel 1781, sulla scorta di nuovi esperimenti, Fontana modificò tale convinzione.
Nel 1766 Fontana pubblicò il volumetto Nuove osservazioni sopra i globetti rossi del sangue in cui criticò la descrizione morfologica dei globuli rossi fornita da Giovanni Maria Della Torre (1710-1782), il quale riteneva che essi fossero forati al centro come ciambelle. Fontana argomentò in modo convincente che si trattava di un artefatto ottico.
In quegli anni egli estese le proprie indagini agli infusori, agli spermatozoi, al polline e alle patologie di alcuni vegetali come la ruggine che in Toscana causava tremende carestie. Sono del 1767 le Osservazioni sopra la ruggine del grano in cui dimostrò che essa era costituita da piantine parassite che si nutrono a spese del grano (Puccinia graminis). La scoperta rientra nei classici della patologia vegetale e della microscopia utilizzata a scopi sociali. Fontana stesso era convinto della sua importanza tanto da sfruttarla in una polemica sul metodo scientifico nei confronti di Giovanni Targioni Tozzetti (1712-1783), che nello stesso anno pubblicò a Firenze l’Alimurgia, un volume ricco di citazioni, erudizione storica e riferimenti alle condizioni climatiche della Toscana. Sennonché anche Targioni pervenne alle medesime conclusioni di Fontana relativamente alla polvere che infestava il grano. Ma Fontana volle differenziare il suo metodo sperimentale che considerava più efficace rispetto a quello erudito di Targioni, da lui giudicato sostanzialmente infruttuoso.
Le ricerche sull’irritabilità, sul veleno della vipera e sugli infusori portarono Fontana a tematizzare anche il problema della vita e della morte così come quello della sopravvivenza in uno stato di morte apparente. Riprendendo uno scritto del 1771, pubblicò nel 1775 il Saggio di osservazioni sopra il falso Ergot, e Tremella, in cui si rifece alle osservazioni di John Turbeville Needham (1713-1781) sulle ‘anguille’ del grano (Anguillulina tritici) che, essiccate, perdono la loro vitalità per riacquistarla quando vengono bagnate. Contrariamente a un’opinione diffusa, Fontana dimostrò che le ‘anguille’ erano veri e propri animaletti che si potevano distinguere in maschi e femmine, che le femmine generavano uova e che le larve rimanevano nel frumento avariato costituendo quella piccola massa biancastra osservata da Needham. Fontana, inoltre, studiò il movimento oscillatorio della Tremella e formulò l’ipotesi che essa costituisse l’anello d’unione tra mondo vegetale e animale.
In una ottantina di pagine contenute nel Traité sur le vénin de la vipere del 1781 Fontana relegò tutte le sue osservazioni microscopiche più significative. Ad esempio, fu in grado di dimostrare la presenza di due parti ben distinte nella retina di un coniglio: l’una, radiata, costituita da numerosissimi filamenti nervosi, prosecuzioni dei filamenti del nervo ottico che si disponevano a raggiera; l’altra, mucosa, costituita da globetti e vasi trasparenti, che corrisponde a quello che noi chiamiamo lo strato dei processi dentritici dei coni e dei bastoncelli. Inoltre, osservando al microscopio la pelle delle anguille, Fontana individuò la presenza di «vescichette uniformi e irregolari» contenenti «un corpo oviforme avente una macchia nel mezzo» e ne fornì l’illustrazione (Traité, cit., tav. I, figg. 8-10). Studiosi che operarono successivamente all’introduzione della teoria cellulare, che risale agli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento, hanno attribuito a Fontana non solo l’osservazione di cellule animali (le vescichette) e del nucleo relativo (il corpo oviforme), ma anche del nucleolo (la macchia nel mezzo). Nei nervi periferici osservò correttamente l’esistenza di striature spirali. Descrisse anche quelle strutture successivamente chiamate cilindrasse e guaina mielinica.
Negli anni Settanta e Ottanta Fontana compì numerose ricerche di chimica pneumatica. Nel 1775 pubblicò le Ricerche fisiche sopra l’aria fissa, cioè sull’anidride carbonica, sostenendo che in essa non rientrava alcun principio acido. Nello stesso anno pubblicò la Descrizione, e usi di alcuni stromenti per misurare la salubrità dell’aria, illustrando otto strumenti atti a misurare la bontà dell’aria convinto che potessero essere utilizzati per valutare la qualità degli ambienti di vita comune e di lavoro. L’anno successivo pubblicò a Parigi le Recherches physiques sur la nature de l’air nitreux et de l’air déphlogistiqué in cui confermò molti dei risultati ottenuti da Joseph Priestley (1733-1804) sull’aria nitrosa (ossido di azoto) e descrisse i metodi quantitativi da lui impiegati nella produzione di aria deflogisticata (ossigeno).
La sua scoperta principale concerne il fenomeno di assorbimento delle arie da parte del carbone di legna. Essa avvenne nel 1777 e ne dette dimostrazione a colleghi e amici, ma la rese nota con le stampe soltanto nel 1782 nella Lettera al sig. Adolfo Murray. Egli dimostrò che l’aria flogisticata (azoto), l’aria deflogisticata (ossigeno), l’aria fissa (anidride carbonica) e l’aria infiammabile (idrogeno) venivano tutte assorbite dal carbone rovente a diversi tassi, e che il carbone spento in acqua liberava, a seconda delle procedure, varie arie. Inoltre dimostrò che nel processo di espirazione i polmoni liberano aria fissa (anidride carbonica). Nonostante Fontana non abbia aderito alla rivoluzione lavoiseriana della chimica, il suo contributo alla chimica pneumatica dell’epoca venne molto considerato dai chimici coevi.
Il Traité sur le vénin de la vipere pubblicato nel 1781 a Firenze in due volumi in quarto stabilì definitivamente la fama del suo autore. L’opera, infatti, ebbe una edizione italiana nel 1787, due edizioni inglesi, rispettivamente nel 1787 e nel 1795, e una edizione tedesca sempre nel 1787. L’accurato e sofisticato sperimentalismo, così come l’originalità di numerose osservazioni, ne assicurarono un’influenza prolungata sulle scienze biomediche almeno fino a metà Ottocento. Con questa opera, a giusto titolo considerata tra i classici della tossicologia, Fontana dimostrò che anche la problematica inerente ai veleni poteva essere oggetto di una disamina rigorosamente sperimentale. Inaugurò numerose tecniche d’indagine e introdusse l’uso analitico dell’avvelenamento locale per rilevare l’azione dei veleni su diversi organi. Circa il veleno della vipera corresse la conclusione cui era giunto nel 1767 dimostrando che l’azione del veleno avveniva sul sangue e che la perdita dell’irritabilità (contrattilità muscolare) era successiva all’alterazione del sangue prodotta dal veleno. Suggerì quale possibile antidoto al morso della vipera il caustico lunare (nitrato d’argento), nonostante ne riconoscesse la difficoltà d’applicazione. Dimostrò che il veleno non era un acido, un alcale o un sale, ma una ‘gomma animale’ (proteina), e stabilì che l’effetto del veleno era da considerarsi proporzionale alla dose iniettata. Misurò, infine, la dose minima letale, ponendola in rapporto con il peso corporeo degli animali da lui iniettati con il veleno. Quando soggiornò a Londra analizzò il curaro seguendo le medesime procedure.
In qualità di fisico del granduca, Fontana fu incaricato di allestire un museo che, a partire dal 1771, ebbe sede in palazzo Torrigiani, vicino a palazzo Pitti. Con il pieno appoggio del granduca, Fontana provvide al reperimento e allestimento del patrimonio di antichi strumenti e oggetti naturali appartenenti alla Corona, reclutò il personale del museo, fece costruire nuovi strumenti anche di sua ideazione e altri ne fece acquistare, istituì una biblioteca specializzata e diede inizio alla costruzione di un osservatorio astronomico, acquisì raccolte naturalistiche predisponendo stanze dedicate alla storia naturale e pianificò con la consulenza di un esperto la creazione di un orto botanico.
La concezione museale di Fontana differiva da quella di molte collezioni principesche coeve. Infatti, egli concepì il museo come luogo elettivo della ricerca, con raccolte scientifiche ben organizzate e aperte al pubblico, tali da permettere ai visitatori un apprendimento diretto delle diverse discipline scientifiche che spaziavano dalla storia naturale all’anatomia, dalla fisica alla chimica, dall’astronomia alla geologia.
Espressione dell’enciclopedismo illuminista e del suo spirito didattico, il museo fiorentino doveva avere – nell’ottica del suo primo direttore – anche la funzione di generare un risorgimento delle scienze sperimentali in Toscana, spronando l’interesse per le scienze utili alla società. Questo fine fu solo parzialmente raggiunto da Fontana, poiché non gli fu mai concesso, anche per ragioni economiche, di aggregare al museo un’Accademia con studiosi finanziati per compiere esclusivamente ricerche scientifiche. Tuttavia il museo ebbe grande successo di pubblico, suscitando l’ammirazione di numerosi visitatori, soprattutto per la straordinaria collezione di cere anatomiche da lui fatte eseguire da modellatori illustri quali Clemente Susini (1754-1814). Il successo dei modelli in cera fu tale che l’imperatore Giuseppe II, in visita presso il fratello, richiese e ottenne una seconda collezione completa da inviare al Josephinum di Vienna per l’istruzione dei chirurghi militari. Anche Napoleone Bonaparte fu profondamente colpito da quella collezione, tanto da desiderarne una simile per la Francia. Invitò Fontana a trasferirsi a Parigi, ma questi rifiutò a causa dell’età, assicurando tuttavia l’esecuzione sia di modelli anatomici in cera, sia di statue lignee scomponibili. Egli si rese conto, infatti, che la sola anatomia in cera, pur essendo utile alla didattica, non suppliva alla dissezione. Per questo cercò di realizzare statue lignee con tutti gli organi del corpo umano inseriti al loro interno, con lo scopo di fornire un surrogato che consentisse di operare dissezioni virtuali. A questa impresa egli dedicò gli ultimi anni della sua vita.
Dei moti dell’iride, Lucca 1765.
Nuove osservazioni sopra i globetti rossi del sangue, Lucca 1766.
De irritabilitatis legibus, nunc primum sancitis, et de spirituum animalium in movendis musculis inefficacia, Lucae 1767.
Osservazioni sopra la ruggine del grano, Lucca 1767.
Ricerche fisiche sopra il veleno della vipera, Lucca 1767.
Descrizione, e usi di alcuni stromenti per misurare la salubrità dell’aria, Firenze 1775.
Ricerche filosofiche sopra la fisica animale, Firenze 1775.
Ricerche fisiche sopra l’aria fissa, Firenze 1775.
Saggio di osservazioni sopra il falso Ergot, e Tremella, Firenze 1775.
Recherches physiques sur la nature de l’air nitreux et de l’air déphlogistiqué, Paris 1776.
Traité sur le vénin de la vipere sur les poisons américains sur le laurier-cerise et sur quelques autres poisons vegetaux. On y a joint des observations sur la structure primitive du corps animal. Différentes expériences sur la reproduction des nerfs et la description d’un nouveau canal de l’oeil, 2 voll. Florence 1781.
Lettera al sig. Adolfo Murray, «Memorie di matematica e di fisica della Società italiana delle scienze», 1782, 1, pp. 648-706.
Opuscoli scientifici, Firenze 1783.
Lettera ad un amico sopra il sistema degli sviluppi, Firenze 1792.
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