FERDINANDO I d'Aragona, re di Napoli
Nacque in Catalogna verso il 1431 da Alfonso V re d'Aragona e da Giraldonna Carlino, moglie di Gaspare Reverter di Barcellona. Il padre fin dal 1439 lo volle presso di sé nell'impresa per la conquista del mezzogiomo d'Italia; poi il 3 marzo 1443 lo nominò duca di Calabria e lo designò suo erede per il regno di Napoli; e nel 1446, per assicurargli l'appoggio dei più potenti feudatarî, gli diede in moglie Isabella di Chiaromonte, nipote del principe di Taranto e cognata del duca d'Andria. Ma con tutto ciò la successione al trono non fu agevole: gridato re alla morte del padre (27 giugno 1458), il nuovo sovrano avvertì subito gravi pericoli che lo minacciavano, agli antichi motivi di disordine interno aggiungendosene dei nuovi, conseguenza del sistema di governo seguito da re Alfonso durante il suo regno. Papa Calisto III forte dei diritti della Chiesa sull'Italia meridionale, non volle riconoscerlo e fomentò la rivolta contro di lui. Il baronaggio, fatto più riottoso dalle grandi concessioni di Alfonso, chiamò nel regno il pretendente Giovanni d'Angiò, figlio di Renato. Il popolo non nascose neppur esso il proprio malcontento contro il fiscalismo del defunto sovrano, accusato anche d'aver troppo protetto gli Spagnoli. Il re d'Aragona, infine, si mostrò spiacente per la cessione dello stato a Ferdinando figlio illegittimo, che, per i monarchi dell'opposta sponda, rimase sempre el bastardo. Allora il nuovo monarca si affrettò ad emanare opportuni provvedimenti in materia fiscale, riducendo le imposte e specialmente quella sul sale, e ad assicurare i baroni di voler governare "con l'amore di lor signori"; costrinse l'intrigante cugino Carlo di Viana, figlio di Giovanni II re d'Aragona, ad abbandonare il regno con molti degli Spagnoli ivi residenti, mentre altri ne mandava via lo stesso sovrano; e alla morte di Calisto III, con l'aiuto dello Sforza, timoroso di un possibile trionfo del principe francese, ottenne da papa Pio II il riconoscimento, dandogli in cambio Benevento, sì che poté prendere la corona in Bari il 4 febbraio 1459. Ma i baroni non disarmarono; e lunga e aspra fu la lotta che F. dovette sostenere contro di essi e contro Giovanni d'Angiò, che sbarcò presso le foci del Volturno nell'autunno dello stesso anno. Oltre al pretendente gli erano contro i più potenti signori del suo stato, con a capo i principi di Taranto e di Rossano, i quali a condottiero delle proprie forze avevano chiamato Iacopo Piccinino, divenuto nemico del re il giomo in cui per suo ordine aveva dovuto restituire a Pio II le terre umbre che aveva occupate alla morte di Calisto III; mentre l'Aragonese non poteva contare che sui pochi aiuti inviatigli dallo Sforza e condottigli da Alessandro signore di Pesaro, su Federico d'Urbino e sul papa, il quale peraltro aveva da lottare contro Sigismondo Malatesta. Il 7 luglio 1460, presso Sarno, il re fu disastrosamente sconfitto e a mala pena poté riparare in Napoli. Tuttavia, manifestando sentimenti di moderazione e approfittando dei dissensi scoppiati tra i suoi nemici, che erano gelosi l'uno dell'altro, aprì trattative con i ribelli e diminuì il loro numero; ottenne nuove truppe dallo Sforza e preziose schiere di Albanesi dallo Scanderbeg (ottobre 1460); aiutò la rivolta di Genova contro Renato d'Angiò, padre e sostenitore di Giovanni; il 18 agosto 1462, sui campi di Puglia, a Troia, riportava una decisiva vittoria sull'angioino. Molti baroni si arresero, il Piccinino preferì venire a patti, il principe di Rossano fu costretto alla pace (settembre 1463), quello di Taranto morì in Altamura il 16 novembre 1463, Giovanni dovette riparare in Ischia, donde parti per la Provenza nella primavera dell'anno seguente. Infine, il principe di Rossano, sotto l'accusa di aver continuato a cospirare, fu preso l'8 giugno dello stesso anno e chiuso in Castel Nuovo, nelle cui segrete fu poi gettato anche il Piccinino, arrestato di sorpresa in Napoli il 24 giugno 1465 d'accordo con lo Sforza, e quasi certamente fatto morire ivi di morte violenta il 12 luglio seguente. Seguirono anni di proficua pace e di intenso lavoro, spesi nel tentativo di rafforzare sempre più lo stato all'interno e all'estero, mediante gli abili maneggi politici, la creazione di un saldo ordinamento amministrativo, finanziario ed economico, l'incremento alla vita spirituale e artistica del paese.
Portato all'assolutismo, oltre che dalle tendenze politiche del suo tempo, dall'amara esperienza dell'infedeltà del baronaggio, se non attuò il progetto, che pure aveva accarezzato, di togliere le genti d'arme ai feudatarî, e se invece dalla scarsità delle sue forze e dalla conseguente necessità di usar moderazione fu costretto a limitarsi alla sostituzione dei signori più riottosi e a lasciare in piedi l'istituzione, pur tuttavia difese le universitates, specialmente le demaniali, distrusse molti degli abusi feudali, sostenne i diritti degli ordini non privilegiati. Al tempo del suo governo risale infatti la maggior parte degli antichi statuti comunali, tanto di quelli compilati dalla corte, quanto di quelli formati dai comuni e sottoposti al placet baronale; e, sebbene dopo poco fosse costretto ad annullare il suo provvedimento per diminuire la pressione tributaria che gravava specialmente sulle università, obbligate in solido al pagamento delle imposte e rovinate dai privilegi di esenzione concessi a molte classi di cittadini, nel 1481 tentò anche una radicale riforma del sistema tributario, sostituendo alle imposte sui fuochi e sul sale quelle sul consumo e sulla produzione. Inoltre, nel 1466, per impedire l'abbandono delle terre con le sue inevitabili conseguenze, dannose per il fisco e per il benessere del paese, ordinò che alla libera vendita dei frutti della terra nessun ostacolo potessero opporre i ceti privilegiati, soliti ad accaparrarli a prezzi fissati a loro arbitrio; nel 1469, pur confermando le immunità ecclesiastiche, le lasciò soltanto a coloro che effettivamente si dedicavano alle pratiche del culto; nel 1484 dispose che a tutti fosse lecito usare "pascuis, vel pecoribus atque pascendis spicis, aquis et aliis prout antiquitus consueverunt". Tentò di riattivare le industrie, specie quelle della seta e della lana; e anzi egli stesso si fece industriale e commerciante, associandosi alle ardite imprese di Francesco Coppola, poi conte di Sarno.
Né meno innovatore fu l'impulso dato alle belle arti e alla vita culturale. Nel 1465 riaprì l'università, che fu arricchita di cattedre e di docenti di sicuro valore; opera sua fu l'arco di trionfo di Castel Nuovo il più bel monumento del Rinascimento in Napoli; e durante il suo regno si formò nell'Italia meridionale una vera cultura italiana e latina, che contò fra i suoi maggiori rappresentanti il Panormita, il Sannazaro, il Pontano: letteratura che rispecchiava la vita del paese, le sue tendenze, i suoi bisogni, in specie attraverso le opere di Diomede Carafa, del Galateo, di Tristano Caracciolo, e, come tale, era destinata a sopravvivere alle successive sventure politiche del Mezzogiorno.
Nella politica estera, traendo profitto della dolorosa esperienza di suo padre, che con forze maggiori e in momenti meno sfavorevoli invano aveva tentato di assicurare alla corona d'Aragona un'effettiva supremazia sull'Italia, si preoccupò specialmente di rafforzare il proprio dominio, servendosi dei numerosi figlioli legittimi e illegittimi per stringere una fitta rete di parentele con sovrani italiani e stranieri, e assumendosi il compito di regolare le vicende della penisola, perché non fosse turbato l'equilibrio politico datole dalla pace di Lodi. Talvolta condannò l'atteggiamento del papa; ma la potenza che odiò con tutte le sue forze fu Venezia, sia perché sfuggiva al suo controllo, sia perché ostacolava l'unica via d'espansione che il Mezzogiorno avesse, quella dell'Oriente, e per ottenere il suo intento si avvaleva dei Turchi e continuamente minacciava di sostenere i pretendenti francesi al trono di Napoli. Per il resto, i buoni rapporti tra il regno e Milano, le due maggiori potenze territoriali dell'Italia, furono consolidati col matrimonio del duca di Calabria con Ippolita figlia di Francesco Sforza; la lega difensiva del 4 gennaio 1467, stipulata con Milano, con Firenze e col papa, assicurò la conservazione dello statu quo dopo la morte di Francesco Sforza e contro i tentativi di Venezia, che poi aderì alla nuova lega difensiva del 1474; il matrimonio di Ferdinando con Giovanna sorella del futuro re Cattolico (1477), conchiuso dodici anni dopo la morte della regina Isabella (1465), rafforzò l'amicizia dei due cugini; e il monarca napoletano, infine, prestò facile orecchio alla parola di Lorenzo il Magnifico venuto a Napoli (dicembre 1479) per chiedere pace al tempo della guerra che tenne dietro alla congiura dei Pazzi: pace che fu subito concessa, sebbene la sorte delle armi fosse stata favorevole all'Aragonese, e felici circostanze, quali le interne agitazioni di Milano e la neutralità di Venezia, autorizzassero a far considerare quello come il momento più opportuno per Napoli di tentare la conquista d'un effettivo predominio sull'Italia.
Tuttavia il viaggio ardimentoso del Magnifico valse a confermare la fama che F. godeva di "giudice d'Italia". Inoltre, la magnificenza della sua corte e la ricchezza di mezzi di cui poteva disporre gli creò la riputazione di sovrano ricchissimo; e finalmente i suoi appariscenti trionfi diplomatici e bellici, le sue sagge riforme finanziarie e amministrative, i notevoli aiuti dati a letterati e artisti e la difesa, da lui assunta, degli elementi locali contro i precedenti favoritismi verso gli Spagnoli valsero a dare buone speranze ai sudditi che erano favorevoli alla sua casa.
Nuovi allori per suo padre sembrò dovesse mietere il duca di Calabria il 10 settembre 1481, quando riconquistò Otranto, che il 13 agosto dell'anno precedente era caduta in mano dei Turchi. E in effetti gli elogi al re vittorioso furono pari al folle terrore che aveva sconvolto l'Europa alla notizia dello sbarco dei musulmani in Puglia; F. fu proclamato salvatore dell'Italia e dell'Europa. Ma fu vittoria politicamente sterile, ché mancavano le forze per trarne profitto, e Venezia era vigile sostenitrice dei Turchi; e per di più si risolse in un disastro economico, ché, scarsamente aiutato dalle altre potenze, F. fu costretto a profondere tesori nella dura contesa. Seguì la dispendiosissima guerra di Ferrara (1482), cne, invece di rovinarla, fece più bene che male a Venezia: alle forti spese militari si aggiunsero i gravi danni apportati alle città costiere della Puglia dalle incursioni venete, e specialmente a Gallipoli, che fu occupata; bisognò domandare forti prestiti allo Strozzi, al Ginori, agli Spannocchi, al Pandolfini, impegnando le gioie della corona e finanche i libri della biblioteca regia; e, distruggendo le precedenti benefiche riforme, si dovette accrescere la pressione tributaria con grave danno dei comuni, vendere le città demaniali e, capitalizzando a cattive condizioni il loro eventuale gettito, alienare numerose imposte. Poi sopraggiunse la rivolta del baronaggio, e fu il colpo di grazia (v. baroni, congiura dei).
Infine divenne difficile anche la situazione estera, ché Innocenzo VIII, accusando il re di non aver mantenuto i patti della pace del 1486, lo dichiarò decaduto (11 agosto 1489) e aprì trattative con Carlo VIII; e inoltre finì il buon accordo con Ludovico il Moro, preoccupato per il matrimonio d'Isabella d'Aragona con Gian Galeazzo, che, protetto dai parenti della moglie, avrebbe potuto liberarsi dalla tutela troppo interessata dello zio. F., credendo di assicurarsi in tal modo il dominio, prese al suo soldo i migliori capitani d'Italia; e, avvalendosi della mediazione dell'amico Lorenzo de' Medici, alla fine del 1491 raggiunse l'accordo col papa. Ma ormai egli non godeva più quella fama di potenza che aveva allietato parecchi anni del suo regno: i baroni ribelli, fuggiti presso le corti nemiche dell'aragonese, erano divenuti precisi informatori delle effettive condizioni del regno, sempre più immiserito dalla politica militare del sovrano, e avevano diffuso la persuasione che fosse facile la conquista dello stato napoletano. Sì che quando, venuto a morte il Magnifico, il quale sino allora era stato intermediario di pace, divennero sempre più difficili i rapporti tra Napoli e Milano, e Milano, timorosa di restar senza alleati in Italia, si rivolse allo straniero, al Moro riuscì di persuadere Carlo VIII a muovere contro l'Aragonese. F., atterrito per il pericolo che minacciava il proprio stato, ma ancora per quello che incombeva su tutta l'Italia, fece dire allo Sforza: "Consideri bene le cose passate et veda quante volte per le interne dissensioni se sono chiamate et conducte in Italia potentie ultramontane, che poi l'hanno oppressa et tiranizata che ancora se ne vedono li vestigi". Poi la morte giunse opportuna, il 25 gennaio 1494, a impedirgli di vedere la tragica fine del regno.
Bibl.: Per le fonti cfr.: B. Capasso, Le fonti della storia delle provincie napoletane, Napoli 1902; e specialmente il Codice aragonese, Napoli 1866-74, e il Regis Ferdinandi I instructionum liber, Napoli 1916. Per i primi tempi del regno cfr. E. Nunziante, I primi anni di Ferdinando d'Aragona e l'invasione di Giovanni d'Angiò, Napoli 1898; sulla politica estera del monarca cfr. E. Nunziante, Il concistoro d'Innocenzo VIII per la chiamata di Renato duca di Lorena, in Arch. stor. napoletano, XI; L. Sorricchio, Angelo e Antonio Probi ambasciatori di Ferdinando I, in Arch. stor. napoletano, XXI; P. Fedele, La pace del 1486 tra Ferdinando I e Innocenzo VIII, in Arch. stor. napoletano, XXX; P. Egidi, La politica del regno di Napoli negli ultimi mesi dell'anno 1480, in Arch. stor. napoletano, XXXV; J. Ribera, Tratado de paz o tregua entre Fernando I y Abuamer Otman rey de Tunez, in Centenario di M. Amari, Palermo 1910; J. Calmette, Le projet de mariage bourguignon-napolitain en 1474, i Bull. de l'École des chartes, LXXII; E. Carusi, I capitoli della lega per la pace d'Italia fra Sisto IV, Ferdinando di Napoli e la repubblica di Genova, in Arch. muratoriano, n. 16. Sulla guerra d'Otranto, cfr. C. Foucard, in Archivio stor. nap., VI; F. Fossati, in Nuovo Arch. veneto, 1906; E. Carusi, in Arch. stor. romano, XXXII; E. Perito, in Arch. stor. nap., n. s., I; per la guerra di Ferrara e per la lotta contro Venezia, cfr. oltre a E. Piva, La guerra di Ferrara del 1482, Padova 1893-94; C. Massa, Venezia e Gallipoli, Trani 1902; G. Guerrieri, Le relaz. tra Venezia e la Terra d'Otranto, Trani 1904. Sulla vita amministrativa ed economica dello stato, cfr.: N. F. Faraglia, Il comune nell'Italia meridionale, Napoli 1883; F. Carabellese, La Puglia nel sec. XV, Bari 1901-08; A. M. Amelli, in Arch. stor. italiano, XLIII; V. Vitale, Trani dagli Angioini agli Spagnoli, Bari 1912. Sulla vita letteraria e artistica cfr.: G. Mazzatinti, La biblioteca dei re aragonesi di Napoli, Rocca S. Casciano 1897; H. Omont, Inventaire de la bibliothéque de Ferdinand I d'Aragon, in Bibl. de l'École de chartes, LXX; G. Gothein, Il Rinascimento nell'Italia meridionale, trad. it., Firenze 1915; R. Filangieri di Candida, Lo Studio di Napoli nell'età aragonese, Napoli 1924; e B. Croce, La Spagna nella vita italiana durante la Rinascenza, Bari 1917. Cfr. inoltre E. Nunziante, Alcune lettere di J. Pontano, in Arch. stor. napoletano, XI; N. Forcellini, Strane peripezie di un bastardo di Casa d'Aragona, Napoli 1915; M. Longhi, Bologna e Ferdinando I, in Studi di storia e di critica dedicati a P. C. Falletti, Bologna 1915; P. Negri, Studi sulla crisi italiana alla fine del sec. XV, in Arch. stor. lombardo, L-LI, e spec. B. Croce, Storia del regno di Napoli, 2ª ed., Bari 1931. V. anche la bibl. a baroni, congiura dei.