PIGNATELLI, Ferdinando e Mario
PIGNATELLI, Ferdinando e Mario. – Nacquero a Napoli, Ferdinando il 21 settembre 1769 e Mario il 12 luglio 1773, da Salvatore, principe di Strongoli, e da Giulia Mastrilli, figlia di Mario, duca di Marigliano. Fratelli maggiori di Francesco e Vincenzo, furono battezzati nella chiesa di S. Maria della Neve in S. Giuseppe alla Riviera di Chiaia.
Giovanissimi, furono ascritti al Battaglione Real Ferdinando e ricevettero nell’associato Collegio fernandiano, di cui era governatore lo zio paterno Francesco, un’adeguata educazione militare. Cadetto di minorità all’inizio del 1779, il 24 febbraio 1779, a soli dieci anni, Ferdinando Pignatelli fu tra i pochi rampolli nobili a ottenere per speciale grazia reale l’avanzamento ad alfiere soprannumerario senza soldo, grado che conservò, prima, nel Battaglione di Minorità e dal 14 aprile 1785 nel Battaglione di Servizio, con anzianità di carriera a decorrere dal 21 novembre 1783. Nel luglio 1787 entrò come tenente nel reggimento Campania.
Mario Pignatelli fu ascritto dal gennaio 1779 come cadetto di minorità. Il 21 luglio 1784 fu ricevuto da paggio nell’Ordine gerosolimitano nel priorato di Capua. Da febbraio a ottobre del 1785 ebbe licenza di recarsi a Malta. Tornato effettivo nel Battaglione, dall’aprile 1787 fu tra i cadetti di minorità aggregati alla Real Accademia della Nunziatella, iscrizione che conservò nelle riviste della scuola erroneamente fino all’aprile del 1794.
Valente negli studi, nel 1790, a conclusione del suo percorso formativo, sostenne il pubblico colloquio sul tema Analisi di esperienze fisico-chimiche sull’aria comune e su i fluidi aeriformi. Nel 1791 entrò nelle Guardie del corpo del re.
Alla morte del padre, nel 1792, Ferdinando ereditò un patrimonio cospicuo, ma gravato da molti debiti e legati. Nel 1793 fu costretto a chiedere al Fisco di rateizzare il pagamento della tassa di relevio per la successione ai feudi di Strongoli e Melissa.
Intanto, tra il 1792 e il 1793, in seguito alla spedizione dell’ammiraglio Latouche Treville contro Napoli e alla sfortunata impresa antifrancese di Tolone, le idee rivoluzionarie iniziarono a circolare con maggiore insistenza e a fare proseliti tra i giovani della nobiltà napoletana, spesso ufficiali dell’esercito borbonico e delle guardie reali. I nascenti interessi politici distrassero Ferdinando dalla cura del patrimonio. Il coinvolgimento, insieme con Mario, nella congiura giacobina del 1794 compromise le relazioni con la Corona. Da quel momento la famiglia fu spaccata su due fronti: quello realista dello zio Francesco, che aveva fatto una brillante carriera militare, con il favore dei sovrani e del ministro Ferdinando Acton, e quello dei nipoti, Ferdinando, Mario, Francesco e Vincenzo, che aderirono alle idee rivoluzionarie.
La partecipazione di Mario alla congiura del 1794 fu denunciata da Vincenzo Galiani, che lo accusò di avere presenziato a una riunione segreta in casa dei marchesi Letizia per promuovere l’insurrezione dei club giacobini di Napoli. Incarcerato, fu liberato per insufficienza di prove con sentenza del 3 ottobre 1794. Anche Ferdinando fu imprigionato e poi rilasciato.
Sulla scarcerazione gravò l’ombra della delazione. Girò voce che per salvarsi i due fratelli avessero fatto i nomi di alcuni complici, in particolare di Giuseppe De Marco, nipote del ministro degli affari ecclesiastici Carlo De Marco. Forse sperarono di beneficiare del perdono o cercarono di disorientare i giudici della giunta di Stato estendendo quasi all’inverosimile la lista dei congiurati. Indultati nel 1795, il 7 marzo 1797 Ferdinando e Mario furono citati a comparire entro l’8 aprile davanti alla giunta di Stato per convalidare le loro denunce. Rifiutarono di presentarsi e, prelevati circa 30.000 ducati, fuggirono. Il governo borbonico spiccò immediato mandato di cattura diffondendo nelle province le loro descrizioni. Nel sospetto che avessero attraversato il confine, fu inviato a Roma il balì Innocenzo Pignatelli per ottenere un maggiore impegno delle autorità pontificie nella loro cattura. Provvedimenti del 21 aprile e del 26 maggio del 1797 sottoposero a sequestro il patrimonio e ne affidarono l’amministrazione al marchese Carlo Vanni, commissario della giunta di Stato.
Intanto, grazie all’aiuto del fratello Francesco, Ferdinando e Mario giunsero ad Ancona, da dove si imbarcarono per Venezia diretti verso la Repubblica Cisalpina. Ferdinando, dopo avere girovagato per la Romagna, si recò a Bologna. Si arruolò volontario nella prima Compagnia dei Cacciatori della Legione cispadana e poi negli ussari, dove nel 1798 divenne ufficiale. Giunto a Roma sul finire di quell’anno, fu aggregato al corpo dei dragoni romani come capitano comandante e poi capo di battaglione. Anche Mario, fuggito a Bologna nel 1797, si arruolò come sergente e divenne capitano nella guardia nazionale della Cisalpina.
Nel gennaio 1799 Ferdinando, insieme con Francesco, partecipò alla spedizione del generale Jean Étienne Championnet contro Napoli. Segnalatosi per eroismo negli scontri con i lazzari e nella presa delle fortezze della capitale, guadagnò il grado di capo di brigata. Mario lo raggiunse nel marzo 1799 e divenne capitano della guardia nazionale.
A Napoli Ferdinando, rientrato in possesso del suo patrimonio, abitò nel palazzo della Riviera di Chiaia. Allacciò una relazione con Francesca Renner, orfana di Felice, tenente della I legione, conosciuta nel 1796. Nel maggio 1799 partecipò a una spedizione diretta a Foggia, ma avuta notizia del successo dei controrivoluzionari tornò indietro. Negli ultimi giorni della Repubblica i due Pignatelli combatterono negli scontri a Barra, al Serraglio e al Ponte della Maddalena. Resistettero dopo la capitolazione del 13 giugno a S. Elmo, ma poi, arresisi, furono incarcerati a Castel Nuovo e processati. Il 22 luglio il patrimonio fu sequestrato e affidato a Paolo Giunti. Durante il giudizio molti servitori testimoniarono contro di loro. A poco servirono i maneggi disperati della principessa Pignatelli per salvare le vite dei figli.
Per Ferdinando non ci fu nulla da fare. Gli fu solo concesso, il 25 agosto 1799, di sposare per procura Francesca Renner, con la quale aveva convissuto durante l’assedio di S. Elmo. Dall’unione, il 2 aprile 1800, nacque un figlio, Ferdinando. I suoi diritti non furono riconosciuti dallo zio Francesco, con il quale ebbe luogo un lungo contenzioso. Pare che Ferdinando avesse anche una figlia naturale, Maria Giovanna, nata dalla relazione con Maria Nicoletta Fellini il 27 luglio 1794. Anche Mario, risparmiato in un primo momento, per la vendetta dei giudici fu condannato a morte al posto del fratello Vincenzo. Le sentenze furono eseguite il 30 settembre 1799. I Pignatelli andarono incontro alla morte con spirito fiero. Decapitati, furono sepolti nella chiesa del Carmine.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Napoli, Archivio Pignatelli di Strongoli, Serie II, f. EXLII, inc. 39; Ministero della Guerra, Segreteria antica di guerra, f. 897, 1; Riviste antiche, voll. 8, c. 894v; 128, cc. 19r-v, 269r, 439r; 463, cc. 767r-v, 811r, 914v, 1019r; Regia Camera della Sommaria, Relevi, vol. 436, inc. 2.
M. D’Ayala, La nobiltà napoletana nel 1799, Napoli 1873, pp. 87-93; F. Bonazzi, Ruolo generale dei cav. del S.M. Ordine gerosolimitano ricevuti per giustizia nella veneranda Lingua d’Italia dall’anno 1738 al 1882, Napoli 1883, p. 40; M D’Ayala, Vite degl’italiani benemeriti della libertà e della patria, Roma 1883, pp. 499-505; G. Ceci, Un generale napoletano del Decennio, Napoli 1923, pp. 4-8, 21-58; A. Simioni, Le origini del risorgimento politico dell’Italia meridionale, Messina-Roma 1925, pp. 438 s.; A.M. Rao, Guerra e politica nel «giacobinismo» napoletano, in Esercito e società nell’età rivoluzionaria e napoleonica, a cura di A.M. Rao, Napoli 1990, pp. 193-195; B. Croce, Albo illustrato della rivoluzione napoletana del 1799, Napoli 1998, pp. 35 s.; Id., La Rivoluzione napoletana del 1799. Biografie, racconti, ricerche, Napoli 1999, pp. 235-239; D. Shamà, L’aristocrazia europea ieri e oggi sui Pignatelli e famiglie alleate, Roma-Foggia-2009, pp. 146 s., 154.