ARAGONA, Ferdinando d'
Duca di Calabria, principe di Taranto, primogenito dei sovrani di Napoli Federico e Isabella, nacque ad Andria il 15 dic. 1488. Era appena decenne allorché si cominciò a parlare alla corte di Napoli di un suo matrimonio con la regina Giovanna, vedova di Ferdinando II, ma l'ostilità del governo spagnolo impedì poi la realizzazione del progetto. Tre anni più tardi, nel luglio 1501, mentre il Regno era invaso dagli Spagnoli e dai Francesi, l'A. ,fu inviato a Taranto da Federico III, sotto la custodia del conte di Potenza Giovanni di Guevara, per accogliere i soccorsi promessi dal sultano. Mentre durava l'inutile attesa delle milizie turche, il Regno cadeva rapidamente nelle mani degli invasori: Federico si consegnò ai Francesi, cedendo i suoi diritti a Luigi XII e invitò il figlio a raggiungerlo. Era, però, troppo tardi poiché Consalvo di Cordova aveva ormai posto l'assedio a Taranto, dove l'A. e i suoi consiglieri avevano organizzato la ultima, disperata resistenza. A lungo la piazzaforte si oppose agli Spagnoli, ma nel marzo 1502, divenuta ormai insostenibile la situazione degli assediati e venuta meno ogni speranza di soccorso, il conte di Potenza stipulava un accordo col capitano spagnolo, col quale quest'ultimo si impegnava, in cambio della resa della città, a lasciare al giovane principe la libertà di raggiungere il padre. Una volta entrato in Taranto, però, il Gran Capitano, con un tradimento che fu poi unanimemente biasimato, catturò l'A. e lo inviò prigioniero in Spagna. Secondo una altra versione, invece, non la prepotenza del vincitore avrebbe impedito all'A. di raggiungere il padre, ma egli stesso vi avrebbe rinunziato nella speranza, fattagli intravvedere dal condottiero spagnolo, di un matrimonio con la infanta Catalina, figlia di Ferdinando il Cattolico. Naturalmente alla corte di Madrid non si pensava affatto a un legame di questo genere con l'erede della deposta dinastia napoletana; cionondimeno l'A. vi fu accolto con grande liberalità.
Negli anni che seguirono, però, e specialmente dopo l'estromissione dei Francesi da Napoli, l'A. fu costantemente oggetto di una attenta sorveglianza, nel timore che una sua fuga in Francia potesse costituire la premessa a un tentativo di restaurazione aragonese nell'Italia meridionale. E, infatti, nel 1513, allorché l'A., cedendo alle promesse fattegli da Francesco I attraverso il nobile napoletano Filippo Coppola, si preparava a raggiungere clandestinamente Tours, fu arrestato e imprigionato nella fortezza di Atienza. Successivamente il Coppola fu squartato alla presenza dell'A., e questi fu trasferito nel castello di Játiba, nella regione di Valenza, dove avrebbe dovuto rimanere definitivamente.
Secondo Paolo Giovio, lo stesso Consalvo di Cordova, nei suoi oscuri maneggi per porre anzitempo sul trono di Spagna Carlo d'Asburgo, avrebbe pensato di liberare l'A. e di restituirgli la corona di Napoli, ma, come è noto, il disegno del Grande Capitano non poté essere attuato per la sua morte avvenuta nel 1515.
Assai più tardi, nel 1521 o nel 1522, un nuovo tentativo fu fatto per liberare l'A., questa volta ad opera di alcuni esponenti dei Comuneros, che gli proposero di mettersi a capo della rivolta. Ma l'A., timoroso dei terribile castigo che gli sarebbe toccato in caso di fallimento dell'impresa, rifiutò fermamen e di unirsi ai ribelli e preferì rimanere nella sua prigione. Al suo ritorno dalla Germania Carlo V seppe premiare adeguatamente l'A. concedendogli il 13 dic. 1523, dopo più di dieci anni di carcere, la libertà.
Da allora in favore del sovrano non abbandonò più l'A., che fu accolto onorevolmente a corte e poi destinato dall'imperatore a sposare Germana di Foix, vedova di Ferdinando il Cattolico. Questo matrimonio, che nella sterilità della sposa aveva la garanzia che si sarebbe estinta con l'A., unico superstite dei figli maschi di Federico III, la stirpe degli Aragonesi di Napoli, fu celebrato nel 1526 a Siviglia, insieme alle nozze dello stesso Carlo V con Isabella di Portogallo.
Fu concessa all'A., dopo il matrimonio, la carica di viceré di Valenza, sino allora tenuta da Germana di Foix, con una rendita di venticinquemila ducati in terre di Castiglia e tremila in terre di Valenza: così l'A. ritornava con una delle più alte cariche del Regno nella medesima regione nella quale per dieci anni era stato prigioniero.
Circa un quarto di secolo durò il viceregno dell'A. in Valenza, e fu un periodo di grande splendore per la città, poiché l'A. volle circondarsi del fasto regale al quale riteneva di avere diritto e che l'avversa sorte gli aveva negato nella giovinezza. La sua piccola corte fu famosa per lo splendore delle feste, per la protezione di letterati e artisti che vi rinnovarono le provenzali Corti d'amore, per la ricchissima raccolta di libri che lo stesso A., appassionato bibliofilo, curò. La città si arricchì di molti edifici, insigni esempi dell'architettura rinascimentale spagnola, tra cui va ricordato il monumentale monastero di San Michele, edificato a spese dell'Aragona.
L'8 sett. 1536 morì la regina Germana e l'A. si riammogliò con una dama della più alta aristocrazia di Valenza, Mencia de Mendoza, marchesa di Zenete, ma anche da lei non ebbe figli, sicché il ramo degli Aragonesi di Napoli si estinse con lui. L'A. morì il 26 ott. 1550.
Fonti e Bibl.: F. Guicciardini, La Storia d'Italia,a cura di C. Panigada, Bari 1929,II,pp. 21,27,143;111,pp.244,248;IV,pp. 81,172;P.Giovio, La vita del Gran Capitano e del Marchese di Pescara,a cura di C. Panigada, Bari 1931, pp.65, 70-72.151, 191; L. Volpicella, Federico d'Aragona e la fine del regno di Napoli nel 1501, Napoli 1908, passim; V. Contañeda, Don Fernando de Aragón, Duque de Calabria,in Revista de Archivos, Bibliotecas y Museos, s. 3, XV(1911), pp. 268-286.