Lassalle, Ferdinand
Uomo politico e filosofo (Breslavia 1825 - Ginevra 1864). Fu uno dei fondatori del movimento socialista. Studiò filosofia, storia e filologia dapprima all’univ. di Breslavia, poi a Berlino, dove approfondì in partic. la conoscenza delle teorie di Hegel. Tra il 1845 e il 1847 gli studi lo portarono spesso a Parigi: qui L. (che aveva francesizzato il suo cognome, in origine Lassal, o Lassel, o Lasel) conobbe il movimento sansimoniano, Proudhon e le idee degli utopisti francesi, e subì l’influsso delle idee di Marx, partecipando al moto generale degli spiriti di quella generazione hegeliana che sulle teorie del maestro innestava la necessità e la giustificazione della rivoluzione sociale. Capo del partito rivoluzionario a Düsseldorf, durante la rivoluzione del 1848, fu due volte processato e condannato, e rimase in prigione circa un anno; uscitone dopo la fine della rivoluzione, poté evitare di andare in esilio. Gli anni che vanno dal 1854 alla sua morte sono i più fecondi e maturi, sia per produzione letteraria e scientifica sia per la posizione che egli assunse nel campo del movimento rivoluzionario, come teorico e come organizzatore. Sono gli anni in cui escono i due volumi su Eraclito con una traduzione dei frammenti (Die Philosophie Heracleitos, des Dunklen von Ephesos, 2 voll., 1858) e il System der erworbenen Rechte (2 voll., 1861). L. sottolinea soprattutto, nella filosofia hegeliana che domina il suo sistema, il momento della storia come mutare; mutano anche i diritti, momento della volontà umana, e muterà, scomparendo, il diritto di proprietà come è mutato e scomparso l’istituto della schiavitù. Sono soprattutto gli anni in cui egli toglie l’iniziativa della guida del movimento operaio a Marx ed Engels; questi, che nel 1848 erano stati antiaustriaci, alla vigilia della guerra del 1859 sono «grandi tedeschi» e quindi antinapoleonici e antiprussiani. L. invece vede chiaramente la vitalità della Prussia ed è favorevole alla guerra di liberazione italiana (Der italienische Krieg und die Aufgabe Preussens, 1859; trad. it. La guerra d’Italia e il compito della Prussia). Nel 1861 medita anzi una iniziativa rivoluzionaria italiana contro l’Austria che gli appare il maggiore ostacolo al progresso nella zona centrale d’Europa, incontra Garibaldi a Caprera, ha contatti con i dirigenti del partito d’azione, come A. Bertani. In politica interna prussiana è risoluto avversario di Bismarck, ma lo disgusta la inerzia legalistica del partito progressista tedesco. Egli sostiene allora che agli operai spetti di organizzarsi per proprio conto e per proprio conto far sentire il loro peso allo Stato, e sia pure lo Stato di polizia di Bismarck. In questa sua azione rientrano una celebre conferenza tenuta a Berlino nel marzo 1862, il «programma operaio» (Arbeiter-Programm), la «lettera aperta al Comitato centrale per la convocazione di un congresso generale degli operai tedeschi» (Offenes Antwortschreiben) del marzo dell’anno successivo e, infine, il 23 maggio 1863, la fondazione della «Associazione generale degli operai tedeschi» (Allgemeiner Deutscher Arbeiterverein). Di tale associazione L. fu presidente fino al luglio 1864, quando, deluso dagli scarsi risultati conseguiti dall’azione propagandistica, decide di trasferirsi in Svizzera, rinunciando all’attività politica. La sua propaganda è infatti considerata sovversiva, e viene condannato in prima istanza a un anno di prigione, ma ciò accresce la sua popolarità; lo stesso Bismarck si mette in contatto con lui e ricorre ad alcune sue idee. Tutto indicava in L. l’uomo dei futuri successi quando, travolto dalla passione per una giovane donna della nobiltà, accettò di battersi a duello con il suo rivale e rimase ucciso. L. ritiene compito della classe operaia organizzarsi in potenti associazioni per la conquista prima del suffragio universale e poi dell’appoggio dello Stato. In tal modo sarà possibile alla cooperazione socialista superare «la legge bronzea dei salari», espressione che in L. definiva quella legge economica, enunciata da Ricardo, secondo la quale in regime capitalistico il salario medio dell’operaio si riduce al minimo di sussistenza storicamente necessario a riprodurre l’operaio stesso e la classe degli operai. Le sue teorie economiche sono esposte in modo particolarmente diffuso nell’opera Herr Bastiat-Schulze von Delitzsch, der ökonomische Julian, oder Capital und Arbeit (post., 1864; trad. it. Il signor Bastiat-Schulze von Delitzsch, il Giuliano economico, ossia capitale e lavoro); in essa è confutata la teoria di Schulze, secondo la quale la sola cooperativa, senza aiuto dello Stato, può condurre all’emancipazione delle classi lavoratrici dalla subordinazione al capitale e, infine, alla piena eguaglianza politica e sociale.