FONTANA, Ferdinando
Nacque a Milano il 30 genn. 1850 da Carlo.
Il padre, pittore scenografo di comprovata maestria, si era votato ben presto a un'esistenza errabonda per esercitare il mestiere in varie città d'Europa e d'America. Da lui il F. aveva ereditato un'inquietudine da girovago e una propensione per il mondo del teatro e dell'opera che, manifestatasi assai più tardi, ne avrebbe fatto un indefesso librettista e commediografo, sovente animato più da esigenze di guadagno che non da autentica vocazione.
Costretto, anche per la morte prematura della madre, a interrompere gli studi, il F., che aveva due sorelle minori cui provvedere, si adattò ai più svariati mestieri, assumendo per qualche tempo i connotati sociali dell'"avventizio", figura della quale egli avrebbe tracciato in seguito una sorta di identikit socio-economico, scandagliando, come altri illustri letterati, il "ventre" di Milano. Fu, tra l'altro, merciaiolo, poi sottomagazziniere, commissario di bordo sulle navi. Dopo aver lavorato come correttore di bozze al Corriere di Milano, ebbe modo di entrare in contatto con gli ambienti colti del capoluogo lombardo.
La sua disposizione alla poesia si manifestò il 2 ott. 1875, quando la demolizione di un aggregato di vecchie case vicine al duomo, effettuata per proporzionare gli spazi cittadini all'imminente visita dell'imperatore Guglielmo I, lo indusse a manifestare le sue emozioni inneggiando, in strofe di settenari scritte quasi di getto sotto il titolo Il Rebecchino e ben accolte nel Pungolo del 15 ottobre, ai secolari intrecci domestici sviluppati al riparo di quelle mura cadenti.
Un certo gusto dell'improvvisazione caratterizza gran parte della sua produzione poetica, sulla quale grava la sentenza emessa dal Croce (La letteratura..., p. 8) che la riconduceva a una sorta di giornalismo verseggiato. Il F. si colloca nella cosiddetta terza (e ultima) fase della scapigliatura lombarda, fortemente connotata dall'impegno sociale. Egli aveva intrapreso la sua modesta attività di poeta nel periodo in cui, da un lato assurgeva a figura emblematica del movimento E. Praga, mentre dall'altro e al tempo stesso prendeva corpo un filone protestatario socialista e radicaleggiante che sarebbe andato sempre più aggregando, intorno ai suoi programmi di trasformazione sociale, gli intellettuali disposti ad abbandonare il cliché già desueto del bohémien o dello spostato per assumere i connotati più decisamente antagonistici - rispetto ai ceti dominanti - del "declassato".Nel 1875 egli cominciò a farsi conoscere anche come commediografo dialettale, pubblicando a Milano la Pina madamin: vaudeville dalla trama esile e scontata i cui personaggi però, entrati nel repertorio della compagnia teatrale meneghina di E. Ferravilla, si imposero nell'immaginario del popolo tanto da rappresentare, per antonomasia, i corrispondenti stereotipi (la sartina avvenente, il suo corteggiatore donnaiolo, ecc.). Impatto ancor più rilevante ebbe sul pubblico milanese La statoa del sur Incioda (Milano 1875, 3 ed., ibid. 1899), commedia vernacolare in un atto, nel cui ordito pervaso di semplice comicità il F. innestò elementi di contenuta satira politica, volta a mettere in luce i tratti di megalomania e di retorica ridondanza propri del Regno d'Italia, individuabili in particolare nella proliferazione dei monumenti celebrativi.
Al 1876 risale la pubblica adesione del F. al socialismo, con un lungo carme in settenari dal titolo Socialismo. Epistola ad Enrico Bignami, apparsa dapprima, con notevole risalto, nella Plebe di Lodi del 10 settembre e quindi in opuscolo (Milano 1876).
Il destinatario - fondatore e direttore del periodico - salutò l'avvenimento come una inequivocabile scelta di campo, un passaggio - destinato a impegnare un numero sempre maggiore di intellettuali - dalle schiere dei bohémiens a quelle dei "refrattari" che impugnavano il vessillo della rivoluzione sociale. Il F. vi propugnava, in realtà, un socialismo dalle fattezze piuttosto sfumate, intriso di radicalismo; e se da un lato irrideva alla "fisima" dell'eguaglianza sociale, dall'altro reclamava la giustizia, esaltando con toni populistici il duro lavoro dei contadini. Mentre in questo caso egli poteva apparire in perfetta sintonia con l'eclettismo della Plebe, faticosamente impegnata in quegli anni a tracciare la linea di un socialismo evoluzionistico e legalitario, in seguito avrebbe a lungo oscillato, prima dì approdare definitivamente nelle file repubblicane, fra socialismo gradualista e democrazia radicale.
Alla democrazia radicale si richiamava il settimanale La Farfalla (fondato a Cagliari da A. Sommaruga nel 1876 e trasferito l'anno dopo a Milano), nella cui redazione il F. ebbe subito un ruolo di primo piano, sia nella fase di avvio della rivista, quando cioè essa gravitava ancora in un ambito più specificamente letterario, sia nel periodo di maggiore apertura alle problematiche sociali, quando accanto a collaboratori come F. Cavallotti, C. Arrighi, O. Guerrini, F. Cameroni, C. Testa, C. Tronconi, uomo di punta fu F. Giarelli, che indicò chiaramente come aspetto qualificante del programma redazionale il "culto del vero".
Esponente rappresentativo, anche se non di spicco, dell'opposizione al manzonismo e dello schieramento antiromantico (col Tronconi, cui consacrò un breve scritto apologetico, Cesare Tronconi e la "Passione maledetta", Milano 1876), ma da scapigliato dell'ultim'ora tutt'altro che insensibile agli influssi romantici d'Oltralpe, nelle poesie che andò via via pubblicando nella Farfalla e in altre riviste di area radical-socialista (poi raccolte in volume: Poesie e novelle in versi, Milano 1877; Parigi. Nuove poesie e Ellenia moderna, Bologna 1881; Poesie vecchie e nuove (1876-1891), Milano 1892) il F. oscillò fra accesa protesta sociale e intimismo permeato di sentimentalismo patetico, non tralasciando di accreditare un'immagine di sé conforme allo stereotipo dell'irregolare che produce versi in osteria (Frectar, non frangar, in La Farfalla, 10 sett. 1876), o di esaltare l'idea poetica capace di sottrarsi al vituperato martirio della forma (La forma e l'idea. A Emilio Praga, ibid., 3dic. 1876).
Che il F. non si facesse scrupolo di sacrificare pressoché totalmente il momento dell'elaborazione estetica alle esigenze della polemica e dell'impegno sociale risulta con evidenza dal celebre Canto dell'odio, da lui contrapposto al Canto dell'amore del Carducci con cui questi aveva preso le distanze dal repubblicanesimo militante, auspicando la ricomposizione indolore dei conflitti di classe. Steso frettolosamente a Parigi il 17 genn. 1878 e pubblicato da Zanichelli (Bologna 1878), il Canto del F. - volto a evidenziare, con crudezza d'accenti e non senza cedimenti populistici, l'odio e la sete di vendetta che pervadevano la classe dei diseredati, ma anche il ruolo del poeta cui era demandato il compito di scuotere i ceti oppressi e incitarli a manifestare il loro rancore - riscosse ampi consensi negli ambienti radicali e socialisti e fu difeso strenuamente dal giovane F. Turati, il quale, a chi (come R. Renier) sosteneva non a torto di non ravvisarvi alcun valore poetico, replicava rivendicando il diritto di far valere in tal caso il punto di vista morale e civile a scapito di quello estetico (cfr. F. Turati, Bis in Idem. A proposito dei "Canti dell'odio e dell'amore", in La vita nuova e il Preludio, 7 febbr. 1878).
A Parigi, nel 1877, il F. aveva tentato con scarso successo di farsi promotore di una rivista letteraria. Sempre alle prese con notevoli difficoltà economiche - tanto da ricevere il soccorso finanziario di V. Bersezio e L. Roux - sul finire degli anni Settanta si stabilì per qualche tempo a Berlino, come corrispondente della Gazzetta piemontese. Dal 18 al 31 genn. 1881 soggiornò a Montecarlo per realizzarvi un reportage sul celebre Casinò, di cui tracciò un quadro a tinte forti denunciandone il clima di abiezione morale e di oscurantismo (Montecarlo, Roma 1882). Ai primi del mese successivo s'imbarcò alla volta di New York, in compagnia dell'amico D. Papa. Mentre questi approfittava della permanenza nella metropoli statunitense per istituire un confronto fra il giornalismo americano e quello nostrano, il F. si diffondeva ancora una volta in note di denuncia sociale, descrivendo, ad esempio, quel "semenzaio umano" newyorkese in cui veniva concentrata la massa degli immigrati appena sbarcati (ibid., p. 233). Dopo aver appreso, di ritorno da New York, la notizia della morte del padre, il 15 apr. 1881 salpò da Marsiglia per Algeri, dove fu ospite di un amico parigino. Anche questa esperienza gli diede modo di raccogliere riflessioni e aneddoti poi confluiti nel volume Un bricciolo di mezzaluna (Milano 1883), in cui veniva sostenuta, fra l'altro, l'ineluttabilità di un governo autonomo per l'Algeria.
Coautore di Il ventre di Milano. Fisiologia della capitale morale ad opera di una società di letterati (Milano 1888, II, in partic. pp. 109-113) insieme con Arrighi (supervisore dell'opera), Giarelli, A. Barilli, ecc., e di altre opere documentaristiche sulla società ambrosiana (cfr. ad es. La vita di strada, in Mediolanum, II, Bologna 1881, pp. 130-156), negli anni Ottanta il F. intensificò l'attività di intellettuale engagé, collaborando fra l'altro a L'Anticlericale, periodico di una lega popolare milanese, e alla Commedia umana, diretta da A. Bizzoni, che si avvaleva del contributo di Cavallotti, Carducci, Guerrini, Turati. Per questa rivista si produsse anche in note ironiche, a metà strada fra cronaca e autobiografia (In platea, I [1884], 1, pp. 7-10, e Geloni e memorie, II [1885], 11, pp. 22-27).
Dopo essersi riaccostato al teatro quale drammaturgo, componendo nell'83 insieme con L. Illica I Narbonnerie-Latour, commedia in un prologo e quattro atti (Milano 1885), manifestava le sue doti di librettista.
Il F. apparteneva a una generazione di poeti, tutti collocabili fra scapigliatura e verismo (A. Boito, lo stesso Illica, A. Ghislanzoni, G. Targioni Tozzetti), ai quali si deve una ricca produzione di libretti d'opera il più delle volte ben confezionati. A questa generazione si deve anche una revisione del libretto come genere, perseguita con propositi di ridefinizione dei canoni che ispiravano la strutturazione dei testi. Si trattava soprattutto di ridimensionare la soverchiante liricità del libretto tradizionale. In questa direzione il F. realizzò una maggiore e più soppesata integrazione di recitativo e aria.
Data appunto dalla prima metà degli anni Ottanta la sua cospicua - ancorché assai varia negli esiti - attività di librettista. Sotto l'evidente influsso di A. Catalani, dalla leggenda nordica degli spettri vaganti di ragazze morte per essere state abbandonate dai propri amanti (le willis) egli trasse spunto per imbastire il testo di un'opera drammatica che sottopose con successo all'ancor giovane e sconosciuto G. Puccini. Ignorata dalla giuria del primo concorso per opere liriche bandito da Sonzogno, Le Villi (così fu adattato il titolo dell'opera-ballo) ottenne un discreto successo al teatro Dal Verme di Milano (31 maggio 1884), e infine alla Scala, dove ne venne proposta una versione rimaneggiata in due atti. La collaborazione con il Puccini sortì ben altri effetti cinque anni dopo, allorché la seconda composizione pucciniana, Edgar (teatro alla Scala di Milano, 21 apr. 1889: tetra opera in quattro atti su libretto che il F. aveva approntato manipolando un dramma in versi di A. de Musset, La coupe et les lèvres del 1832), andò incontro a un netto insuccesso. Ma nel frattempo aveva messo a punto il testo di due altre opere, entrambe destinate a un'accoglienza ben più favorevole. La prima, Flora mirabilis ("leggenda" in tre atti), musicata ancora una volta da un debuttante, il compositore greco Spyros Samaras, fu rappresentata al teatro Carcano di Milano il 16 maggio 1886; la seconda, Asrael, classificata fra le opere minori di A. Franchetti, riscosse un notevole successo al teatro Municipale di Reggio Emilia, dove venne rappresentata l'11 febbr. 1888.
S'intende che i moduli, gli stilemi e i motivi, spesso reminiscenze varie, della sua produzione poetica si insinuavano prepotentemente nei suoi testi librettistici. A un certo punto il librettista e il poeta entrarono in conflitto, e il secondo sembrò voler ripudiare il primo. Ciò avvenne, paradossalmente, proprio mentre la produzione librettistica del F. appariva tutt'altro che destinata a esaurirsi in breve volger di tempo. Intorno alla metà degli anni Ottanta egli pubblicava infatti un volume, In teatro (Roma 1884), in cui auspicava e preconizzava l'evoluzione del libretto - giudicato pressoché offensivo nei confronti della vera poesia e indecoroso e non pubblicabile a causa della sua schematicità - verso generi ben più impegnativi, come il poema. E nondimeno, per sbarcare il lunario, seguitava a frequentare la "cucina dello spettacolo", come egli qualificava il genere libretto e, passando dal vaudevilie all'opera e viceversa, "cucinava" complessivamente una cinquantina di testi.All'inizio degli anni Novanta il F. fu costretto a diventare editore delle proprie opere, per aggirare i molti ostacoli che le case editrici frapponevano al suo "carattere selvaggiamente indipendente, riottoso a qualsiasi scuola, a qualsiasi partigianeria" (Confessione generale. Lettera aperta di E Fontana autore-editore ai suoi gentili firmatari passati, presenti e futuri, Lecco 1892, p. 1). Pubblicò così a sue spese una raccolta di rime in dialetto meneghino (Bambann..., Milano 1891, poi riproposta in Bambann vecc e noeuv, ibid. 1903)., comprendente sonetti, canzoni, canzonette e le tradizionali "bosinad", in cui il verseggiatore dialettale - curatore, peraltro, di una traduzione del Porta (Poesie, Milano 1907) oltreché di una selezione di rimatoti milanesi (Antologia meneghina, Milano 1891 e 1915) - si mostrava più disinvolto del poeta in lingua ed egualmente incline a improvvisare nell'ambito, a lui congeniale, del solidarismo (cfr. Bosinada don pover magutele, pp. 127 ss., scritta per incarico di un comitato di muratori disoccupati durante il Natale del 1890).
La spregiudicatezza cui apparivano improntati taluni suoi scritti non mancò di procurargli l'ostilità dei benpensanti. Nell'ottobre 1890, a Caprino Bergamasco, era stato trascinato in tribunale dai clericali, i quali giudicavano oscena la sua produzione "verista". Uscì dal processo vittorioso, essendo stato difeso dal Turati e, quando questi diede vita alla rivista Critica sociale (1891), il F. ne divenne per qualche tempo assiduo collaboratore, nella duplice veste di poeta e di critico letterario.
Nel 1892 fu candidato al Consiglio comunale di Milano per la Confederazione radicale che propugnava il Comune laico, lo sviluppo dell'istruzione, l'abolizione dei dazio consumo. Un anno prima, agli operai metallurgici milanesi, che si battevano per ottenere aumenti salariali e la riduzione dell'orario di lavoro, aveva dedicato un inno in meneghino, La lima e el martell, poi pubblicato nello Statuto della Lega di resistenza fra gli operai metallurgici ed affini di Milano (Milano 1892, pp. 29 s.). Diede altresì un contributo all'Almanacco del popolo pel 1893, pubblicandovi una poesia, Il maglio, in cui esaltava, con toni populistici e accenti romantici, il lavoro degli sfruttati. Dal 1891 collaborò al periodico democratico repubblicano torinese Il Ventesimo secolo. Il suo acceso anticlericalismo lo indusse ad aderire nel 1895 al settimanale radicale La Commedia nera, che criticava il partito socialista, accusato di sottovalutare la questione clericale. Nel 1897 fu, inoltre, collaboratore del Popolo sovrano, organo del partito repubblicano.
Il maggior impegno profuso nella scrittura militante non lo distoglieva dal mondo del teatro. Nel 1891 aveva elaborato un ballo in sette quadri, volendo proporre, come ebbe a dire, "una rivista rapida delle aspirazioni, delle tappe più salienti della civiltà" (Il libretto di un ballo composto da un poeta pel teatro della Scala, in L'Italia del popolo, 1-2 genn. 1891). Nel 1897 sfornava per A. Franchetti l'ennesimo libretto, Ilsignor di Porceaugnac, adattamento della ornonima commedia-balletto di Molière.
Inquisito, come collaboratore dell'Italia del popolo - nel quadro delle repressioni del '98 - per eccitamento all'odio di classe, riparò in Svizzera insieme con altri coimputati (fra i quali E. Chiesa, C. Dell'Avalle, A. Cabrini). Il tribunale militare di guerra di Milano lo condannava in contumacia a tre anni di reclusione. Il forzato esilio, peraltro presto superato in seguito all'amnistia di fine secolo (1899), determinò nella sua vita una notevole svolta. Stabilitosi nei pressi di Lugano e sposata una vedova del luogo, andò progressivamente diluendo l'impegno politico e quello letterario, mantenendo con la città natia un rapporto saltuario, più che altro connesso alle non più frequenti collaborazioni giornalistiche. Scrisse ancora articoli per Ars et labor, per La lettura, in cui rievocò le vicende degli ambienti scapigliati da lui frequentati (L'Ortaglia di via Vivajo, ibid. VII [1907], 1, pp. 40-48) e per il Secolo XX, finché l'intervento dell'Italia nel primo conflitto mondiale non oppose ostacoli insormontabili anche a questa sua residua attività. Nel 1912 aveva avuto modo di pubblicare una nuova edizione del Bricciolo di mezzaluna (nuovo titolo: Viaggio in Algeria). Costretto a coabitare con il nucleo familiare del figliastro (a sua volta sposato e padre di quattro figli, ma disoccupato per via della guerra), vide accrescersi le ristrettezze economiche nelle quali da tempo si dibatteva.
Il F. morì a Lugano l'11 maggio 1919.
Altre opere: Aldo e Clarenza (poesia musicata da N. Massa), Milano 1878; Il violino del diavolo, Bologna 1878; Il convento (poemetto), ibid. 1879; Il bandito (melodramma in tre atti, musica di E. Fontana), Milano 1880; Emilio Praga, Torino 1883; Pennelli e scalpelli. Esposizione internazionale di belle arti, Roma 1883, Milano 1883; Colomba (scene corse in tre atti, musica di V. Redeglia), ibid. 1887, Annibale (ballo storico musicato da R. Marenco), Milano-Roma-Napoli 1888; Lionella (dramma in tre atti, musica di S.F. Samaras), Milano 1891; La polpetta del re. Lanterna magica per bagaj e bagajoni..., ibid. 1894; Fra cantanti (racconti), ibid. 1895; Giuseppe Grandi. La vita e le opere, ibid. 1895; Forza d'amore (idillio drammatico in quattro quadri), ibid. 1896; D'ogni colore (racconti arabi), ibid. 1898; In viaggio per la China, ibid. 1900.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Direzione generale di P. S. 1879-1903, b. 14, f. 72 d.g., a. 1898, Milano, Tribunali di guerra (Sentenze); E. Gara - F. Piazzi, Serate all'osteria della scapigliatura, Milano 1945, passim; N. Gallini, Incontro con F. F., in La Martinella di Milano, IX (1955), pp. 707-711; E.M. Fusco, Scrittori e idee. Diz. critico della letteratura italiana, Torino 1956, pp. 243 s.; I periodici di Milano. Bibliografia e storia, a cura di F. Della Peruta, I, Milano 1956, ad Indicem; Ente per la storia del socialismo e del movimento operaio italiano, Bibliografia del socialismo e del movimento operaio ital., I, Periodici, II, Roma-Torino 1956, pp. 192, 928; II, Bibliografia..., II, ibid. 1964, ad nomen; B. Croce, La letter. della nuova Italia. Saggi critici, V, Bari 1957, pp. 3, 5-8, 64, 192, 337, 356; G. Mariani, Storia della scapigliatura, Caltanissetta-Roma 1967, ad Indicem; C.C. Secchi, La scapigliatura milanese, Milano 1970, p. 16; G. Manacorda, Il movimento operaio ital. attraverso i suoicongressi. Dalle origini alla formazione del partito socialista (1853-1892), Roma 1971, p. 404; A. Asor Rosa, La cultura, in Storia d'Italia (Einaudi), IV, 2, Torino 1975, p. 991; L. Bolzoni, Le tendenze della scapigliatura e la poesia fra tardo-romanticismo e realismo, in Letter. italiana (Laterza), a cura di C. Muscetta, VIII, 2, Bari 1975, p. 335; E. Sormani, Dal decadentismo europeo al bizantinismo, ibid., p. 516; A. Spina, Prefaz. a Cinque novelle arabe trascritte da F. F., Milano 1977, pp. 117 s.; Poeti della rivolta. Da Carducci a Lucini, a cura di P. C. Masini, Milano 1978, pp. 159 s. Cfr. inoltre: Dio borghese. Poesia sociale in Italia 1877-1900, a cura di A. Zavaroni, Milano 1978, pp. 260 s.; A. Galante Garrone, I radicali in Italia (1849-1925), Milano 1978, p. 199; R. Monteleone, F. Turati, Torino 1987, pp. 54, 80, 103; A. Restucci, L'immagine della città, in Letter. italiana (Einaudi). Storia e geografia, a cura di A. Asor Rosa, III, L'età contemporanea, Torino 1989, p. 183; Letter. italiana (Einaudi). Gli autori, a cura di A. Asor Rosa, I, Torino 1990, p. 805.
Per il F. librettista cfr. in particolare U. Rolandi, Illibretto per musica attraverso i tempi, Roma 1951, pp. 149, 153; Storia dell'opera, a cura di A. Basso, III, 2, Aspetti e problemi dell'opera, Torino 1977, pp. 262 s.; G. Negri, L'opera italiana. Storia, costume, repertorio, Milano 1985, p. 268; G. Barigazzi, La Scala racconta, Milano 1991, pp. 356-361; F. Clément - P. Urousse, Dictionnaire des opéras, Paris s.d. [ma 1897], p. 1147; Enc. dello spett., V, Roma 1958, p. 503; Enc. della musica Ricordi, III, Milano 1964, ad nomen; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie, II, ad nomen.